“Nenni: una vita per la democrazia e il socialismo”


Roma, 05/16/2000


*** Convegno promosso dalla Fondazione Nenni a venti anni dalla scomparsa di Pietro Nenni ***


Pietro Nenni è stato più un grande dirigente politico che un uomo di Stato.
Tuttavia quando dovette scegliere le responsabilità di governo lo fece con determinazione e senso dello Stato, anche se con qualche insofferenza di fronte alle complessità delle questioni di governo.
Nei diari, per esempio, emerge la sua distanza dal metodo politico di Aldo Moro, che pure stima profondamente.
Il suo motto era <>.
Pertanto preferirebbe tagliare i nodi rapidamente e con colpi di spada.
Moro, invece, i nodi li dipana con pazienza e con una sorta di indifferenza rispetto al corso del tempo.

Uno dei tratti caratterizzanti della sua personalità è l’anelito all’azione. La spinta a cogliere la realtà nei suoi aspetti più evidenti e immediati; a risolvere quel problema che c’è sul tavolo in quel preciso momento, traendo dalla soluzione attuata la forza per affrontare il problema successivo.


E’ interventista e partecipa alla Grande guerra.
Nell’esperienza della trincea è profondamente colpito dalla rigida suddivisione in classi, degli ufficiali borghesi, da una parte, e dei soldati contadini, dall’altra.
Nel 1919 è giornalista inviato del “Secolo” in diversi Paesi europei, dove vede con i suoi occhi la miseria dei popoli e “l’immonda gara degli imperialismi insoddisfatti”.
Nel 1920 rompe con i Repubblicani: “da modesto studioso ho creduto mio dovere dirvi che il vostro insuccesso politico ha le sue cause nell’assenza di un principio e di un metodo nei conflitti di lavoro”.

Per Nenni la politica è soprattutto azione.
E’ questa una chiave di lettura utile per comprendere molti passaggi difficili della sua esperienza politica e anche per sciogliere alcune sue contraddizioni. Contraddizioni che non si ridurranno mai a torsioni intellettualistiche, ma saranno sempre decisioni, azioni, scelte e sempre avendo come linea di fondo l’emancipazione delle classi subalterne.

Tra gli aspetti centrali e più complessi della sua esperienza politica c’é il rapporto con il comunismo.
Alleati, ma distinti, fu la linea alla quale tenne costantemente fede.
Nel 1922 Nenni sconfessa l’intesa raggiunta nell’ottobre dello stesso anno a Mosca tra la delegazione del PSI e del Pcd’I sulla unificazione dei due partiti. Tuttavia sin dai primi anni dell’esilio a Parigi, durante la dittatura fascista, lavora assiduamente per un’ alleanza con i comunisti, nella consapevolezza che essa fosse indispensabile per abbattere il fascismo.
Questa convinzione fu rafforzata dalla constatazione che i comunisti avevano in Italia un forte radicamento clandestino e che per questo costituivano un punto di forza imprescindibile. Dopo l’avvicinamento e poi lo scontro con Giustizia e Libertà, che portò allo scioglimento della Concentrazione, nel 1934 fu stipulato il patto di unità di azione tra socialisti e comunisti.
Anche dopo i processi e le purghe di Mosca della seconda metà degli anni trenta e dopo l’accordo Molotov-Ribbentrop, da lui aspramente criticati, Nenni rimarrà convinto della necessità di mantenere fermo il patto di unità di azione.

L’unità di azione tra socialisti e comunisti sarà rafforzata dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre. I punti che uniscono i due partiti furono, oltre la mobilitazione armata contro il nazifascismo, l’impegno per la costruzione di una democrazia che traesse la sua forza e la sua legittimazione dal popolo, l’abbattimento della monarchia giudicata responsabile del fascismo.

Su questo punto Nenni è particolarmente risoluto. Rispondendo all’invito rivolto da Churchill a tutte le forze nazionali perché si unissero al Governo Badoglio e al re nella lotta contro il fascismo Nenni risponde rifiutando la collaborazione con un re che- come egli disse - “nel giro di quarantatré anni di trono ha trovato il modo di tradire tutti, la Costituzione, i liberali, gli antifascisti, i fascisti, gli inglesi, i tedeschi e financo l’esercito”.

Coerentemente sostenne la Repubblica senza tentennamenti e con una idea precisa del rinnovamento che la Repubblica avrebbe portato con sé.
La scelta Repubblicana non è quindi una semplice scelta antimonarchica; è una scelta per una concezione della democrazia che capovolge il rapporto tra potere pubblico e cittadini.
In un discorso tenuto a Torino il 17 marzo 1946, pochi mesi prima del referendum istituzionale, Nenni definisce la sua concezione di Repubblica: “il Partito Socialista risponde Repubblica soprattutto per delle ragioni di carattere sociale, perché vede nella trasformazione organica della base dello stato non un cambiamento di forma…ma l’accesso al governo e al potere di uomini nuovi, di classi nuove, finalmente conciliate con lo Stato, non più strumento di oppressione ma di liberazione”.
Questa della conciliazione delle masse con lo Stato è una delle sue grandi intuizioni. I comunisti pensavano alla Repubblica come strumento di trasformazione dello Stato e strumento per l’ingresso nello Stato di grandi masse che ne erano state sino ad allora escluse. “ La Repubblica trasformerà lo Stato” era il titolo di un importante discorso di Togliatti in quegli anni.
Nenni insiste sul concetto di conciliazione, di un rapporto diverso dal passato, non pregiudizialmente conflittuale, ma privo degli elementi di confusione tra masse e Stato che invece sembravano propri alla tradizione comunista.

Nonostante la sconfitta dell’aprile 1948 il partito socialista e il partito comunista, pur rimanendo distinti dal punto di vista organizzativo, mantennero una base ideologica comune e una unità di intenti che li vedeva insieme nell’affermazione dei valori della Resistenza, nella tutela dei lavoratori, nella lotta contro la disoccupazione, l’analfabetismo, la miseria.
Per realizzare questi obiettivi, dal 1948 fino al 1956, le differenze tra PSI e PCI nel rapporto con l’Unione Sovietica, furono tenute in secondo piano.

Dopo il fallimento della cosiddetta “legge truffa” nel 1953, inizia una fase nuova, nella quale Nenni mira a spostare verso sinistra il quadro di governo.
Questa fase durerà quasi dieci anni.
A metà di questo cammino, nel 1956, avviene la rottura con il Partito comunista. Il patto di unità di azione regge all’urto del XX congresso del PCUS, nel quale Kruscev denuncia i crimini di Stalin, ma non all’invasione dell’Ungheria, per la quale il PCI solidarizza con l’URSS.

I primi anni sessanta sono per Nenni anni di travaglio.
La scelta del centro-sinistra è matura ma c’è in lui la preoccupazione di non fare passi affrettati, di dimostrare che la sua non è una scelta opportunista.
Nenni punta ad una “politica capace di dare fiducia e sicurezza ai lavoratori, tale cioè da comportare la prova provata della capacità della democrazia di affrontare e risolvere i problemi operai e contadini”.
In effetti alcuni grandi problemi furono affrontati e risolti: la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma della scuola, la riforma agraria, la eliminazione di alcuni privilegi dell’industria monopolistica e del capitale finanziario e più tardi lo statuto dei lavoratori e l’attuazione dell’ordinamento regionale.
Il clima di scontro e di lacerazione all’interno della coalizione impedì però che quei risultati venissero pienamente valorizzati.
Anche allora la capacità di comunicare i risultati ottenuti era parte essenziale dell’azione di governo.
L’esperienza del Governo è per Nenni faticosa e dura. Faticosa perché fatta di problemi concreti da risolvere, anziché di grandi orizzonti strategici da disegnare.
Dura perché gli manca il contatto frequente con la piazza, con le manifestazioni, con i giovani.
Un momento di grande difficoltà fu la crisi di governo dell’estate del 1964.
Affrontando seri ostacoli all’interno del partito, Nenni decide di proseguire l’esperienza di governo per salvaguardare le chances della strategia riformatrice, non condivisa dagli altri partner della coalizione.

Nenni fece allora prevalere il senso dello Stato nel suo significato migliore, che è quello del sacrificio del proprio ideale di parte per affermare una visione più responsabile, che teneva conto delle esigenze di una democrazia giovane, non ancora ben radicata, e minacciata da pericoli di involuzione autoritaria.
Si accorge via via dei limiti di quell’alleanza di centro-sinistra.
Sa che con la sinistra divisa non si possono realizzare obiettivi ambiziosi. Per questo cercherà la riunificazione con il partito socialdemocratico, che avverrà il 30 ottobre 1966, ma sarà effimera e non sufficiente a modificare i rapporti di forza con la DC.

Come Ministro degli esteri nel Governo Rumor, svolge una azione incisiva di politica estera, contribuendo in modo particolare all’ingresso della Cina nell’ONU, e matura una profonda consapevolezza dell’importanza cruciale della costruzione europea.
Egli concepisce l’Europa, in termini assai moderni, come grande soggetto politico.
Nel giugno 1969, all’undicesimo congresso nazionale del partito socialista, disse, parlando dell’Europa: “per poter portare un contributo all’ordine mondiale bisogna innanzitutto esistere politicamente”.
L’Europa per Nenni è l’unico modo di rispondere ai rapidi mutamenti della società tecnologica, ai cambiamenti dell’economia e del lavoro. Il problema per lui è quello di costruire una <>.

Nel 1970 fu nominato da Saragat Senatore a vita; ma gli anni che seguiranno non saranno anni di disimpegno.
Nel 1974 infatti partecipa intensamente alla campagna referendaria sul divorzio, perché vede in essa una grande battaglia di civiltà, capace di unire la sinistra, i laici, i movimenti femminili, i giovani.
Mantiene intatte la sua passione, la sua riservatezza, la sua integrità.
Nenni aveva forti valori morali, ma non fu mai un moralista.
Era un uomo di profondi sentimenti umani, ma non fu mai un sentimentale. Rimase sempre molto legato alla moglie Carmen e alle sue quattro figlie, e questo legame era nutrito di affetto ma anche di condivisione di valori e di passione civile. L’arresto e la morte della figlia Vittoria che, per la sua attività politica, fu catturata dai nazifascisti e morì nel campo di sterminio di Auschwitz, lasciò in lui una ferita mai rimarginata ma non lo portò mai a superare la gelosia dei sentimenti privati.

Negli ultimi anni del suo impegno, fu preoccupato, in particolare, dall’indebolimento della politica; ma sapeva che la crisi della politica andava risolta con gli strumenti e le virtù della politica. Era convinto che riempire il vuoto di idealità dei partiti o la degenerazione del costume politico con richiami moralistici astratti sarebbe servito a ben poco.
Egli sapeva che la dimensione etica e la dimensione politica sono strettamente intrecciate e che la dimensione etica rende prezioso il tessuto della politica quando costituisce l’ordito dei comportamenti, piuttosto che il filo conduttore dei discorsi.

L’insegnamento più attuale della figura di Pietro Nenni è la politica come passione, come motore delle azioni, mai disgiunta dall’impegno ideale.
La consapevolezza che in politica non basta avere buone idee, buone strategie, buoni progetti per il futuro. Ma è indispensabile trovare nei singoli problemi, nelle singole questioni che si affrontano il nucleo di valori capace di raggiungere i cittadini, di coinvolgerli, di suscitare in loro interesse e disponibilità all’impegno.
Se manca questa dimensione la politica si rattrappisce, si riduce a una dimensione asfittica, nella quale anche le migliori idee e i migliori risultati rischiano di essere vissuti come risposte tecnocratiche.

Dopo un comizio a Faenza il 23 settembre 1945, Nenni annotò nei suoi diari: <>.
Questo sentirsi una sola cosa con la piazza che ascolta, e quel far sentire la piazza protagonista della propria storia è un insegnamento da riscoprire oggi con umiltà e passione.