Le tematiche storiche e culturali del confine orientale nei programmi e nell’editoria scolastica


Roma, 05/15/2000


*** Convegno promosso da Ministero della Pubblica Istruzione, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati ***


La storia del sacrificio dalle popolazioni del confine orientale in questo secolo è stata per lungo tempo negate alla conoscenza del Paese.
E’ stata trattata, a seconda dei casi, come storia locale o come oggetto di una censura frutto di convenienze politiche.
C’è stata una dismemoria, un processo consapevole, anche se non disvelato, di sradicamento dei fatti dalla memoria nazionale.
Per cinquant’anni quei fatti sono stati rinchiusi nella gabbia delle memorie divise che sono nate e cresciute al di qua e al di là del confine poi fissato dal Memorandum di Londra, ma anche dentro a ciascun confine.
Per queste ragioni nelle storie generali e nei manuali scolastici del primo cinquantennio repubblicano le vicende del confine orientale sono difficilmente rintracciabili, sfuocate, imprecise.

La discriminazione contro sloveni e croati, l’occupazione nazista, la Risiera di S. Sabba, le deportazioni e le foibe, il peso della sconfitta nella seconda guerra mondiale hanno colpito in misura pressoché esclusiva la società di quel confine.
Quella parte fondamentale della storia nazionale è stata smembrata e di alcuni pezzi di quella storia si sono appropriate parti politiche che ne hanno fatto cosa loro, l’hanno sottratta alla conoscenza ed alla riflessione critica generale che costituiscono invece la base irrinunciabile per capire ogni fatto storico.
Ciò ha prodotto non tanto la rimozione della storia dell’altro, ma un rapporto dissociato con il passato.

La fine della guerra fredda, delle convenienze, delle esasperazioni e degli oblii che l’hanno accompagnata, consente di avviare un processo di ricomposizione della nostra storia nazionale.

L’iniziativa promossa dal Ministero della Pubblica istruzione, dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e dalla Federazione delle associazioni degli esuli è un tassello importante in questa direzione.
Testimonia di una nuova consapevolezza in ordine alla necessità che queste pagine entrino a far parte del percorso di formazione civile dalle giovani generazioni.
Questo obiettivo ha trovato nella riforma dei programmi di insegnamento della storia uno sbocco concreto ed ora su di esso sono chiamati a svolgere un ruolo determinante gli insegnanti e coloro che sono impegnati nel mondo dell’editoria, dell’informazione e della comunicazione.

Una lettura onesta delle pagine della storia del nostro confine orientale deve partire da alcuni punti fermi.

1) Prima della Risiera di S. Sabba, delle deportazioni e delle foibe, ci sono stati i campi di internamento di Gonars, di Visco e di Arbe.
Migliaia di cittadini italiani sono stati rinchiusi per il solo fatto di essere di lingua-madre slovena o croata. Altre migliaia giunsero in quei campi deportati dai territori sloveni annessi dall’Italia e dalla Dalmazia.
Il tasso di mortalità di quei campi, in particolare di Arbe e di Gonars, non consente a nessuno di definirli semplici luoghi di detenzione.
Quei campi sono stati l’esito finale di un processo di genocidio culturale: venne cancellato il diritto all’istruzione nella propria lingua-madre (1923), furono chiusi tutti i circoli culturali e sociali sloveni della Venezia Giulia, si avviò l’italianizzazione forzata di 2047 cognomi a partire dal 1927, cui si aggiunsero centinaia di altri cognomi italianizzati “su richiesta degli interessati”.
Tra il 1927 ed il 1943 il Tribunale speciale per la difesa dello Stato celebrò 131 processi contro 544 imputati sloveni e croati, 10 dei quali vennero condannati a morte e fucilati prima della seconda guerra mondiale.

2) A Trieste la Repubblica sociale fu più simulacro che altrove perché dovette cedere pressoché ogni controllo ed autorità al regime nazista dell’ Adriatisches Küstenland; inoltre l’occupazione nazista di Trieste e del Litorale adriatico, trovò la disponibilità di settori importanti della città sedotti dal fatto che il nazismo si presentò come portatore e rinnovatore del mito mitteleuropeo e, insieme, di un germanesimo razzista antislavo.

3) La popolazione di Trieste e dei territori adriatici che appartennero all’Italia è stata quella che ha pagato di più in termini di vite umane, di violenze subite durante e dopo la Lotta di Liberazione.
8222 persone appartenenti all’Adriatischen Küstenland furono deportate nei campi di sterminio nazisti. I deportati di questa zona costituiscono da soli oltre un quinto dei deportati provenienti dai territori italiani. 6 su 10 sono morti in Germania.

4) Solo le popolazioni del confine orientale hanno pagato la sconfitta della Seconda Guerra mondiale.
A Trieste, nei primi giorni di maggio del 1945 vi sono state due liberazioni dal nazifascismo: quella degli alleati e quella dell’esercito jugoslavo. Fu l’unico caso nel corso della liberazione dell’Europa in cui si fronteggiarono due eserciti profondamente diversi, non solo sotto il profilo ideologico. Inoltre uno dei due, a differenza degli altri, aveva non solo l’obbiettivo della liberazione dal nazifascismo ma anche l’obbiettivo dell’annessione del territorio liberato sulla base della convinzione che la Venezia Giulia dovesse costituire parte integrante del suo territorio.
5. Mentre nel resto dell’Italia si introduceva la democrazia e si avviava la costruzione di autonome istituzioni di governo la liberazione di Trieste si trasformò immediatamente in uno scontro sul terreno politico e ideale tra una promessa di democrazia e una negazione della democrazia. Fu un unico evento entro il quale, sulla base della conoscenza storica, occorre oggi saper distinguere tra quelle due opzioni.
Per quasi dieci anni dopo la Liberazione la città subì l’amministrazione ed il controllo di un governo militare. A differenza di quanto era avvenuto nel resto dell’Italia nei venti mesi di guerra a Trieste l’amministrazione anglo-americana governò con il metodo del direct rule, assumendosi cioè tutte le competenze e le prerogative proprie di un governo centrale.

6. Oltre 300.000 italiani abbandonarono le loro case e le loro terre nell’Istria ed in Dalmazia per evitare le pressioni e le persecuzioni dell’esercito comunista di Tito verso chi legittimamente era contrario all’annessione di quelle terre alla Jugoslavia.
Arrivando in Italia i profughi istriani furono considerati da molti altri italiani traditori e vennero insultati.
Mentre nel resto d’Italia i cittadini che ebbero i loro beni distrutti dalla guerra vennero risarciti, quei cittadini italiani non videro riconosciuto il loro diritto ad un equo indennizzo per quanto avevano patito e perduto, ed è ancora aperta anche la questione dei beni oltre confine.
A questo scopo è importante che riprenda la sua attività il tavolo di concertazione e proporrò alla prossima conferenza dei presidenti di gruppo di mettere in calendario per giugno il pdl Indennizzi a cittadini e imprese italiane per beni perduti all’estero.
7. Delle deportazioni, delle fucilazioni e degli infoibamenti del 1943 e del 1945 furono vittime tanto cittadini italiani complici e attivi sostenitori del fascismo e del nazismo, quanto esponenti antifascisti italiani, sloveni e croati dissidenti e cattolici, testimoni scomodi di tutte le etnie, colpevoli di essere contrari all’annessione alla Jugoslavia, rei aver assistito o saputo di altre esecuzioni, persone vittime di regolamenti di conti e di rancori personali.

8. La Risiera di S. Sabba, unico campo di sterminio in Italia, ha funzionato sino al 29 aprile del 1945. Vi vennero bruciate 5000 persone, soprattutto partigiani e popolazione civile catturata nei rastrellamenti. Circa 20.000 persone vennero imprigionate e poi deportate nei lager tedeschi.


Sin dal 1945 tra questi fatti e la coscienza collettiva del Paese si è scavato un fossato, che è stato cementato dalla guerra fredda e dal bipolarismo internazionale.

La conoscenza integrale e la comprensione di questi fatti non significa relativizzarli, né metterli sullo stesso piano.
Anzi la loro conoscenza ci richiede innanzitutto di rifiutare le scorciatoie della semplificazione, del facile ricorso alle categorie dell’omologia, delle simmetrie o di quelle forme di neutralità che sono la faccia ipocrita dell’indifferenza ai valori civili.
Acquisire alla conoscenza generale tutte le pagine di questa storia contribuisce a disancorare le memorie individuali e collettive dalla paralisi dei rancori, alimentati dall’uso ideologico della storia, e a costruire il futuro.
Contribuisce al processo di ricomposizione di una storia nazionale come storia fondata su uno sforzo di verità, sul riconoscimento delle memorie diverse che ci sono e dei conflitti che ci sono stati, senza dimenticare i ruoli svolti dai diversi soggetti.
Si tratta cioè di riconoscere che una storia è resa comune dal comune riconoscersi nella democrazia che è uscita da essa.

In questo processo il mondo della scuola svolge un ruolo fondamentale poiché spetta innanzitutto agli insegnanti costruire percorsi didattici e programmi in grado non di evitare, ma di mettere a fuoco i nodi critici del nostro passato, i nodi dai quali si sviluppano “narrazioni storiche controverse”.
La capacità di affrontarli insieme agli studenti, sulla base di testi adeguati, serve a insegnare ai giovani l’attitudine a problematizzare il proprio approccio con la conoscenza. A non appiattire l’impegno intellettuale di studio e di apprendimento su una mera operazione di assimilazione di nozioni preconfezionate.
Attraverso questo modo di studiare la storia, che non può naturalmente prescindere da una solida conoscenza degli avvenimenti, i giovani maturano la capacità di formarsi un punto di vista proprio sulle vicende del passato e sulla vita presente. Imparano ad affrontare le contraddizioni insite nella realtà, a scoprire che vi possono essere più spiegazioni di un medesimo avvenimento; a mettere a confronto punti di vista diversi.

L’impegno del mondo della scuola in questa direzione contribuisce a dare forza e solidità ad un discorso pubblico e civile sulle rimozioni, le responsabilità e le indifferenze che ci sono state nel secondo dopoguerra su questi temi.
E’ questo un passaggio ineludibile nel processo di ricomposizione della identità nazionale.
Due punti stanno alla base di questo processo:
Comprendere sino in fondo ciò che accadde in quegli anni costituisce è un elemento indispensabile per la costruzione di una società matura, per il rafforzamento di un''identità nazionale e repubblicana, che sia da tutti condivisa, perché il nostro Paese possa avere più forza civile.
Un''integrale conoscenza di queste pagine della nostra storia non deve essere utilizzata come strumento di lotta politica di una parte contro l''altra, o di denigrazione o di autolesionismo. Deve invece contribuire allo sforzo di costruzione di un nucleo di valori condivisi attorno nei quali tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro storia personale e dalla storia dei propri partiti, possano oggi riconoscersi.
Walter Benjamin diceva che “in ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla” e continuava affermando che “neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince” .
Oggi il nemico che non deve vincere è il cinismo della dimenticanza e dell’indifferenza per il passato del nostro Paese, per la fatica della conoscenza necessaria a capire le ragioni delle abrasioni della memoria storica del Paese. Sconfiggere questo nemico significa evitare al Paese il rischio dello spaesamento dell’eterno presente ed operare per rafforzare nella coscienza collettiva le ragioni dell’ identità nazionale.