Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 664 del 2/2/2000
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(Misure per impedire la fuga di imputati di gravi reati durante lo svolgimento dei processi)

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Caparini n. 3-05012 (vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 9).
L'onorevole Caparini ha facoltà di illustrarla.

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, a Milano sono stati scarcerati undici ergastolani perché il processo d'appello non è mai stato celebrato: una sconfitta pesantissima per lo Stato italiano. Sono tornati in libertà personaggi violentissimi e feroci: cito, fra gli altri, Antonio Schettini, killer e narcotrafficante, reo confesso di cinquantanove omicidi. Durante il processo per una delle sue vittime, un educatore carcerario, Schettini ha dichiarato: «Mi dissero al telefonino: devi ammazzare quello; gli ho sparato senza sapere perché».
Il capo della procura di Milano, D'Ambrosio, ha ammesso che la situazione era prevedibile ed evitabile: perché non è stato fatto niente? Cosa s'intende fare per evitare altri casi del genere? Quali misure ha adottato la corte d'appello di Milano perché sia garantito un rigoroso controllo di pericolosissimi boss?

PRESIDENTE. Il ministro della giustizia ha facoltà di rispondere.

OLIVIERO DILIBERTO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, la vicenda cui fa riferimento l'interrogazione è di eccezionale gravità; pertanto, nei giorni successivi,


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ho immediatamente richiesto, tramite la Procura nazionale antimafia, un'approfondita attività conoscitiva presso tutti gli uffici giudiziari italiani sui procedimenti nei quali si profili, nell'immediato futuro, la possibilità di scarcerazioni per decorrenza dei termini massimi della custodia cautelare. Alcuni risultati sono già pervenuti ed evidenziano l'esistenza, per esempio a Reggio Calabria e a Potenza, di situazione critiche, collegate in specie alle fasi dibattimentali ed alle situazioni di incompatibilità per giudici che hanno svolto attività nel procedimento.
Le risultanze complete del monitoraggio, che comunicherò tempestivamente al Parlamento e farò pervenire anche a lei, onorevole Caparini, offriranno elementi di conoscenza del fenomeno nelle diverse realtà locali. Sulla base degli stessi elementi di conoscenza, valuterò in seno al Governo ed anche con il contributo della Commissione parlamentare antimafia, l'opportunità di interventi mirati che, fermi restando i termini massimi complessivi della custodia cautelare, consentano di modulare diversamente decorrenza, durata e sospensione di essi nelle varie fasi, avendo riguardo ai momenti di maggiore criticità ed in specie ai vari momenti delle fasi dibattimentali.
Valuterò anche la possibilità di altri rimedi diretti a sveltire lo svolgimento dei processi, come quello, per esempio, della separazione delle posizioni di chi ha già riportato condanne definitive da quelle degli altri. In merito alla specifica vicenda, informo che il processo cosiddetto countdown, contro Danilo Arlenghi ed altri, è pendente davanti alla terza sezione della corte d'assise di appello di Milano. Il dibattimento di primo grado si è svolto a carico di ottantadue imputati, quasi tutti detenuti dall'ottobre 1994, ed è durato circa due anni; la corte si è ritirata in camera di consiglio per la decisione il 23 marzo 1998 ed ha dato lettura del dispositivo il 17 aprile. Con la sentenza, sono stati condannati settantasette imputati, trentuno dei quali all'ergastolo; tutti hanno proposto appello.
La motivazione della sentenza, di circa 1.600 pagine, è stata depositata il 29 luglio del 1999 e, a causa della sospensione dei termini per il periodo feriale, il termine di 45 giorni per il deposito dei motivi di appello ha avuto inizio a metà settembre scorso. Il processo è stato assegnato alla III sezione della corte di assise di Milano, il 18 novembre 1999, quando non erano neppure giunti tutti gli atti, atteso che una delle impugnazioni è pervenuta solo il 1o dicembre 1999; conseguentemente, il 15 gennaio 2000, vi è stata la scarcerazione di cinquantasette imputati detenuti.
La vicenda, concludo, ha avuto connotati sicuramente negativi per il prestigio e la credibilità dell'ordine giudiziario, quindi ho interessato le competenti articolazioni ministeriali anche per verificare al più presto possibile la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per possibili iniziative che spettano al ministro, anche sul piano ispettivo.

PRESIDENTE. L'onorevole Caparini ha facoltà di replicare.

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, dopo aver ascoltato la risposta del ministro, la preoccupazione non diminuisce, anzi si accresce, suffragata anche dal parere di altri esperti, quali Armando Spataro, consigliere del Consiglio superiore della magistratura, e il pubblico ministero Alma. Rispetto alle scarcerazioni, il primo ha assicurato che gli interessati torneranno a delinquere e il secondo ha paventato una nuova guerra mafiosa a Milano. Pietro Grasso, procuratore antimafia, ha affermato che a Trapani si arrestano pericolosi latitanti per mafia e, contemporaneamente, altrove, i boss vengono scarcerati per una legislazione che favorisce tale tipo di situazione.
Mi chiedo se questi siano gli strumenti che il Governo intende affidare a coloro che giornalmente lottano contro la criminalità; se non fosse possibile prevedere situazioni quali quella della corte di appello di Reggio Calabria, dove sono a rischio quasi cento ergastoli. Rischiano di


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essere scarcerati centinai di potenziali ergastolani che hanno scatenato una guerra che ha causato la morte di seicento persone.
Signor ministro, di fronte a tale situazione, come definirebbe un Governo che permette la scarcerazione di boss e malavitosi? Io lo definirei semplicemente un complice di coloro che compiono questi gravi delitti. Signor ministro, in Parlamento è ferma da molto tempo una riforma, che deve essere portata avanti per poter finalmente dare una giustizia degna di questo nome al nostro paese.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16,30.

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