Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 702 del 27/3/2000
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 6698)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Novelli.

DIEGO NOVELLI, Relatore. Signor Presidente e colleghi oggi presenti in quest'aula, credo che non siano necessari lunghi discorsi per illustrare questa proposta di legge presentata dai deputati Furio Colombo ed altri il 20 gennaio scorso e discussa ed approvata all'unanimità nelle scorse settimane dalla I Commissione affari costituzionali della nostra Camera.
Perché, si saranno chiesti in molti, istituire «il giorno della memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti? Di quella immane tragedia, di quell'olocausto, coloro che vivono su questo pianeta, chiamato Terra, dovrebbero ogni giorno, nel loro quotidiano operare, in ogni istante della propria esistenza, mai dimenticare ciò che uomini e donne come noi hanno sofferto e ciò che uomini e donne come noi - almeno tali si reputavano - hanno saputo infliggere.
Olocausto è un'antica parola, che troviamo nelle pagine della Bibbia, al capitolo II, verso 41, là dove recita: «Offerse (...) un bue dell'armento e un montone e un agnello di un anno, nello olocausto». Era una forma di sacrificio celebrata dagli antichi greci ed ebrei, nel quale la vittima animale, appunto un bue, un agnello, o di altra specie, che non avesse superato l'anno, era pressoché interamente bruciata e se ne conservava tutt'al più la pelle, ma nessuna parte commestibile. Una menzione di tale sacrificio si ritrova nei libri X e XI dell'Odissea: nel rituale che precede l'evocazione dei morti «Ulisse offre il sangue dei capri e, non nello stesso luogo, i suoi compagni bruciano le carni delle vittime».
Alcune migliaia di anni dopo le scritture della Bibbia e dell'Odissea, nello scorrere del ventesimo secolo, quell'antico rito sacrificale è stato riproposto, usando non più animali, buoi o agnelli, ma creature umane, da chi follemente intendeva preservare una razza, quella ariana, dalla contaminazione che poteva produrre la presenza dei discendenti del popolo ebraico. Da qui la decisione di sterminare scientificamente ogni individuo che avesse in qualche modo riferimento alla «razza» - come si usava dire allora - ebraica. La parola ebreo, giudaico, sin dall'inizio di questa folle, immonda campagna razzista, assunse un valore spregiativo, negativo, per giungere, cammin facendo, alla soluzione finale, con i campi di sterminio, le camere a gas, i forni crematori.
Zakhort in ebraico significa ricordare, ed è il motto che campeggia sul memoriale che il Capo della Chiesa di Roma, Giovanni Paolo II, ha visitato giovedì scorso a Gerusalemme, soffermandosi a lungo in meditazione nella cripta del Museo dello Sterminio, di fronte alla fiamma perpetua.
Noi italiani siamo profondamente segnati dalla cultura cristiana che, a differenza di quella ebraica, come ci ha ricordato Barbara Spinelli nell'editoriale di ieri su La Stampa, non ha il medesimo culto della memoria che nella religione mosaica si intreccia con la liturgia ed i comandamenti. Non è casuale che si assista in Italia ad una frequente e diffusa assenza di memoria storica fra i cittadini, soprattutto fra i giovani.


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I proponenti di questa legge, pur essendo collocati su posizioni politiche differenti, concordano su questo giudizio e, nella scrittura dell'articolato, composto da due soli articoli, affermano che la prova di questa assenza di memoria la si riscontra in fatti brutali, che avvengono anche nelle manifestazioni sportive e nel mondo della scuola, con l'uso di frasi, slogan, volgari espressioni offensive, che testimoniano la non conoscenza o il disprezzo di eventi gravissimi che hanno macchiato il ventesimo secolo, con particolare riferimento alle leggi razziali fasciste, avallate dal re Vittorio Emanuele III di Savoia, alle discriminazioni, alle persecuzioni, alle deportazioni avvenute nel nostro paese ed alla privazione di ogni garanzia e protezione dei cittadini italiani ebrei.
Giacomo Leopardi scrive nel suo Zibaldone: «Senza memoria l'uomo non saprebbe nulla e non saprebbe fare nulla». Ricordare la Shoah, che in ebraico significa annientamento, vuol dire non dimenticare il tentativo di sterminare un intero popolo attraverso un tragico progetto militare e politico del nazismo e di tutti i regimi succubi del nazismo in Europa (come quello della dittatura fascista), interrotto soltanto dalla sconfitta.
Ebbene, questo ricordo ci appare negato, offuscato, dimenticato, offeso dal sopravvivere tenace di superstizioni razziste, in particolare antisemite, ma anche nei confronti di coloro che sono diversi da noi. Le cronache quotidiane, purtroppo, attraverso il racconto di efferati episodi di razzismo che accadono in Italia, ci dicono quanta strada debba ancora essere percorsa per considerare civile questo nostro paese.
Istituire con legge in Italia, come già è avvenuto in altre parti del mondo, un «giorno della memoria» esprime la volontà delle Assemblee dei rappresentanti del popolo italiano di ritrovarsi a ricordare insieme i delitti del nazismo, l'odioso progetto di sterminio degli ebrei ed il modo in cui la persecuzione razziale ha potuto realizzarsi con complicità e silenzi.
Scrivono i proponenti nella relazione: «Sarà un giorno nel quale ricordare le vittime della persecuzione politica, della deportazione ed il coraggio esemplare di quanti hanno rischiato o dato la vita per opporsi alla persecuzione razziale e per la vita dei perseguitati, un coraggio che a volte si è manifestato anche fra le file di coloro che avrebbero dovuto essere persecutori».
Come ho detto in apertura, questa proposta è stata presentata poco più di due mesi fa, ma l'inizio del suo iter risale al 10 febbraio del 1997, allorquando venne depositata al servizio Assemblea di questa Camera una mozione, firmata da 138 deputati di gruppi politici diversi, nella quale si chiedeva al Parlamento italiano di indicare al paese e ai suoi giovani, alla scuola, ai media ed all'intero sistema formativo ed informativo italiano, un «giorno della memoria». In quella mozione si esprimeva la volontà di costituire una occasione di unione (e non di divisioni o di contrapposizioni) per tutti coloro che nella propria vita pubblica e privata testimoniano la ferma volontà di non dimenticare l'orrore dello sterminio razziale e di condannare le ragioni che hanno ispirato quei tragici eventi, affinché non possano più ripetersi. In quella mozione si proponeva che grandi italiani come Primo Levi e Giorgio Perlasca vengano ricordati in questa giornata, affinché la memoria di ciò che è avvenuto e di quello che alcuni uomini hanno fatto per impedirlo non vada perduta. Nella mozione si indicava la data del 16 ottobre, giorno in cui, nel 1943, unità delle SS tedesche coadiuvate da italiani che avevano scelto come simbolo della loro ragion d'essere il teschio della morte, circondarono il ghetto di Roma dando avvio all'arresto, alla deportazione ed infine allo sterminio di 1.007 nostri compatrioti di origine ebraica.
Nella proposta di legge in discussione si è scelto un altro giorno altrettanto significativo, ma che ha il pregio di andare oltre i confini nazionali: è la data del 27 gennaio, giorno in cui, nel 1945, sono stati


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abbattuti i cancelli di Auschwitz e che ha assunto ormai nella storia europea un valore emblematico.
Mi auguro che questa legge raccolga l'unanimità dell'Assemblea. Concludo, facendo mio il monito del Capo dello Stato, il Presidente Ciampi, pronunciato venerdì scorso di fronte al sacrario che ricorda la strage delle Fosse ardeatine, qui a Roma. Il Presidente Ciampi ha detto: «La memoria dell'abisso, nel quale la superbia e l'odio hanno precipitato l'uomo, ci dia la forza e la fede di costruire la pace. Mai più Shoah, mai più eccidi».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIANFRANCO MORGANDO, Sottosegretario di Stato per l'industria, il commercio e l'artigianato. Mi riservo si intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Palmizio. Ne ha facoltà.

ELIO MASSIMO PALMIZIO. Signor Presidente, colleghi, finalmente oggi giunge in aula la proposta di legge sull'istituzione del «giorno della memoria» in ricordo della Shoah e della deportazione di tanti italiani, militari e politici, nei campi di concentramento e sterminio. Essa giunge in aula in un momento che definirei estremamente importante. Se da un lato affiorano tentativi storici revisionisti che vanno senz'altro confutati - addirittura, tentativi negazionisti della Shoah, che vanno respinti con fermezza -, dall'altro abbiamo, più banalmente, continue manifestazioni razziste, sia nelle scuole sia durante gli avvenimenti sportivi, come ricordato nella relazione introduttiva alla proposta di legge. Sembra quasi che larghi strati della cittadinanza - specie giovani - non conoscano minimamente i fatti gravissimi accaduti anche in Italia a causa delle leggi razziali emanate nel 1938 ai danni dei cittadini italiani di religione ebraica. Tutto ciò, peraltro, accade nonostante, contemporaneamente a tali fatti, vengano espresse in modo chiaro ed inequivocabile dalla massima autorità cristiana una condanna ed una richiesta di perdono per le sofferenze inflitte al popolo ebraico, vittima di un feroce pregiudizio antigiudaico, soltanto recentemente superato.
È, dunque, estremamente importante l'approvazione della proposta di legge che, fra l'altro, ha tra i suoi obiettivi anche quello di far sì che il Parlamento italiano riconosca il tragico errore che commise nel 1938, approvando leggi inique contro i suoi stessi elettori ebrei, quasi all'unanimità e con tanto di applauso finale. Per chiarire, però, ancor meglio per quale motivo sia importante - e questa legge lo dimostra - il ricordo della Shoah, vorrei leggere alcune righe molto chiare e che io condivido totalmente di un piccolo libro scritto da Annette Wieviorka, che s'intitola Auschwitz spiegato a mia figlia. Si tratta del tentativo di una madre ebrea di spiegare ad una bambina di tredici anni cosa è stato il campo di concentramento di Auschwitz, dove buona parte della sua famiglia è morta. Dice: «Lo studio del genocidio degli ebrei, per le sue enormi dimensioni, rappresenta appunto un'inesauribile fonte di riflessione che tocca tutti gli aspetti dell'esistenza e della storia degli uomini. Per questo il genocidio viene menzionato continuamente, ad esempio nella vita internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, si è riflettuto molto su come impedire crimini simili a quelli commessi contro gli ebrei e questo ha fatto progredire il diritto. Oggi si sta cercando di creare una Corte di giustizia internazionale permanente per giudicare quelli che compiono crimini contro l'umanità. Fino a dopo la seconda guerra mondiale, tutti gli Stati concordavano nell'affermare che ognuno poteva agire come meglio credeva nel proprio paese: aprire campi di concentramento, massacrare una minoranza nazionale, espellerla dalle proprie frontiere, erano questioni di pertinenza delle singole nazioni. Adesso sempre più voci rivendicano, invece, il diritto all'ingerenza negli affari interni di uno Stato. Il ricordo dell'inerzia e dell'indifferenza delle grandi potenze di fronte


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alla sorte toccata agli ebrei influenza in modo determinante la riflessione in questo campo.
«Lo studio del genocidio fa, inoltre, riflettere» - e questo è uno dei motivi per cui la Shoah è un fatto unico, non assimilabile ad altri stermini di questo secolo - «sul funzionamento dello Stato moderno. La deportazione degli ebrei e la loro eliminazione nelle camere a gas non sarebbero state possibili senza la complicità di molti. C'è stato bisogno di impiegati per preparare tutti quegli schedari, delle forze dell'ordine per arrestare gli ebrei, dei funzionari per organizzare i lager, di salariati per sorvegliarli, e di tante altre persone per condurre gli autobus fino alle stazioni, guidare i treni fino ai centri di sterminio, programmare gli orari... Nessuno di questi individui sapeva con chiarezza che il suo lavoro era inserito in una catena che alla fine avrebbe permesso di uccidere milioni e milioni di uomini. Nessuno di loro in apparenza ha fatto nulla di male, si è limitato semplicemente a svolgere il suo lavoro in modo coscienzioso». Ecco, a fronte di questi individui coscienziosi ce ne sono stati molti in Italia che si sono comportati in maniera molto diversa e la nostra proposta di legge vuole ricordare anche questo. Ad esempio - e parlo di un fatto a me vicino - in un paesino dell'Appennino bolognese, Riola di Vergato, tutti, compreso il federale fascista, si prodigarono per salvare una decina di famiglie ebree, prima nascondendole, poi trasportandole oltre il fronte ed alcune fino in Svizzera, nonché custodendo i loro beni, che furono tutti restituiti alla fine della guerra, e tutto ciò a rischio della loro vita. Il «giorno della memoria» deve ricordare anche loro, anche i tanti che si opposero allo sterminio e alle deportazioni.
Occorre quindi che il giorno della memoria sia l'occasione di un migliore coordinamento delle tante iniziative che tenderanno a mantenere vivo il ricordo della Shoah, iniziative da tenersi soprattutto nelle scuole, affinché, sentendo o leggendo le parole degli ultimi sopravvissuti, i giovani possano riflettere e fare di questa riflessione un rafforzamento della loro coscienza e possano anche comunicare tra loro cosa si può nascondere tra le pieghe di una società che si definisce progredita. Sono loro che devono capire e far capire che una società che esclude una o più sue componenti è una società che ha un solo grande bisogno, quello di essere trasformata profondamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Furio Colombo. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, non mi propongo certamente di persuadere qualcuno di voi con le cose che sto per dire e con le cose che ho scritto, insieme con i cofirmatari della proposta di legge volta all'istituzione del giorno della memoria. Non ci proponiamo di persuadervi a vedere qualcosa che non vedete o a sentire qualcosa che non sentite: sappiamo che vedete ciò che noi proponenti di questa legge vediamo, sappiamo che vedete con gli stessi occhi uno sguardo di pietà, di dolore, di consapevolezza, di orgoglio per quella parte della nostra storia che si è svolta al di sopra dell'orrore e contro l'orrore, quando tutto sembrava che congiurasse affinché l'orrore e la negazione dell'umanità fossero l'unica legge.
Ma noi pensiamo che questo possa essere un messaggio, indipendente dal rilievo delle nostre persone e perfino dai nostri nomi, un messaggio di questa Camera, di questo Parlamento ai cittadini italiani e specialmente a quelli più giovani, ai quali tanti di noi - soprattutto i meno giovani tra noi - sono preoccupati di lasciare punti di riferimento, di riflessione, di umanità da trapassare da un'esperienza all'altra e da una vita all'altra.
Vedete, quello di cui stiamo parlando è un fatto per tanti versi eccezionale ed è stato già drammaticamente rappresentato dalla scienza, dalla letteratura, dalla sociologia e dalla storia come un evento mostruosamente unico. Ma noi europei,


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noi italiani, non possiamo non ricordare l'aspetto singolare e sinistro della catena di eventi che ha portato alle leggi razziali e, da parte di alcuni, forse di troppi, ad implementare, sostenere, praticare ed eseguire quelle stesse leggi.
Presidente, colleghi, la stranezza sinistra della vicenda a cui oggi pensiamo e su cui riflettiamo insieme, nel progetto che anche altri in Italia - speriamo tanti - trovino il giorno ed il momento per ripensarlo insieme, è un delitto culturale, vale a dire un delitto che la cultura ha compiuto contro se stessa: la cultura di scienziati o sedicenti tali, la cultura di accademici o di persone che comunque rappresentavano l'Italia ed avevano i microfoni aperti, avevano scolaresche e studenti, nonché occasioni e autorità per parlare pubblicamente al fine di accreditare l'idea che esistesse una razza pura, superiore e perfetta e che vi fosse sangue infetto dal quale bisognava liberare la vita, la cultura e la razza italiane.
Onorevoli colleghi, sappiamo benissimo che alcune vicende, già atroci, benché ancora senza sangue, hanno segnato la nostra vita e, nel mio caso, la memoria di un bambino. Ricordo l'ispettore della razza che arrivava nelle classi per misurare i volti, i crani ed i profili dei bambini. L'ispettore della razza è esistito nel nostro paese, per quanto, mentre sto dicendo queste cose, seguendo l'incubo di un ricordo, mi confronto con un paese libero e moderno. L'ispettore della razza è esistito ed ha riguardato un evento della vita italiana: è un fatto che è accaduto nel nostro paese. Come possiamo, quindi, rifiutare un momento per pensare le cose indicibili ed impensabili che possono accadere in un nobile paese qualora non vi siano la libertà e la dignità di tante persone che potrebbero opporsi e non lo fanno?
Il collega Palmizio ha ricordato in modo molto pratico ed efficace che non c'è bisogno di aderire totalmente alla tesi dello storiografo americano Goldhagen, immaginando che tutti siano o debbano essere complici. Tanti lo sono stati. Ci vogliono dettagli, burocrazia, attenzione ed un odioso e orrendo scrupolo perché queste cose possano accadere; ci vuole un mare di silenzio, di acquiescenza, di opportunismo e persino il tornaconto di coloro che si sono impossessati delle cattedre dei docenti ebrei che venivano eliminati dalle scuole, delle loro proprietà e della titolarità di uffici e di funzioni a cui forse non avrebbero mai avuto accesso sulla base dei loro meriti o della loro situazione in quel momento. Per non parlare di coloro che senza avere né interesse né sentimenti particolari su una questione così importante, vi hanno dedicato articoli, prese di posizione, annunci, firme, dichiarazioni per poter dire che c'erano e per poter dimostrare con il loro opportunismo di essersi accreditati un titolo, un titolo per la loro carriera, mentre una parte dei cittadini italiani, compresi tanti che avevano servito la patria fino a meritare le onorificenze più alte, veniva denigrata, emarginata, espulsa, arrestata, deportata, condotta alla morte.
Vedete, ne parliamo e noi che abbiamo formulato questa proposta di legge per l'istituzione del «giorno della Memoria» chiediamo che ci si renda conto che tutto ciò di cui stiamo parlando non è un remoto passato finito una volta per tutte, su cui tristemente si può sostare un istante dicendo: Dio mio, che tempi terribili!
Da un lato, se vogliamo restare vicini al nostro lavoro e a questa Camera, non possiamo non ricordare il lavoro minuzioso, paziente, scrupoloso che sta svolgendo, per esempio, in questi mesi la cosiddetta commissione Anselmi. Vorrei avere un documento tra quelli che tale commissione (il cui compito è rintracciare i beni e ritrovare i proprietari, «incrociare» vite, persone, memorie, sopravvissuti e cose che nel frattempo sono state accantonate da cieche burocrazie in sotterranei di ministeri in cui a volte giacciono tuttora) sta acquisendo ed esaminando nel tentativo di trovare e di ricostruire l'elenco delle proprietà sequestrate. Si apre con uno spazzolino da denti per bambino e con un paio di pantofole usate! È ad una siffatta burocrazia che


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bisogna ripensare, al fatto che sono state compiute cose di questo genere. Sono state fatte da impiegati, volute da intellettuali e decise da politici.
In quest'aula, in questa stessa aula in cui stiamo parlando, anche dal banco da dove sto parlando io in questo momento, qualcuno si è levato in piedi gridando, inneggiando alle leggi razziali e alla loro difesa. 351 su 351 hanno detto «sì» con furore, passione e con un grande applauso, come ha ricordato poco fa il collega Palmizio! In quest'aula!
Ed allora è importante che da quest'aula, partano e si dirigano verso il paese queste parole, indipendentemente da chi le pronuncia, indipendentemente da ciò che noi, in una situazione esemplarmente trasversale rispetto ai gruppi e ai partiti che rappresentiamo, abbiamo voluto fare presentando questa proposta di legge. È importante che questa legge giunga come un messaggio al paese e ai suoi giovani per dire che la cultura di ciò che è accaduto non è svanita. Noi siamo qui, il paese è qui e il paese vuole sapere, vuole capire, vuole narrare, vuole ricostruire, vuole ricordare perché tutto ciò è italiano e riguarda l'Italia!
Colleghi, come non pensare in questo quadro, in questo contesto, in quel senso di angoscia e di dolore che si prova parlando di queste cose, a quella immagine del Papa, di Giovanni Paolo II che introduce tra le pietre del muro del Tempio la piccola lettera con cui chiede perdono! Gesto straordinario, indimenticabile, gesto destinato a segnare la storia di quella Chiesa e di questo paese, ovvero della Chiesa e del paese che in qualche modo si appartengono e che hanno trovato in questo pontefice una voce che ha messo insieme il dolore, la storia, la consapevolezza, la verità.
Anche quel gesto ricorderemo, quando ci ritroveremo nel «giorno della Memoria» per riflettere su ciò che è accaduto.
È stato detto di Giovanni Paolo II, in viaggio in questi giorni in Israele, che è un giusto. Voi sapete che nel linguaggio, nella vita, nella cultura israeliana un giusto è colui che ha rischiato e tanti hanno dato la vita - penso agli italiani - per salvare almeno un cittadino italiano ebreo che avrebbe, altrimenti, rischiato la morte.
È stato detto con una frase terribile e veritiera: «Per ogni ebreo italiano scomparso nei campi di sterminio c'è un delatore». Per ogni ebreo italiano, per ogni famiglia, per ogni bambino che si sono salvati e che sono tornati, c'è un eroe, c'è qualcuno o molti che hanno fatto di tutto, o tanto, perché quel delirio e quella follia non si realizzassero.
Il «giorno della Memoria» ha anche questo scopo - e forse è il suo scopo più grande -, ricordare i giusti. I giusti non si dividono in destra e in sinistra; i giusti non si sono riconosciuti a seconda delle ideologie e, persino, delle divise che indossavano in quel momento. È stato uno scatto di umanità e di dignità che è stato il più grande legame trasversale che ha unito uomini, donne e bambini nel momento in cui ogni legame umano veniva negato.
Ho qui un libro che probabilmente è considerato il maggiore testo di ricostruzione storica di quanto è avvenuto nell'olocausto italiano: The Italians and the holocaust, opera di una studiosa americana, Susan Zuccotti, della Colombia University, un testo al quale mi onoro di avere scritto la prefazione che ricostruisce in dettaglio ciò che è accaduto in Italia dal 1938 al 1945. Se scorrete l'elenco dei nomi in questo libro, trovate almeno 500 nomi niente affatto distinguibili per fede politica e, persino, per ruolo, che sono tra coloro che hanno difeso, che hanno lottato, che hanno impedito, che hanno salvato. È questo patrimonio di umanità che deve essere messo al centro della giornata del ricordo. Essi hanno testimoniato l'umanità e la dignità di tutti gli esseri umani, mentre l'Europa toccava il fondo.
Noi, da italiani, possiamo orgogliosamente ricordare il nome di Giorgio Perlasca e quanto egli è riuscito a fare da solo in un paese straniero, l'Ungheria, dove viveva bene e avrebbe potuto ignorare tutto e dove è diventato, insieme con il giovane Wallemberg, uno dei due soli


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appassionati e irriducibili difensori degli ebrei, che entrambi sono riusciti a salvare a migliaia; gli ebrei di quel paese che, come si sa, sono stati deportati all'ultimo momento e per i quali la macchina burocratica nazista non aveva intenzione di cedere, neppure quando la guerra era perduta. Vale la pena di ricordare quella tragica frase che Hitler avrebbe pronunciato nel suo bunker poco prima della fine: «Almeno una delle guerre» - e pensava alla guerra contro gli ebrei, alla folle, farneticante guerra contro il popolo ebraico - «è stata vinta».
Uomini come Perlasca e come il questore di Fiume, Giovanni Palatucci, che a 36 anni è morto a Dachau, dopo aver lavorato per anni da questore, restando al suo posto persino all'inizio della Repubblica di Salò per non mostrare che avrebbe abbandonato coloro che fino a quel momento aveva protetto e salvato; uomini come Perlasca e come Palatucci devono essere il punto di riferimento e di ricordo per pensare che, se c'è stato un mare di burocrazia, di silenzio, di opportunismo, di viltà, di carrierismo, di occasioni per approfittare di una legge folle, di un comportamento vile, di un crollo di moralità nelle istituzioni, di un ripiego di questo paese verso una ferita che avrebbe potuto sfregiarlo per sempre, altri italiani, indipendentemente da ciò in cui credevano, dalla divisa che vestivano in quel momento e dalla funzione pubblica che svolgevano, si sono battuti (ne ho citati due, ma nel libro americano di cui dicevo ne troverete quasi mille) affinché quel che stava per accadere non accadesse, affinché l'ingiuria contro l'umanità e l'ingiustizia di italiani contro altri italiani, di europei contro altri europei, in nome di una folle definizione di ciò che è razza, di ciò che è puro, perfetto ed assoluto non potesse trionfare né imporsi.
Se dovessimo allargare lo sguardo all'Europa troveremmo, insieme ai doppiogiochisti, agli opportunisti che, al momento giusto, sono riusciti persino a passare alla Resistenza nelle ultime settimane (basterebbe pensare a certi episodi tristi ed ambigui della storia francese), personaggi come Dimitrav Pèshev, il Vicepresidente della Camera, fascista, della Bulgaria occupata e nazificata - il quale da solo e poi con il sostegno dei deputati di un paese ormai completamente parte dell'orbita nazista - si è ribellato fino al punto di ottenere dal re del suo paese la cancellazione di una firma già apposta, evitando la deportazione anche di un solo ebreo bulgaro. Che dimostrazione spaventosa del fatto che si poteva fare, che il presunto obbligo di dire di sì a qualunque costo a qualcosa di così spaventosamente disumano era un obbligo inevitabile!
Questo però non è che un piccolo elenco, un minimo sommario di ciò che pensiamo noi, i nostri concittadini, gli italiani, coloro che ci hanno eletto, coloro che rappresentiamo dalle varie parti politiche che in questo Parlamento hanno aderito alla proposta di legge, la sostengono e insieme l'hanno presentata (in particolare, oltre al mio gruppo, che con questo intervento rappresento, Forza Italia ed Alleanza nazionale); questo vuole essere e sarà il nostro messaggio, un messaggio per far sapere che un filo di grandezza e di umanità del nostro paese non si è mai perduto e che il ripensarci ci impedirà ed impedirà ai più giovani di essere accecati, disorientati, confusi da coloro i quali dovessero levarsi a dire che non è accaduto, che non è importante o che si può fare ancora.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armaroli. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, colleghi, Alleanza nazionale è pienamente favorevole alla proposta di legge in esame e non a caso uno dei suoi deputati, l'onorevole Simone Gnaga, è cofirmatario di questa iniziativa legislativa.
Siamo a favore di questo provvedimento; lo abbiamo dichiarato in Commissione affari costituzionali, e lo abbiamo ribadito in quella sede con il nostro voto favorevole e confermiamo in quest'aula questo voto pienamente favorevole. Perché pienamente favorevole? Per molte ragioni, signor Presidente, colleghi, innanzitutto


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perché abbiamo orrore per ogni forma di persecuzione, quale ne sia la ragione, e riteniamo che segnatamente odiosa sia la persecuzione per motivi razziali.
Gli orrori del nazismo li conosciamo; sono perfettamente d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduto, segnatamente con l'onorevole Furio Colombo, secondo i quali discriminazioni e persecuzioni vi sono state anche in Italia, con le infami leggi del 1938, che hanno doppiamente disonorato il fascismo, che voleva accreditarsi come secondo risorgimento. Il secondo risorgimento si è sorretto su un binomio, i concetti di nazione e di libertà. Ebbene, nel 1925 il fascismo ha tolto le libertà agli italiani, quindi è venuto meno uno dei due termini del binomio risorgimentale, e nel 1938 ha fatto il resto, apportando una ferita al corpo della nazione difficile da cicatrizzare. Come ha giustamente ricordato l'onorevole Furio Colombo, si tratta di persone perseguitate che si sono sempre dimostrate buoni cittadini, buoni italiani, valorosi in guerra, tanto che, per quest'ultima ragione, in diverse occasioni hanno ricevuto medaglie al valore.
La discriminazione è stata un'opera bestiale ed infernale che noi condanniamo, né potrebbe valere il fatto che in Italia le leggi sono un po' come le gride manzoniane, perché, ammesso e non concesso che quelle leggi non abbiano inciso sulla realtà - mentre lo hanno fatto, talora in maniera spietata -, basta la sola maestà di una legge che preveda orrori e discriminazioni simili per indurci a votare a favore della proposta di legge in esame con ancora maggiore convinzione.
L'onorevole Furio Colombo avrà constatato che nel dossier predisposto dal servizio studi - ma è solo un dettaglio - si dice che l'articolo 2 del provvedimento contiene formule generiche per quanto riguarda l'individuazione delle manifestazioni da organizzare nel «giorno della memoria», senza peraltro individuare i soggetti su cui cade l'onere dell'organizzazione. Non so se in sede di Comitato dei nove si possa aggiungere qualcosa per colmare tale piccola défaillance.
Approfitto dell'occasione, signor Presidente, colleghi, per estendere il discorso che sto facendo, se mi è consentito, soprattutto in relazione all'articolo 2: considerato che il termine per la presentazione degli emendamenti da parte dei singoli deputati è già scaduto, mi appello alla sensibilità del relatore e del Comitato dei nove per verificare se esistano i presupposti per qualche piccola modifica di carattere aggiuntivo, prendendo spunto dal disegno di legge che i senatori di Forza Italia hanno di recente presentato al Senato sullo stesso argomento. In particolare, l'iniziativa legislativa è stata assunta dai senatori Terracini, Vegas e Rotelli ed è stata comunicata alla Presidenza di quel ramo del Parlamento il 3 febbraio di quest'anno.
Tale disegno di legge potrebbe essere utile - mi auguro lo sia - per alcuni piccoli addendi alla proposta di legge in esame. Cosa prevede l'indicato disegno di legge? Esso è simile per materia al provvedimento al nostro esame; in particolare, l'articolo 1 così recita: «Per ricordare lo sterminio del popolo ebraico e le persecuzioni razziali in tutta l'Europa occupata dal nazismo, le repressioni politiche, le vittime del lavoro forzato, dovunque, in Europa, sotto le dittature di ogni regime, è mancata la libertà, e per ricordare inoltre tutte le violenze e le stragi perpetrate in nome di ideologie oppressive prima, durante e dopo la guerra 1939-1945 per motivi razziali, etnici, religiosi, politici è istituito il "giorno della memoria"». Poi, all'articolo 2 - lo proponiamo, quindi, ad integrazione dell'articolo 2 della proposta di legge in esame - si dice: "In occasione del «giorno della Memoria» vengono predisposti annualmente momenti di approfondimento nelle scuole e sono organizzate cerimonie commemorative ufficiali, così da radicare nella coscienza degli italiani la conoscenza e la condanna dei crimini delle ideologie che agirono per distruggere i valori di identità, civiltà, libertà e giustizia". Mi auguro, onorevole relatore Novelli, che queste integrazioni possano essere celermente - credo che domani mattina stessa si riunisca


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il Comitato dei nove della Commissione affari costituzionali - inserite nel provvedimento.
Perché, onorevole Novelli e onorevole Furio Colombo, queste integrazioni? Anche perché i giovani abbiano una visione à tous azimuts degli orrori del ventesimo secolo, dei quali molto spesso nei libri di testo che circolano nelle scuole si ha una visione particolare, se non addirittura partigiana, come sappiamo dalle ricostruzioni giornalistiche di questi ultimi mesi.
Il processo di Norimberga ha avuto tra i suoi giudici anche dei carnefici, quelli che appartenevano all'alta gerarchia comunista dell'Unione Sovietica: questa è la verità. Ma il nazismo aveva perso e il comunismo aveva vinto e il processo di Norimberga fu fatto per questa ragione. Così come, probabilmente, in omaggio al vecchissimo principio latino vae victis, se avesse vinto il nazismo sul comunismo - orrore su orrore - il processo sarebbe stato fatto a Mosca o in qualche altro paese dell'Unione Sovietica contro i criminali comunisti da altri criminali nazisti.
Allora, mentre per molti anni ci si è concentrati sul vinto e non sul vincitore, oggi ci sono tutte le condizioni storiche per avere una visione globale del fenomeno. Se è vero, infatti, che il nazismo ha perso la guerra, è altrettanto vero che il comunismo ha perso la pace. Oggi come oggi, ormai da molti anni, da quando è stato abbattuto il muro di Berlino, nazismo e comunismo sono parificati nell'orrore.
Né si potrebbe dire che in Italia, mentre sono vivi nel ricordo dei nostri padri o dei nostri nonni gli orrori del nazismo, non si conoscerebbero altrettanti orrori, o comunque orrori, del comunismo. Anche questa è una favola metropolitana, che la storia, con la «S» maiuscola, smentisce. Basterebbe ricordare gli assassinati nel «triangolo della morte» nell'Italia del nord dopo il 25 aprile, dopo la fine della guerra e non durante la guerra, quando gli orrori purtroppo sono la norma e non l'eccezione. Così come non possiamo dimenticare i crimini comunisti di Tito, ma anche di italiani che si erano schierati con Tito, durante il mese orribile di occupazione di Trieste.
Per queste ragioni, ribadendo con piena convinzione il totale favore di Alleanza nazionale a questo provvedimento, mi auguro - proprio per quelle manifestazioni che giustamente andranno tenute nelle scuole, di fronte a fenomeni di idiota razzismo negli stadi o in altri luoghi - che il Comitato dei nove possa fare queste piccole integrazioni, tali da dare una visione globale del fenomeno.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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