Seduta n. 488 del 18/2/1999

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(Processo relativo alle foibe)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Menia n. 2-01625 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
L'onorevole Menia ha facoltà di illustrarla.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, la mia interpellanza, di alcuni giorni fa, non tiene conto di quanto è accaduto ieri, per cui ritengo opportuno aggiungere qualcosa a quanto già è scritto, dopo aver inquadrato la questione.
Alcuni anni fa, a seguito di una denuncia presentata alla procura di Roma sulla base di un articolo comparso su Il Secolo d'Italia, organo di alleanza nazionale, intitolato «Ma non dimentichiamo gli infoibati», venivano raccontati i fatti avvenuti cinquant'anni fa, nei giorni crudi della fine della seconda guerra mondiale ed anche successivi alla fine della guerra. Si tratta di quel grande genocidio della comunità italiana che avvenne tra Trieste, Gorizia, l'Istria, Fiume e Zara: fatti terribili, perché si ritiene siano stati 20 mila gli infoibati, includendo tra questi anche quelli fucilati, impiccati ai ganci da macelleria o annegati nel mare di Zara. Le foibe furono il triste prodromo del grande esodo di 350 mila italiani da quelle terre. Monsignor Santin, di Rovigno d'Istria e grande vescovo di Trieste, definì le foibe «calvari con il vertice sprofondato nelle viscere della terra».
Di queste vicende la magistratura non si era mai occupata, la storiografia ufficiale aveva ben pensato di nasconderle ed esigenze politiche di vario stampo avevano fatto sì che per cinquant'anni su questo capitolo si stendesse un colpevole velo di silenzio. Ora, come dicevo, è stata avviata un'indagine giudiziaria. In particolare, sono state indicate tre persone, tra i tanti, troppi assassini di italiani. Si tratta prima di tutto di Ivan Motika, chiamato «il boia di Pisino»: Pisino d'Istria, che diede i natali a Fabio Filzi, impiccato nel castello del Buonconsiglio insieme a Cesare Battisti; Pisino d'Istria, con il grande castello di Montecuccoli, che era diventato sede del tribunale del popolo in cui operava, per l'appunto, il Motika. A Pisino d'Istria c'è la grande foiba, quella che ispirò Verne nel Viaggio al centro della terra: luoghi di memorie di cose che stanno passando, il che fa tristezza. L'Italia non ricorda più, e la coscienza e la memoria italiana non conoscono più queste cose.
Ivan Motika è morto nel corso degli ultimi mesi per cui si è sottratto a questo tipo di giurisdizione, ce ne è un'altra ben più alta!
Lo stesso accadde ad Avianka Margetich, moglie del famigerato Zuti, «il giallo», il capo dell'OZNA la polizia segreta titina di Fiume, il quale è ancora vivo.
Oscar Piskulic, detto Zuti, è responsabile dell'uccisione di centinaia di italiani, a Fiume. In un'intervista di qualche anno fa si vantava delle sue azioni dicendo: «Rifarei assolutamente le stesse cose. Non ho infoibato nessuno perché le foibe a


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Fiume non c'erano, stanno in Istria. Ne ho fucilati, ma fucilati ce ne sono in tutte le guerre e da tutte le parti»! Ma come successe tutto questo e perché ci comportammo così? Bisogna sapere che proprio alcuni italiani, a Fiume, - e ne conosco almeno cinque - pur essendo iscritti al partito fascista erano dei nostri informatori. Sulla base delle loro informazioni sapevamo chi e in quale modo appartenesse alle organizzazioni fasciste e dunque era giusto eliminarli.
Diceva poi: «Ce n'era uno, un poliziotto ben informato che ancora oggi vive in Italia ma non posso farne il nome».
Ho fatto questa citazione perché parliamo di poliziotti, di Fiume, ed allora bisogna sapere che il dottor Amato, capo della questura di Fiume, venne fucilato il 16 giungo 1945, a guerra finita, nel campo di Grobnico, insieme ai seguenti agenti di pubblica sicurezza: Atzori Francesco, Avallone Raffaele, Azzaro Salvatore, Bartolomeo Salvatore, Blanchet Gennaro, Bolognini Dino, Bruno Luigi, Bufalini Augusto, Castriota Cosimo, Chiavelli Amelio, Cipolla Salvatore, Cirillo Guglielmo, Coniglio Filippo, Conti Giovannino, Corbo Giuseppe, Cozzella Luigi, De Benedetto Ernesto, Delle Fontane Giuseppe, Di Giacomo Salvatore, Ferrara Giovanni, Fiorentini Antonio, Frongia Giuseppe, Ganzardi Ettore, Grillo Edoardo, Grossetti Domenico, Innocenti Ettore, Laruccia Vito Mario, Lazzarini Angelo, Lenzi Ezechiele, Manno Barnaba, Marsala Gaetano, Melosu Ignazio, Minerva Matteo, Murgolo Giuseppe, Nesti Giovanni, Nicoletti Tullio, Nicotra Mario, Olivieri Antonino, Panattoni Secondo, Pirrello Antonio, Piussi Edoardo, Puglisi Antonino, Ranni Antonio, Riccio Aquino, Romagnuolo Fernando, Rosati FIlippo, Rutigliano Tommaso, Salvatore Antonio, Santamaria Nicola, Sarcina Luigi, Scafetta Luigi, Sforza Giovanbattista, Sperduti Francesco, Tamantini Fabio, Valente Guido, Vendegna Mario, Verducci Vincenzo, Zamo Umberto, Zanini Bruno e Zito Mario. Sono questi gli agenti che in quanto italiani subirono le «belle» imprese del partigiano. Quest'ultimo diceva che in fin dei conti aveva provveduto soltanto a far fucilare dei fascisti. Peccato che fece anche rapire (e poi fatto sparire) da casa Angelo Adam, sopravvissuto a Dachau, oppure Adolfo Landriani, il guardiano dei giardinetti di Fiume (gli spaccarono la testa contro il soffitto della caserma perché volevano gridasse: «viva Fiume in Jugoslavia», egli invece gridò: «viva l'Italia» e allora gli spaccarono la testa), oppure ancora Giuseppe Librio, un ragazzino che si arrampicò sul pennone di Piazza Dante per rimettere la bandiera italiana (fu finito con un colpo alla nuca da questo stesso personaggio e buttato nel molo Stocco).
Vorrei capire quale differenza ci sia tra questo ed altri boia. Ricordo che un ministro della Repubblica prese personalmente delle decisioni che magari sotto il profilo giuridico potevano essere contestabili. Mi chiedo in coscienza se esista o meno un doppiopesismo per vicende che, in fin dei conti, hanno evidentemente lo stesso disvalore morale.
Come è andato questo processo? Dapprima di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio del PM Pititto, il giudice, il GIP Macchia, che si disse simpatizzasse per «Soccorso rosso», sostenne che non vi era giurisdizione italiana perché trattavasi di fatti accaduti fuori dal territorio italiano. Questo giudice o non conosce la storia o non conosce la geografia perché, fino a prova contraria, Fiume rimase a far parte del territorio italiano fino alla conclusione del trattato di pace del 1947.
La Cassazione gli ha dato torto e siamo poi giunti allo stop improvviso di ieri su un fatto formale, e cioè su una firma non apposta dal GIP ma dalla sua cancelleria.
Ciò è avvenuto nel quadro che ricordavo nella mia interpellanza. Il portavoce del ministro degli esteri croato ha sostenuto che Piskulic non può essere processato, tanto meno in Italia, ed ha affermato: «Siamo dell'avviso che simili vicende non contribuiscano a migliorare i rapporti bilaterali tra Italia e Croazia». Io mi chiedo perché ciò accada: non abbiamo di fronte la Iugoslavia comunista ma, almeno in teoria, uno Stato democratico uscito da quell'esperienza.


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Prosegue poi il portavoce croato: «Vorrei, inoltre, ribadire che la Costituzione del nostro paese non permette ad un tribunale straniero l'estradizione di un cittadino croato. È dunque inutile insistere con questo processo che richiama alla mente fatti di cinquanta e più anni fa che andrebbero consegnati esclusivamente alla storia. Abbiamo, comunque, le assicurazioni di Roma che il Governo italiano non è promotore, né appoggia simili processi e, d'altro canto, sappiamo che il magistrato Pititto è membro dell'opposizione di destra».
Ho ritenuto di interpellare il Governo per capire se tutto ciò sia vero. Purtroppo, ho il sospetto che lo sia per il fatto che questo processo non ha avuto i clamori di altri e che, in fin dei conti, ci si è fatto capire che non fosse politicamente corretto e opportuno svolgerlo perché i buoni rapporti con l'altra sponda dell'Adriatico valgono pure qualcosa.
Ma vi è un organo ufficiale dello Stato croato che afferma queste cose e il Governo italiano non mi risulta - ora sentirò la risposta del sottosegretario - lo abbia smentito. Le cose sono andate così: ieri questo processo, di fatto, si è chiuso su una squallida questione da Azzeccagarbugli che a me fa sorgere il sospetto sia stata preparata ad arte e che, comunque, lascia legittimamente aperti tutti i dubbi che ho sollevato.
Attendo di sapere dal Governo cosa pensi, se abbia - come ho evidenziato nella mia interpellanza - chiesto ragioni alla controparte croata al riguardo e se veramente ciò che è stato affermato corrisponda alle intenzioni del Governo.
Mi affido dunque alla vostra responsabilità politica, ma vorrei dire prima di tutto morale, ed attendo la risposta del Governo.
Ho voluto illustrare il senso della mia interpellanza diversamente da quanto di solito accade; mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, i quesiti degli onorevoli interpellanti riguardano una pagina tragica della nostra storia recente. La vicenda delle foibe ci riporta all'incrocio tra la fine della seconda guerra mondiale e l'inizio della guerra fredda, quando si sovrapposero diversi tipi di conflitto: la guerra tra Stati, il conflitto civile, il conflitto politico e il conflitto etnico. Fu in questo quadro che si verificarono gli episodi di tortura e di assassinio testimoniati dalle foibe. Si trattò di gravissimi atti di ferocia che colpirono civili che non si erano macchiati di alcuna colpa, se non quella di appartenere ad una certa comunità nazionale: erano italiani.
La storia ha già emesso, su questo tormentato passaggio, il suo giudizio circa le responsabilità. È utile che su questa pagina barbara della nostra storia del novecento proceda, in ogni caso, il lavoro degli storici. Del resto, sono ormai molti anni che è in corso una ricerca con la quale ci si propone di ricostruire questo tragico passaggio della storia italiana nel contesto in cui si svolse e in tutti i suoi aspetti.

GUSTAVO SELVA. Anche dei magistrati!

PRESIDENTE. Ascoltiamo la risposta, successivamente si replicherà.

UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Farò cenno anche ai magistrati.
Tale ricerca deve essere agevolata e procedere in tutti i modi, garantendo pieno e libero accesso alle fonti, alla documentazione relativa alla vicenda. Questa è la nostra valutazione di fondo.
Per quanto attiene all'interpellanza in oggetto, si fa riferimento al processo attualmente in corso dinanzi alla prima corte d'assise di Roma per le imputazioni di omicidio pluriaggravato contro il cittadino croato Oskar Piskulic. Gli onorevoli interpellanti citano dichiarazioni che sarebbero attribuite al portavoce del Ministero


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degli affari esteri croato Trkanjec da alcuni quotidiani, tra i quali in particolare Il Piccolo. Secondo tali dichiarazioni il Governo italiano avrebbe dato assicurazioni al Governo croato circa la propria opposizione al processo in corso. Su questa base gli onorevoli interroganti chiedono se quelle affermazioni risultino confermate, se effettivamente vi sia una posizione ostile del Governo italiano in merito al processo in corso, se e quali provvedimenti siano stati adottati dal Governo per smentire le dichiarazioni del portavoce del Ministero degli esteri croato.
Nel rispondere ai quesiti degli interpellanti è necessaria una premessa, anche se scontata. L'Italia è uno Stato di diritto nel quale vige la separazione tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Per dettato costituzionale il Governo non interviene in sfere che sono di esclusiva competenza della magistratura, come l'iniziativa giudiziaria contro singoli imputati. È quindi ovvio che non c'è affatto, né ci potrebbe essere in alcun modo una posizione ostile del Governo italiano in merito al processo in corso presso la prima corte d'assise di Roma. Tutto ciò è perfettamente noto, tra l'altro, al Governo della Croazia.
Il nostro auspicio quindi è che il processo riprenda, vada avanti e si appurino le responsabilità di tutti coloro che si sono macchiati di crimini. In ogni caso il Governo ha ritenuto utile verificare le notizie apparse su Il Piccolo.
L'ultima occasione in cui il portavoce del Ministero degli affari esteri croato Zeliko Trkanjec ha fatto pubblicamente riferimento al processo in corso a Roma è stata alla metà dello scorso gennaio in una intervista rilasciata al quotidiano croato Novyj List, che si stampa a Fiume e che tradizionalmente è molto vicino alla comunità italiana che vive in quella città. Nell'intervista egli ha affermato che la questione del processo a Oskar Piskulic riguarda esclusivamente gli organi giudiziari italiani e croati, senza alcun coinvolgimento dei nostri rispettivi Governi. Questo è il quadro.
Il Governo italiano si muove nel solco della tradizione democratica del nostro paese, una tradizione in cui credo si riconosca l'intero Parlamento italiano e i democratici non sono usi a distinguere tra chi si è macchiato di crimini contro l'umanità di una parte o di un'altra: chi si è macchiato di quei crimini è da condannare come nemico del genere umano e della libertà. Questa è l'ispirazione di fondo con cui il Governo guarda alla vicenda oggetto dell'interpellanza.

PRESIDENTE. L'onorevole Menia ha facoltà di replicare.

ROBERTO MENIA. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta perché se, da un lato, il sottosegretario ha fatto dichiarazioni di principio che non possono che essere parte del patrimonio di ognuno di noi, dall'altro ha ritenuto di glissare su questioni precise che venivano poste.
La premessa nella risposta del Governo è che il giudizio è già emerso dalla storia e che sarà utile il lavoro degli storici. Il Governo, poi, non si oppone, dato il principio della separazione dei poteri. Tutto questo suscita l'impressione di un atteggiamento tipicamente pilatesco, quasi a dire: proceda pure la giustizia, ma restiamone fuori quanto più possibile, come se la questione non ci riguardasse. Ricordavo prima che un ministro di grazia e giustizia agì in maniera molto pesante per sottolineare l'atteggiamento del Governo su un fatto esecrabile e condannabile quanto quello oggi ricordato.
Il Governo non risponde su questioni precise. Mi dovete spiegare perché è credibile l'intervista al Novyj List e non quella a Il Piccolo di Trieste. Voi non rispondete quando vi domando se avete chiesto conto a questo signore e al Governo croato dell'affermazione che vi sarebbero le assicurazioni di Roma che il processo finirà presto. È questo quel che è accaduto? È possibile che vi sia l'ingerenza intollerabile di un Governo straniero che giudica, a proposito di separazione, l'operato di un magistrato, sostenendo che è «membro dell'opposizione di destra»?


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A tutto ciò non avete risposto; una volta di più avete tenuto l'atteggiamento di chi si lava le mani. Penso, quindi, che con tale doppiopesismo, con tale ignavia di fondo, il Governo italiano in qualche modo abbia contribuito a far sì che ieri accadesse ciò che è accaduto, e cioè che ancora una volta la giustizia sia stata, come quegli sventurati, infoibata.
In questo senso, esprimo tutta la mia rabbia, il mio profondo disgusto, da figlio di generazioni di quelle terre, perché questa Italia, a cui vogliamo tanto bene, ci fa troppo penare e troppo piangere, perché quest'Italia è davvero troppo lontana da chi, forse, le vuole troppo bene (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

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