Seduta n. 448 del 2/12/1998

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TESTO AGGIORNATO AL 4 DICEMBRE 1998


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(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.

KARL ZELLER. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il caso Ocalan è emblematico dell'atteggiamento di certe forze politiche. Finché rimane un caso teorico tutti proclamano ad alta voce il diritto dei popoli all'autodeterminazione ed alle libertà fondamentali; quando però si presenta un caso concreto, molti - come purtroppo anche il Governo tedesco - assumono un atteggiamento pilatesco ed inizia il gioco del cerino (Applausi dei deputati dei gruppi misto-minoranze linguistiche e misto-socialisti democratici italiani).
Abbiamo apprezzato la scelta del Governo D'Alema di negare l'estradizione: l'imputato Ocalan rischia la pena di morte e in Turchia non sussistono sufficienti garanzie di tutela dei diritti fondamentali. Non va inoltre dimenticato che è stata la Turchia ad alimentare la spirale di violenza e non invece il popolo curdo.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Zeller.
Onorevole Serri, può prendere posto, per cortesia?
Prego, onorevole Zeller.

KARL ZELLER. La Turchia, in nome dell'ideologia nazionalista del kemalismo, da decenni calpesta con metodi brutali i diritti dei curdi, rifiutando la minima autonomia, anche solo culturale, vietando l'uso della lingua curda e negando persino l'esistenza stessa del popolo curdo: li chiamano - badate bene - «turchi di montagna». In questo la politica turca è paragonabile all'oppressione cinese nei confronti del Tibet. È stato il Governo turco a rendere impossibile la soluzione pacifica ed un dialogo politico, privando il popolo curdo dei propri rappresentanti democraticamente eletti, condannando i parlamentari a lunghe pene di detenzione.
Non bisogna quindi confondere causa e origine: la lotta del popolo curdo ad altro non mira che a fermare il genocidio compiuto dai turchi. Se quello che ha fatto Ocalan è terrorismo, come vogliamo chiamare la politica turca, che altro non è che terrorismo di Stato (Applausi dei deputati dei gruppi misto-minoranze linguistiche, della lega nord per l'indipendenza della Padania, misto-rifondazione comunista-progressisti, misto-verdi-l'Ulivo e di deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo)?
Siamo pertanto di fronte non solo ad un problema giuridico, ma anche e soprattutto ad una questione politica. Abbiamo il dovere di difendere i diritti fondamentali che sono universali e comunque non divisibili secondo le convenienze economiche. Non si può peraltro trascurare che Ocalan è giunto in Italia per iniziare un discorso di pace. Per questi motivi a nostro parere ad Ocalan va concesso lo status di rifugiato politico. Chiediamo altresì che il Governo italiano e la comunità internazionale si facciano carico di trovare una soluzione politica al problema curdo, al dramma di un popolo disperso in diversi Stati e senza un proprio Stato (Applausi dei deputati dei gruppi misto-minoranze linguistiche, dei democratici di sinistra-l'Ulivo, misto-rifondazione


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comunista-progressisti e di deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, a noi è apparso subito chiaro che il problema Ocalan sarebbe diventato un problema europeo e non solo italiano. Così è stato e così è, e temiamo di non essere pessimisti se prevediamo decine di questi casi Ocalan nei prossimi anni distribuiti nei paesi del nostro continente, data la situazione del Medio Oriente e la sua crescente instabilità e turbolenza.
Chiediamo che i paesi amici dell'Europa risolvano con noi questa vicenda.
Una volta chiarito questo caso, l'Europa dovrà darsi una strategia e comportamenti comuni, dovrà scrivere le regole necessarie per affrontare questa nuova emergenza. Alcune regole sono già scritte come, ad esempio, quella relativa all'impossibilità per i paesi democratici di permettere l'estradizione verso stati in cui vige la pena di morte.
Condividiamo, quindi, le parole del Presidente D'Alema e il suo comportamento. L'Italia, a nostro avviso, ha fatto il proprio dovere senza cedere alla propaganda e prendendo le giuste distanze da comportamenti infantili e ottusamente ideologici.
Il Governo del nostro paese e quelli dei paesi amici debbono farsi carico anche del problema che preoccupa numerosissime aziende italiane (molte delle quali piccole o piccolissime) ingiustamente boicottate dalla Turchia o da poteri lì molto forti.
Tale problema oggi tocca l'Italia, ma in un futuro non lontano...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Crema. Colleghi potete fare la vostra riunione da qualche altra parte? Onorevole Gramazio, si accomodi.

GIOVANNI CREMA. Si tratta di un problema i cui effetti vengono oggi scontati dai nostri produttori. Sono vicende che l'Italia subisce in ragione del rispetto doveroso dei trattati internazionali, liberamente sottoscritti anche dagli altri paesi dell'Unione europea e che essi, al nostro pari, sono tenuti a rispettare. A questi imprenditori e alle loro maestranze, il Governo deve dare non solo assicurazioni e garanzie, ma anche tutto il sostegno necessario in questo difficile momento.
Le parole del Presidente del Consiglio nei riguardi delle minoranze curde della Turchia ci soddisfano perché rientrano nella continuità storica della nostra Repubblica e si ispirano al rispetto dei diritti universali dei popoli e dell'uomo.
Condividiamo anche le parole di amicizia nei confronti della Turchia, ma va detto con fermezza che il comportamento di ostilità che abbiamo registrato verso il nostro paese, è ingiustificato e sbagliato.
Ci auguriamo che fin da questa sera, in occasione dell'evento sportivo che ci attende, si ristabilisca un rapporto civile e democratico nei confronti del nostro paese.
Signor Presidente, i socialisti esprimono il loro sostegno convinto e solidale all'onorevole D'Alema e al suo Governo per il lavoro che ha svolto fino ad oggi e per quello, altrettanto impegnativo, che lo attende (Applausi dei deputati dei gruppi misto-socialisti democratici italiani, di rinnovamento italiano e misto-verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, la politica della maggioranza sulla vicenda Ocalan è stata, a parere del CCD, confusa, disattenta e imprevidente. Dapprima si è accolto il leader del PKK come fosse un Capo di Stato in esilio, con tanto di scorta armata personale; poi si è dovuto prendere atto che la Germania non avrebbe formalizzato la richiesta di estradizione; infine, si sta cercando di negoziare con la Russia un reimbarco che si rivelerà ora tanto problematico quanto sarebbe stato semplice nel primo momento.


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L'errore principale è stato quello di non avere impedito fin dall'inizio l'ingresso in Italia di una persona che parte del Governo considera una sorta di Garibaldi del ventesimo secolo, mentre un'altra parte, e noi con essa, considera un terrorista vetero-marxista. Questo errore ha delineato una curvatura della nostra politica estera e di sicurezza che consideriamo ambigua e rischiosa.
Non è mai stato chiaro quale fosse il livello di informazione e di consapevolezza del nostro Governo sulla vicenda, se cioè il lavoro di intelligence dei nostri servizi sia stato sottovalutato, inadeguato o intempestivo; né è mai stato chiaro quale epilogo il Governo avesse realisticamente immaginato di dare a questa vicenda. Sono state chiarissime in compenso tutte le divisioni, le incertezze, le tortuosità che hanno attraversato il Governo e la sua maggioranza. Abbiamo sentito suonare a lungo in questi giorni le trombe del partito dell'asilo politico. Vi hanno dato fiato in tanti: dal ministro della giustizia, che fino al 9 ottobre era capogruppo dell'onorevole Mantovani, angelo custode di Ocalan, al senatore Cossiga, convertito all'asilo politico dopo una lunga militanza atlantica ed un forte e sofferto impegno sul fronte dell'eversione e del terrorismo negli anni della prima Repubblica.
È un'eventualità, quella dell'asilo, che il Presidente D'Alema non ha né caldeggiato né escluso, trincerandosi dietro la tartufesca argomentazione che si tratterebbe di una pratica legale e non già, come i suoi stessi ministri testimoniano con le loro ripetute e contrastanti prese di posizione, di una responsabilità politica che un Governo si deve assumere.
Il nostro partito ha manifestato fin dall'inizio un orientamento chiaro e netto su tutta la materia. Con la Turchia abbiamo un comune vincolo atlantico che non consideriamo né marginale né poco significativo e che ovviamente non giustifica ritorsioni e campagne di odio; abbiamo interessi strategici, geopolitici ed imprenditoriali che devono essere difesi; abbiamo rispetto del popolo curdo e piena consapevolezza delle ferite che una storia dolorosa ha inferto alla sua identità e alle sue genti; abbiamo però anche la convinzione che il PKK ed il suo leader siano parte e spesso fattore moltiplicatore di quella violenza. Non ci è bastata qualche buona parola fatta trapelare ai giornali italiani per distoglierci dal ripudio di una strategia terroristica che ha seminato, forse ancora in questi stessi giorni, una lunga scia di morti e di rovine.
Noi le diciamo, onorevole D'Alema, che l'Italia non può diventare il rifugio di questi ambienti né la loro tribuna. Siamo contrari all'estradizione verso un paese che ha il suo ordinamento la pena di morte ma le chiediamo di affrettare le procedure di espulsione di Ocalan dal nostro territorio, un'espulsione che sarebbe stata doverosa fin dall'inizio e che la prevedibile scelta compiuta dalla Repubblica federale tedesca rende questo punto non più dilazionabile. Le chiediamo di uscire dalla sua ambiguità sulla questione dell'asilo politico e di assumere con chiarezza un impegno ad evitare una scelta che ci porrebbe in contrasto con il sistema di alleanze e di riferimenti culturali comuni, di cui si nutre la nostra collocazione europea ed atlantica. Noi avvertiamo, anche dietro parole di circostanza, la sensazione di un certo isolamento nel nostro paese rispetto a molte delle cancellerie che ci sono storicamente più vicine e che a parole forse manifestano astratte solidarietà.
Sta a lei, onorevole Presidente D'Alema, e al suo Governo dissipare le ombre che la sua incerta condotta ha fatto condensare in questi giorni intorno alla nostra tenuta ed affidabilità; sta a noi, all'opposizione, spingerla con tutta la nostra convinzione politica in una direzione più coerente e più utile al buon nome dell'Italia e alle sue relazioni internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD, di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.


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RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Presidente del Consiglio, mi lasci dire che considero inopportuno il fatto che lei abbia aperto il discorso su una questione così importante con un riferimento alla partita di calcio, che è un fatto all'attenzione dei mass media e dell'opinione pubblica ma non così importante da far avviare un discorso del Presidente del Consiglio alla Camera dei deputati.
Del resto, se l'Italia e gli altri paesi europei avessero dedicato negli anni scorsi un decimo dell'attenzione che si sta dedicando alla partita di questa sera alla questione curda, al massacro delle bambine e dei bambini, delle donne e degli uomini nel Kurdistan, se i paesi europei avessero dedicato un decimo di questa attenzione alla risoluzione di questo problema, probabilmente non ci sarebbe stato alcun caso Ocalan, non ci sarebbe stato bisogno della resistenza nel Kurdistan, non ci sarebbe oggi di fronte a noi un problema così drammaticamente squadernato.

GIULIO CONTI. Non ci sarebbe la partita!

RAMON MANTOVANI. Il popolo curdo è perseguitato da decenni: credo che in quest'aula non vi sia un solo deputato o una sola deputata che possa negare questo fatto! Vi è stata, sì, negli ultimi vent'anni una resistenza nei confronti di un'oppressione inaudita, che è stata definita da molti analisti politici internazionali, non solo da noi, un vero tentativo di genocidio.

DOMENICO GRAMAZIO. Terroristi!

RAMON MANTOVANI. Questa resistenza non si può chiamare terrorismo, così come non si è potuta definire la resistenza palestinese «terrorismo» (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti), non si è potuta chiamare la resistenza di Nelson Mandela «terrorismo» e non si è potuta chiamare la lotta di liberazione di tanti popoli nel mondo contro le oppressioni «terrorismo». A dire che quei resistenti erano dei terroristi, erano e sono sempre stati i governi oppressori: questo è successo anche in Europa; e non credo che qui qualcuno possa affermare il contrario.
Vorrei ora avanzare una richiesta alle colleghi ed ai colleghi (lo faccio con tutta sincerità). Il sottoscritto, care colleghi e cari colleghi della destra, nel mese di luglio è andato a parlare con i dirigenti dei movimenti di resistenza albanesi del Kosovo. Ho parlato anche con colui il quale è stato poi nominato rappresentante dell'UCK. Nessuno ha avuto nulla da ridire su questa iniziativa del mio partito e mia personale! E noi ci siamo sempre battuti e abbiamo sempre affermato che l'UCK e le altre forze albanesi del Kosovo debbano parlare ed essere messe nella condizione di trattare una soluzione politica di quella questione con le autorità di Belgrado, anche se queste ultime accusavano l'UCK di essere una organizzazione terroristica.
Noi non abbiamo due pesi e due misure; noi non misuriamo un problema di diritti di un popolo a seconda del fatto che il paese oppressore sia membro dell'Alleanza atlantica o sulla base della intensità dei flussi commerciali con quel paese (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti).
Ci siamo comportati coerentemente e vi chiediamo altrettanta coerenza su una questione che ha una propria drammaticità, perché sono decine di migliaia le donne e gli uomini che sono morti; perché saranno decine di migliaia quelli che moriranno se noi daremo retta, se il Governo ed il Parlamento daranno retta a quanto propone la destra.
Se Ocalan venisse espulso dall'Italia (Commenti del deputato Garra), sarebbe come dire: bene, sei venuto qui a proporre una soluzione pacifica, ad avanzare una proposta di pace, a chiedere all'Europa - che è stata capace di affrontare il problema dell'Irlanda del nord e che è oggi capace di affrontare il problema basco, con una soluzione politica - di intervenire anche per la soluzione del problema curdo, ma non c'è niente da fare. È come


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se noi rispondessimo che non possiamo farci niente, che ce ne laviamo le mani e che egli può andare in un altro paese a dirigere da lì la guerra, poiché a noi non interessa che continui quella guerra. Forse, a qualcuno potrebbe perfino interessare che la guerra continui: mi riferisco a quei commercianti di armi (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti) che hanno continuato a vendere le armi alla Turchia, sapendo che in quel paese era in corso un conflitto armato e che quelle armi, quelle bombe a mano e quelle mine antiuomo avrebbero colpito la popolazione curda!
Mi pare che sulla grande questione curda vi sia stata troppa ipocrisia perché oggi da certi banchi si possano impartire lezioni da dare ai deputati di altri banchi e con altre storie!
Care colleghe e cari colleghi, signor Presidente, noi siamo perché il Governo imbocchi una via maestra. Esiste una via maestra, perché il caso Ocalan è un caso politico; non è innanzitutto un caso giudiziario!
Il presidente Yasser Arafat venne in Italia colpito da un mandato di cattura della magistratura italiana per terrorismo; eppure, egli seppe e potè - anche con l'aiuto del Governo italiano - portare a buon termine la sua missione di pace! Se oggi vi è la possibilità - speriamo vi sia davvero! - che si faccia pace tra i palestinesi e gli israeliani, ciò sarà anche dovuto al fatto che le cancellerie occidentali negli anni 70 ed 80 trattarono il presidente Arafat come il leader di un movimento di liberazione e non come un volgare criminale o come un terrorista.
L'Italia ha oggi l'opportunità di dire una parola chiara e di dare un grande contributo alla soluzione politica e pacifica della questione curda. Sarebbe veramente ipocrita se noi ci lavassimo le mani di tale questione sotto la spinta di interessi economici o - peggio ancora - con la miopia di chi non vede che l'Italia e l'Europa possono oggi avere una funzione per pacificare il Medio Oriente e possono cogliere l'occasione della venuta in Italia del presidente Ocalan...

PIETRO ARMANI. «Presidente»? Addirittura!

RAMON MANTOVANI. ...per dare avvio ad una iniziativa politica. Ciò, del resto, vuole il Parlamento italiano che non a caso, in Commissione esteri, votò all'unanimità una risoluzione che impegnava il Governo a cercare una soluzione politica e pacifica della questione. Noi siamo propensi a seguire questa via maestra. Quindi, insistiamo sul fatto che il nostro Governo, la Commissione, il nostro paese concedano asilo politico al presidente del PKK Abdullah Ocalan (Applausi dei deputati dei gruppi misto-rifondazione comunista-progressisti, della lega nord per l'indipendenza della Padania e misto-verdi-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paissan. Ne ha facoltà.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente del Consiglio, signore e signori della Camera dei deputati, soltanto degli sprovveduti o dei beceri propagandisti possono pensare che sia possibile risolvere il cosiddetto caso Ocalan con qualche mossa estemporanea. Non esistono soluzioni facili, a portata di mano; non è una soluzione, infatti, né quella facilona di chi, per eccesso di partecipazione o per ingenuità, combina pasticci, né quella forcaiola di chi non sa parlare che di respingimento, estradizione ed espulsione.
I verdi hanno apprezzato, signor Presidente del Consiglio, il suo impegno personale nel ricercare una soluzione. Purtroppo non possiamo dire altrettanto dell'insieme del Governo, che ha dato di sé un'immagine sfrangiata, dunque debole; alcuni ministri, infatti, sono stati preda di un impellente stimolo all'esternazione ed hanno con ciò danneggiato il Governo.
Noi ci auguriamo che lei, onorevole D'Alema, assuma nuovamente per intero le sue funzioni di guida del Governo rispetto alla questione in esame e su altre dell'agenda politica.
La vicenda Ocalan può essere valutata da diversi punti di vista. Vi è, innanzitutto,


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quello canonico, della diplomazia tradizionale che mette al primo posto gli interessi economici e le servitù delle alleanze politiche e militari. Da questo punto di vista, considerati i numeri dell'interscambio commerciale tra i nostri due paesi e l'importanza strategica della Turchia, dovremmo buttare a mare - per così dire - il presidente del PKK e piegarci ai diktat turchi. Tuttavia, tali valutazioni, che pur vanno tenute criticamente presenti, devono essere accompagnate a criteri rispettosi dei diritti umani e tesi a tutelare il diritto al riconoscimento del popolo curdo.
Secondo tale lettura, la vicenda Ocalan può diventare un'occasione perché il nostro paese fornisca un contributo - in raccordo con i partner europei - ad un processo di pace che dovrà pur aprirsi anche in quella martoriata parte del pianeta, in favore di quel popolo negletto.
In Irlanda ce l'hanno fatta, si sta tentando di farlo in Spagna, da decenni è in corso in Israele e Palestina, è riuscito in alcuni paesi africani, possibile che non si riesca ad aprire un processo analogo in un paese come la Turchia, che aspira ad entrare nell'Unione europea?

GIULIO CONTI. Si tratta di cinque paesi!

MAURO PAISSAN. Nessun paese può entrare nell'Unione europea in quelle condizioni, in stato di guerra verso un'intera etnia e con documentate e gravissime violazioni dei diritti fondamentali.
Uno dei criteri guida - come lei, Presidente D'Alema, ha giustamente sottolineato nel suo intervento - delle nostre relazioni bilaterali e multilaterali deve essere il rispetto dei diritti umani.
In tale ambito emerge una differenziazione con gli Stati Uniti d'America; basti pensare al comportamento gravemente contraddittorio degli USA in due crisi abbastanza simili tra loro: la questione del Kosovo, rispetto alla Serbia, e quella del Kurdistan, rispetto alla Turchia. Nel primo caso, si è giunti a minacciare l'intervento armato contro la Serbia e a fianco dell'UCK secessionistico; nel secondo, ci si è schierati con la Turchia contro il PKK che non chiede la secessione, ma il riconoscimento di un'autonomia nell'ambito dei confini dell'attuale Stato turco.
L'Italia deve avere l'orgoglio di sottrarsi a tale tipo di politica a due facce e proporre all'Unione europea l'avvio di un percorso politico di reale pacificazione, percorso che sappiamo essere molto complesso.
L'annuncio da parte del presidente del PKK della volontà di abbandono della lotta armata va messo alla prova.
È verissimo: la questione curda non si identifica nella figura di Ocalan, ma l'arrivo nel nostro paese dell'esponente del PKK ci offre l'opportunità, ancorché non ricercata e non voluta, per una iniziativa politica. Il «no» all'estradizione è per fortuna scontato, ma scontato deve essere anche il «no» all'espulsione, perché nessuno può darci la piena garanzia, richiesta da una precisa norma della legge Martelli ripresa dall'attuale legge sull'immigrazione, che alla fine Ocalan non venga consegnato alla Turchia.
Molto suggestiva ci pare la ricerca, promossa concordemente - lo ha ricordato il Presidente D'Alema - da Italia e Germania, di una sede internazionale di giudizio. In un mondo globalizzato anche la giustizia sta ricercando istanze nuove sempre più mondializzate.
Conosciamo gli interrogativi giuridici, politici, di principio cui dà adito questa ipotesi, questa ricerca, ma ci sembra una strada da esperire fino in fondo, con convinzione, senza retropensieri; nel frattempo si garantisca ad Ocalan asilo. Decisiva sarà l'apertura, parallela alla procedura giudiziaria, di un percorso politico sulla questione del popolo curdo, questione che non coinvolge - è vero - solo la Turchia, ma soprattutto essa per numero di curdi che vi abitano e per i legami di quel paese con il nostro sistema di alleanze. Il consenso turco ad un processo di pacificazione può essere ottenuto attraverso la pressione - chiamiamola così - europea.


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Certo che la via è stretta, ma è una via che un Governo orgoglioso di sé, Presidente D'Alema, potrebbe tentare per assumere un positivo ruolo di protagonista sulla scena internazionale. Rimane poi sempre a disposizione la carta della rinuncia, dell'opportunismo e del cinismo, ma i verdi intendono far parte di un Governo e di una coalizione con altri valori e con altre ambizioni (Applausi dei deputati del gruppo misto-verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

TULLIO GRIMALDI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, il nostro partito ha più volte espresso una posizione favorevole alla concessione dell'asilo politico al presidente del PKK Abdullah Ocalan. Questa posizione ha formato oggetto di una precisa richiesta rivolta al Governo ancora pochi giorni fa, richiesta che oggi ribadiamo con ferma convinzione. L'alternativa contraria farebbe intravedere lo scenario preoccupante di una espulsione, venuta meno la possibilità di estradizione in Germania - per la rinuncia di quel paese - e in Turchia per il divieto delle nostre leggi a concederla in favore di uno Stato che applica la pena di morte.
L'espulsione, però, metterebbe ugualmente in serio pericolo la vita di Ocalan, perché se nessun paese gli offrisse asilo, egli finirebbe inevitabilmente nelle mani della giustizia della Turchia, con le conseguenze che questo comporterebbe.
L'espulsione invocata dalla destra si rivela perciò un cinico espediente per eliminare comunque una presenza scomoda, tacitare il mondo degli affari, ripristinare le normali relazioni con la Turchia che quest'ultima ha minacciato di mettere in discussione, fingendo di ignorare i problemi che si agitano dietro la vicenda.
L'asilo politico, dunque, non risponde soltanto ad un preciso obbligo fissato dalla nostra Costituzione, ma si impone come attuazione di un principio di civiltà, nella tradizione delle più antiche democrazie. Vogliamo ricordare la neutralità che la Svizzera offriva nel suo territorio ad ogni sorta di rifugiati? L'Inghilterra già nel secolo scorso patria di esiliati e perseguitati da regimi autoritari? La Francia che ha dato asilo ai dirigenti dei partiti antifascisti durante la dittatura mussoliniana? Il diritto di asilo rispettato dalle chiese e dai conventi anche per assassini e delinquenti comuni? Il rifugio, infine, assicurato dal Vaticano, senza alcuna discriminazione, ad esponenti politici di ogni tendenza, quando i nazisti occupavano Roma e rastrellavano la città per le loro feroci repressioni?
Senza il principio di asilo probabilmente il nostro Risorgimento avrebbe sofferto la perdita di molte figure significative e la storia avrebbe avuto un corso diverso.
Senza il principio di asilo la resistenza al fascismo e la costruzione della nostra Repubblica democratica avrebbero scritto, nelle pagine della loro storia, più nomi di martiri che di protagonisti.
È il caso di ricordare ancora, questa volta proprio ai governanti turchi, l'ospitalità che l'Italia offrì nel lontano 1918 a colui che sarebbe divenuto il fondatore della Turchia moderna: Mustafà Kemal, detto Ataturk.
Come sarebbe possibile, d'altra parte, quando si accolgono sulle nostre coste migliaia di profughi curdi che fuggono dalla repressione nel loro paese, discriminare chi si è battuto e si batte per la stessa causa di quella gente?
Manifestiamo apprezzamento per l'azione fin qui svolta dal nostro Governo. Il rispetto delle leggi e delle competenze, il richiamo alle migliori tradizioni della nostra democrazia, il rifiuto di cedere alle pressioni esterne ed interne, la conduzione politica di un caso denso di implicazioni, hanno messo in evidenza una linea che caratterizza una compagine sostenuta da forze di centro-sinistra e comuniste.
Non altrettanto si può dire per l'impresa di chi ha incoraggiato o favorito l'ingresso in Italia di Ocalan. Si può comprendere che un gruppo di opposizione


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abbia perseguito un risultato che giovasse, in maniera spettacolare, principalmente alla propria immagine, senza mettere in conto le difficoltà che ciò avrebbe procurato al Governo, anche se esso è pur sempre espressione di quella sinistra alla quale lo stesso gruppo afferma di richiamarsi. Non si possono giustificare, invece, le responsabilità di una operazione che finisce per provocare più svantaggi che benefici alla causa del popolo curdo. Non si è tenuto conto del contesto europeo nel quale il nostro paese è collocato, dei rapporti internazionali e del rispetto dei trattati al quale siamo obbligati. Non è azzardato affermare che senza la prudenza e l'accortezza del nostro Governo avremmo rischiato una rottura diplomatica con un paese cui ci legano molte relazioni, nonché l'isolamento internazionale. Non si è neppure temuto che l'acuirsi della crisi nel Kurdistan turco avrebbe potuto scatenare la reazione dei militari con repressioni più violente sulle popolazioni civili.
Il problema sul tappeto esige soluzioni politiche sul piano internazionale che vanno al di là della concessione dell'asilo politico. Il caso Ocalan non può essere dissociato dalle ragioni che lo hanno imposto all'attenzione del mondo. Tali ragioni sono quelle di un popolo che lotta per affermare la propria identità, per conservare la sua lingua, la sua cultura e le sue tradizioni; ma sono anche le ragioni che muovono i sentimenti delle altre comunità curde e della stessa gente della Turchia, che vorrebbe vivere in coesistenza pacifica con i curdi, senza cedere una parte del territorio nazionale. Bisogna partire da tali premesse per trovare una soluzione che veda impegnata l'Unione europea a fianco dell'Italia.
Solidarietà e comprensione sono state manifestate al nostro paese, ma se esse non sono accompagnate da iniziative concrete che vedono in primo luogo impegnate, insieme all'Italia, la Turchia e l'Unione europea, rischiano di cadere nell'indifferenza.
Il nostro comportamento è stato lineare e corretto ed in aderenza al trattato di Schengen; ma ora il problema non può essere circoscritto ai rapporti tra Italia e Turchia, né l'Italia può rappresentare il riferimento di tutta la questione, con la conseguenza che sul nostro paese si scaricherebbero tutte le tensioni ad esso connesse. Il caso Ocalan, per tale motivo, non può essere trattato come un semplice caso giudiziario. Da qualche parte viene considerato un terrorista...

PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi, prendete posto.

TULLIO GRIMALDI. ...ma quanti, come lui definiti terroristi, sono poi diventati Capi di Stato e riconosciuti come tali? La lotta di un popolo, anche se condotta con le armi, non è mai terrorismo. Ocalan ha comunque dichiarato di accettare un processo per rispondere alle accuse che gli vengono mosse; si cerchi un tribunale che possa garantirgli imparzialità, fosse anche una corte internazionale, ma finché non verrà giudicato si applichino le norme, anche non scritte, relative al diritto d'asilo (Applausi dei deputati del gruppo comunista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, noi seguiamo con molta preoccupazione i passi del Governo sulla questione posta dall'arrivo in Italia del leader del PKK Ocalan. Ci allarma molto la condizione di difficoltà internazionale in cui si trova oggettivamente il nostro paese a seguito di questa presenza non voluta dal Governo italiano.
È vero, come ha dichiarato oggi il Presidente del Consiglio, che dall'Unione europea e dagli amici Stati Uniti d'America vengono parole di incoraggiamento verso l'Italia e che gli stessi rapporti con la Turchia, paese - non lo dimentichino né l'onorevole Grimaldi né l'onorevole Mantovani - nostro alleato militare nella NATO già da molti anni, stanno perdendo le asprezze ingiustificate che avevano caratterizzato


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tali rapporti nei primi giorni; certamente, però, il caso Ocalan ha creato grandi difficoltà al nostro paese e al nostro Governo.
Dobbiamo affermare, ovviamente senza alcuna volontà polemica nei confronti di paesi amici, in qualche caso assai profondamente amici, come la Germania, che l'argomentazione secondo la quale non si può svolgere un processo richiesto con un mandato di estradizione per motivi di ordine pubblico non è giustificata, considerato che l'Italia aveva eseguito un ordine di cattura emesso dalla Corte suprema di giustizia dell'amica Germania.
Devo aggiungere che a noi ha colpito molto anche l'atteggiamento di un altro paese amico, la Russia. Infatti, seppure la Russia aveva ignorato, come ha dichiarato il Capo del Governo di quel paese al nostro ministro degli esteri, l'arrivo dalla Siria sotto falso nome del leader del PKK, a mio avviso, prima della sua partenza tale identità era ben nota. I rapporti di amicizia fra la Russia e l'Italia sono sufficientemente intensi, almeno credo, da giustificare che il Governo di quel paese avvertisse il Governo italiano dell'eventuale desiderio del leader del PKK di abbandonare la Russia e di spostare il centro della sua attività in Italia. Ci saremmo aspettati - e noi chiediamo al Presidente del Consiglio, nei modi che riterrà più opportuni, di farlo presente - che l'Italia venisse informata preventivamente dell'ipotesi dell'arrivo sul suo territorio di un uomo colpito da un mandato di cattura internazionale, un uomo che l'amica Russia non si sentiva di tenere all'interno delle proprie frontiere.
È questo il quadro della situazione nella quale ci troviamo. Signor Presidente del Consiglio, comprendiamo - parlo a nome del gruppo di rinnovamento italiano e del partito repubblicano che ne fa parte - la sua posizione sulla ricerca di una corte internazionale, ma ci consenta di dire, per l'esperienza e la conoscenza che abbiamo di queste cose, che è molto difficile possa nascere una corte internazionale per giudicare questo tipo di ipotesi di reato. Vediamo, infatti, con quanta difficoltà è nata la corte dell'Aja per giudicare i gravi ed evidenti crimini della Serbia e di altri paesi dell'ex Jugoslavia negli anni difficili per la drammatica sorte di quel paese. Credo quindi che questa strada non arriverà da nessuna parte: può darsi che il caso Ocalan consenta di aprire questo capitolo della prevalenza del diritto internazionale sul diritto dei singoli paesi, a cui il Presidente del Consiglio ha fatto cenno; dubito però che sia realistico pensare, per il caso di Ocalan, che nelle prossime settimane si possa veder sorgere dal nulla la corte internazionale e sia così risolto il nostro problema. Dubito anche che un terzo paese voglia occuparsene.
Saremo allora di fronte, onorevole Grimaldi, onorevole Mantovani, onorevole Paissan, al problema di cosa deve fare l'Italia su questo problema, davanti al quale siamo e saremo soli. A me sembra di poter dire, ma non voglio forzare un'interpretazione del Presidente del Consiglio, che nelle sue parole, nella sua insistenza sulla necessità di un processo vi sia sostanzialmente il giudizio (mi dispiace per l'onorevole Paissan e per l'onorevole Grimaldi) che ci troviamo di fronte non ad un esponente politico che possa essere considerato minacciato per avere professato delle idee, ma ad un esponente politico che ha usato anche le armi e l'illegalità al servizio di quelle che speriamo essere le sue idee.
Dico allora all'onorevole Mantovani ed all'onorevole Grimaldi che la causa palestinese è stata riconosciuta molto tempo prima che venisse riconosciuto Arafat come unico interprete di quella causa. Certamente, alle Nazioni Unite, in Europa tutti sapevamo che esisteva un problema palestinese, come sappiamo che esiste un problema curdo, eppure non abbiamo accettato, almeno noi (che eravamo nel Governo Andreotti, ma in dissenso dallo stesso su questo punto) di identificare Arafat con la causa palestinese fino a quando l'OLP non ha rinunziato all'esercizio della violenza e del terrorismo per la difesa della causa palestinese. A noi non sembra che basti una dichiarazione trasmessa attraverso i propri avvocati per


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affermare che siamo di fronte ad una svolta della politica del PKK. Le dico chiaramente, quindi, signor Presidente del Consiglio, avendo parlato con chiarezza altri esponenti della maggioranza, come gli onorevoli Paissan e Grimaldi, qual è la nostra opinione qualora le corti internazionali non possano intervenire, qualora non lo faccia la Germania (che, come lei ha detto, ha già deciso), qualora non vi sia la sede per un processo (e noi pensiamo che non ci sia). Ebbene, in questo caso, riteniamo che non vi siano le condizioni perché l'Italia dia asilo politico al leader del PKK, Ocalan.
La nostra opinione, che del resto coincide con quella che ha esposto in un'intervista il ministro degli affari esteri, è che, esperiti - spero rapidamente - gli ultimi tentativi per verificare se vi sia una sede processuale, l'Italia debba rendere noto al signor Ocalan che egli non è gradito nel nostro paese e debba quindi cercare un paese in cui egli possa essere condotto, possibilmente senza i sotterfugi compiuti dalla Russia nei nostri confronti. In ogni caso, deve essere chiara la posizione del nostro paese nei confronti del diritto internazionale, della comunità internazionale e della stessa Turchia, che non è, onorevole Grimaldi, un paese che possa essere considerato nei termini o secondo la descrizione che lei ne ha fatto, poiché è un paese che per molti aspetti difende un carattere laico degli Stati, che in quella parte del mondo è certamente di qualche importanza difendere nei confronti dell'ondata di fondamentalismo.
Per questi motivi, signor Presidente del Consiglio, ci auguriamo di leggere una mattina che il signor Ocalan ha lasciato il nostro paese e, se non lo avrà fatto di sua spontanea volontà, sarà bene che sia il Governo italiano a decretarne l'espulsione e ad accompagnarlo alle frontiere (Applausi dei deputati dei gruppi di rinnovamento italiano, di forza Italia e misto-CCD).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'impegno per la difesa dei diritti dell'uomo e delle nazioni è - e deve essere - il pilastro fondamentale della politica estera italiana: parlo di diritti fondamentali della singola persona umana, ma anche delle nazioni, perché non è possibile esercitare pienamente tali diritti, se non all'interno di quei contesti naturali, che sono prima la famiglia e poi la nazione.
Partendo da tale principio, credo che dobbiamo affermare in questa sede la nostra solidarietà verso il popolo curdo, che è effettivamente oggetto di un tentativo drammatico, che dura da almeno 80 anni - e forse anche più -, di estinguerne il diritto alla libera espressione. Allo stesso tempo, l'identico principio - e non un altro - ci obbliga a rifiutare in modo incondizionato il terrorismo, cioè l'uccisione indiscriminata di persone innocenti, come strumento per il perseguimento di fini politici. Non esiste nessuna causa, neanche la più santa o la più nobile, la quale giustifichi il ricorso all'arma del terrorismo: questo vale sia per il terrorismo di movimenti di liberazione, i quali infangano se stessi e la propria causa, accettando quello strumento, sia per il terrorismo di quei Governi che, per mantenere la loro presa e affermare i loro diritti, veri o presunti, del medesimo strumento facciano uso.
Se siamo fedeli a questi principi, ci rendiamo conto immediatamente della difficoltà, nella quale ci troviamo, di dare una soluzione equilibrata al problema sorto con l'arrivo del signor Ocalan nel nostro territorio. Aggiungo che dobbiamo essere guidati anche dalla volontà di incrementare l'amicizia con il popolo turco e favorire un rapporto positivo della Turchia con l'Europa.
Come si configura la situazione presente, alla luce di questi principi? Credo che dobbiamo dire che è corretto il comportamento del Governo, che ha fatto arrestare Ocalan al suo arrivo in Italia e poi ne ha garantito la custodia e la protezione dopo che la magistratura lo aveva rimesso a piede libero. È scorretto,


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invece, il comportamento del Governo tedesco, che ha emesso due mandati di cattura internazionali e non ha più chiesto l'estradizione. Lasciate che lo dica io, che mi considero amico del popolo tedesco: questo è un comportamento da Welschen, che vuol dire terroni; per informazione degli amici della lega, ricordo che in Germania si è considerati terroni a partire dal passo di San Bernardino, che segna il confine fra i Grigioni e il canton Ticino: dico questo a scanso di equivoci.

GIANCARLO GIORGETTI. Noi del nord non ci offendiamo!

ROCCO BUTTIGLIONE. Si tratta di un comportamento che i tedeschi sono soliti considerare come privo di quella Grünchkeit, cioè coerenza, ed Ernst, cioè serietà...

PRESIDENTE. Abbia pietà per gli stenografi, onorevole Buttiglione!

ROCCO BUTTIGLIONE ...che dovrebbe caratterizzare il loro popolo. Non è scorretto - ed io lo comprendo, come ha detto anche il Capo del Governo -, che non vogliano processare Ocalan, perché questo significherebbe verosimilmente attirare sul proprio territorio il terrorismo del PKK, le reazioni dei turchi ed un mare di guai, che vanno contro i legittimi interessi tedeschi. È scorretto, invece, aver emesso non uno, ma due mandati di cattura internazionali - l'ultimo dei quali non troppo tempo fa - e poi non aver chiesto l'estradizione.
Mi permetto sommessamente di osservare che forse si potevano far valere con più energia le nostre ragioni davanti al Governo tedesco rivendicando la scorrettezza di questi comportamenti, che gettano un'ombra - voglio dirlo con chiarezza - sul nuovo Governo di sinistra tedesco e sulla sua volontà di essere coerente rispetto agli impegni della lotta internazionale contro il terrorismo. Ciò sembra legittimare i dubbi che sono stati sollevati sulle passate compromissioni di qualche membro di quel Governo con gruppi terroristici, anche perché non è l'unico caso (ricordo il caso Klein, nel quale il Governo tedesco si mostra straordinariamente oscillante ed incerto su questo tema fondamentale).
Un'altra considerazione. Il Governo non è stato informato, ma i servizi segreti non gli hanno detto nulla perché non sapevano nulla. Forse avrebbero dovuto sapere qualcosa: forse quando in questioni così delicate i servizi segreti non sanno nulla, c'è qualcosa che non funziona nei servizi segreti.
Devo aggiungere che è stato scorretto anche il comportamento di rifondazione comunista, che ci ha regalato un ruolo da protagonisti in una questione nella quale non abbiamo né l'interesse né la possibilità di giocare questo ruolo. Il problema certo ci tocca, in quanto europei, ma su di esso, per numerose ragioni, non abbiamo né l'interesse né la possibilità di esercitare un ruolo guida.
A questo punto si pone la domanda: che fare? È il titolo di una famosa opera di Cernysevskij, ripreso da un rivoluzionario bolscevico ed anche da Maritain in un capitolo di un suo libro. Non possiamo consegnare Ocalan al Governo turco e non solo perché in quel paese vi è la pena di morte, ma anche perché - diciamo la verità - sarebbe come consegnarlo nella mani dei suoi nemici, che non sono in grado di fargli un processo equo. Del resto la democrazia turca è fragile ed è sotto tutela dei militari. Di questa situazione non soffrono solo i curdi, ma anche gran parte del popolo turco, che si è riconosciuto in partiti islamici che sono stati messi fuori legge in modo indebito (e l'Europa non ha protestato), con l'effetto di spingerli verso una radicalizzazione integralistica. Vorrei ricordare che, mentre il mondo si è giustamente mobilitato per Salman Rushdie (in quanto era stato oggetto di una condanna per fortuna non eseguita), non si è mobilitato e non si mobilita per i tanti intellettuali islamici che languono nelle galere turche per aver espresso le loro opinioni. Non dovremo meravigliarci se verrà fuori un islamismo


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integralista anche in Turchia. Sono questioni che dobbiamo fare presenti con franchezza al Governo turco.
Assumiamoci la nostra responsabilità verso i curdi non concedendo indebiti favori ad Ocalan, ma dicendo con chiarezza che la Turchia non entrerà nell'Unione europea fino a quando non si sarà data solide strutture democratiche, capaci di rispettare sia il diritto dei turchi sia i diritti dei curdi.
Non possiamo consegnare Ocalan alla Germania, che potrebbe fargli un processo equo ma non vuole né siamo tenuti a processarlo in Italia, perché non ha commesso reati sul nostro territorio. Diciamo poi la verità: non siamo giudici nel conflitto politico che oppone i turchi ai curdi, e sarebbe molto difficile condannare il terrorista Ocalan (se ci fossero le prove) senza condannare contemporaneamente la causa del popolo curdo, con il quale vogliamo invece essere solidali, anche se ci auguriamo sia difesa da uomini che abbiano il sacro rispetto della vita umana e che siano in grado di sostenerle con strumenti diversi dalla violenza militare e dal terrorismo.
Non sarà facile, Presidente, celebrare per Ocalan un processo internazionale. Sarebbe desiderabile, ma non sarà facile. Qui scontiamo il ritardo registrato nella piena attuazione di tutti quei princìpi che rappresentano i pilastri di Maastricht, che non è soltanto il trattato della moneta unica. Il problema è determinato dalla mancanza di un comune spazio giuridico europeo o, quanto meno, dal fatto che questo comune spazio giuridico è stato appena abbozzato e non funziona (come il caso Ocalan mostra chiaramente, per colpa principale - lo ripeto - del Governo tedesco).
Possiamo concedere a Ocalan l'asilo politico? Badate, io non sarei contrario, ma siamo sicuri di sapere esattamente che cosa significhi asilo politico? Asilo politico significa che ad Ocalan sarebbe garantito il diritto alla vita e all'esistenza sul territorio italiano, in cambio della rinuncia a svolgere qualunque attività politica e in cambio dell'uscita dal conflitto con il governo turco.
Siamo sicuri che Ocalan è disposto ad accettare tale condizione? Io non ne sono affatto sicuro. A me sembra - non nascondiamoci dietro un dito - che l'operazione Ocalan abbia un chiaro significato politico: si vuole costituire in Italia un governo curdo in esilio, che sia la controparte politica dell'azione militare e terroristica svolta sul territorio turco e, quel che è peggio, anche sul territorio di altri paesi, che non c'entrano nulla e che hanno il diritto di non essere trascinati in quel conflitto.
Un tempo, i comunisti internazionalisti ritenevano che ogni guerra civile fosse causata dal capitalismo internazionale e che gli atti di guerra fossero leciti sul territorio dei paesi centrali delle moderne economie di mercato. Questo è un atteggiamento che non possiamo assolutamente accettare: non possiamo permettere che in Italia si costituisca una centrale operativa politica, ma legata a centrali militari e terroristiche.
Ocalan non intende certo rinunciare all'attività politica, non intende rinunciare all'attività militare, ma ha soltanto dichiarato di ritenere che l'attività militare non basta, che bisogna arrivare ad una trattativa (ed intende usare la forza militare per arrivare alla trattativa nelle migliori condizioni). Tuttavia, non è chiara la distinzione tra forza militare e terrorismo.
Credo, quindi, che dovremmo invitare il Governo ad esperire ogni tentativo per svolgere un processo internazionale, pur sapendo che ciò sarebbe molto difficile nei tempi brevi richiesti dal nostro ordinamento giuridico. Qualora ciò non fosse possibile, ritengo che dovremmo invitare il Governo ad esercitare una azione persuasiva su Ocalan, perché trasferisca altrove la propria residenza; azione persuasiva per la quale non mancano gli elementi e che sarà non resa difficile, se sarà chiaro che comunque non intendiamo consentire che l'Italia divenga il centro politico del movimento curdo internazionale (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDR).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Comino. Ne ha facoltà.

DOMENICO COMINO. Signor Primo ministro, appena quindici giorni fa trattammo il caso Ocalan e torniamo a trattarlo di nuovo oggi. A mio giudizio, è un bene che ciò avvenga, perché sul tavolo non vi è soltanto il caso personale del leader del PKK, bensì il destino del popolo curdo che legittimamente aspira alla propria libertà negatagli con la forza da uno Stato - quello turco - solo apparentemente democratico.
Vorrei citare, signor Presidente del Consiglio, un passo da una pubblicazione inviataci da una associazione estera (credo ne faccia parte la signora Danielle Mitterand, un nome che è una garanzia) secondo la quale su 800 mila uomini delle forze armate turche - che costituiscono la seconda armata della NATO -, più di 300 mila sono stazionati nel Kurdistan. Questo sforzo bellico pesa sul budget dello Stato turco per almeno 8 miliardi di dollari all'anno.
È un bene che si parli di libertà del popolo curdo, anche perché ciò ci consente una concreta riflessione sulla, ancora una volta, inconsistente politica estera italiana.
L'Italia è costretta a ricercare, senza trovarli, appoggi a destra e a sinistra, per individuare soluzioni politiche inesistenti, ma soprattutto per dimostrare - in questa occasione come in altre - la vacuità e l'ipocrisia dei cosiddetti organismi sovranazionali voluti dagli Stati nazione - si chiamino essi Consiglio d'Europa, Unione europea o ONU -, che mostrano tutta la loro incapacita e limitatezza di funzioni.
È vero, la politica estera italiana da sempre ha subito i diktat di Washington, di Bonn, di Parigi recentemente, di Bruxelles. In questo frangente si evidenziano ancora una volta i limiti della Farnesina, indipendentemente dal ministro degli affari esteri pro tempore, che a suo dire, sarebbe stato l'unico a non sapere dell'arrivo di Ocalan in Italia.
Ma ci sono anche i limiti dei cosiddetti servizi di informazione e sicurezza, sui quali oggi si vorrebbero scaricare responsabilità che sono invece collettive, quasi ad individuare un unico capro espiatorio di una situazione ben più complessa e articolata.
Signor Presidente del Consiglio, nella sua precedente informativa lei ha affermato che i servizi erano stati allertati sin dal 16 ottobre scorso e che il CESIS (Comitato di coordinamento dei servizi) con nota scritta ha informato l'11 novembre sia il SISMI che il SISDE sulla probabile venuta di Ocalan in Italia, sulla base di informazioni raccolte dalla stampa turca e senza che dagli stessi SISMI e SISDE, pur nel limitato tempo a disposizione, si desse riscontro all'informativa del CESIS.
Noi non crediamo alla teoria del complotto organizzato dai servizi segreti russi all'insaputa di quelli italiani, ma se così fosse cosa ci stanno a fare il SISMI e il SISDE, che tra l'altro costano un sacco di quattrini ai contribuenti (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania), e sulla gestione dei quali il Parlamento non può pronunciarsi nonostante la parvenza di democraticità data dal Comitato parlamentare di controllo sui sistemi di informazione e di sicurezza?
Di fatto le preoccupazioni principali dell'attuale Governo ma anche di autorevoli opinionisti riguardano la decisione di concedere o meno asilo politico al capo del PKK. Queste preoccupazioni derivano principalmente dall'accusa specifica di terrorista mosse ad Abdullah Ocalan.
Ma cos'è il terrorismo? È il solito vecchio dilemma tra criminali e patrioti! La logica della storia ci ha fatto spesso chiamare criminali gli sconfitti e patrioti i vincitori, ma con una labilissima linea di demarcazione.
Signor Presidente del Consiglio, colleghi, in Turchia intorno al 1918-1920 visse un uomo chiamato Mustafà Kemal, ma conosciuto dagli storici come Ataturk: padre dei turchi. Ataturk diede un impuso democratico al paese, cercò di trasformarlo e di portarlo vicino alle democrazie occidentali; ad Ataturk venne riconosciuto


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lo status di esule politico proprio in Italia, perché all'epoca ricercato come criminale e quindi come terrorista dai progenitori di coloro che oggi vorrebbero la testa di Ocalan. Ataturk non considerò storicamente il problema del popolo curdo perché il contesto storico di quegli anni era sostanzialmente differente, ma proprio questo sta a dimostrare la labilità della linea di demarcazione tra patrioti e terroristi. Noi non siamo stati interpellati in merito, ma se fosse dipeso da noi avremmo vivamente sconsigliato il signor Ocalan a venire in Italia vista la situazione in cui sono incorsi alcuni cittadini padani, parlamentari e non, che si sono visti recapitare avvisi di garanzia con accuse che prevedono il carcere a vita semplicemente per aver manifestato pensieri e opinioni legati al principio di autodeterminazione dei popoli (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!
L'etica del tempo di pace è sostanzialmente diversa da quella del tempo di guerra. Varrebbe ancora il positivo giudizio sulla resistenza di cui molte forze politiche si sono fatte promotrici e dal quale hanno tratto anche, forse, le loro fortune, se il corso della storia fosse stato diverso?
In fondo, chi parla di soluzioni politiche e di percorsi pacifici, dedicando a ciò congressi internazionali inconcludenti, deve rendersi conto che non esistono meccanismi internazionali e organi efficaci a tali fini, visto che i cosiddetti diritti umani sanciti dalla Convenzione di Ginevra e il principio di autodeterminazione dei popoli, fondamento della Carta delle Nazioni Unite, rimangono, per le situazioni contingenti (e non solo relativamente al caso curdo), lettera morta e materia di dibattito dei politologi mai applicabili ai casi concreti e in un contesto reale.
Ammesso e non concesso che all'arrivo di Ocalan in Italia si possano attribuire responsabilità collettive, rimane il fatto che oggi il leader del PKK è in Italia e non possiamo pensare neanche lontanamente di estradarlo in Turchia in quanto ce lo vieta non tanto e non solo il principio costituzionale dell'articolo 10, ma soprattutto l'etica morale di persone che antepongono agli interessi del potere costituito il primato dei popoli all'autodeterminazione.
Del resto, io dubito che, se si dovesse estradare Ocalan in Turchia, costui potrebbe raggiungere incolume la sede di un eventuale processo.
Voglio ricordare, inoltre, che la Francia, in tempi non molto lontani, ha ospitato personaggi che in Italia venivano considerati terroristi senza che l'Italia abbia mai pensato di bloccare, o comunque boicottare, l'importazione dello champagne o del camembert. Dico questo per ricordare che l'atteggiamento dello Stato turco nei confronti dell'imprenditoria e delle merci italiane è tipico di chi gode di scarsa credibilità sul piano internazionale.
Noi rimaniamo perplessi, ad esempio, di fronte al fatto che componenti un Governo sfiduciato da un Parlamento continuino ad alzare i toni di voce e a rivolgere minacce contro le nostre imprese e la nostra imprenditoria.
Con tali atteggiamenti la Turchia pensa davvero di essere sulla buona strada per diventare un membro dell'Unione europea? E quando ciò dovrà essere deciso, quale sarà il giudizio di ammissibilità dell'Italia? Né serve da parte italiana cercare sponde inesistenti presso quei paesi che, pur godendo di una consistente credibilità internazionale, non sono disposti a cederne una parte ad esclusivo vantaggio dell'Italia. Riteniamo parimenti difficilmente praticabile l'istituzione di un tribunale internazionale per giudicare Ocalan sulla base della convenzione contro il terrorismo del Consiglio d'Europa. Il motivo è molto semplice: chi dovrebbe farne parte e chi dovrebbe esserne escluso? Sarebbe veramente garantita l'internazionalità di questa corte speciale?
Allo stesso modo non riteniamo praticabile la strada dell'espulsione in Russia o, come è stato detto, in un altro paese ad elevata propensione alla tutela dei diritti dell'uomo. Infatti, in questo caso, l'Italia ammetterebbe implicitamente di non possedere una specifica vocazione alla tutela


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dei diritti e delle libertà individuali (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Riteniamo inoltre che prima del signor Ocalan dovrebbero essere espulsi, e non regolarizzati come sta facendo l'attuale Governo, centinaia di migliaia di extracomunitari... (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania) illegali e clandestini poco forieri di progresso economico e sociale e spesso propensi a costituire bacino di manovalanza per la criminalità e la delinquenza.
Abbiamo già affermato, e qui vogliamo ribadirlo, che la strada obbligata è quella della concessione dell'asilo politico e che le forze che la avversano non fanno che confermare la loro concezione elitaria del potere disancorata da qualunque valutazione di ordine morale.
Ci assumiamo la responsabilità di queste nostre dichiarazioni perché a muoverci, come in tutte le nostre scelte, non è il tornaconto elettorale immediato ma è l'avversione congenita allo statalismo e al potere fine a se stesso. La libertà dei popoli è un valore ed un diritto naturale e noi lo anteponiamo a qualunque altra scelta perché siamo per il primato dell'uomo e quindi dei popoli contro i sempre presenti, contingenti, meri e meschini interessi di bottega di qualsivoglia forza politica (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Andreatta. Ne ha facoltà.

BENIAMINO ANDREATTA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, il dramma del conflitto che oppone il Governo turco alle minoranze curde è un grave problema internazionale che rischia, in una spirale di terrorismo e di controterrorismo, di pregiudicare i più fondamentali diritti umani e di bloccare lo sviluppo democratico di un paese amico.
È per questo che auspichiamo un'adeguata attenzione per la questione da parte della comunità internazionale. L'Italia, infatti, ha costantemente affermato i diritti delle minoranze e nello stesso tempo si è adoperata a distinguerli, come abbiamo sostenuto nel caso del Kosovo, dagli obiettivi della secessione e della disgregazione degli Stati.
La questione che affrontiamo qui oggi è però solo parzialmente influenzata dalla natura politica della lotta del popolo curdo, in quanto essa tocca presunti crimini, verificatisi durante tale conflitto, che sono comunque ingiustificabili secondo il diritto internazionale e le regole della convivenza tra le nazioni.
In simili circostanze l'obbligo di punire i colpevoli applicando una sorta di giurisdizione universale da parte dei tribunali di ogni paese civile discende, per taluni reati particolarmente odiosi, da convenzioni internazionali sottoscritte anche dal nostro paese. Né la ragione di Stato, né la ragione della rivoluzione possono mai essere richiamate per sottrarre un presunto reo alla giustizia quando si tratti di torture, di presa d'ostaggi, di genocidio.
Inoltre, nel caso di terrorismo esiste un vincolo preciso derivante dalla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, firmata sia dall'Italia sia dalla Turchia. Il tribunale di Norimberga, il tribunale de l'Aja per la ex Jugoslavia, quello per il Ruanda e da ultimo la Corte internazionale creata proprio qui a Roma quest'estate sanciscono un'innovazione fondamentale nelle regole che governano i rapporti tra le genti: la responsabilità personale dei Capi degli Stati e dei movimenti per gli atti commessi in guerra è parte integrante del sistema di sicurezza collettiva teso a mantenere la pace.
Questa è la posizione consolidata del diritto internazionale costruito negli ultimi cinquant'anni a cui il nostro paese, anche per l'opera dei suoi maggiori statisti, ha dato un contributo decisivo. Il ricordo di Aldo Moro e della sua paziente tessitura alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa sottolinea la continuità tra le più alte tradizioni civili e giuridiche del nostro paese e questi nuovi sviluppi del diritto delle genti.


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Questi dunque i punti fermi per affrontare la questione che ci sta di fronte. Nei primi giorni dopo l'arrivo di Ocalan in Italia, la tradizionale simpatia per le popolazioni curde, la scarsa informazione sul complesso della vicenda, l'alone romantico che circonda ogni guerrigliero che operi in un ambiente povero e depresso avevano suggerito all'opinione pubblica, ma anche a molti colleghi in quest'aula, la possibilità di esaminare senza prevenzioni, ma anzi con un pregiudizio favorevole, la sua domanda di asilo politico.
Nella risposta alle dichiarazioni di due settimane fa del Presidente del Consiglio, parlando a nome del gruppo dei popolari, l'onorevole Soro aveva già allora messo in guardia dai pericoli che l'asilo potesse coinvolgere il nostro paese nella situazione indesiderabile e sbagliata di un quartier generale e di una retrovia di un esercito di ribelli, incompatibile con la nostra posizione internazionale e con gli obblighi delle nostre alleanze.
Da qui la nostra interrogazione intesa a porre paletti ben precisi ad un eventuale provvedimento di asilo: rinuncia a svolgere ogni attività politica in Italia e rinuncia alla guerriglia armata, invitando a fare altrettanto i suoi seguaci ovunque si trovino, nel suo paese o all'estero.
Nuove circostanze intervenute nell'ultima settimana sembrano rendere più ardua una simile decisione. Innanzitutto, l'intervento radiofonico dell'esponente curdo che, nonostante la sua precaria situazione giuridica attuale, ha parlato come leader di guerra del suo movimento, minacciando di aumentare la pressione e la violenza contro le autorità turche, se le sue proposte non fossero state accettate.
Dopo queste dichiarazioni, sembra difficile ipotizzare che egli possa vivere come esule pacifico nel nostro paese, senza trarre profitto dalla libertà che gli sarebbe garantita per continuare attivamente le sue lotte e la sua propaganda.
In secondo luogo, si sono meglio chiarite le circostanze della sua entrata in Italia, frutto di un raggiro che ha fatto trovare le autorità italiane di fronte a un fatto compiuto da parte delle autorità russe, di esponenti parlamentari italiani e con una complicità almeno passiva dello stesso Ocalan.
Sono emerse, infine, ipotesi di gravi crimini contro l'umanità da parte del PKK, denunciate dal rapporto appena pubblicato da Human Rights Watch che fornisce testimonianze su venticinque massacri perpetrati dopo il 1992 con molte centinaia di vittime innocenti.
Questi elementi, assieme ad altre circostanze che potessero emergere dalla documentazione fornita a sostegno della richiesta turca di estradizione e dalle indagini che hanno indotto il procuratore tedesco a emettere il mandato di cattura, saranno certamente valutati nel modo più scrupoloso dalla commissione cui è affidata la decisione sulla concessione dell'asilo politico.
Prima che questa procedura possa iniziare, le nostre autorità giudiziarie e di Governo dovranno, tuttavia, decidere sulla domanda di estradizione. La lettera del testo dell'accordo di Schengen ha permesso alla Germania di non presentare una tale domanda anche dopo che le autorità italiane, per eseguire l'ordine di un magistrato tedesco, hanno proceduto al fermo dell'indiziato. Si tratta di una lacuna nella tecnica di scrittura del trattato che dovrà essere emendata al più presto con un accordo aggiuntivo tra le parti, per evitare che si ripresentino in futuro comportamenti altrettanto incoerenti che rischiano di incrinare la solidarietà tra i popoli europei.
Rimane la domanda turca che richiede l'intervento dei magistrati nel merito e a cui non possiamo limitarci a fornire una risposta preliminare, in base alla nota impossibilità che discende dalla nostra Costituzione di consegnare ad un paese terzo in cui vige la pena di morte persone incriminate di reati che prevedono appunto tale pena.
Nel dibattito giudiziario sull'estradizione potrà emergere se l'esponente curdo è accusato di reati per i quali le convenzioni internazionali impongono l'obbligo di giudicare l'indiziato nel paese che


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rifiuta l'estradizione e presso i suoi tribunali. È il principio che i lord britannici, che hanno esaminato il caso Pinochet, hanno definito aut dedere aut iudicare.
Certo, il Governo dimissionario turco ha istigato l'opinione pubblica contro l'Italia ed ha pronunciato minacce che hanno suggerito l'embargo commerciale e, persino, l'ipotesi di una ritorsione attraverso azioni terroristiche contro il nostro paese.
Le procedure legali della nostra giustizia e il verdetto di un nostro tribunale, che non potrebbe non prendere in considerazione anche gli argomenti della difesa relativi ai comportamenti dell'autorità turca nella campagna antiguerriglia, potrebbero in questo clima di tensione esacerbare i sentimenti di un popolo che, nonostante le strumentalizzazioni politiche dei suoi governanti, continuiamo a considerare amico ed alleato.
Per questo motivo, il Governo si è proposto correttamente di avvalersi della convenzione del Consiglio d'Europa che prevede il trasferimento del processo presso il tribunale di un altro paese firmatario della convenzione che si dichiari disponibile a svolgere il giudizio o a promuovere con sollecitudine la creazione di una corte internazionale ad hoc.
Signor Presidente del Consiglio, l'espulsione è apparsa a molti - e anche a qualche suo ministro - la strada più diretta per tutelare il nostro interesse nazionale e la tranquillità dei nostri concittadini, ma un tale corso di azione ci sarà permesso soltanto se Ocalan risulterà innocente rispetto ad ipotesi di reato che ci impongono l'estradizione oppure il giudizio presso nostri tribunali o presso quelli di un paese amico o di una corte internazionale.
Giudicare Ocalan è certo un impegno gravoso e, ammettiamolo pure, non libero da rischi; saremmo stati tutti grati al Governo russo e all'onorevole Mantovani se non ce li avessero voluti caricare sulle spalle (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo e di deputati del gruppo di forza Italia). Proprio per uscire dal disordine delle relazioni tra gli Stati abbiamo faticosamente scelto di sottoporci a regole che vincolano la nostra sovranità ed oggi, come il Socrate del Critone, anche gli Stati debbono rispettare le norme legittime da essi stessi sottoscritte. Accettare questo rischio con animo risoluto sarà forse il contributo più importante che l'Italia può fornire per umanizzare le tensioni del conflitto e per indurre i turchi della pianura e i turchi della montagna, come il governo di Ankara si compiace di definire i curdi, ad affrontare con lo spirito di compromesso della grande politica e con la tavola dei diritti dell'uomo il loro sanguinoso confronto.
Il paese si aspetta che il Governo con fermezza e dignità sappia, in questa congiuntura delicata, interpretare valori ed interessi condivisi, avendo superato una fase in cui è sembrato percepirsi quasi un eccesso di affanno ed un contrasto di componenti - parola che avremmo preferito archiviata per sempre - per riflessi condizionati o per una mal riposta fedeltà a vecchie bandiere (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e dei democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, conoscendo la vita di Bonn, dove ho vissuto per sette anni, credo di non andare lontano dall'immaginare - immaginare soltanto, signor Presidente del Consiglio - di che cosa, con parole più diplomatiche di quelle che userò io, le deve aver parlato il Cancelliere Schroeder: siete andati a prenderlo a Mosca, voi italiani - o almeno un italiano - per portarlo a casa vostra, tenetevelo! Tradotto in una brutale, ma forse non troppo, sintesi questa è la ragione principale del Cancelliere socialdemocratico Gerard Schroeder per rifiutare a lei, signor Presidente, l'estradizione in Germania del capo del PKK, a proposito del quale sarà sempre bene dire che non rappresenta il popolo curdo, ma una parte di questo. Mi sembra che questo sia un punto da sottolineare.


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Abdullah Ocalan, che la magistratura tedesca accusa di aver ordinato assassini nella stessa Germania, è ricercato anche dagli Stati Uniti d'America e dalla Turchia per questi delitti e per i modi con cui conduce la guerriglia per la riunificazione - perché, cari onorevoli Grimaldi, Zeller e Comino, non credo sia un atto di liberazione quello di uccidere donne e bambini, non credo davvero che questo significato possa essere assegnato (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale) ad una lotta di liberazione condotta anche con i metodi più forti -, ma è stato un rappresentante della nazione, quale secondo la Costituzione italiana è ogni parlamentare, a recarsi nella capitale russa per prelevare questo personaggio, trattato da buona parte della sinistra e anche dall'onorevole Bossi come un eroe del popolo curdo; lo ha poi assistito durante tutto il viaggio e lo ha fatto sbarcare nella nostra capitale.
È inutile che ricordi il nome, perché lo sapete bene e ha parlato poco fa: si tratta dell'onorevole Ramon Mantovani, che è responsabile esteri di rifondazione comunista.
Poniamoci una domanda chiave: lo sapevano solo lui ed il suo segretario politico Bertinotti - come i due vogliono farci credere - o lo sapeva anche qualche altro esponente della sinistra al Governo o all'opposizione?
Onorevole D'Alema, credo che da qui non si possa uscire (è l'unico punto sul quale sono d'accordo con l'onorevole Comino): credo che noi abbiamo servizi di sicurezza che non hanno funzionato o, se come io penso, hanno funzionato ed hanno allertato il Governo, questo non ha fatto tutto quello che era necessario per tentare di ricordarci che colui il quale stavamo per ospitare era un personaggio che lei stesso, onorevole Presidente del Consiglio, ha definito terrorista.
Tutto lascia credere dunque, nonostante le smentite ufficiali, che quanto meno sia stato preparato un terreno favorevole a Roma per la concessione dell'asilo politico: soluzione preferita e dichiarata non solo da rifondazione comunista e dai verdi, ma anche da molti esponenti del partito suo e di Veltroni e perfino da qualche popolare (mi sembra). Così la sua ragione forte, onorevole D'Alema, davanti ai tedeschi che l'Italia avrebbe compiuto il suo dovere, arrestando Ocalan (ragione sulla quale lei ha insistito a difesa di tutto il suo operato), secondo gli accordi di Schengen, diventa debole fino a cadere nel nulla, dato appunto che è stato un rappresentante della nazione italiana a permettere ad Ocalan di sbarcare a Roma.
Onorevole Presidente del Consiglio, se l'Italia voleva proprio compiere una buona azione per aiutare la causa curda, avrebbe dovuto fare almeno alcuni degli atti che mi accingo ad indicare.
Il governo di Ankara, quando ancora Ocalan si trovava prima in Siria e poi a Mosca, aveva avvertito che con tutta probabilità il terrorista curdo avrebbe tentato di entrare in Italia. Dopo la riunione del cosiddetto parlamento curdo in esilio a Roma ed i viaggi che l'onorevole Ramon Mantovani si è addirittura vantato pubblicamente - come se si trattasse di un merito - di avere fatto in Medio Oriente per incontrare Ocalan ed altri esponenti del PKK, il deputato di rifondazione comunista poteva essere individuato come un intermediario per l'arrivo di Ocalan in Italia. Che cosa hanno fatto i servizi italiani per mettersi alle costole di Ocalan in qualche parte del mondo, visto che i servizi debbono fare anche questo?
Vi è di più: di fronte a tale ipotesi, il Governo italiano ha fatto passi diplomatici presso la Germania in quel periodo di tempo in cui Ocalan non era ancora arrivato in Italia per sapere se, in caso di arrivo a Roma di questo terrorista, l'Italia potesse «rimetterlo» all'autorità di polizia giudiziaria della Germania che ne aveva avanzato la richiesta?
E se avesse già allora avuto la certezza che Bonn non l'accoglieva, bisognava impedire - questo è il punto! - che Ocalan scendesse dall'aereo russo e rispedirlo immediatamente a Mosca (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale). Qui sì, onorevole Presidente del Consiglio,


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che potevamo cominciare ad avere la solidarietà europea: perché si creava almeno un caso che poteva costituire la premessa politico-giuridico di una soluzione europea. Invece, i dilettanti allo sbaraglio (la definizione ormai celebre è di Bassanini), che albergano anche con lei, Presidente D'Alema, a palazzo Chigi (e che si sono estesi ampiamente al Ministero di grazia, giustizia), si sono talmente ingolfati in un miscuglio di ideologismo pseudo rivoluzionario (l'onorevole Diliberto), di autoelogio (lei, onorevole D'Alema, quando ha fatto la seguente affermazione: «noi soli abbiamo eseguito l'ordine di cattura internazionale»), di lezioni «buoniste» (l'onorevole Veltroni), arrivando fino alla tragicomica conclusione che ritroviamo scritta - si dice «per la penna di lei», onorevole Vicepresidente del Consiglio -, nel comunicato ufficiale del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, secondo il quale i ministri si sono autoespressi unanime apprezzamento reciproco per quel mostro di inefficienza, di ideologismi, di complicità forse con il terrorismo, che i ministri stessi sono stati capaci di costruire; mostro che ha dato un unico concreto risultato negativo: Ocalan è in Italia e, dopo il 23 dicembre, allo stato dei fatti, potrebbe essere persino libero.
Potrei continuare su questa polemica, del resto agganciata a dati di fatto, ma desidero rilevare un altro aspetto. Lei, signor Presidente, si trova ora di fronte a due possibili soluzioni. La prima: cedere a quanti vogliono riconoscere al terrorista del PKK Ocalan il diritto di asilo politico. Ricordo che sono tanti all'interno della maggioranza di Governo, a cominciare dal ministro Diliberto e dal partito dei comunisti fino ai verdi di Manconi e Cento, che hanno mandato in avanscoperta l'ineffabile senatore Boco, autore della lettera di invito in Italia ad Ocalan. La seconda: trovare un paese disponibile a toglierci di mano la patata bollente o il fiammifero acceso, ospitando come perseguitato politico un uomo accusato di delitti che un rappresentante della nazione italiana ha fatto entrare in Italia.
Vi è poi un gruppo di persone, diventato molto numeroso, (lei stesso, onorevole Presidente, ha disquisito a lungo sul tema) capeggiato dal ministro di grazia e giustizia Diliberto, che propone la costituzione di un tribunale internazionale per giudicare Ocalan. Auspicheremmo tutti una simile soluzione per i delitti contro l'umanità, ma, nel caso specifico, lei ritiene davvero che essa sia possibile entro il 23 dicembre prossimo, quando ci troveremo a dover sbrogliare questa difficilissima matassa? Io no. Può pensarlo solo l'intelligente e utopica sinistra che ci governa in questo momento.
Il Governo di sinistra del Cancelliere Schroeder ha rotto ogni solidarietà europea - è vero, dobbiamo rimproverarlo per questo -, anzi per lei, onorevole D'Alema, ha rotto persino ogni spirito di internazionale socialista, badando egoisticamente agli interessi tedeschi per non giudicare un uomo che può scatenare una guerriglia fra turchi e curdi contro i tedeschi.
Una conclusione (addirittura troppo blanda e generosa per D'Alema) della vicenda che danneggia l'Italia - basti pensare all'aspetto economico che, seppure secondario rispetto ai problemi di carattere politico generali coinvolti nella stessa, ha recato danni irreparabili - è quella tratta da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Egli ha scritto: «D'Alema si gloria di averlo fatto arrestare, ma così facendo Ocalan è stato accolto; il Governo è stato dunque sprovveduto, sprovvedutissimo: Ocalan è in Italia perché il nostro paese è stato più fesso di altri in Europa» (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Lei si vanta del fatto che il nostro Governo ha rispettato meglio degli altri atti giuridici nel rispetto della Costituzione; è vero, ma esiste anche un atto politico: la difesa della sicurezza dei nostri cittadini. Ritengo che, ospitando il signor Ocalan, la mettiamo in pericolo.
Mi auguro che, in uno spirito questa volta davvero bipartisan (intanto dovreste trovare uno spirito unitario tra voi componenti del Governo perché vi contraddite),


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lei trovi la sola soluzione che ancora può essere trovata per difendere i nostri interessi, il nostro spirito, la nostra libertà: il signor Ocalan deve essere espulso dall'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, vorrei permettermi innanzitutto di rassicurare il Presidente del Consiglio, che ha accennato ad un certo grado di eccitazione che caratterizzerebbe questo dibattito. Le posso assicurare, onorevole D'Alema, che è senza eccitazione ma con altri sentimenti che io prendo la parola su questo caso. Il fatto è che sulla vicenda Ocalan il Governo ha detto o ha fatto intendere alcune inesattezze. La prima è che si tratti di un problema che ci è piovuto addosso senza alcuna nostra responsabilità: il destino «cinico e baro» si sarebbe accanito sul nostro Governo imponendogli un problema alla cui creazione esso è del tutto estraneo. Questa tesi è falsa e per smentirla basterà ricordare alcuni fatti, peraltro noti.
Il 22 settembre scorso il ministro dell'interno pro tempore Giorgio Napolitano ha firmato a Roma un accordo di cooperazione fra il Governo della Repubblica italiana e quello della Repubblica di Turchia sulla lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al riciclaggio di proventi illeciti, al traffico illegale di stupefacenti, sostanze psicotrope e di esseri umani. In base a tale accordo, le parti contraenti concordano sul fatto che la cooperazione includerà la ricerca dei latitanti responsabili dei reati in questione. Se, come si sostiene adesso da parte di esponenti del Governo (e non solo di esponenti del Governo, come lei ha riconosciuto, onorevole Presidente del Consiglio), la Turchia, dove vige la pena di morte, non è un paese verso il quale sia possibile estradare persone ricercate dalla giustizia locale, perché si è stipulato quell'accordo? È pensabile che il Governo italiano si impegni a cooperare con il Governo turco per la ricerca di latitanti, consapevole che quella cooperazione non possa condurre alla consegna del latitante stesso alla giustizia turca? Se è così, che senso avrebbe quella cooperazione?
Badate bene, colleghe e colleghi, che non si tratta di una storia vecchia. Quell'accordo ha solo un paio di mesi di vita, né è stato sottoscritto da una maggioranza politica diversa da quella attuale. Quanto vale, onorevole Presidente del Consiglio, la parola, l'impegno internazionale, la credibilità di un paese che sottoscrive un accordo che sa di non essere in grado di rispettare (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)?
Ed ancora: come lei ha ricordato in più di una occasione ed anche stasera, il 16 ottobre scorso, in evidente attuazione dell'accordo in questione, le autorità turche informano il Ministero degli affari esteri italiano dell'intenzione di Ocalan di venire in Italia e dello pseudonimo che intende usare. Del resto, anche in assenza dell'informativa da parte turca, che Ocalan si trovasse a Mosca era di pubblico dominio ed era facile prevedere - lei stesso lo ha riconosciuto - che potesse avere intenzione di venire in Italia. Sorvoliamo su un quesito che pure ha la sua importanza (come mai i servizi turchi si rivolgono al Ministero degli affari esteri e non ai loro omologhi italiani?) e chiediamoci invece cosa abbia fatto il Governo italiano, investito della cosa, per prepararsi all'evento.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che era «ragionevole attendersi che Ocalan potesse venire nel nostro paese. Pertanto» - continuo a citare - «il Governo aveva doverosamente allertato i servizi di sicurezza».
Sorvolo, onorevole Presidente del Consiglio, sull'involontario umorismo di questa inversione dei ruoli: servizi di sicurezza che vengono informati dal Governo anziché il contrario (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD). Mi chiedo, onorevole D'Alema, per fare cosa siano stati allertati. Non dimentichiamo che dal 16 ottobre,


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giorno dell'informativa turca, al 16 novembre, quello di arrivo di Ocalan in Italia, è trascorso quasi un mese: cosa è stato fatto in tutto quel tempo? È stata informata la nostra ambasciata a Mosca? Si è preso contatto - lo ha ricordato l'onorevole Selva - con le autorità tedesche per appurare se intendessero davvero dare seguito al mandato di cattura richiedendo l'estradizione?
Onorevole Presidente del Consiglio, avrebbe dovuto essere agevole per questo Governo, che sostiene di avere rapporti privilegiati con il nuovo Governo tedesco, appurare quali fossero le sue intenzioni. Stupisce che il 17 novembre, vale a dire oltre un mese dopo che le autorità turche ci avevano ufficialmente informato del possibile arrivo di Ocalan, il Presidente del Consiglio abbia dichiarato alla Camera di essere «in doverosa attesa» delle decisioni della Germania. Se invece di restare in doverosa attesa per oltre un mese, onorevole D'Alema, il Presidente del Consiglio avesse appurato l'orientamento del Governo tedesco prima dell'arrivo di Ocalan in Italia, il problema non sarebbe sorto (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD).
Colleghe e colleghi, sappiamo per certo che il capo del PKK è stato espulso dalla Siria, allontanato dalla Russia e, anche se la notizia è stata smentita, sembra che sia stato respinto dalla Grecia: evidentemente tutti questi paesi considerano indesiderabile la sua presenza. Ciò non stupisce, essendo il PKK considerato un movimento terroristico non solo dalle autorità turche ma anche da quelle di paesi europei, degli Stati Uniti e da organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani e che hanno credenziali impeccabili, come Amnesty International e Human Rights Watch. Quest'ultima organizzazione, onorevole D'Alema - l'ho appreso da internet - le ha inviato una ammirevole lettera informandola della natura del PKK e delle attività terroristiche del signor Ocalan.
Le autorità svedesi nutrono gravi sospetti sul possibile coinvolgimento del PKK nell'assassinio di Olaf Palme. I mandati di cattura emessi dalla giustizia tedesca riguardano non atti di eroismo politico ma l'eliminazione di dissidenti dello stesso PKK ed il coinvolgimento del partito di Ocalan nel traffico internazionale di droga e di armi è ampiamente documentato.
In queste circostanze non essersi adoperati, pur avendone sia il tempo sia l'opportunità, per impedire l'ingresso di Ocalan in Italia, con tutte le conseguenze che ne sono seguite e che ne seguiranno, è semplicemente irresponsabile (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e alleanza nazionale).
Non è il destino, onorevole D'Alema, ad essere responsabile di questo imbroglio, ma l'approssimazione, l'imprevidenza, l'impreparazione e l'insipienza del suo Governo.
Si ricorda spesso, onorevoli colleghi, che l'affermazione «il fine giustifica i mezzi» non è ammissibile: in realtà l'affermazione è vera per definizione, perché se non è il fine a giustificare i mezzi, non si vede cosa altro dovrebbe giustificarli. Ma coloro che criticano quella tesi sostengono, in realtà, che il fine più alto sia l'uso di mezzi leciti. Sappiamo benissimo, in quanto lo abbiamo imparato sulla nostra pelle, quali conseguenze comporti l'uso di mezzi illeciti per perseguire obiettivi anche desiderabili: onorevole D'Alema, il suo Governo nel gestire tale questione si è esposto, anche se involontariamente, all'accusa di indulgenza nei confronti del terrorismo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD).
La seconda tesi propalata dal suo Governo è che tale comportamento sia stato dettato dalla legge. Il Presidente del Consiglio ha ripetutamente ribadito, anche stasera, di essersi sempre attenuto rigorosamente ai principi dello Stato di diritto. Si ricaverebbe l'impressione che egli abbia inteso fare proprio il motto la vraie force est le droit, la vera forza è il diritto. Onorevole D'Alema, quel motto era di Metternich; con tutto il rispetto, esiste una differenza qualitativa fra la politica estera di quest'ultimo e quella del suo Governo


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(Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD)!
In realtà la sua aspirazione, onorevole D'Alema, sarebbe commendevole, anche se il parallelo con Metternich è forse un po' azzardato, se di questo si trattasse. Ma, onorevole Presidente del Consiglio, non si tratta di ciò ma dello scoperto e ovvio tentativo di sottrarre se stesso e il suo Governo a responsabilità che sono eminentemente politiche. Quando lei ha accennato, sia alla Camera il 17 novembre sia in numerose successive occasioni, alla richiesta di asilo politico, rectius alla concessione dello status di perseguitato politico, ha tentato di accreditare l'idea che si trattasse di questione alla quale il Governo sarebbe estraneo, sostenendo che il Presidente del Consiglio non ha competenza al riguardo, essendo questa demandata ad una apposita commissione costituita presso il Ministero dell'interno. Che la competenza, in una questione squisitamente politica e di così alta rilevanza internazionale, possa essere sottratta al Governo per essere affidata ad un organismo burocratico - mi perdoni, onorevole D'Alema - è semplicemente risibile (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD).
Che dire, infine, dell'idea secondo la quale il Governo sarebbe fedele allo spirito europeo, all'Europa di Schengen? La concessione dello status di perseguitato politico al leader del PKK, ipotesi sollecitata da diversi esponenti del suo Governo e della sua maggioranza, non sarebbe soltanto un insulto ad un paese alleato come la Turchia, ma sarebbe anche una grave provocazione nei confronti della magistratura tedesca, così implicitamente accusata di perseguire Ocalan per ragioni politiche, e di tutti i paesi alleati, che considerano il PKK un'organizzazione terroristica. Altro che spirito di Schengen, onorevole D'Alema!

SERGIO SOAVE. È a loro che manca!

ANTONIO MARTINO. La verità è che questo Governo, ancora più di quello che l'ha preceduto, è sorretto da una maggioranza in cui coesistono linee contrapposte di politica estera; i colleghi mi perdoneranno se ripeto considerazioni che ho già avuto modo di svolgere in altre occasioni. La politica estera, onorevole D'Alema, non è uno dei compiti dello Stato, la politica estera è lo Stato, il suo modo di essere come soggetto di relazioni internazionali. Nella genesi dell'imbroglio e nella sua gestione l'Italia ha dilapidato un patrimonio di affidabilità internazionale che si era faticosamente conquistato nel corso dell'ultimo mezzo secolo (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD).
La crisi attuale è la conseguenza inevitabile dell'aver messo insieme partiti ed esponenti politici che si dicono impegnati a garantire la continuità della politica estera italiana e la fedeltà alle alleanze con partiti ed esponenti politici che hanno una visione diametralmente opposta della politica estera. Non è un caso che un membro del Governo abbia avuto l'impudenza di dichiarare, senza peraltro averne specifico titolo, che la politica estera dell'Italia era cambiata (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, alleanza nazionale e misto-CCD).
L'affermazione, senza precedenti nella storia recente dell'Italia, ha suscitato le critiche assai severe di altri esponenti del Governo, ma i dubbi permangono: qual è la politica estera di questo Governo? La vicenda di Ocalan mostra quanto sia pericoloso ed irresponsabile affidare la credibilità internazionale dell'Italia ad una maggioranza squinternata e raccogliticcia, divisa su tutto ed incapace di decidere persino quando sono in ballo gli interessi vitali dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CCD)!

PRESIDENTE. Onorevole Martino, deve concludere.

ANTONIO MARTINO. Signor Presidente del Consiglio, lei ha considerato ingiusta l'accusa di avventurismo mossa al suo Governo, ma non è questa l'accusa


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che le muoviamo: un avventuriero ha tante caratteristiche negative, ma almeno sa dove vuole andare e cosa vuole realizzare. Non di avventurismo la accusiamo; piuttosto, la accusiamo di qualcosa di molto peggiore: vorremmo che lei riflettesse sul fatto che mai nell'intera storia della Repubblica, mai in alcun paese civile, mai si era dato il caso di un Governo incapace di essere unito nell'interpretare l'interesse nazionale dello Stato come soggetto di politica internazionale! L'esistenza di questa maggioranza divisa su tutto costituisce, più che un danno, un insulto all'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CCD - Molte congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Mussi. Ne ha facoltà.

FABIO MUSSI. Signor Presidente, della possibilità di un arrivo in Italia del leader del PKK l'ambasciata turca aveva informato verbalmente il Governo italiano, e questa notizia l'ha data alla nostra Assemblea il Presidente del Consiglio nella seduta del 17 novembre; ma il suo viaggio da Mosca non era noto, né desiderato, né organizzato da nessuna forza di maggioranza e tanto meno dal Governo. Ho sentito qui molte congetture dietrologiche ma nessuna prova del contrario.
L'ha portato l'onorevole Mantovani di rifondazione comunista?

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo di forza Italia: Sì!

FABIO MUSSI. Tendo a credere che il signor Ocalan si sia portato l'onorevole Mantovani, il che non giustifica la sua azione...

VINCENZO ZACCHEO. Si erano dispersi!

VINCENZO FRAGALÀ. Bella questa!

FABIO MUSSI. L'arrivo ha sollevato delicate questioni di diritto nazionale ed internazionale, di rapporti tra Stati, onorevole Martino, e di indirizzo della politica estera dell'Italia. Per questo, consapevoli di tale complessità, abbiamo, a differenza di molte, troppe voci affrettate e dissonanti, se non anche di qualche pensiero in libertà, proceduto con prudenza, a partire da alcuni capisaldi che dovrebbero essere comuni anche ad altre forze politiche, sia di Governo sia di opposizione.
Non qui, ma nei giorni scorsi, abbiamo sentito l'onorevole Casini avanzare una proposta al Governo: «Bisognava cacciarlo a calci nel sedere»! Che stile! Si vede qui il tratto dello statista, del cristiano e del democratico! L'onorevole Berlusconi, anche lui, caro Selva, citando Sartori, ha detto: «Noi siamo i più fessi». Non oserei contraddirlo; tuttavia, se parla in generale degli italiani e se è fessaggine rispettare leggi e onorare i propri doveri, allora sì, siamo d'accordo con lui: sicuramente non sono stati i più furbi a fare bella figura! No, cari colleghi, un paese civile e democratico, qual è l'Italia, è chiamato a risolvere con senso del diritto, di umanità, di salvaguardia del proprio sistema di relazioni internazionali, un problema che riguarda un singolo individuo ed un movimento politico come il PKK, ma anche il popolo curdo ed i rapporti con un importante paese alleato come la Turchia.
Diciamo subito, cari colleghi, che per noi (come risulta da recenti pronunciamenti collettivi per un ampio arco di forze politiche, di Governo e di opposizione, e fanno fede gli atti parlamentari) una questione curda esiste ed essa è uno degli ostacoli, assieme all'irrisolto nodo di Cipro e all'insufficiente sviluppo della democrazia in Turchia, all'avvicinamento e all'integrazione della Turchia nell'Unione europea. Per tale obiettivo, tuttavia, l'Italia si è impegnata, fin qui, più di altri paesi dell'Unione europea.
L'arrivo in Italia di Abdullah Ocalan ha posto con forza all'attenzione dell'opinione pubblica italiana ed internazionale la vicenda, troppo a lungo ignorata, di questo popolo senza patria (il novecento è pieno di eventi che lo riguardano), di questi 30 milioni di persone - non si può


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cancellare questa parte della questione dalla nostra discussione - a cui viene negato addirittura il riconoscimento del nome, in quanto popolo diviso tra quattro Stati...

NICOLA BONO. Sei fuori tema.

FABIO MUSSI. ... senza il diritto alla propria identità nazionale e culturale, alla propria lingua, senza diritto neppure alla semplice autonomia amministrativa. È quanto chiedono molte delle forze medesime che rappresentano i curdi, vale a dire quelle più coscienti dell'impossibilità di mettere in discussione i confini degli Stati attuali in un'area così delicata, come è il Medio Oriente.
Contro questa posizione ragionevole, in particolare la Turchia, paese in cui vive la maggioranza dei curdi, conduce periodicamente dure offensive militari, che hanno provocato negli anni sofferenze gravissime, con migliaia di vittime fra morti e feriti, centinaia di migliaia di profughi all'estero e, all'interno della Turchia stessa, centinaia di villaggi bombardati e rasi al suolo, migliaia di persone incarcerate, un uso indiscriminato di armi pesanti, comprese quelle bandite dalle convenzioni internazionali. Traggo queste informazioni dai documenti internazionali e ne fanno fede le ripetute denunce e le prese di posizione di organismi, quali il Parlamento europeo e numerosi Parlamenti nazionali, e della stampa indipendente.
D'altro canto, siamo ben consapevoli che la questione curda non si identifica, né si esaurisce nel PKK; siamo consapevoli che questo movimento ha dato vita ad un'azione armata e ad atti di terrorismo, in un conflitto che, a detta di Ocalan medesimo, ha causato 30 mila morti, di cui 20 mila tra i curdi e 10 mila tra i turchi. Certamente, ci preoccupa la natura del PKK, la sua struttura autoritaria, l'intolleranza dimostrata, i dissidi interni risolti con la violenza, l'accusa - da provare, ma gravissima - di implicazioni nel narcotraffico. Non vogliamo sposare il PKK come l'autentico, vero ed esclusivo rappresentante del popolo curdo; tuttavia, se si vuole affrontare e risolvere il problema - che ci riguarda in quanto paese membro dell'Unione europea e della NATO e che si trova nel Mediterraneo -, non si può non convenire che la strada da seguire, anche se lunga e tortuosa, è una sola, cioè quella della trattativa e della soluzione politica.
Per quanto riguarda le persone accusate di terrorismo, ricordo che Arafat è stato prima considerato un terrorista e un assassino e poi il negoziatore riconosciuto della pace; allo stesso modo, Jerry Adams, capo di un movimento terrorista che non ha eguali in Europa, è oggi il negoziatore alla Casa Bianca e si potrebbe continuare con molti altri episodi e riferimenti.
Il punto di partenza di una pace possibile è stato sempre - non abbiamo dubbi su questo - prima di tutto la rinuncia al terrorismo: solo questa, insieme alla pressione internazionale, ha prodotto alla fine gli accordi di Oslo, fondati sul principio «terra in cambio di pace». Perché dovrebbe essere impossibile per i turchi e i curdi un accordo di autonomia in cambio di pace? Come progressisti, come europei, come italiani, amici della Turchia e del popolo curdo, questa ci sembra l'unica via. Ci vorrà tempo ed un'intensa e coordinata iniziativa dell'Unione europea e degli Stati Uniti, entrambi dotati, per ragioni diverse, di una capacità di influenza. Nel frattempo, tuttavia, bisognava e bisogna evitare che la definizione del caso Ocalan, basata sull'idea di liberarsene alla svelta, complichi e ritardi, o addirittura pregiudichi la possibilità di una soluzione concreta. Questa è oggi la responsabilità dell'Italia, di tutti noi, di questo Parlamento.
Apprezziamo dunque e consideriamo molto importante l'appoggio del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea, il netto richiamo del Presidente Santer alla Turchia ed anche - se permettete - l'appoggio del consiglio dell'internazionale socialista. Non credo di violare nessun embargo, ma voglio informarvi di qualcosa che avverrà tra poche ore. Mi riferisco


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agli emendamenti (in particolare tre emendamenti) che saranno presentanti domani alla proposta di risoluzione dell'onorevole Swoboda: è probabile che il Parlamento europeo la voti sempre nella giornata di domani.
Un emendamento riguarda il paragrafo 20 e recita: «Il Parlamento europeo ritiene che le seguenti proposte potrebbero costituire elementi sostanziali per una soluzione rispettosa dell'integrità territoriale della Turchia da raggiungere mediante il dialogo tra tutte le forze sociali, compresi i rappresentanti della popolazione curda: diritti culturali costituzionalmente garantiti, compresa la libertà di espressione e di pubblicazione in lingua curda, oltre al diritto all'insegnamento impartito nella madrelingua in tutte le parti della Turchia; riforme democratiche che prevedano la partecipazione della rappresentanza proporzionale dei curdi nella grande assemblea nazionale e l'abrogazione della legislazione antiterrore, in particolare l'infame articolo 8 in virtù del quale intellettuali, scrittori e personalità politiche sono ancora in stato di detenzione; rafforzamento della leadership e del controllo delle istituzioni elette e democratiche sull'amministrazione civile e militare; abrogazione dello stato di emergenza nelle province orientali e sud-orientali e smantellamento del sistema di guardie esistenti nei villaggi di queste province».
Un emendamento riguarda il paragrafo 11-bis ed è del seguente tenore: «Il Parlamento europeo concorda con il Presidente in carica del Consiglio e con il Presidente della Commissione nel ritenere che qualsiasi misura adottata dal Governo turco per ostacolare il flusso di scambi commerciali con uno Stato membro sarebbe considerata come una violazione degli impegni assunti nel quadro dell'accordo di associazione dell'Unione doganale».
Un altro emendamento riguarda il paragrafo 27-bis: «Il Parlamento europeo chiede che sia organizzata una Conferenza internazionale sul problema curdo al fine di giungere ad una soluzione politica e pacifica che soddisfi tutte le parti in causa». È una proposta ripresa esattamente dalla risoluzione approvata all'unanimità dalla Commissione esteri di questa Camera sulla base dell'atto di indirizzo sottoscritto dagli onorevoli Mantovani e Tremaglia, caro Selva (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo e misto-rifondazione comunista-progressisti)!

NICOLA BONO. Sei fuori tema!

FABIO MUSSI. Tali riconoscimenti non sarebbero avvenuti (perché questi emendamenti sono successivi al caso Ocalan) se il Governo italiano finora non si fosse rigorosamente attenuto al rispetto della legalità e della civiltà giuridica nazionale, internazionale ed europea.
È sulla base del trattato di Schengen che Adbullah Ocalan è stato arrestato a Fiumicino, visto che si era in presenza di un mandato di cattura della magistratura tedesca. La Germania, poi, non è stata esattamente conseguente con questa iniziativa della sua magistratura.
Il Presidente del Consiglio italiano nel suo incontro con Schroeder ha avanzato la proposta - condivisa dalla Germania e dai partner europei - di un tribunale sotto l'egida del Consiglio d'Europa. Forse sarà difficile realizzarla, ma è una buona proposta, alla quale non si può irridere, caro Martino.

SERGIO SOAVE. Martino se ne è andato!

FABIO MUSSI. È una buona proposta che può costituire un precedente, come è accaduto in altri casi. Una corte internazionale può essere un importante precedente verso quel tribunale penale permanente internazionale di cui si è discusso qualche settimana fa a Roma con il consenso di tutti noi.
Abbiamo poi il dovere di valutare le deliberazioni della commissione d'asilo. In ogni caso, il 22 dicembre dovremo decidere: a quella data questa singola vicenda avrà un termine. Il problema è arrivarci


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avendo creato le condizioni perché l'Italia abbia un ruolo nella soluzione politica di questa straordinaria questione, che attraversa il secolo e che alla vigilia del prossimo secolo dovrebbe cominciare ad essere risolto (naturalmente fissando punti chiari).
Noi non vogliamo rinunciare ad una iniziativa politica sulla questione curda, ma essa trova un limite - l'ha detto chiaramente il Presidente del Consiglio - nella salvaguardia del sistema di alleanze del nostro paese.
La questione curda ha bisogno anche del nostro aiuto e non può travolgere gli interessi del nostro paese. Ciò significa che non possiamo adottare soluzioni che non partano dalla rinuncia al terrorismo e dalla garanzia che l'Italia non diventi il centro di azioni ostili verso la Turchia.
Se la rinuncia al terrorismo da parte di Ocalan sarà effettiva, l'Italia avrà dato un contributo al processo di pacificazione e reso un servizio sia ai turchi, sia ai curdi.
La soluzione che dovremo adottare dovrà, dunque, tenere conto di queste preoccupazioni che, a quanto pare, non hanno sfiorato e non sfiorano rifondazione comunista e, da quanto ho sentito, non solo quel partito (ciò è apparso evidente in questi giorni a proposito di Ocalan, della questione curda e del nostro rapporto con la Turchia).
Si tratta anche di una grande responsabilità politica...

GUSTAVO SELVA. Il Presidente del Consiglio dice che è una questione giuridica!

FABIO MUSSI. ...che il nostro paese deve assumersi con l'Europa - che abbiamo cercato intensamente - e con gli Stati Uniti.
Questo episodio, su cui si è voluta fare parecchia propaganda, che non so se sia stata avvertita come autentica dall'opinione pubblica...

NICOLA BONO. Ci costa 60 mila posti di lavoro, Mussi! Parlaci di questo!

FABIO MUSSI. ...dimostra che la responsabilità internazionale del nostro paese sta crescendo e, contrariamente a quanto pensano i colleghi - o una parte dei colleghi - dell'opposizione, il centro-sinistra e la maggioranza sapranno farvi fronte. Oggi il Governo, onorevole D'Alema, può contare sul sostegno dei democratici di sinistra, sostegno sulla condotta seguita dal Governo in questo difficile caso.
L'augurio è che l'Italia possa dare un contributo serio alla soluzione pacifica e politica della questione curda. Questa è davvero - onorevole Selva, sono d'accordo con lei - una scelta strategica di grande momento per l'ingresso nell'Unione europea di una Turchia più democratica.
Forse l'onorevole Martino non lo ha capito, ma questa è una politica estera (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei colleghi iscritti a parlare a titolo personale.
Ricordo che ciascuno ha a disposizione tre minuti di tempo per il proprio intervento.
È iscritta a parlare a titolo personale l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, credo che corriamo il rischio, fra la cronistoria dei fatti, le ambiguità e la non concludenza dei termini della questione, di ritrovarci il 22 dicembre del Giubileo ancora a parlare delle stesse cose, ammesso che Ocalan sia ancora in Italia (cosa di cui, obiettivamente, dubito).
Ritengo che il caso, per quanto di natura giudiziaria, sia essenzialmente politico.
Premesso che nessuno può farsi arbitro delle questioni dei popoli oppressi, ai quali va tutta la nostra solidarietà, ritengo che il caso, secondo i principi del diritto, non sia stato impostato correttamente.
Onorevole D'Alema, lei ha creato una maggiore tensione perché non ha colto


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immediatamente un concetto, che non so se sia chiaro a tutti (mi pare che non sia chiaro né agli amici della lega, né a quelli di rifondazione comunista): Ocalan è o non è un terrorista? C'è stata una grande ambiguità su questo punto. Se si fosse affrontato il problema nei suoi termini reali e concreti, ossia assumendo che Ocalan è un terrorista secondo la comune accezione del diritto interno e internazionale, credo che forse si sarebbe più facilmente (anche se tanto più facilmente) inquadrato il problema nei suoi termini reali, ferma restando, come ho già detto, la solidarietà per il popolo curdo che, come tutti hanno segnalato, non mi sembra sia però rappresentato - se non, forse in piccolissima parte, - da Ocalan.
Dopo questo problema ne nasce un altro, che è quello primario per lo Stato di garantire la sicurezza interna. Ciò significa affrontare concretamente il personaggio e i suoi reati.
Quali strade si offrono rispetto a ciò? Si è parlato di un processo da parte di una corte internazionale. Sappiamo perfettamente che per il caso Lockerbie, a cui si è fatto riferimento, ci sono voluti più di quindici anni e non mi pare che quelli in ispecie siano tempi prevedibili, a meno che non si voglia rimuovere il problema, nascondendosi dietro questo inesistente tribunale internazionale.
C'è poi l'altra ipotesi, avanzata più correntemente: quella dell'espulsione. Anche in questo caso si pone un altro problema: non possiamo espellere Ocalan, perché non vi è uno Stato che lo accolga, così come del resto è stato sottolineato.
Credo che la Germania abbia indicato, tramite l'intervista del ministro degli esteri, quale sarebbe dovuta essere la soluzione. Se ci atteniamo allo Stato di diritto interno, Ocalan dovrebbe allora essere processato in Italia: questo è quanto prevedono il nostro codice di procedura penale e i trattati di Schengen.

PRESIDENTE. Onorevole Parenti, dovrebbe concludere.

TIZIANA PARENTI. Ho già finito il tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Ahimè, sì.

TIZIANA PARENTI. Vorrei terminare il discorso.

PRESIDENTE. Va bene.

TIZIANA PARENTI. Tralasciando quindi questo problema, che sarebbe pur affrontabile ma che esporrebbe il nostro paese a grandi problemi di sicurezza interna, domando perché non si sia pensato, in un intento di grande pacificazione con la Turchia, rispetto alle sue minoranze etniche, di chiedere a quel paese l'abolizione della pena di morte, ciò che avrebbe giovato a tutti e non solamente ad un terrorista? Perché non abbiamo chiesto, nel caso in cui fosse abolita la pena di morte, di poter inviare osservatori al fine di garantire che sia assicurato ad Ocalan un processo da Stato di diritto? Questo è quanto ha detto il ministro degli esteri in un'intervista rilasciata a Liberal! Forse questa è l'unica strada praticabile, sempre che Ocalan resti nel nostro paese, perché credo che dal 22 dicembre, come lui stesso ha dichiarato nel suo memoriale per la commissione che deve decidere sul diritto di asilo, anche se forse alcuni non lo vorrebbero, non lo vedremo più oppure lo vedremo molto di rado perché farà politica (e speriamo che sia solo politica pacifica) in altri Stati del nostro paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare a titolo personale l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.

VITTORIO SGARBI. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Presidente della Camera, vorrei chiedere una ventina di secondi prima di iniziare il mio intervento per segnalare, con riferimento all'ordine dei lavori, ai colleghi «sopravvissuti» a questo dibattito, che ho presentato una proposta di risoluzione perché alla fine di tutto si voti. E si voti affinché la


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Camera approvi o respinga le indicazioni, peraltro molto dialettiche se non confuse, del Presidente del Consiglio.
Non so quando ciò lo si possa realizzare, non credo nella giornata odierna, ma voglio comunque che si sappia che dopo questa discussione mi piacerebbe vedere quali sono gli orientamenti...

ELIO VITO. Prima della partenza di Ocalan!

PIETRO ARMANI. Prima del 22 dicembre!

VITTORIO SGARBI... prima del 22 dicembre, della maggioranza oltre che dell'opposizione.
Ecco, se da questo momento si potesse iniziare a conteggiare il tempo a mia disposizione per l'intervento, comincerei con il dire un'altra cosa che è quella per cui mi sono iscritto a parlare, alcuni giorni fa.
Le ipotesi sin qui fatte (quelle prevalenti: da parte della destra, la proposta di espulsione e, da parte della maggioranza, la proposta di un tribunale internazionale) sono, dal punto di vista logico e formale, risibili, perché l'unica condizione per la quale si possa agire in maniera corretta, sul piano internazionale, nei confronti di Ocalan è un processo in Italia. Altra strada non vi è! E quella che ho detto è una strada logica, ossia quella per cui i reati contro le persone, i crimini contro l'umanità - così insegnano il dottor Garzon e la corte inglese - possono essere perseguiti in ogni territorio. E dal momento che l'essere terrorista di questo curdo «parziale» (perché il popolo curdo non si esaurisce nella lotta partigiana del PKK) è cosa ammessa oggi in maniera risoluta dal Presidente del Consiglio e, ieri, ammessa dallo stesso Ocalan, che ha detto che da ora in avanti non sarà più terrorista. Ciò vuol dire che lo è stato.
È entrato in Italia dicendo (e scrivendo al Papa e ad altre «santità») di voler smettere di combattere una guerra violenta e di voler diventare un uomo di pace. Con ciò egli ha ammesso di essere stato un terrorista, come da più parti si indica, da ultimo anche da parte del Presidente del Consiglio.
Il Presidente del Consiglio vive una profonda confusione e, in qualche modo, divide con l'onorevole Diliberto quella che è in una sola persona la confusione di entelechia, mi riferisco cioè a ciò che si muove nella mente del senatore Cossiga che proporrei quale mediatore internazionale per la questione Ocalan (mi pare la persona più adatta e più equilibrata) e per mediare fra il ministro di grazia e giustizia che «ordina» ad un tribunale di lasciare libero Ocalan, dichiarandolo solennemente (come il suo antico e recente compagno Mantovani) non terrorista e il Presidente del Consiglio che lo dichiara terrorista.
Ciò significa che il Governo ha due teste e due anime. Soltanto Cossiga potrà capire qual è quella prevalente! Spero e credo che a lui tocchi questo compito.
Da ultimo, i documenti arrivati da Human Rights Watch all'onorevole D'Alema e i documenti che leggiamo in questi giorni ci danno indicazioni molto precise. È vero che si combatte una lotta di liberazione, ma perché vengono coinvolti i bambini di tre anni? Perché vengono coinvolti gli insegnanti, i sindaci e i giornalisti?
Esiste un elenco di atti terroristici, compiuti non vent'anni fa ma nel 1995 e nel 1996, contro bambini di tre anni prelevati dai minibus e sgozzati (come accade solo in Algeria), in nome di una causa ideologica comunista!
L'onorevole Mantovani ha parlato di Ocalan come di un rifugiato politico. Magari Ocalan lo fosse! Egli, invece, non combatte contro il potere dei turchi, attentando ad un ministro o a un'autorità politica, bensì compie la propria azione contro i bambini, gli insegnanti e i giornalisti. Sulla stampa si leggono i nomi del responsabile del giornale Ozgur Gundem e dei giornalisti dello stesso, persone che non hanno niente a che fare con il potere: giornalisti, sindaci e bambini turchi vengono uccisi nelle loro comunità dall'azione non politica ma terroristica di Ocalan.


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Credo perciò che un tribunale in Italia possa processare il terrorista e non il libertario. Mentre noi abbiamo dimenticato i nomi di Cesare Battisti, di Fabio Filzi e degli eroi italiani, e mentre un rappresentante di partito paragona Ocalan a Garibaldi o Mazzini, credo che un tribunale italiano dovrebbe distinguere tra quelli che hanno combattuto per la libertà e coloro che hanno ucciso contro la libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e misto-CCD)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare a titolo personale l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.

ALFREDO BIONDI. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, ho apprezzato quella parte del discorso del Presidente D'Alema che si è richiamata al rispetto della legge e dei trattati internazionali. Credo che sia giusto, al di là della polemica, riaffermare questi valori anche quando il calore degli avvenimenti e le pulsioni che ne derivano creano qualche difficoltà all'obiettività. Voglio ricordare il concetto del rispetto della legge che mi pare molto importante.
Rispettiamo la legge, consentendo che una specie di esercito personale faccia da custode, all'interno di una villa gentilmente concessa, ad un cittadino in attesa di giudizio con mancata richiesta di estradizione (ma il 22 dicembre la Germania potrebbe anche cambiare idea)? È possibile che egli codetenga, come dice la Corte di cassazione, le armi che sono a disposizione degli armigeri che si trovano all'interno del suo fortilizio? È legittimo che le forze di sicurezza italiane lascino consumare questo reato?
Non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
Ho posto questa domanda in un'interrogazione e la giro a lei, che ha la responsabilità del Governo nel suo complesso e quindi anche dei ministri - come quello di grazia e giustizia e dell'interno - che per ipotesi avessero dimenticato il contenuto dell'articolo 40, capoverso del codice penale, che impedisce la consumazione del reato di porto di armi nel territorio italiano nonostante lo straniero in attesa di giudizio si trovi nelle condizioni in cui si trova per una decisione (non per una sentenza, ma per un'ordinanza della corte d'appello) che può essere sempre revocabile.
Le pongo questa domanda, sempre nella sua qualità - che son convinto non sia ipocrita - di amante del diritto e dei trattati internazionali. Lei ha detto giustamente che o lo respingevamo prima che sapessimo chi fosse oppure, una volta saputo chi era, lo dovevamo arrestare, perché dovevamo adempiere ad un obbligo derivante dalla nostra posizione nei confronti degli accordi di Schengen, dal nostro rispetto - contro i terroristi - dei rapporti internazionali che abbiamo liberamente contratto.
Bene, se le cose stanno così (e credo che lei sia sincero nel dire che le cose siano state o siano in questo modo) chi critica l'ingresso, l'arrivo, l'accompagnamento, fa bene a farlo. Ma mi fermo qui: di fronte a questo soggetto colpito da mandato di cattura turco (che non possiamo adempiere per il motivo che laggiù esiste ancora la pena di morte e che non possiamo adempiere nei confronti dell'autorità giudiziaria tedesca perché quello Stato, sovvertendo ciò che l'autorità giudiziaria chiede, non propone la domanda di estradizione), dobbiamo ricordare che noi abbiamo un codice penale (l'ha detto poco fa la collega Parenti)...

PRESIDENTE. Onorevole Biondi, dovrebbe concludere.

ALFREDO BIONDI. Ho concluso. Quello che ha detto la collega Parenti è vero. Mi chiedo: in uno Stato di diritto il reato commesso all'estero da un cittadino straniero, nell'ambito di delitti che riguardano anche stranieri che si trovino in Italia colpiti da mandato di cattura, consente tuttavia l'impunità e lo status di rifugiato politico? Si può considerare quel soggetto nel nostro paese come uno straniero qualunque che abbia relazioni con il


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paese di provenienza tali da consentirgli lo status di rifugiato o di soggetto che può essere accolto nel nostro paese senza essere espulso?
Nello Stato di diritto chi si trova in queste condizioni non può beneficiare delle conseguenze di ciò di cui lei giustamente si vanta, avendolo fatto, cioè di prendere un potenziale (perché deve essere giudicato) terrorista e considerarlo un rifugiato politico a pieno titolo. Questo, signor Presidente, lei che ama lo Stato di diritto, credo avrà difficoltà a riconoscerlo come giusto (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare a titolo personale l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Nessuno l'ha detto, colleghi, ma tenete presente che lo stesso boicottaggio che i turchi hanno effettuato in questi giorni nei confronti delle merci italiane lo avevano esercitato lo scorso giugno contro le aziende francesi. In quel caso Ocalan non c'entrava: era successo che il 29 maggio i deputati dell'Assemblea nazionale francese avevano approvato all'unanimità una legge che riconosce pubblicamente il genocidio armeno avvenuto in Turchia all'inizio di questo secolo.
Come era prevedibile, il Governo di Ankara ha reagito con molta durezza, ha cercato di impedire che il Senato francese approvasse il testo uscito dall'Assemblea nazionale e finora ci è riuscito, minacciando e mettendo in atto sanzioni commerciali contro Parigi.
I motivi di questa reazione sono semplici da capire. L'opinione pubblica internazionale comincerebbe a percorrere una strada che, partendo dal genocidio degli armeni, arriverebbe ai giorni d'oggi e alla necessità di avviare un processo di pace in Kurdistan. Già diciannove comuni, da Milano a Faenza, a Firenze, a Venezia hanno approvato documenti che riconoscono il genocidio degli armeni e chiedono l'assunzione della responsabilità del genocidio del popolo armeno da parte della Turchia come prima e irrinunciabile condizione per procedere all'esame della richiesta di adesione all'Unione europea avanzata da tempo dal Governo turco.
Ecco i numeri di quel recente passato che deve essere conosciuto per capire quello che sta succedendo oggi ai curdi.
All'inizio del secolo in Turchia vivevano circa 1 milione e 800 mila armeni; circa 700 mila sono stati massacrati nelle loro città; circa 600 mila sono morti durante le deportazioni: li facevano marciare verso il nulla, verso il deserto di Deir-ez-zor in Siria, e li facevano camminare finché non erano tutti morti. Una testimonianza tra le tante: il sindaco di Aleppo telegrafò al ministro dell'interno turco che erano arrivati migliaia di deportati armeni e chiese che cosa dovesse fare di loro. Il ministro rispose con questo telegramma: «L'obiettivo della deportazione è il nulla». Altri 200 mila armeni scapparono verso il Caucaso, 150 mila riuscirono a fuggire verso l'Europa e in Turchia ne sopravvissero meno di 150 mila. Questi numeri costituiscono il bilancio del genocidio degli armeni verificatosi all'inizio del secolo, quando i nazisti non erano ancora al potere e quando tanti ebrei vivevano ancora tranquilli in Germania e in Italia.
Com'è possibile che si parli di cavilli del diritto internazionale senza ricordare questo dramma e questi numeri!
Prima di citare i codici del diritto i governanti e i politici italiani, tedeschi e di tutta Europa dovrebbero ricordare cosa accadde al popolo armeno all'inizio del secolo in Turchia e dovrebbero fare il possibile perché questo passato non sia dimenticato e non si ripeta ai danni del popolo curdo.
Nella storia dell'umanità, il silenzio, l'indifferenza, la disinformazione e l'egoismo sono sempre stati gli alleati più preziosi dei peggiori nemici dell'uomo.
«Chi si ricorda più dello sterminio degli armeni?» chiedeva Hitler il 22 agosto 1939 ai capi militari del terzo Reich riuniti ad Obersalzberg prima dell'invasione della Polonia.


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Spero che l'Europa sappia volare più in alto dei parametri del Trattato di Maastricht e parli unita una sola lingua per evitare un altro genocidio (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Avverto che sulle odierne comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sono state presentate le
risoluzioni Sgarbi n. 6-00066 e Pisanu e Tatarella n. 6-00067 (vedi l'allegato A - risoluzioni sezione 1), che saranno votate in altra seduta, secondo quanto convenuto nella Conferenza dei Presidenti di gruppo del 25 novembre scorso. Nella prossima seduta che sarà dedicata a questo argomento, il Presidente del Consiglio dei ministri potrà svolgere eventuali considerazioni in replica ed esprimere il suo parere sulle risoluzioni presentate.

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