La seduta, sospesa alle 10, è ripresa alle 11.
PRESIDENTE. Il ministro della difesa, onorevole Mattarella, ha facoltà di rispondere.
di episodi singoli, non collegabili tra di loro, o viceversa se possa esistere una causa unica e, in questo caso, se tale causa possa essere l'uranio impoverito o se l'insorgere di queste patologie sia dovuto ad altri motivi, tra i quali quelli richiamati, ad esempio, in molte interpellanze.
Al riguardo, desidero ripetere anche qui alla Camera, come ho fatto al Senato, quanto ho detto ai militari che ho incontrato qualche giorno fa in Bosnia: in questo momento sono fuor di luogo tesi precostituite o conclusioni aprioristiche; l'unico obiettivo è la verità, e non esiste, ripeto, una verità politica o una verità dei militari, esiste soltanto, in questo caso, la verità scientifica. Questo è, appunto, il compito della commissione Mandelli, cui è stato chiesto, ripeto, di appurare la verità, qualunque essa sia. La commissione sta procedendo sollecitamente. È stata avviata l'esecuzione delle indagini e dei test clinici specialistici; è stata altresì avviata l'analisi epidemiologica per le varie patologie riscontrate tra i militari, in raffronto alle stesse patologie riscontrabili nella popolazione italiana della stessa fascia di età, sulla base dei registri dei tumori.
È stato costituito, presso la direzione di sanità militare, un gruppo operativo per l'assistenza sanitaria del personale. Il gruppo si avvale di un numero verde collegato con quello già in funzione presso la cattedra di ematologia dell'università di Roma. Inoltre, la sanità militare ha predisposto e messo a punto un protocollo, concordato con la commissione Mandelli, che definisce in modo uniforme l'insieme dei controlli medici da effettuare prima della partenza per le missioni all'estero, durante le missioni stesse e dopo il rientro in patria.
È stato deciso, inoltre, che tali accertamenti siano estesi a tutti i militari che hanno operato ed operano nei Balcani, ivi compresi quelli che hanno lasciato il servizio. Per questi ultimi ho disposto altresì che sia assicurata la più ampia assistenza da parte delle strutture dell'amministrazione.
Il Governo naturalmente è consapevole che l'attenzione non deve essere rivolta solo ai militari che sono stati in missione in Bosnia o in Kosovo, tra i quali, peraltro, si riscontrano i richiamati casi di patologie, ma va rivolta anche al personale civile impiegato, a vario titolo, in quella regione. Allo scopo di avviare, nel più breve tempo possibile, questa campagna di accertamenti sia per i militari sia per gli operatori civili, si sta procedendo alla definizione delle procedure attuative, di concerto con il Ministero della sanità e con la previsione del parere della Conferenza Stato-regioni. Naturalmente, si prevede che gli accertamenti abbiano luogo a titolo gratuito e possano essere effettuati presso qualsiasi struttura sanitaria, militare o civile. A tale riguardo, il Governo ha predisposto un emendamento al decreto-legge sulle missioni di pace per porre quegli accertamenti a carico dello Stato. Comunque si intende avviare l'iter degli accertamenti anche prima dell'approvazione della norma. Allo stesso modo sono stati predisposti testi normativi per estendere il periodo di mantenimento in servizio del personale affetto da patologie che comportano lunghi periodi di cure mediche. Inoltre, prevediamo interventi assistenziali più ampi, sia di natura economica sia relativi a cure mediche presso le strutture militari, a beneficio di questo personale, che ha bisogno di degenze lunghe, e dei loro familiari.
Non entro nel dettaglio degli accertamenti previsti; osservo soltanto che si tratta di un intervento assai ampio e forse unico in questa dimensione anche tra i nostri alleati. Siamo pronti, inoltre, a dare il nostro contributo alle strutture sanitarie internazionali e a quelle dei paesi balcanici per la salvaguardia e la protezione delle popolazioni locali, nonché per misure appropriate di informazione. Lo scorso 4 gennaio, a Sarajevo, a nome del Presidente del Consiglio, ho manifestato questa disponibilità del Governo italiano al primo ministro della Bosnia Erzegovina.
Signor Presidente, credo sia opportuno affrontare separatamente la questione
uranio impoverito che è oggetto di un dibattito profondo che registra diverse opinioni, spesso contrastanti, in particolare sul collegamento con le patologie di cui parliamo, collegamento che - va detto - non è dimostrato e su cui dovrà esprimersi la commissione scientifica in piena libertà.
A proposito di uranio impoverito, dal dibattito di queste settimane emerge che è bene distinguere tre elementi: la conoscenza della sua potenziale pericolosità, quella della sua utilizzazione in Bosnia e quella del suo uso in Kosovo. Si tratta di aspetti diversi che vengono talvolta confusi tra loro e sovente indebitamente sovrapposti l'uno all'altro. Questa confusione provoca una rappresentazione alterata dei fatti e ne impedisce una valutazione corretta.
La questione dei rischi connessi all'uso di proiettili all'uranio impoverito è oggetto di un dibattito avviato qualche anno dopo la guerra del Golfo e divenuto nel tempo sempre più serrato. Queste munizioni contribuiscono ad accrescere la potenzialità bellica sul campo, ma come tanti altri ritrovati bellici sollevano interrogativi circa le conseguenze del loro utilizzo. Interrogativi che in questo caso sono più rilevanti ancora in quanto connessi con un fenomeno, la radioattività, in grado di manifestare i suoi effetti anche a distanza di tempo. In particolare appare di pericolosità sicura l'inalazione delle polveri prodotte dalle esplosioni, a maggior ragione se fosse confermata l'ipotesi di tracce di plutonio in quantità pericolosa.
Tuttavia è doveroso, per stare sempre ai fatti, ricordare che sulla base del diritto internazionale vigente l'uso di quelle munizioni è considerato legittimo anche perché non vi sono convenzioni internazionali che lo proibiscano, come risulta anche dal rapporto del comitato istituito dal procuratore del tribunale penale internazionale dell'8 giugno 2000.
Comunque, la questione della pericolosità potenziale dell'uranio impoverito, quando è emersa, non è stata né ignorata, né taciuta, né sottovalutata.
Vorrei ricordare, Presidente, quanto io stesso ho dichiarato in quest'aula un anno fa, il 26 gennaio 2000: «le Forze armate italiane non impiegano munizioni ad uranio impoverito e confermo l'impegno ad operare, come stiamo facendo, affinché nel contesto internazionale cresca la consapevolezza dei potenziali rischi connessi all'uso di questo tipo di munizioni». Questo, lo ripeto, un anno fa.
Per quanto riguarda il diverso aspetto dell'uso dell'uranio impoverito in Kosovo e in Bosnia, le due situazioni presentano sostanziali differenze. Per quanto riguarda il Kosovo, gli Stati Uniti, il 3 maggio 1999, hanno fatto sapere di avervi utilizzato munizioni ad uranio impoverito. Notizia poi confermata con un messaggio del 30 giugno 1999 inviato dal Pentagono al comando NATO e da questo inviato, l'indomani, ai paesi dell'Alleanza.
L'ingresso delle nostre truppe in Kosovo è avvenuto successivamente alla prima notizia, nel giugno del 1999, con schieramento nella parte occidentale della regione al fine di realizzare continuità con i nostri reparti già operanti in Albania, dall'altra parte del confine, e per garantire la sicurezza di quel confine così affidato per intero, dai due lati, all'Italia.
Di conseguenza essendo informati fin dall'ingresso dei nostri militari in Kosovo, si sono potute adottare adeguate misure di protezione. In una prima fase le indicazioni di comportamento sono state fornite ai comandi che le hanno impartite oralmente, in maniera diretta, al personale. Successivamente, da parte italiana, è stato compilato inoltre un vero e proprio testo in lingua inglese per il personale dei vari contingenti della brigata multinazionale e non soltanto per i soldati italiani.
Si è affermato da qualche parte che si sarebbe trattato della prima istruzione al contingente, che sarebbe stata quindi tardiva. Non era la prima! Era la prima in forma scritta, indirizzata peraltro non soltanto agli italiani ma anche ai contingenti degli altri paesi che componevano la brigata.
Si è svolta inoltre in Kosovo un'intensa attività di monitoraggio ambientale ed
un'attività di bonifica del territorio con reparti NBC, specializzati nella protezione e decontaminazione dell'ambiente, di persone e materiali; tali reparti NBC erano presenti in ogni unità schierata.
Sono stati anche inviati in Kosovo fisici del CISAM, che hanno verificato in diversi periodi i risultati delle attività svolte dai nuclei NBC. Gli accertamenti del CISAM non hanno registrato livelli di radiazione pericolosi.
Come ho già ricordato altri accertamenti sono stati effettuati da un gruppo di esperti inviati in Kosovo sul finire dell'anno scorso dall'ONU e dall'UNEP, che ha elaborato un primo rapporto reso pubblico il 5 gennaio scorso.
A questa iniziativa intrapresa dall'UNEP partecipa anche il nostro Ministero dell'ambiente tramite l'ANPA, al quale, come ha più volte sottolineato l'onorevole Calzolaio, la nostra difesa ha assicurato pieno supporto e collaborazione. In particolare dal 19 ottobre 2000 sono state fornite in pochi giorni al Ministero dell'ambiente le coordinate dei siti in Kosovo colpiti con quei proiettili e le mappe relative con riferimento all'area affidata al nostro contingente.
Inoltre è stata assicurata la partecipazione e la collaborazione di personale e strutture del nostro contingente all'attività di rilevamento ambientale. Da questi rilevamenti, in otto siti su undici, è stato registrato un livello di radioattività leggermente superiore alla norma nelle vicinanze immediate dei fori di penetrazione dei proiettili ad uranio impoverito ed una leggera contaminazione del terreno. Il rapporto finale dell'UNEP sarà presentato nel marzo prossimo. Ovviamente, nulla viene dato per scontato o per definitivamente acquisito. Il monitoraggio in Kosovo continua e la tensione del nostro paese, così come della comunità internazionale, è al massimo.
Per quanto riguarda la Bosnia, il problema dell'uso di munizioni ad uranio impoverito nelle missioni del 1994 e del 1995 è stato posto di recente per iniziativa italiana. La notizia ufficiale dell'utilizzo di munizioni ad uranio impoverito in quelle operazioni in Bosnia è contenuta nella risposta della NATO pervenuta il 21 dicembre scorso, in risposta ad una mia specifica richiesta del 27 novembre precedente. In Bosnia sono stati utilizzati circa 10.800 proiettili di quel genere; fino al dicembre scorso non era stata fornita alcuna comunicazione di questo impiego, come è stato ufficialmente dichiarato dallo stesso portavoce della NATO. Si è detto che era noto l'impiego dei velivoli A10 nelle operazioni in Bosnia e che per questo se ne dovesse trarre necessariamente, come logica conseguenza, l'uso di quelle munizioni. A parte il fatto che gli A10 utilizzano anche munizioni diverse da quelle ad uranio impoverito e che, quindi, il loro impiego non è automaticamente prova di quell'uso, va ricordato che ogni paese è autonomo nell'impiego delle armi di cui dispone. Sono stati, infatti, gli Stati Uniti a fornire nei giorni scorsi alla NATO i dati relativi ai siti colpiti in Bosnia perché nella catena di comando NATO non vi era alcuna informazione disponibile al riguardo. È utile rammentare, inoltre, che le operazioni aeree del 1994 e 1995 in Bosnia furono condotte sotto l'egida e con l'autorizzazione dell'ONU tanto che si parlò di doppia chiave ONU-NATO. Eppure, in questi anni, a differenza di quanto è avvenuto per il Kosovo, neppure nell'ambito dell'ONU si è posto questo problema per la Bosnia, come dimostra anche il fatto che l'UNEP non è mai stata inviata in Bosnia.
Da tutto ciò emerge che questo problema per la Bosnia non è stato sollevato nella comunità internazionale in questi anni e che non era all'attenzione di alcun organismo fintanto che non è stato sollevato dall'Italia.
Va ricordato che a Sarajevo risiede il comando USA dello Sfor ed un ampio contingente negli Stati Uniti che hanno fatto impiego di munizioni ad uranio impoverito. Credo non sia significativo di come in questi anni, come ho ricordato, né la comunità internazionale né alcun paese presente con un contingente proprio in Bosnia si siano posti il problema di inquinamento, in quel luogo, da uranio
impoverito. Vi è stata, come è noto, un'ampia e crescente attenzione sull'uso di quel materiale avvenuto nella guerra del Golfo e, a partire dal 1999, in Kosovo e in Serbia. Se ne è fatta opportunamente interprete la Commissione affari esteri della Camera che, dopo aver ascoltato padre Jean-Marie Benjamin impegnato appassionatamente su questi temi, l'11 novembre 1999 ha invitato ad affrontare il tema della pericolosità dell'uranio impoverito facendo spesso riferimento al suo uso nella guerra del Golfo, in Serbia, in Montenegro e in Kosovo. È un fatto che, come al nostro interno, anche nella comunità internazionale non è stato posto il problema, in questi anni, di interventi per l'uso di uranio impoverito in Bosnia. In questa condizione, quando sono emerse anche in sede parlamentare le prime notizie di malattie di nostri militari che avevano operato in Bosnia, il Governo ha avvertito l'esigenza di chiedere direttamente alla NATO se anche in quella regione fosse stato fatto uso di uranio impoverito.
La richiesta è stata formulata, come ho ricordato, il 27 novembre, prima che il caso richiamasse l'acuta attenzione che si è registrata in queste ultime settimane. Credo che sia giusto sottolineare che, se oggi, non soltanto in Italia, si sa che vi è stato un effettivo uso di quei proiettili in Bosnia, se se ne conosce il numero ed anche gli obiettivi, è perché l'Italia ha assunto un'iniziativa per sapere cosa fosse avvenuto in Bosnia (Applausi). La nostra richiesta, che ha avuto dall'alleanza una risposta sollecita il 21 dicembre scorso, ha consentito a noi e ad altri paesi di iniziare una prima serie di controlli, che hanno escluso la presenza di inquinamento nei luoghi in cui i nostri militari sono e sono stati alloggiati. Va considerato, del resto, che la città di Sarajevo, dove risiedono i nostri soldati, non è stata colpita dalla NATO, che la difendeva da coloro che la assediavano e la bombardavano e che interveniva contro questi ultimi a difesa di Sarajevo, nella zona dei 20 chilometri intorno alla città.
Per poter effettuare verifiche in Bosnia con maggiore precisione e scrupolo il 22 dicembre, all'indomani della comunicazione della NATO, ho scritto alla NATO stessa per avere, così come è avvenuto a suo tempo in Kosovo, le mappe dei luoghi in cui sono stati lanciati quei proiettili. Abbiamo ricevuto, tre giorni fa, la risposta della NATO, che elenca complessivamente diciannove obiettivi, con le date di lancio relative e le quantità di proiettili impiegati nel corso di quell'operazione. Da tali dati emerge che 5.000 di quei proiettili sono stati lanciati intorno a Sarajevo - ripeto, non sulla città - e che circa 6.000 ne sono stati lanciati in due zone distanti dalla città, affidate l'una agli americani, l'altra ai tedeschi e, prima di questi, ai francesi.
Naturalmente, i controlli in Bosnia continueranno con maggiore precisione, anche sulla base dei dati pervenuti. Al riguardo, vorrei ricordare che la nostra iniziativa ha indotto oggi la grande parte dei paesi alleati a svolgere le stesse verifiche sui propri contingenti.
Signor Presidente, con la stessa lettera inviata il 22 dicembre scorso al segretario della NATO, ho posto l'accento sull'esigenza che all'interno dell'alleanza si rifletta su forme e procedure più adeguate e trasparenti di condivisione delle informazioni su aspetti così delicati, che consentano di affrontare e di gestire in comune, con misure adeguate (preventive e protettive), i potenziali rischi da inquinamento ambientale.
Nei giorni scorsi questi temi, unitamente alla proposta italiana di sospendere l'uso di quelle munizioni, sono stati affrontati nelle riunioni del Comitato politico e del Consiglio atlantico, nel corso delle quali l'alleanza ha definito le linee d'azione, esposte in una dichiarazione ufficiale del segretario della NATO Robertson. In quel documento si manifesta, anzitutto, l'impegno dell'alleanza ad assicurare la salute del proprio personale e ad evitare implicazioni dannose, per la popolazione civile e per il personale delle organizzazioni non governative, come effetto delle operazioni militari della NATO. In questo contesto, Robertson ribadisce
che non vi è evidenza che l'esposizione al munizionamento ad uranio impoverito rappresenti un rischio per la salute, citando al riguardo rapporti dell'OMS e dell'UNEP. Ciò nondimeno, Robertson ha manifestato il concorde avviso degli alleati che il fenomeno vada messo sotto controllo e che la NATO continui a cooperare pienamente con le ricerche condotte dai paesi interessati e dalle organizzazioni internazionali.
Sempre in occasione del Consiglio atlantico del 10 gennaio, è stato costituito un comitato ad hoc con la funzione di foro di concertazione e di scambio di informazioni in materia ambientale e medico-sanitaria, nonché sulle iniziative per informare le rispettive opinioni pubbliche. Tale comitato è aperto anche alle presenze non governative; si tratta, pertanto, di un comitato «aperto».
In ordine alla possibilità che durante le operazioni in Bosnia o in Kosovo gli aerei alleati abbiano sganciato munizioni ad uranio impoverito in Adriatico, è stato chiarito in quella sede che i proiettili in questione non sono bombe ma munizioni per cannoncini e che, pertanto, non dispongono di meccanismi di sganciamento, che quindi non può essere avvenuto.
Lo scorso 15 gennaio si è riunito il comitato medico dell'alleanza con l'obiettivo di giungere ad una mappa completa delle patologie registrate, individuando anche le anomalie statistiche attraverso il confronto fra studi e dati nazionali ed internazionali e quanto rilevato in Kosovo sia dai medici della KFOR sia da esperti di vari paesi.
In questo contesto si stanno definendo le linee guida comuni per effettuare operazioni di screening lanciate a livello nazionale sulla base di metodi omologati, allo scopo di rendere confrontabili i risultati conseguiti da ciascun paese.
Iniziative ulteriori, assunte in questi giorni nell'ambito dell'Alleanza atlantica, vedono la disponibilità della stessa a cooperare con l'UNEP, nell'ipotesi auspicata che quest'agenzia dell'ONU decida di avviare per la Bosnia un'indagine, così come ha fatto per il Kosovo. Al riguardo, confermo che è intenzione del nostro Governo di chiedere formalmente all'ONU che si dia avvio a quest'indagine dell'UNEP anche in Bosnia,
Nella riunione del 10 gennaio scorso, il Consiglio atlantico ha visto l'Italia avanzare la proposta di una sospensione, la cosiddetta moratoria dell'impiego di munizioni ad uranio impoverito; richiesta avanzata sulla base del principio di precauzione nella considerazione che in numerosi paesi dell'Alleanza e in diversi fori internazionali sono in corso verifiche di carattere scientifico sull'effettiva pericolosità di queste munizioni. La richiesta è sostenuta dall'opportunità di manifestare l'attenzione dell'Alleanza per questi approfondimenti in corso, prevedendo una sospensione dell'uso di questo tipo di munizioni; sospensione che, peraltro, è nelle cose, non essendo in corso né previste operazioni militari dell'Alleanza che possano farne ipotizzare l'impiego, come ha sottolineato il segretario della NATO Robertson. La proposta nasce anche dalla convinzione che la natura delle missioni di pace richieda una sensibilità particolare per la salvaguardia della salute e dell'ambiente.
La richiesta non ha ottenuto, com'è noto, il consenso unanime che è necessario per adottare provvedimenti nell'Alleanza. Secondo alcuni paesi membri, occorre attendere l'esito delle verifiche in corso prima di assumere una decisione sospensiva.
In questo quadro di posizioni differenziate il Consiglio atlantico ha comunque considerato la questione con grande attenzione, ponendola all'ordine del giorno per possibili future discussioni. Il segretario della NATO, nel dichiarare che le preoccupazioni italiane sono state pienamente comprese, ha inoltre affermato che, laddove emergesse un collegamento tra quei proiettili e rischi per la salute, la NATO non li utilizzerebbe (Commenti dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).
Nella riunione del Consiglio atlantico di ieri altri paesi hanno espresso la loro condivisione della proposta italiana; altri
paesi hanno aggiunto il loro consenso alla proposta italiana. Inoltre, com'è noto, ieri il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede ai paesi dell'Unione e alla NATO di sospendere l'uso di quei proiettili (Commenti del deputato Bertinotti), esattamente sulla posizione avanzata dal Governo italiano.
Una condivisione unanime ha ottenuto, su altro versante, la nostra richiesta che dentro l'Alleanza si definiscano procedure più adeguate di condivisione delle informazioni per evitare rischi d'inquinamento ambientale. Ne è scaturito l'avvio di quella che è stata definita un'operazione di chiarezza, con meccanismi idonei da porre in essere per scambi di informazioni che rafforzeranno l'efficacia di azione dell'Alleanza.
Ribadendo che questa volontà di comune strategia è ascrivibile all'iniziativa italiana, vorrei assicurare a questo riguardo che nei rapporti in seno all'Alleanza non vi è stata alcuna incrinatura; non vi è alcuna crisi tra l'Italia e la NATO (Commenti del deputato Bertinotti). Si è trattato, come è naturale che possa avvenire, di un dibattito interno all'Alleanza, di cui noi condividiamo e accettiamo le regole, anche nella convinzione che il confronto al suo interno ne costituisca un arricchimento. La NATO costituisce elemento fondamentale della politica estera di sicurezza del nostro paese.
Signor Presidente, in conclusione, desidero ribadire che noi siamo presenti nei Balcani, insieme a tante altre nazioni non soltanto della NATO, per aiutare i paesi della regione a conseguire assetti di pace, democrazia e sviluppo. Questo anche nell'interesse dell'Europa e del nostro paese, la cui sicurezza passa anche per una regione balcanica stabile, economicamente sana, socialmente e culturalmente sviluppata (Commenti del deputato Bertinotti).
Oggi che, dopo la svolta in Croazia, si è aperto un nuovo corso anche a Belgrado, si può guardare con ragionevole fiducia al futuro dei Balcani. La crisi balcanica è indirizzata verso una dinamica positiva che certamente non sarà né facile né breve, ma che costituisce una significativa evoluzione rispetto agli anni più acuti dell'odio e delle violenze etniche. È per questo che mantiene grande importanza la nostra partecipazione alle missioni in Bosnia e in Kosovo.
Nel corso della sua visita ieri in Kosovo, il Capo dello Stato ha nuovamente rivolto ai nostri militari parole di apprezzamento e di ringraziamento per il loro impegno nelle missioni di pace in cui forniscono in misura molto alta un contributo alla pacificazione balcanica. Il Presidente Ciampi, nel concludere la sua giornata di ieri, ha sottolineato il significato di tre suoi momenti: la visita all'ospedale di Pec, rinnovato, attrezzato e diretto da italiani; la visita al monastero ortodosso di Decani, straordinario patrimonio culturale, protetto dai soldati italiani; l'aeroporto di Dakovica, realizzato per intero dalla nostra aeronautica. Si tratta di tre contributi, insieme concreti e simbolici che gli italiani, militari e civili, forniscono a quella regione nel segno della solidarietà e della pace. Questo costituisce una ragione ulteriore per occuparsi dei problemi di sicurezza e salute dei nostri militari e degli operatori civili, problemi da tenere seriamente in conto con scrupolo e con rigore, dovunque gli stessi si siano impegnati, in Italia e all'estero (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Democratici-l'Ulivo e dell'UDEUR).
PRESIDENTE. La ringrazio, signor ministro, anche per aver contenuto l'intervento nei minuti concordati.