Dall’emigrazione all’immigrazione


Roma, 04/03/2000


*** Messaggio di saluto inviato al Convegno di Studi del Centro di ricerca per la Narrativa e il Cinema di Agrigento ***


L’immigrazione è un fenomeno strutturale che coinvolge tutti i Paesi industrializzati. I movimenti migratori coinvolgono oggi circa 140 milioni di individui contro i 104 del 1985 e gli 84 del 1975.
Oggi l’Italia è uno dei Paesi dell’Unione Europea con la più bassa incidenza di presenza straniera sulla popolazione residente: il 2,5% contro una media UE pari al 5,1%. La Germania, con l’8,9%, l’Austria ed il Belgio, con il 9%, hanno valori di oltre tre volte superiori all’Italia, mentre la Francia, con il 7%, raggiunge quasi il triplo del nostro valore.
Nel futuro, soprattutto se consideriamo i recenti dati dell’ONU, i flussi migratori nel nostro Paese sono certamente destinati ad aumentare.
Le stima fornita dalle Nazioni Unite nelle scorse settimane ci dice che la popolazione italiana subirà una drastica diminuzione passando, nell’arco di poco più di una generazione, dagli attuali 57 milioni di abitanti a 41 milioni nel 2044.
Nel prossimo futuro avremo quindi bisogno dell’immigrazione.
Basti pensare che già oggi i cittadini non comunitari costituiscono per il nostro sistema previdenziale una risorsa: l’INPS ha calcolato che dal 1990 al 2010 gli 800.000 lavoratori stranieri attualmente iscritti all’ente previdenziale avranno versato circa 70.000 miliardi, con un effetto benefico sui conti previdenziali del Paese visto che l’età media dei contribuenti non comunitari non comporta ancora l’erogazione di pensioni.
Conoscere questo quadro demografico e sociale serve a farci capire le dimensioni del fenomeno che stiamo vivendo e l’importanza della sfida che abbiamo dinanzi, ma ci consente soprattutto di comprendere che questi anni costituiscono un’occasione che dobbiamo cogliere per realizzare politiche di governo dei flussi migratori fondate sulla sicurezza dei cittadini e su una solidarietà responsabile che ha tra i suoi paradigmi il senso del limite.
In questa direzione le giornate che si aprono oggi costituiscono un momento di conoscenza e di approfondimento, perché ci fanno riflettere su questo tema innanzitutto ricordandoci che il nostro Paese è stato il luogo da cui, in un secolo, sono partite oltre 25 milioni di persone alla ricerca di un lavoro.
25 milioni di donne e di uomini che, nel lungo cammino percorso dalla condizione di emigrante a quello di emigrato e poi, spesso, di cittadino di un altro Stato, hanno vissuto sulla loro pelle l’esperienza dello sradicamento dal paese di origine e l’integrazione marginalizzata nei paesi d’adozione.
Il linguaggio cinematografico ci offre la possibilità di comprendere le emozioni e i timori dei vecchi e dei nuovi migranti, ma anche le ragioni profonde dei pregiudizi e i meccanismi di rifiuto dell’altro che emergono in ogni società dove all’illusoria certezza dell’identificazione comunitaria si sostituisce la sfida consapevole per l’integrazione e la convivenza tra diversi.
L’immigrazione del presente e del futuro sarà sempre meno un fenomeno unidimensionale. All''emigrazione “povera”, fatta di persone che sfuggono alla fame, alla miseria, alla persecuzione, si sommerà un''emigrazione “ricca” di professionisti capaci che sceglieranno nel mondo i lavori più soddisfacenti e più retribuiti.
Per queste ragioni la multietnicità è il futuro del mondo ed i paesi più forti nell’economia, nella scienza e nella cultura, saranno e sono già oggi i paesi con un più alto coefficiente di multietnicità.
Le società democratiche moderne vogliono continuare ad essere aperte, perché il principio irrinunciabile di ogni democrazia è l’inclusione e perché sanno che lo scambio, il confronto, la molteplicità di razze, di religioni, di culture, di costumi può avere grandi vantaggi anche in termini economici e sociali.
L’Italia, nella costruzione di un’organica politica dell’immigrazione, ha davanti a sé i modelli che nel corso del XX secolo sono stati adottati dai Paesi che hanno accolto grandi masse di emigranti.
La cosiddetta “multiculturalità”, che sembra ormai un tratto acquisito di molte democrazie occidentali, costituisce anche un fattore di “tensione” che mette costantemente alla prova il carattere aperto delle democrazie perché pone problemi di compatibilità e di tenuta del sistema socio-economico e della sicurezza.
Dobbiamo stare perciò attenti ad evitare che il “multiculturalismo” non conduca alla costruzione di una società “per comparti” chiusi e reciprocamente indifferenti od ostili, come accade in alcune realtà della società statunitense dove gli immigrati si raccolgono in comunità separate, ben lungi dal “mescolarsi” tra loro secondo il cliché del melting pot.
Accanto a questo modello si è sviluppato quello “assimilazionista” che chiede a chi entra di rinunciare alla propria cultura e di accettare, assieme ai comportamenti sociali, quella del Paese ospitante, in uno scambio ineguale tra diritti di cittadinanza ed identità culturale.
Al contrario io credo che il modello su cui lavorare nel nostro Paese e che possiamo proporre anche all’Europa è il modello di “pluralismo culturale”, fondato sulla condivisione di un nucleo di valori comuni che rendono possibili lo scambio e l’accettazione reciproci senza l’omologazione.
Il modello di “pluralismo culturale” mette al centro il valore della persona umana quando garantisce a chi entra nel Paese i diritti fondamentali, quando previene e contrasta le situazioni di frammentazione e ghettizzazione, quando esige il rispetto di regole comuni, delle libertà civili, dei diritti della donna, dei diritti dei minori, senza concedere deroghe, neppure in nome del valore della differenza.
La legge sull’immigrazione approvata dal Parlamento due anni fa e le successive misure di attuazione costituiscono le basi fondamentali per poter realizzare questo modello di integrazione con politiche di solidarietà responsabili, fondate sul promettere solo ciò che si può davvero mantenere.
Una politica dell’immigrazione che assicura risultati visibili nella lotta al traffico clandestino e alle infiltrazioni criminali è fattore integrante di un’efficace governo delle migrazioni perché rende credibili le politiche di integrazione sociale, perché è capace di tranquillizzare il cittadino e di spegnere le ricorrenti tentazioni di sfruttare in chiave razzista il sentimento di insicurezza.
Le stesse comunità di immigrati che vivono e lavorano onestamente nel nostro Paese sono chiamate a far proprio l’obbiettivo di una maggiore sicurezza dei cittadini.
La prima relazione del Governo sull’attuazione della legge dimostra l’efficacia delle nuove misure per la lotta all’immigrazione clandestina. I respingimenti e le espulsioni effettuati nei primi dieci mesi del ’99 superano quelli dell’intero anno precedente (60.700 contro 54.100). Dal 1° gennaio al 15 marzo di quest’anno sono stati effettuati 6169 rimpatri effettivi, contro i 4143 dello stesso periodo del ’99 con un incremento di circa il 30%. Grazie anche all’impegno delle forze dell’ordine, che hanno diritto ad un maggior riconoscimento dei risultati ottenuti, gli sbarchi clandestini nella vostra regione sono drasticamente diminuiti: nel periodo ottobre 1998-settembre 1999 i clandestini sbarcati sui litorali siciliani sono stati 2072 contro i 3413 giunti in soli tre mesi nel periodo luglio-settembre 1998.
Accanto all’obiettivo prioritario della sicurezza con la legge sull’immigrazione abbiamo scelto di mettere a disposizione dei cittadini che entrano e sono regolarmente presenti nel nostro Paese una serie di strumenti e di misure per realizzare concretamente i diritti fondamentali della persona: la protezione dei minori, l’accesso all’istruzione e alla formazione, all’assistenza sanitaria e all’abitazione.
Oggi oltre 85.000 bambini e ragazzi stranieri, indipendentemente dalla loro posizione giuridica, frequentano nel nostro Paese la scuola dell’obbligo e gli istituti superiori.
Alla scuola è inoltre affidata la promozione dell’educazione interculturale rivolta anche agli adulti. La legge afferma infatti che “la comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza” e promuove iniziative volte “all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine, alla realizzazione di attività interculturali comuni”.
Sono attivi 389 Centri Territoriali Permanenti per la formazione degli adulti immigrati in Italia. Di questi ben 59 sono funzionanti in Sicilia. Dopo la Campania la vostra è la seconda regione a livello nazionale per numero di Centri attivati.
Strutture pubbliche e organizzazioni del volontariato sono impegnate a costruire una rete di servizi sanitari in grado di fornire un’assistenza medica rispettosa della persona e delle diverse culture del corpo, del rapporto con la malattia di cui sono portatori i cittadini non comunitari.
Su questo terreno c’è ancora molto da fare ma le strutture già attive nel Paese stanno conseguendo risultati molto positivi.
Il Poliambulatorio della Caritas di Roma ed il Naga di Milano effettuano ogni anno circa 50.000 visite a cittadini immigrati. L’Ospedale S. Gallicano di Roma, che nel corso di un quindicennio di attività ha curato oltre 30.000 immigrati, e alcune ASL delle città di Torino, Milano, Bologna, Firenze e Roma hanno attivato servizi di medicina delle migrazioni che si avvalgono anche di mediatori interculturali ed etnoclinici e stanno sviluppando programmi di consulenza sanitaria e di salute mentale specifici.
Ma mentre siamo impegnati a garantire questi diritti, che sono la condizione minima per assicurare ai cittadini non comunitari una prospettiva di sicurezza e di permanenza legale da cui poter progettare il proprio futuro, chiamiamo ad un impegno condiviso le comunità degli immigrati per affermare insieme il rispetto integrale dei diritti della persona.
Nella risoluzione approvata il 22 marzo dalla Commissione parlamentare per l’infanzia sulle mutilazioni genitali femminili il Governo è stato impegnato a predisporre un’indagine conoscitiva su questo tema avvalendosi dell''apporto delle associazioni di immigrati e dei loro responsabili, per monitorare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese e identificare le aree geografiche dove sono maggiormente concentrate le bambine a rischio di mutilazione. Inoltre il Governo è stato impegnato a promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione nei confronti dei cittadini non comunitari evidenziando i danni futuri sul benessere psico-fisico che tali pratiche comportano e a garantire assistenza psicologica e tutela giuridica alle bambine che sono state o che potrebbero essere oggetto di tali pratiche.
La piena attuazione di questa legge, sia sul versante della sicurezza che dell’integrazione ci mette in condizione di superare la tradizionale gestione emergenziale del fenomeno migratorio e dà al Paese, per la prima volta, basi solide per realizzare una politica dell’immigrazione stabile, capace di promuovere processi di inclusione dei cittadini non comunitari e il rafforzamento di una coscienza civile fondata sul rispetto delle differenze e sul principio della solidarietà responsabile.
Questo obiettivo fondamentale va perseguito con raddoppiata energia in un momento in cui la presenza di regionalismi antistatuali, di nazionalismi e di populismi preoccupa l’Europa, che è oggi chiamata a consolidarsi come “comunità politica”.
In molti paesi del nostro continente c’è la posizione, non fondata, di chi contesta all’Europa di essere semplicemente un’area di grandi affari economici che schiaccia le identità nazionali e non si preoccupa di difendere la condizione dei ceti medi e di quelli più deboli.
Nel vocabolario dei movimenti che si riconoscono in questa visione, il razzismo e la discriminazione sono sostituiti da termini e concetti più ambigui come l’etnopluralismo, l’assolutizzazione del “diritto alla differenza” o il “rispetto delle differenze” che sono la base per affermare il principio imperativo del “ciascuno a casa propria”.
Sarebbe tuttavia un errore di analisi e di prospettiva considerare questi fenomeni, come semplici riedizioni degli atteggiamenti che hanno portato alle tragedie totalitarie del fascismo e del nazionalsocialismo.
In realtà alla base di questi movimenti c’è una sorta di “ripiegamento comunitario”, una risposta in termini arcaici a un bisogno reale di appartenenza e di identità. E’ una risposta che guarda al passato, alla discriminazione, anziché al futuro, all’integrazione e che contrappone alla cittadinanza intesa come insieme di diritti e di doveri uguali per tutti, il nazionalismo come appartenenza fondata sulle tradizioni, sulle lingue locali e sulla terra, nonché sulla discriminazione dell’altro.
Una politica che sceglie questo tipo di risposta abdica alla propria responsabilità, tradisce la propria etica.
La politica non deve mai mettersi al traino del sentimento di insicurezza dei cittadini che vanno rispettati e compresi, ma che non vanno mai utilizzati obliquamente per ottenere il consenso politico.
La responsabilità e la dignità della politica si misura sulla capacità di saper risolvere i problemi, di saper aiutare concretamente ogni cittadino a liberarsi dal sentimento di paura per costruire responsabilmente il proprio futuro.
Perciò una politica della sicurezza, efficace e visibile, priva di forzature demagogiche, è il necessario complemento di una seria, efficace e non demagogica politica dell’immigrazione.
L’alternativa al “comunitarismo” è il “cosmopolitismo”. Non come astratta ideologia illuministica, ma come capacità di ogni democrazia di costruire concretamente “comunità politiche sempre più ampie”, nelle quali l’elaborazione dell’identità si fonda non sulla paura e sulla chiusura, ma sulla libertà e sull’apertura alla diversità, sulla convivenza di culture, stili di vita, razze, religioni, che si riconoscono e si rispettano reciprocamente, mantenendo, se vogliono, la loro distinzione.
In questo sforzo occorre riportare al vertice della gerarchia dei valori la persona, i suoi diritti ed i suoi doveri.
Ciò significa attingere alle radici più profonde della nostra civiltà.
I diritti della persona umana costituiscono infatti il fondamento del patrimonio culturale e civile europeo derivante dall’umanesimo classico, dal concetto cristiano di persona, dagli ideali moderni di libertà e di giustizia, dalla lotta contro tutti i totalitarismi.
La legge sull’immigrazione assegna un ruolo fondamentale agli enti locali come soggetti promotori dell’integrazione e dell’interazione positiva sul territorio conferendo risorse e funzioni specifiche in materia di politiche sociali, di assistenza, di politiche abitative, di educazione interculturale e di formazione.
Per questo la Camera ha proposto due anni fa all’ANCI di realizzare una ricerca sui servizi realizzati dai Comuni per i cittadini non comunitari. Ai questionari distribuiti hanno sinora risposto 535 comuni tra i quali il 63,4% con popolazione superiore ai 100.000 abitanti. Il 14,4% dei comuni partecipa a progetti di cooperazione internazionale, tra quelli con più di 100.000 abitanti la percentuale sale al 38,5%. Ben 409 su 535 comuni hanno attivato un servizio, mentre 126 hanno avviato più servizi destinati ai cittadini non comunitari. Nella tipologia dei servizi prevalgono quelli socio-assistenziali (66,5%), per l’inserimento scolastico e l’educazione interculturale (63%).
Questi dati testimoniano che c’è nel Paese uno sforzo consapevole e capillare, delle istituzioni, del volontariato e del privato sociale, per realizzare una politica di accoglienza responsabile dei cittadini non comunitari.
Accanto a questo impegno è fondamentale l’azione della società civile e delle associazioni come la vostra per costruire, attraverso l’impegno culturale, condizioni concrete e diffuse di conoscenza reciproca, di accettazione e di rispetto delle differenze.
E’ questa una leva formidabile per disarmare il pregiudizio, per battere, sul terreno della consapevolezza, la paura dell’altro disinnescando in radice il razzismo e la discriminazione.