Seduta n. 359 del 25/5/1998

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 4782)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Il relatore, onorevole Risari, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIANNI RISARI, Relatore. Il disegno di legge n. 4782, già approvato dal Senato dopo ampio dibattito in Commissione, si pone un obiettivo limitato, ma ritenuto importante ed urgente, quello di garantire la prosecuzione del servizio di diretta radiofonica dei lavori parlamentari.
Una radio privata di partito, Radio radicale, da circa 25 anni svolge questo servizio, per anni di propria iniziativa, per decisione unilaterale, fino a che, con un decreto ministeriale, il 21 novembre 1994 è stata approvata una convenzione di durata triennale con il centro di produzione SpA (Radio radicale), che è scaduta il 21 novembre 1997.
Da questa data ad oggi Radio radicale ha comunque continuato a trasmettere le dirette dal Parlamento, anche senza convenzione. Il provvedimento all'esame autorizza la prosecuzione delle trasmissioni in convenzione con Radio radicale fino al 31 dicembre del 1999. Contestualmente questo decreto-legge stabilisce che la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (Radio RAI) possa trasmettere senza oneri aggiuntivi sul canone di abbonamento le sedute parlamentari. Questo è quanto è previsto nel provvedimento.
Riguardo a ciò va ricordato l'articolo 24 della legge 6 agosto n. 223 del 1990, laddove si prevede che alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo possa essere assegnata una rete radiofonica riservata a trasmissioni dedicate ai lavori parlamentari.
Alla convenzione tra Ministero e Radio radicale si giunse nel novembre del 1994 senza che la RAI avesse predisposto quella rete riservata che soltanto sei mesi fa ha attivato trasmettendo le dirette dal Parlamento, anche se il segnale non copre ancora in modo completo il territorio nazionale. Questa cronaca dei fatti va tenuta presente per avere chiari i termini del problema che ci sta dinanzi e, nello stesso tempo, per non introdurre altri temi che pur se pertinenti la materia in esame non sono tuttavia oggetto di questo disegno di legge del Governo. Approvandolo noi risponderemmo alla volontà espressa dal Parlamento attraverso ordini del giorno, ossia di garantire la continuità di un servizio di informazione radiofonica dei lavori parlamentari che si ritiene abbia i connotati del servizio di interesse pubblico.
Con questo decreto faremmo in modo di garantire a chi oggi trasmette le dirette radio dal Parlamento di continuare a farlo certamente fino al 31 dicembre del 1999: alla RAI chiedendo di non aggiungere ulteriori oneri sul canone e quindi nell'ambito delle risorse da esso derivanti e recentemente ricalcolate; a Radio radicale rinnovando la convenzione scaduta nel novembre del 1997, riconoscendole per la copertura dei costi di svolgimento del servizio 11 miliardi 150 milioni l'anno, una spesa calcolata sulla base del costo annuo (10 miliardi) finora sostenuto per remunerare l'attività svolta fino al 1997 dal centro di produzione SpA Radio radicale. Si tratta di una spesa storica, rivalutata in 11 miliardi 150 milioni l'anno a fronte della richiesta, che dovrebbe sembrare pleonastica, che Radio radicale assuma formale impegno a rispettare la normativa prevista dai contratti nazionali di lavoro, compreso quello giornalistico.
È evidente che trattandosi di un provvedimento di proroga di una situazione complessa e controversa, tale provvedimento non la risolve del tutto ma offre alle forze politiche il tempo per il confronto


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e, se emergessero le volontà politiche, offre il tempo per trovare e attuare le possibili più organiche soluzioni.
Ci viene chiesto (evidentemente la domanda è rivolta alla maggioranza e allo stesso Governo) se questo testo sia emendabile. Non ci sono preclusioni, anche perché ho la consapevolezza che l'urgenza, la necessità di far presto abbia prodotto sicuramente un provvedimento perfettibile. Sappiamo però che esso è pure frutto di confronti e aggiustamenti, ma se rimanessimo in tema, se cioè non lo caricassimo di aspettative improprie, potremmo allora convenire realisticamente che ciò che si prefigge è accettabile e non preclude soluzioni più consone, alle quali potremmo giungere già con il disegno di legge n. 1138 presentato dal Governo e all'esame del Senato.
La maggioranza (credo il Governo) ha ritenuto e ritiene sussistere ancora le ragioni dell'urgenza, tuttavia non c'è chiusura nei confronti dell'opposizione o di chiunque intenda portare contributi migliorativi e chiarificatori. Se lo si ritenesse - perché no? (ne aveva accennato in Commissione anche l'onorevole Taradash) - si potrebbe tornare nell'ambito della Commissione cultura, alla quale, se i colleghi lo decideranno, potrebbe essere assegnato il provvedimento, verificando anche la possibilità di esaminarlo in sede legislativa.
Vorrei far cenno ad alcune questioni sulle quali si è svolto il dibattito ed esprimere qualche considerazione. La pubblicità dei lavori parlamentari è stabilita in Costituzione. Certamente i costituenti pensavano in particolar modo alla libertà d'accesso ai lavori dell'Assemblea da parte dei cittadini e della stampa, specialmente dei giornalisti della carta stampata, ma con il progresso dei mezzi della comunicazione questa possibilità di accesso si è grandemente dilatata e diversificata. Noi oggi parliamo delle dirette radio, ma come non pensare, ad esempio, alla rete Internet? È appena stato pubblicato un saggio del professor Stefano Rolando ed in una recensione il giornalista Marco Mele osserva che la comunicazione dovrà essere percepita e riconosciuta come elemento costitutivo del negoziato tra Stato e cittadini all'interno del quale si gioca fra gli estremi dell'appartenenza e dell'estraneità alla ricerca di una nuova, moderna identità basata sull'obiettivo-utopia dello scambio reciproco e quindi sulla nascita di una nuova cittadinanza consapevole. Gli stessi sforzi di questa Camera e della sua Presidenza per dare il massimo di pubblicità ai nostri lavori lo stanno ad indicare molto chiaramente. Quindi, vi sono forti ragioni di servizio, ma altrettanto forti ragioni di allargamento delle conoscenze di base sul cambiamento in atto.
È legittimo che un servizio pubblico venga fornito anche da un soggetto privato? Questa è la domanda che ci siamo posti. Io dico di sì. E Radio radicale, per quel che riguarda le dirette dei lavori parlamentari, lo ha fatto per anni e lo ha saputo e voluto fare in modo completo e corretto. Parlo di questo servizio, non dell'intera programmazione di Radio radicale, che oggi non può certo essere soggetta a giudizio.
Dobbiamo prendere atto che Radio radicale ha garantito questo servizio secondo criteri di completezza, di imparzialità, senza oneri per lo Stato fino al 1993 e poi attraverso una convenzione che il ministero, riconoscendo l'utilità del servizio, ha pagato. Né può essere dimenticato che Radio radicale è una radio di partito e che non è tanto un editore-imprenditore privato qualunque, ma è l'emittente di un partito politico che trasmette un servizio informativo pubblico e che per questo riceve dallo Stato un finanziamento, oltre alle altre agevolazioni di cui gode in base alla legge sull'editoria estesa alle radio e televisioni di partito e private.
Tutto ciò mi conferma nella convinzione che anche i mezzi di informazione dei partiti svolgano un servizio pubblico almeno quanto le radio di partito e che per questo debbano essere riconosciuti e sostenuti. Come non convenire poi, specie alla luce di quanto va maturando nella sensibilità democratica, circa il fatto che fino a quando la RAI svolge il servizio

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pubblico radiotelevisivo, pagato con i soldi di tutti i cittadini, essa abbia il dovere istituzionale di offrire dell'attività parlamentare la più ampia informazione con i criteri del pluralismo, della completezza e dell'imparzialità più volte richiamati dalla Costituzione.
Si obietterà che, per quel che riguarda le dirette dal Parlamento, la RAI è stata per anni inadempiente. È così, ma il fatto che questo servizio sia finalmente iniziato va giudicato come un dato positivo, a mio avviso da potenziare e sviluppare, in quanto la diretta dei lavori parlamentari non può certamente esaurirsi al lavoro dell'Assemblea, ma deve estendersi alle Commissioni, alle proposte di legge in esame in quella sede, alle interrogazioni, alle interpellanze, alle mozioni parlamentari, all'attività dei gruppi parlamentari.

FRANCESCO STORACE. Chi l'ha detto?

GIANNI RISARI, Relatore. Va tenuto presente nel nostro dibattito quanto ha pur osservato l'onorevole Storace, che sento in questo momento, riguardo al problema della vigilanza. È giusto che un servizio del genere venga sottoposto ad una vigilanza in senso democratico da parte del Parlamento, ma occorre osservare anche come la legge, che dà alla RAI la possibilità di accedere a quel servizio e di organizzarlo nel modo in cui lo ha fatto, abbia posto alcune precise limitazioni. È un aspetto da approfondire.
Parimenti è aperto, e va quindi risolto a breve, l'altro problema inerente alla vigilanza, naturalmente nel rispetto della democrazia, dell'indipendenza, della libertà di informazione e della dignità professionale degli operatori del settore.
Quindi, ammesso che, magari emendato, magari tornando in Commissione con mandato legislativo, dovessimo procedere all'approvazione del provvedimento e quindi a prorogare il servizio oggi svolto da Radio radicale e da Radio RAI Parlamento, cosa accadrà a scadenza della proroga, a fine 1999, o comunque a quando decideremo? In questi giorni in Commissione abbiamo parlato dell'ipotesi di gara come della soluzione più adeguata. Sarei d'accordo, ma su una gara davvero libera e, per esserlo, è necessario che non si creino monopoli nella gestione di questo servizio, né pubblici né privati.
Un conto è stipulare una convenzione secondo certi criteri che obbligano a dare certe garanzie, un conto è creare un regime di monopolio di fatto nella gestione del servizio pubblico, addirittura stabilendo per legge magari di conferirlo ad una radio di partito. Così pure deve essere chiaro che come chiunque può assistere di persona ai lavori parlamentari, così di questi ultimi chiunque ha il diritto di dare pubblicità sia in modo completo e continuativo, come è il caso delle dirette, sia in modo parziale e discontinuo, come spesso già avviene; anzi, addirittura attraverso spezzoni di immagini o di audio c'è chi fa dell'intelligente satira politica ma anche battaglie politiche e qualche volta ne usa per gettare discredito sulle persone e sulle istituzioni. Ma anche questo è da mettere nel conto dalla parte dei costi delle libertà democratiche.
Finché c'è una radio pagata con i soldi dei contribuenti, è suo dovere istituzionale dare della vita parlamentare la più completa informazione. È giusto che anche un privato possa svolgere analogo servizio in regime di convenzione ma sarebbe sbagliato che lo gestisse in regime di monopolio.
E va pure affrontato il tema della comunicazione riguardo agli altri organi dello Stato e non solo, con particolare attenzione ai comuni, alle province, alle regioni, valorizzando e sostenendo l'attività di tante piccole e medie radio e TV locali che da anni svolgono un prezioso servizio di informazione locale, quasi sempre a costo zero per le istituzioni. Come non pensare all'utilità di tali strumenti comunicativi in situazioni di difficoltà e di calamità come l'ultima, drammatica, dell'alluvione in Campania?
Signor Presidente, in questa situazione che ho descritto riterrei utile, al fine della soluzione positiva e concordata il più possibile di questo problema, chiedere


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all'Assemblea il rinvio in Commissione. Sarebbe quello l'ambito forse più idoneo - credo che oggi realisticamente lo sia - alla pacata verifica della possibilità di richiedere la sede legislativa, così da poter approvare nel più breve tempo possibile il provvedimento e garantire la prosecuzione del servizio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

VINCENZO MARIA VITA, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Vorrei sottolineare l'importanza che anche il Governo attribuisce al dibattito che qui si sta svolgendo, che attiene a una delle grandi libertà dei cittadini, quella di poter essere correttamente informati del lavoro svolto nelle aule parlamentari.
Voglio anche ricordare che l'articolo 24 della legge n. 223 del 1990 - la legge Mammì - dava proprio ai Presidenti di Camera e Senato l'opportunità di richiedere lo svolgimento di questo specifico tipo di servizio. Mi pare dunque che oggi si stia dibattendo un tema tutt'altro che secondario o irrilevante. Vorrei sottolineare come sia utile svolgere questo confronto in un clima di grande serenità, costruttività ed operatività.
Il primo obiettivo che dobbiamo porci è rappresentato dalla soluzione rapida di un problema che da troppe settimane è oggetto di un dibattito spesso polemico e con qualche punta astiosa.
Il Governo formula l'auspicio che si giunga ad una buona soluzione che tenga conto di una storia che nessuno vuole eludere, quella del centro di produzione radiotelevisivo Radio radicale, che per tanti anni ha svolto un'opera che si è rivelata utile. Nello stesso tempo il Governo auspica di non concludere per una via diversa da quella maestra una discussione tanto impegnativa quale quella sul servizio pubblico radiotelevisivo, che pure è argomento di un certo rilievo, come ha ricordato il relatore Risari, che vorrei qui ringraziare (Commenti del deputato Storace). Si tratta di un'argomentazione che può essere inserita nella discussione più generale della riforma del sistema radiotelevisivo. A tale proposito vorrei ricordare che al Senato sta per riprendere l'iter del disegno di legge n. 1138 al quale il Governo ha recentemente presentato un ampio emendamento parzialmente sostitutivo del testo originario. Un articolo di tale disegno di legge è interamente dedicato al tema del servizio pubblico. Penso dunque che in quella sede si possa aprire un confronto, ormai ritenuto urgente da tutti, sulla natura di un servizio pubblico moderno e sulle sue attribuzioni.
Come dicevo, si pone innanzitutto la necessità di fare presto e di concludere una discussione che altrimenti rischia di prolungarsi in un tempo così lungo da rendere difficile la tutela dell'interesse sotteso, cioè lo svolgimento di questa importante iniziativa.
Aggiungo che da parte nostra è stata operata una scelta molto netta che non significa chiamarsi fuori da un dibattito così rilevante e a cui teniamo particolarmente. La scelta è quella di seguire, come è stato fatto finora, l'andamento del confronto contribuendo alla soluzione dei problemi e rimettendosi, nel senso più profondo del termine, al desiderio del Parlamento, al quale spetta la scelta delle modalità di un servizio che riguarda da vicino il funzionamento del Parlamento stesso. Vogliamo cooperare a una buona soluzione.
Per la verità il Governo ha pensato di operare una scelta di tale natura presentando, dopo un confronto con il centro di produzione Radio radicale, un disegno di legge sui cui tempi di definizione sono sorte polemiche. Mi preme però sottolineare che sull'argomento non vi è stato alcun - lo dico tra virgolette - «giallo»: tra la discussione in seno al Consiglio dei ministri, avvenuta il 16 gennaio scorso, e la presentazione formale del disegno di legge trascorse il periodo di tempo necessario a definire la copertura finanziaria di un provvedimento che non è certo senza costi. Si tratta di un aspetto rilevante per il paese, soprattutto poiché si era in un periodo cruciale per la definizione dei conti pubblici subito dopo l'approvazione


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della legge finanziaria che non poteva permettere una scelta leggera su un tema di questa natura.
Quel disegno di legge è stato ampiamente dibattuto dalla competente Commissione del Senato in sede deliberante ed è stato modificato. Il Governo ha preso atto di quei cambiamenti rispettandone la natura: quei cambiamenti sono stati il risultato di un approfondimento significativo. Voglio aggiungere che il testo che è pervenuto all'esame della Camera dal Senato potrebbe a nostro avviso già essere un punto di riferimento; tuttavia, riferendomi alla interessante discussione svoltasi - alla quale ho avuto modo di partecipare - presso la Commissione cultura della Camera, credo si possa fare qualche ulteriore passo in avanti. Mi pare che il relatore, onorevole Risari, questa sera abbia ipotizzato la strada anche a livello procedurale - che naturalmente non spetta a me commentare, ma che voglio semplicemente raccogliere - di un nuovo e migliore approfondimento di taluni aspetti del provvedimento in Commissione - se ciò verrà ritenuto opportuno dalla Camera - dove forse un confronto più stringato ed attento potrebbe dar luogo anche a qualche nuova soluzione, mantenendo quell'indirizzo che ho avuto modo di esprimere già in quella sede e che intendo ribadire qui: per un verso, trovare una giusta soluzione per la prosecuzione di questo servizio, nel rispetto di una storia e di un'esperienza importanti; per l'altro verso, evitare di concludere anzitempo, e forse in un «territorio normativo» meno adeguato a questa necessità, il grande tema del servizio pubblico e delle sue prerogative (è questo un tema che forse meriterebbe una collocazione diversa).
In tal senso, naturalmente, aggiungo - faccio questa osservazione dopo aver ascoltato la relazione dell'onorevole Risari ed aver avuto qualche confronto con i rappresentanti di diversi gruppi - che, nella conclusione dell'itinerario a cui allude il disegno di legge, e cioè quello di una conclusione con l'espletamento di una gara, è chiaro che la normativa oggi in vigore non avrebbe più significato! Mi pare che sia implicito dirlo, ma intendo comunque esplicitarlo: ribadisco che la vigenza della normativa attuale tanto ha senso quanto si regge su una situazione diversa da quella che sarebbe la strada di un affidamento attraverso gara, che il testo del Senato ha peraltro delineato. Si tratterebbe cioè di una gara fatta con i criteri più rigorosi, che proprio l'epoca della liberalizzazione - alla quale dobbiamo guardare anche in questo campo - oggi impone a tutti noi: siamo in Europa anche nelle procedure e quindi, quando si parla di gara, si fa riferimento ad una gara con tutti i crismi dovuti secondo gli indirizzi dell'Unione europea, che debbono vederci interpreti attenti e fedeli.
Vi è quindi disponibilità da parte del Governo, sottolineando ancora una volta il nostro impegno come Ministero non ad interloquire indebitamente su un testo e su una procedura di stretta pertinenza parlamentare, ma a procedere con la volontà forte di contribuire alla conclusione utile per tutti, a partire dai cittadini italiani, di un dibattito che a questo punto può, a mio modo di vedere, trovare un punto di arrivo.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole De Murtas, primo iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione sia il relatore sia il rappresentante del Governo e, per dire la verità, fino ad un certo punto ne ho seguito il ragionamento. Devo rilevare che il relatore ha proposto un rinvio in Commissione, in sede legislativa, del provvedimento. Ritengo che già questa proposta sia irrituale; poi non riesco a capire - lo avrebbe dovuto spiegare il relatore - perché nella VII Commissione non si sia dato spazio a quei contributi evocati ed invocati in questa seduta. Si è detto che si trattava di un provvedimento di urgenza, tanto che qualcuno erroneamente parla di decreto-legge. Ci troviamo


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invece di fronte ad un disegno di legge, e si è detto che era urgente, ma poi quest'urgenza è finita, forse perché si aveva un'idea, o non se ne aveva alcuna, ed ora si cerca di trovare un accordo nel chiuso della Commissione.
Io ritengo che le idee ce le dobbiamo chiarire in Assemblea, dove il provvedimento è approdato, e il relatore e il Governo debbono chiarire quali siano le linee e il filo conduttore. Credo ci sia questa esigenza di comprendere, di capire. Chi ha un minimo di esperienza parlamentare sa come è nata Radio radicale. Si è parlato chiaramente delle inadempienze da parte della RAI; Radio radicale di fatto trasmetteva le sedute dell'aula di Montecitorio e sono famosi gli ostruzionismi praticati anche da parte della pattuglia dei parlamentari radicali su provvedimenti di grande portata. Ritengo che questo sia un dato storico; poi la situazione venne normalizzata attraverso la concessione nel 1994 a fronte di una inadempienza da parte del servizio pubblico, della RAI.
Ritengo che alcune cose dobbiamo chiarirle. Personalmente parlerò pochissimo, svolgerò soltanto alcune brevi considerazioni. Sia nel dibattito che si è svolto in Commissione, sia tra le righe dell'intervento del relatore ravviso un richiamo forte nel dire che per il futuro possiamo anche fare la gara, ma non è possibile dare respiro ad una RAI di partito. Questo è un dato che ritorna chiaramente. E allora, o siamo per la gara, nella massima trasparenza, oppure se nel bando della gara la maggioranza o il Governo ritengono di dover escludere aprioristicamente Radio radicale, lo si dica chiaramente. Altrimenti i richiami forti, di trasporto, alla solidarietà, ai contributi, ai quali faceva riferimento il sottosegretario credo che avrebbero scarso significato.
E allora, signor Presidente, io ritengo che il dibattito debba proseguire. Ci dobbiamo confrontare e non c'è una posizione chiara neppure per quanto riguarda l'espletamento della gara perché si è rinviato tutto ad un dibattito all'interno della Commissione, anzi il sottosegretario diceva che nel chiuso della Commissione si troverà un punto di equilibrio. Perché in Assemblea non si può raggiungere un punto di equilibrio? Perché, se c'era tutto questo interesse nella Commissione, non si è raggiunto in quella sede il punto di equilibrio? Questa situazione, signor sottosegretario, mi lascia onestamente molto perplesso. Non intravedo una proposta procedurale da parte del relatore, la sua proposta mi pare fatta di buone intenzioni, ma di fatto non sono concretizzate; ritengo invece che si debba certamente andare verso la proroga cui fa riferimento il disegno di legge, ma capire anche cosa accadrà dopo.
Le questioni inerenti alla comunicazione, ma soprattutto la trasmissione delle sedute, vengono ad essere puntualmente richiamate, quando discutiamo del bilancio della Camera. Non voglio fare alcun riferimento alla RAI, ma se qualcuno dice, ad esempio, che Radio radicale è un partito, io potrei rispondere che la RAI in fondo è di parte, perciò ci troviamo di fronte ad una situazione di partito. Ma lasciando stare le battute, che non credo possano avere cittadinanza in questo particolare momento, c'è il problema grosso della trasmissione.
Vi è stata una situazione di supplenza, di fronte ad una inefficienza, ad un vuoto, ad una lacuna, da parte del servizio pubblico. Oggi bisogna andare verso una situazione di grande trasparenza e di grande chiarezza, e non so quale sia il grosso problema che possa frapporsi rispetto ad una volontà che potrebbe trovare d'accordo sia la maggioranza, sia la minoranza. Ma se vi sono sotterfugi o tentativi di condizionamento, non siamo d'accordo. Dunque, si dica chiaramente cosa bisogna fare. Visto e considerato che siamo in aula e che siete stati voi a volerci venire senza esaminare nessun emendamento, si dica chiaramente quale direttrice, quale linea politica si segue, quale strategia si segue, considerato che essa deve essere della maggioranza, del Governo e anche dell'opposizione. Credo che ciò debba essere acquisito, perché non è vero che questo è un provvedimento parziale. Non è vero e voi lo sapete. Non è

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un provvedimento parziale, né secondario, né marginale: è un grande provvedimento che riguarda il pluralismo, la democrazia, l'informazione. Non è un provvedimento parziale, non è un provvedimento settoriale. Non camuffiamo cose importanti come fatti secondari, perché ciò significa svicolare dalle responsabilità di cui il Parlamento è chiamato a farsi carico.
Ritengo che sia questo, signor Presidente, il contributo che in questo momento può venire da parte nostra. Per noi parlerà anche l'onorevole Volontè, ma mi auguro che nel prosieguo della discussione vi sia un ulteriore chiarimento, altrimenti, pur con il rispetto che nutro per l'onorevole Risari, devo dire che non so da cosa nasca la sua proposta, quale sia il disegno politico, quale sia l'interesse politico, quale sia l'interesse di parte. Non l'ho capito perché è irrituale rispetto ai lavori parlamentari e anche agli obiettivi che non solo una parte del Parlamento ma tutti intendiamo raggiungere e realizzare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. A mio avviso, questo tipo di provvedimento e il problema di Radio radicale e delle trasmissioni radio dal Parlamento devono essere sottratti ad una contrapposizione che rischia di diventare ideologica, tant'è che io, insieme ad altri colleghi verdi, socialisti, democratici di sinistra, di rinnovamento e popolari, ho firmato alcuni emendamenti che recuperano il senso di quello che è stato definito, nel gergo, l'emendamento del senatore a vita o, meglio, un tentativo di introdurre e garantire, ovviamente secondo le nostre opinioni, che poi sono sottoposte a discussione, una gara vera senza la costruzione di posizioni dominanti: in pratica la preoccupazione che l'antitrust ha espresso rispetto al fatto che la RAI usufruisca della possibilità di concessione di frequenze per realizzare una quarta rete ad hoc per concorrere a questa iniziativa. Oggi dobbiamo dare atto che il provvedimento prevede la proroga del servizio attuale, ma la preoccupazione che abbiamo manifestato attiene al rischio che da qui a due anni si tolga una serie di frequenze proprio alle piccole e medie emittenti, per realizzare una quarta rete della RAI. Sono tra quelli che hanno difeso proprio ciò a cui faceva riferimento il relatore: la nostra necessità è di porci il problema delle radio, delle televisioni locali, cioè del principio per cui nel 1975 la Corte costituzionale creò la libertà d'antenna in questo paese. Ma la possibilità di poter parlare e comunicare è ben altra cosa dal dibattito che si è sviluppato in questi decenni.
La preoccupazione è questa: se facciamo la quarta rete RAI, a chi togliamo le frequenze? Forse, proprio alle piccole e medie emittenti che noi vogliamo tutelare e garantire. Dunque, riflettiamo su questi aspetti. Credo che un atto di tutte le forze politiche, segnatamente, in questo caso, da parte del Governo, debba essere quello di riprendere quel riferimento iniziale che ha fatto lo stesso Presidente del Consiglio Prodi. Mi riferisco al fatto di fare in modo che si lavori ad una gara che sia la più ampia possibile; che si dia una risposta concreta a quanto sostiene l'antitrust e che in questa fase si eviti un duplicato del servizio.
Dobbiamo riconoscere che Radio radicale ha svolto un compito utile, sicuramente con le anomalie del caso. Nessuno infatti sostiene che non sia anomalo il fatto che un organo di partito svolga un servizio di radio Parlamento. Dobbiamo però anche riconoscere che questo è stato fatto e che c'è una sostanziale e rara unanimità di considerazioni positive rispetto ai requisiti di obiettività con cui, in qualche modo sorprendentemente, quel servizio è stato svolto da parte di un organo di partito. Ciò almeno per quanto riguarda il servizio di radio Parlamento. Giustamente, non ci soffermiamo sugli altri aspetti, quelli relativi alla specifica attività politica.
Se allora questo è vero, se cioè riconosciamo che si è trattato di un lavoro


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utile, svolto addirittura gratuitamente - come ricordava prima il relatore - fino al 1993, che poi è intervenuta una convenzione che aveva norme precise e che ha stabilito cifre e costi inferiori a quelli che preventivava all'epoca la RAI per svolgere quel servizio, considerando però che Radio radicale riceveva un contributo anche in quanto organo di partito; se è vero che vogliamo costruire le condizioni per mantenere un servizio e riconoscere il lavoro svolto e, nello stesso tempo, costituire le condizioni per una gara assolutamente libera e paritaria, la preoccupazione - ed è il motivo per il quale occorre riflettere - riguarda, oggi come oggi, la realizzazione, francamente molto frammentata e precaria. Infatti, il servizio attuale che la RAI ha posto in essere non fa altro che evidenziare ulteriormente l'inadeguatezza da parte della stessa RAI ad assicurare il servizio di radio Parlamento, perché non si riesce a riceverlo, né a sintonizzarsi su di esso. Da questo punto di vista, ai fini della concorrenza, rischiamo di non fare nemmeno un favore all'immagine di quello che dovrebbe essere il servizio pubblico.
Allora, rinunciare ed abrogare la norma della legge Mammì che disciplinava quell'aspetto e consentire che oggi si discuta della proroga di un servizio svolto in convenzione e della costruzione di condizioni lineari e trasparenti di una gara che deve essere realizzata e che deve vedere la partecipazione di tutti i soggetti che vogliono concorrere è una scelta che, secondo me, seppure potrebbe segnare da parte di alcuni un arretramento rispetto a certe posizioni, è coerente proprio con l'intento di non costruire un'ulteriore rete sottraendo spazi alla libertà dell'informazione e della piccola e media emittenza cui vogliamo fare riferimento. Dovremmo creare oggi le condizioni semplicemente di una proroga (in quanto si riconosce che il servizio è stato svolto) senza una sorta di doppio servizio che comporta anche - diciamo la verità - un certo spreco di denaro pubblico. Infatti, pagheremmo contestualmente una convenzione perché riconosciamo che Radio radicale fa un buon servizio e, nello stesso tempo, chiediamo al servizio pubblico di svolgere, con denaro pubblico, un ulteriore compito, oltre tutto, in questo momento, estremamente raffazzonato e discutibile.
Su questo aspetto dovrebbe esservi un concorso ed anche per quanto riguarda il sostegno all'emendamento di deputati rappresentanti tutti i gruppi del centro-sinistra vi è la volontà di chiarire che questo non è un problema che vede una parte difendere Radio radicale ed un'altra più tiepida o fredda. Probabilmente, ci sono valutazioni diverse, ma una maggiore riflessione forse consentirebbe - o consentirà; in questo accolgo positivamente la volontà di discutere che viene dal relatore e che è confermata dal Governo - da parte di tutti di non porre in essere su questo problema una contrapposizione ideologica, ma di trovare una soluzione che però deve essere ragionevole e portarci a predisporre una gara che vada in una direzione di maggiore modernità e di miglioramento, magari con soggetti che gestiscano anche il servizio via satellite, su Internet o quant'altro, evitando che questo diventi un elemento per non definire, invece, quel poco o tanto che dobbiamo stabilire oggi. Prendo atto peraltro che c'è la volontà di arrivare ad una definizione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romani. Ne ha facoltà.

PAOLO ROMANI. Siamo arrivati a questo punto dopo polemiche, dopo aver accumulato dossier, anche dopo le conclusioni turbolente di una Commissione nella quale ci auguravamo si facessero dei passi in avanti. Vorrei tralasciare le polemiche che abbiamo avuto proprio in quest'aula con il Presidente in merito alla conclusione del lavoro in Commissione.
Il problema però, anche rispetto a quanto detto dal relatore e dal sottosegretario Vita, è capire quale percorso possiamo intraprendere, anche sulla base di fatti, di dati certi che nascono dal lavoro svolto, da documenti espressi da quest'Assemblea, dalle intenzioni del Governo manifestatesi con la presentazione di un progetto di legge al Senato.


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Se è vero, come è vero, che i provvedimenti legislativi nascono dalla confluenza tra quello che la Camera esprime e ciò che il Governo espone e propone, è altrettanto vero che la conclusione cui si è arrivati con il testo presentato in Commissione indica un percorso esattamente opposto.
Senza starvi a tediare riportando una quantità di documenti ufficiali, ricorderete tutti che il 17 dicembre 1997 è stato approvato alla Camera da tutti i gruppi parlamentari rappresentati in quest'aula un ordine del giorno con il quale venivano affermate alcune cose: ad esempio, che dare attuazione all'articolo 24 della legge Mammì rappresentava un incomprensibile passo indietro; che era necessario stabilire una convenzione con un concessionario per la radiodiffusione sonora nazionale da scegliersi con una gara; altri punti che più o meno erano in linea con l'orientamento appena espresso.
Si faceva comunque riferimento ad un testo sottoscritto da 560 parlamentari, quindi dalla maggioranza del Parlamento, in cui si affermava che si doveva realizzare una convenzione con una rete radiofonica privata, introdurre un meccanismo di gara, sostanzialmente consentire a Radio radicale di continuare ad offrire il servizio attivato fino a quel momento per arrivare ad una gara che permettesse di capire come questo servizio potesse essere garantito.
Sostanzialmente questi erano i punti che venivano sottolineati a livello di Parlamento: anzitutto, sembrava fuori luogo attivare quanto previsto dall'articolo 24 della legge Mammì e confermato dall'articolo 14 del contratto di servizio; in secondo luogo, si doveva stabilire con una gara non meglio identificata - poi ci arriveremo - chi dovesse garantire effettivamente il servizio.
Questo per quanto riguarda il Parlamento. Ma il Governo ha fatto di più: ha presentato un provvedimento, da sottoporre all'esame del Senato, in cui si diceva chiaramente che la scelta del concessionario doveva avvenire mediante gara, tenuto conto di criteri di pari valore, che erano la precedente attività, l'informazione d'interesse generale, l'affidabilità tecnica della proposta, il minore contributo finanziario.
Apro una parentesi: disponiamo di una mole di documenti riguardanti il costo che forse avrebbe - è stato anche difficile capirlo - il GR Parlamento (investimenti sulle frequenze, gestione, trasferimenti di risorse, richieste di incrementi di canone in base agli investimenti effettuati, mal digeriti, mal proposti e mal documentati dal Governo stesso in sede di Commissione di vigilanza).
Se questa è la sintesi del lavoro fatto, non si riesce a capire per quale straordinario motivo oggi siamo a questo punto. Sento anche da parte di esponenti della maggioranza una volontà di fare un passo avanti; il sottosegretario Vita già in Commissione in quella turbolenta mattinata disse che c'era la possibilità di fare progressi; questa sera ha compiuto un ulteriore piccolo passo avanti - gliene do atto -, ha sostenuto che nell'eventualità in cui si facesse una gara, immediatamente dopo non ci sarebbe più costanza delle norme vigenti, quindi decadrebbe l'articolo 24 della legge Mammì e conseguentemente l'articolo 14 del contratto di servizio. Se questo è il punto, è il punto di partenza, non un punto di arrivo.
Il relatore ci chiede di tornare in Commissione in sede legislativa. Francamente non ho capito per quale straordinario motivo, in presenza dell' urgenza dell'approvazione del provvedimento, abbiamo dovuto procedere a questo passaggio complesso in aula per poi tornare in Commissione. Comunque, ammettiamo pure che si possa tornare in sede legislativa, dove forse la situazione è più semplice, perché le polemiche (anche se le recenti turbolenze non stanno a dimostrare l'esattezza di tale tesi) dovrebbero tutto sommato essere meno pesanti. Però, mi domando: con quale testo torniamo in Commissione? Con questo testo? Non credo. Il Governo ha intenzione di presentare una proposta, di formalizzarla con un emendamento? La sede legislativa, infatti, ha un senso nel momento in cui

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c'è un'evoluzione rispetto al percorso che è stato compiuto, quindi rispetto al testo che si è discusso fino ad ora, altrimenti francamente non riesco a capirne il motivo. Pur tuttavia, esperiamo pure questo tentativo, cerchiamo una soluzione. Voi mi conoscete, non sono uomo da polemiche, bensì uomo che cerca comunque una via d'uscita, al di là della definizione di alcuni rapporti formali a cui tengo, Presidente (e lei sa a cosa mi riferisco); però vorrei capire se oggi il Governo abbia intenzione di proporre, rispetto al testo che è stato approvato dal Senato, in totale contraddizione con quello che al Senato era stato presentato, un emendamento ampiamente modificativo, su due punti di fondo: gara e vigenza dell'articolo 24 della legge Mammì. La proposta non si sa esattamente a cosa si riferisca: nel momento in cui si stabilisce una gara abbiamo detto tutti che, chiaramente, questa non deve condurre ad una situazione di monopolio. Però anche su questo punto vorrei alcuni chiarimenti. Qui siamo in una situazione di monopolio di Stato riguardo al servizio pubblico o di monopolio di parte? Nel momento in cui si mettono in competizione il soggetto privato ed il soggetto pubblico vorrei capire se si riesca a fissare dei paletti che consentano al privato di non decadere dalle sue possibilità di proposta rispetto al servizio pubblico. Comunque, il fatto stesso che esista un GR Parlamento attivato adesso, proprio nel momento in cui ci si avviava a discutere questo provvedimento, ossia l'8 febbraio scorso, mi domando se non possa comportare conseguenze negative per la gara che si svolgerà. Esistono, insomma, tutta una serie di passaggi delicati, sia in termini di contenuti sia in termini di tempo, che incidono fortemente sulla scelta e sulla decisione che dobbiamo prendere in merito al fatto di tornare in Commissione cultura in sede legislativa.
Vorrei chiedere al Governo un pochino più di coraggio su questo punto. Mi pare che sui contenuti di fondo siamo tutti d'accordo: siamo tornati ad una fase in cui tutti riconosciamo la validità dell'esperimento, in cui tutti riconosciamo che questo servizio deve essere garantito ed in cui mi pare si sia anche detto che forse l'attuazione dell'articolo 24 poteva non avvenire in termini così rapidi da dare adito a maliziose interpretazioni.
Onorevole relatore, pregherei anche lei di attivarsi presso il suo Governo affinché ci fornisca materia su cui discutere, altrimenti torneremmo in Commissione solo per farci una chiacchierata, per ascoltare le lamentele - da me, devo dire, anche condivise - sul fatto che spesso si entra nella Commissione cultura avendo ascoltato mezz'ora prima alla radio alcuni passaggi che proprio non appartengono alla cortesia istituzionale politica che comunque, anche in questo campo, dovrebbe esserci: ci sono alcuni estremismi verbali sui quali sapete che non sono d'accordo. Insomma, qualcosa deve essere modificato, altrimenti andremmo a parlare di cose che già conosciamo. Il mio gruppo non ha particolari motivi ostativi, solo non sappiamo cosa andremo a fare in Commissione. Il Governo, quindi, prenda coraggio e ci faccia sapere con maggiore esattezza quali siano le sue intenzioni: dispone di uffici competenti, che hanno già dimostrato le loro capacità in tutte le occasioni complicate in cui ci siamo trovati, anche alle due del mattino, di fronte ad una serie infinita di proposte su cui bisognava trovare una via d'uscita. Può darsi che anche in questo caso sia possibile trovare una soluzione: comunque, un passo avanti dobbiamo farlo, perché nella situazione attuale ci è difficile prendere una decisione definitiva (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, a me la proposta formulata dal relatore Risari e ripresa poi dal sottosegretario Vita pare molto saggia e di buon senso, tendente ancora una volta a trovare una soluzione, a consentire la discussione, a mantenere la lucidità in una vicenda francamente un po' sovraccaricata, un po'


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incandescente, con molti elementi di esasperazione polemica ingiustificata. Credo si tratti di una polemica volta a difendere l'oggetto di questo provvedimento, che non è come chiudere Radio radicale, ma come prorogarla di due anni con un finanziamento di oltre venti miliardi. Quindi, parliamo di un provvedimento non volto a chiudere una radio, ma volto a consentirne il funzionamento, con un doppio finanziamento alla medesima radio, sotto specie di giornale di partito e sotto specie di servizio pubblico. Quindi, mi pare un provvedimento per il quale addirittura il Governo potrebbe essere accusato dalla sua maggioranza, eventualmente, di spericolatezza e non certamente di una volontà vessatoria.
Lo dico perché al collega Romani che chiede - e mi convince, perché io sono sostenitore della ricerca di un punto di intesa - quale passo avanti faccia il Governo e quale passo avanti faccia Risari io rispondo che questa sera ho capito soltanto quale passo avanti fanno il relatore e il Governo, cioè aver raccolto una proposta che era stata formulata, prima della incandescente conclusione della Commissione, da parte dell'onorevole Taradash, quindi da parte dell'opposizione, nel senso di mantenere il provvedimento in sede legislativa. Anche allora, quando è stata formulata la proposta, non c'era alcuna soluzione. Non era stata avanzata una proposta, ma c'era una richiesta di metodo avanzata dall'onorevole Taradash, quella di mantenere il provvedimento in sede legislativa in Commissione proprio per poter affrontare e discutere in quella sede le soluzioni possibili.
Romani dice che c'è un passo avanti. Giustamente, si tiene stretto - fa bene, perché fa parte della dialettica parlamentare, per cui ciascuno deve dire un «passetto» e non un «passo» avanti -, ma comunque c'è il riconoscimento che il passo in avanti c'è stato. Quello che non ho capito è qual è l'altro passo in avanti, qual è il passo in avanti che viene fatto dall'altra parte. Altrimenti, si corre il rischio di passare per brutali, per cui poi accade che a Radio radicale, il lunedì, quando firmi, sei buono e il martedì, se esprimi qualche dissenso, sei nell'elenco dei cattivi, ma questo fa parte della polemica e sapete come la cosa non mi commuova più di tanto. Non è soltanto un problema di galateo istituzionale, ma è un problema anche politico, perché è evidente che se stiamo discutendo di servizio pubblico forse magari sarebbe il caso di non «massaggiare» con pesantezza tutti coloro che provano a dissentire, dal Presidente Violante, al relatore, al Governo; comunque, è un problema di stile e ognuno ha il suo. Certo che quando uno pone la questione del servizio pubblico, lo stile è sostanza, non è un problema di galateo, ma di funzionamento, di modo di essere rispetto ad un servizio che vuole essere pubblico e quindi si offre al pagamento della collettività. E non si risolve dicendo che poiché la RAI è faziosa il problema non si pone. Il problema, semmai, è come si eliminano eventuali faziosità, non come si sovrappongono o si sommano. Quindi, è proprio un ragionamento che non condivido in radice.
Ecco perché ho compreso i passi avanti fatti dal relatore e dal Governo e mi è parso che altri interventi vadano in questa direzione. Però, chiedo uno sforzo analogo. Quando si parla di asta - vedo il presidente Storace, ma non voglio polemizzare, perché condivido molte cose - si dice che essa deve essere senza privilegi. Io sono d'accordo: un'asta senza privilegi per alcuno. Quindi, un'asta che non può avere privilegi per un servizio pubblico, per cui ci si deve porre il problema di cosa accada in questo biennio. Mi pare che esista questo problema: cosa accade se metto a confronto una radio di dimensioni ridotte rispetto ad un grande colosso e poi pongo il problema di non avere oneri aggiuntivi?
È un problema oggettivo, ma non può essere visto solo nel rapporto tra la RAI e Radio radicale. Deve essere visto in questi termini: come si costruisce un'asta alla quale possano partecipare davvero tutti i soggetti senza che si formi una posizione di esclusiva e di monopolio? Il problema non è come supero un monopolio

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per costituirne un altro! Ma è l'esatto contrario del dibattito in corso sulla liberalizzazione, l'esatto contrario! Quindi, pongo io il problema su come, assieme, in Commissione, si costruisca, con passi avanti reciproci, un testo che garantisca tutti i soggetti. Altrimenti, è meglio essere brutali: è meglio l'assegnazione per via privata. È meglio eliminare la parola «asta»: un'asta finta è inutile e in questo caso voterei contro. È molto meglio che il provvedimento dica: «La RAI non può svolgere questo servizio. Lo svolge il centro di produzione Radio radicale». È meglio eliminare l'asta. La cosa peggiore è una finzione di asta. È illiberale e sarebbe un provvedimento truffaldino, che porterebbe a sommare i voti di dissenso del Polo, per una ragione, e di vasta parte della maggioranza, per un'altra. Con questo che cosa avremmo fatto? Avremmo affossato un provvedimento che ha come oggetto una proroga di due anni e venti miliardi. Partendo dal presupposto di salvare la radio, concorderemmo, per ragioni opposte, per l'affossamento della radio: mi pare francamente un modo di ragionare senza capo né coda, chiunque lo sostenga, a destra come a sinistra.
Io sono invece un sostenitore della difesa testarda del testo uscito dal Senato, per vedere quali siano gli emendamenti percorribili, ma sapendo che la soluzione peggiore sarebbe l'affossamento del testo del Senato e poi magari un'approvazione con voti multipli - perché questo poi si rischia - di emendamenti e subemendamenti che porti ad un testo talmente pasticciato da renderlo inutile. È evidente che gli emendamenti non possono essere relativi solo all'asta, perché a quel punto si riaprirebbe un processo emendativo.
Sull'asta la nostra disponibilità (non di Giulietti, ma del gruppo dei democratici di sinistra e della maggioranza) è stata illustrata chiaramente: mi pare che Risari lo abbia detto, questa volta con parole esplicite (se le si vuole ascoltare). Non si possono chiedere ad alcuni certi passi e poi considerare, per altri, questo processo come non dovuto: diventa difficile andare avanti così. Al contrario, l'accordo si fa se vi sono disponibilità reciproche. Se il problema è quello dell'asta, mi pare che il tema sia stato posto in modo molto limpido negli interventi di Vita e di Risari (ma condivido anche alcune preoccupazioni espresse da Romani). Chi farà l'accordo, allora? Lo si verifichi all'interno della Commissione e nel Comitato ristretto, si colgano queste disponibilità. Altrimenti - ripeto - si andrà in aula e si manifesteranno le reciproche insoddisfazioni. Io non voglio arrivare a tale percorso, perché sarebbe una strada di contrapposizione ideologica per la quale si rischierebbe di non tener conto dell'oggetto: trasmissioni delle dirette radiofoniche da parte di Radio radicale (e non di altri).
Questo non è affatto un progetto di legge secondario, perché non è soltanto un provvedimento di proroga e di doppio finanziamento: è una sostanziale alterazione del concetto di servizio pubblico; si tratta della modifica della letteratura che si è sviluppata per mezzo secolo in materia. Si può fare, ma bisogna dirlo; infatti altri grandi soggetti privati, ben più forti di Radio radicale, riterranno legittimamente di utilizzare questo grimaldello per altre operazioni di privatizzazione surrettizia, che possono essere lecite ma devono essere note al Governo. Non può accadere come in altre grandi privatizzazioni, per le quali a posteriori ci si rende conto di quali meccanismi siano stati messi in moto; la mia è una critica, certamente non nei confronti del Polo.
Si dice poi: molti parlamentari lo hanno chiesto. Consiglierei di non usare questo argomento. Infatti fino al dicembre 1997 diversi parlamentari - talvolta gli stessi - hanno firmato in varie sedi documenti chiedendo che si ponesse fine allo scandalo della RAI - che non faceva le dirette - e che si sollecitassero i Presidenti delle Camere ad una limpida iniziativa affinché la RAI procedesse alle dirette. Allora mettiamoci d'accordo: se qualcuno andasse a guardare i documenti, scoprirebbe che gli stessi parlamentari hanno firmato sia affinché la RAI riaprisse sia perché fossero abrogati l'articolo

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della legge Mammì e l'articolo del contratto di servizio. È lecito, non c'è niente di male, ma si tratta di argomenti deboli, perché sono reversibili.
Allora cercherei di scorporare le questioni. Una è stata posta nelle scorse settimane dal presidente Storace: la mancata rappresentazione della lista Pannella nella RAI. Se non ricordo male, la denuncia fu fatta da Storace. L'altra riguarda l'oggetto Radio radicale. Non bisogna sovrapporle, altrimenti facciamo grande confusione (come è accaduto non in questa sede, ma fuori di qui). Da una parte vi è il problema del mancato funzionamento del servizio pubblico, con le denunce fatte e con le iniziative dell'authority (fra l'altro, spero che ci faccia sapere come si è mossa, che cosa ha rilevato, dove, come e quando). Altra cosa è il provvedimento al nostro esame.
L'intera vicenda è stata segnata da passaggi contraddittori. A questo punto l'unica iniziativa limpida che il Parlamento potrebbe assumere sarebbe l'affossamento del provvedimento in questione: una via limpida per ricominciare da capo e ridiscutere il problema ab origine. Il Polo ritiene, con motivazioni legittime, che il provvedimento sia teso a mantenere il monopolio in mano al servizio pubblico prefigurando un'asta che soffocherà tra due anni Radio radicale: una specie di killeraggio rinviato. Scusate se rappresento così questa posizione.

FRANCESCO STORACE. La rappresentazione è giusta.

GIUSEPPE GIULIETTI. Il Polo sostiene, quindi, che, così com'è, questo provvedimento non funziona. Il problema è che per trovare un accordo bisogna anche sentire le ragioni degli altri: altrimenti non si arriva a nessun emendamento comune.
La lista Pannella ha parlato di mafia. Mafia, brigatisti rossi, via Gradoli: ve lo risparmio. In sostanza hanno detto che un'associazione mafiosa vuole chiudere Radio radicale. Non comprendo perché l'associazione mafiosa dovrebbe votare. Il voto inquinante dell'associazione mafiosa sul provvedimento sarebbe anche un atto di scortesia. Fatto sta che nelle stesse ore ci si chiede un voto. Allora mettiamoci d'accordo: è un voto inquinante oppure è un voto auspicato? Non comprendo. Dagli appelli che ricevo mi par di capire che si chieda un voto anche alla maggioranza. Bene: prendo atto che sono in contraddizione con le affermazioni precedenti.
All'interno della maggioranza vi sono parlamentari che hanno legittimamente sollevato un problema. Ne hanno parlato Pecoraro Scanio (condivido molte delle sue riflessioni), Furio Colombo, Siniscalchi. Attenzione, non hanno detto di voler aderire a tutti gli emendamenti presentati, ma hanno posto una questione molto importante: quella dell'asta. A me pare che Vita abbia dato una risposta condivisa ed apprezzata dallo stesso Pecoraro Scanio (un argomento presente anche nella relazione di Risari).
Mi pare quindi che vi sia un terreno sul quale lavorare. Però occorre attenzione, perché all'interno della maggioranza gli stessi parlamentari - ecco perché invito tutti a non fare conteggi sbagliati e a privilegiare una trattativa o una mediazione fino alla fine - pongono poi altre questioni. Mi riferisco a quelle sollevate dal presidente Storace e da altri.
In questo provvedimento, per esempio, non si capisce quale sia l'organismo di controllo rispetto alla radio. E la Commissione di vigilanza? La parte che farà il servizio pubblico ha un elemento di garanzia o non ce l'ha? Manca.
Il doppio finanziamento è o non è un'anomalia giuridica? Credo che gli onorevoli Boato e Pecoraro Scanio, con i quali ho parlato, siano molto attenti al problema di come viene impostato il doppio finanziamento, perché esso apre un precedente.
Quanto all'asta, molti hanno citato il presidente Amato, il quale però ha detto una cosa molto interessante: se si va all'asta, le società devono essere due, una che gestisce l'attività di partito ed una che gestisce il servizio pubblico. Questo è un emendamento per noi fondamentale all'interno


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della discussione, perché raccoglie il consenso di tutti i parlamentari della maggioranza, senza differenza. Anche tale dato, dunque, deve essere tenuto presente.
Altre preoccupazioni, poi, sono state manifestate riguardo alla scarsa attenzione che il provvedimento dedica alle altre radio comunitarie e di informazione. Perché dico questo? Per chiarire che dobbiamo tener conto dei grandi dissensi trasversali e delle preoccupazioni nel Polo, nella lega e nella maggioranza che devono essere governati, come è stato proposto, in sede legislativa, con un paziente lavoro che, sulla questione dell'asta, non recepisca le preoccupazioni di una parte - lo dico al Governo - ma le preoccupazioni multiple: solo così si riuscirà a raggiungere un'intesa. Altrimenti si farà passare un emendamento e poi ne passeranno altri dodici: è la via che non auspico, perché continuo a pensare che si debba faticosamente ricercare un accordo sul provvedimento.
Per queste ragioni credo si debba compiere uno sforzo, che spero non sia confuso con subalternità, remissività o, peggio, con qualche elemento di paura. Ci conosciamo tutti e tutti sappiamo che così non è. Anzi, se poi si crea un clima sempre più incandescente, non si favorisce l'intesa: almeno per alcuni di noi, la volontà di cedere, perché c'è un elemento di forte pressione, è l'ultimo dei sentimenti e peraltro sarebbe irrispettoso nei confronti della protesta.
Siamo dunque in una situazione, come quella relativa alla legge n. 1021 sul riordino del sistema radiotelevisivo, nella quale è preferibile compiere lo sforzo di tornare in Commissione in sede legislativa. Ciascuno deve fare un passo perché si trovi un'intesa, ognuno lavorando alla definizione del testo, con particolare riferimento ai temi dell'asta e dei controlli.
Non è vero quello che sento dire in continuazione: l'opinione pubblica vuole... Guardate, non so cosa voglia l'opinione pubblica su questa questione. Credo non sia molto appassionata, né interessata. Peraltro non ritengo che i provvedimenti di legge si facciano in base a ciò che vuole la gente. Comunque molte delle persone che incontro hanno un giudizio diametralmente opposto a quello che sento: ritengono che sulla questione la maggioranza non stia facendo il suo dovere, che non stia spingendo il Governo ad una posizione più attenta. C'è dunque una forte protesta di segno opposto.
Si può fare un provvedimento di legge in queste condizioni? Mi pare sarebbe una grande sciocchezza! Non è questo il modo di arrivare ad un'intesa sulla legge: non può essere questo. Credo quindi che ciascuno debba farsi carico delle contraddizioni e delle difficoltà che si incontrano in ordine al provvedimento, per arrivare ad una mediazione e ad un'intesa.
Penso che sia possibile farlo all'interno della Commissione ed il nostro gruppo opererà in tale direzione, chiedendo a ciascuno di noi una grande attenzione - lo dico al Governo - sulla questione dell'asta. Mi creda, onorevole Vita, non era una battuta: l'asta deve essere in grado di dare garanzia (ovviamente non vi può essere scritto il nome della RAI e quindi vi è un elemento di asimmetria che lei ha rilevato) perché è del tutto evidente che non può essere fatta nelle condizioni opposte.
Ripeto: in questo caso è meglio che ognuno voti il provvedimento così come è, perché è meglio il provvedimento del Senato. Quanto meno resti a verbale la diversificazione su un'asta che non sarebbe limpida, se non lavorassimo con fatica per esplicitare le nostre posizioni e costruire questo emendamento.
Può darsi che il Governo non sia stato chiaro, ma finora non ho sentito chiarezza dall'altra parte sui modi attraverso i quali va assicurata una larga partecipazione a questa asta. Allo stesso modo occorre chiarire che non si passa da un monopolio all'altro: su questo ancora non sono stato convinto.
Può darsi che lavorando si possa trovare la soluzione (del resto l'abbiamo trovata su questioni ben più complicate). Ricordo, ad esempio, che l'abbiamo trovata in quest'aula su un tema come quello

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del conflitto di interessi e del numero delle reti televisive di ciascun soggetto. Mi pare non credibile che non si possa trovare un'intesa sulla costruzione di questo percorso.
In ogni caso, per quanto ci riguarda, non c'è nessuno in quest'aula né fuori di qui (è questa la posizione che rappresento a nome del mio gruppo) che ci farà ragionare o esprimere un voto di puro dispetto su questa vicenda. L'oggetto è Radio radicale, l'oggetto è la proroga; questo oggetto non lo perderemo di vista. Qualunque cosa accade in aula o in Commissione il nostro impegno è quello di favorire l'approvazione del provvedimento in esame, di garantire la salvaguardia della radio, di costruire l'asta e non semplicemente di esprimere un voto polemico in replica a toni diciamo troppo esasperati.
Fino all'ultimo secondo, se sarà possibile costruire assieme un'intesa noi opereremo in questa direzione. Altrimenti, nessuna tragedia! In Commissione o in Assemblea si andrà al voto: ci sarà qualcuno che vincerà e qualcuno che perderà. Quello che vorrei evitare è che si perdesse di vista l'oggetto, il punto fondamentale per cui siamo qui riuniti: la diretta dei lavori parlamentari, la proroga dei due anni, il finanziamento di 20 miliardi che si aggiungono agli 11 miliardi dell'anno scorso e il riconoscimento di questo servizio. Credo che su ciò faremo bene a convergere tutti esprimendo un voto convinto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Landolfi. Ne ha facoltà.

MARIO LANDOLFI. Presidente, penso che la richiesta del relatore Risari, fatta propria anche dal Governo, aggiunga confusione a confusione e per quanto riguarda il metodo, il percorso da seguire, e per quanto riguarda il merito.
Ricordo che già in Commissione avevamo proposto, attraverso l'onorevole Taradash (lo ha detto poc'anzi l'onorevole Giulietti) l'esame in sede legislativa; c'è stato risposto che vi era la necessità dell'esame in Assemblea per cui in Commissione non si sono neppure valutati ed esaminati gli emendamenti presentati.
Oggi, qui in aula, il relatore e il Governo, che in qualche modo si erano opposti (soprattutto il relatore) a quella richiesta, ci propongono la stessa cosa. Ma questo non sarebbe un grave danno, onorevole Vita, onorevole Risari! Il problema, infatti, riguarda soprattutto il merito; la confusione riguarda soprattutto la mancanza di chiarezza che si evince dalla proposta del relatore e dalle parole pronunciate dal sottosegretario Vita.
L'onorevole Risari ha fatto riferimento ad una gara libera - e chi potrebbe non essere favorevole ad una gara libera! -, ma subito dopo ha aggiunto di essere contrario a qualsiasi monopolio. Ebbene, onorevole Risari, quando si vince una gara non si opera in regime di monopolio ma si opera perché qualcuno ha vinto una gara (si è cioè vincitori di un concorso). Ma queste parole vengono di fatto successivamente smentite dal sottosegretario Vita allorquando egli afferma che se si fa la gara la vigenza della normativa attuale viene a mancare. E questo l'onorevole Vita lo porta ad esempio come un passo avanti fatto dal Governo. Ma non è così, perché questo sarebbe un raggiro. Se non si elimina adesso la normativa vigente, se non parliamo adesso dell'articolo 24 della cosiddetta legge Mammì, di questo articolo che delinea e disegna una posizione dominante a favore della RAI, noi non potremmo fare alcuna gara che sia libera, pulita e trasparente. Onorevole Vita, è l'evidenza dei fatti a dircelo! Ed è questo il macigno che si frappone tra noi e l'approvazione di questo provvedimento così come approvato dal Senato.
Vorrei ricordare, come ha fatto l'onorevole Romani, che l'esistenza in vita di quell'articolo 24, è stata «contestata» da un ordine del giorno (primo firmatario l'onorevole Boato), sottoscritto da 550 parlamentari, tra cui l'onorevole Mussi.
Allora, o l'ordine del giorno è come il famoso sigaro che non si nega ad alcuno o non c'è più coerenza tra le posizioni


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pubbliche che solennemente si assumono all'interno di quest'aula ed i comportamenti concreti.
Perché non viene abrogato l'articolo 24? Per quale motivo, onorevole Vita, questo articolo, che è il vero ostacolo all'approvazione del provvedimento, non viene messo in discussione? Pensa davvero che sostenere di averlo trovato e di averlo lasciato in una legge che è stata avversata, combattuta e addirittura maledetta serva davvero a ridarle innocenza politica rispetto a questo provvedimento? Veramente ritiene che parlare contro la legge Mammì, che contiene l'articolo 24, salvi in qualche modo questa maggioranza e questo Governo? Ma chi impedisce al Governo e alla maggioranza di abrogare l'articolo 24? Basta un tratto di penna, perché l'articolo 24 non fa solamente diventare la RAI qualcosa di diverso da quello che è, ma è stato anche applicato male.
Ho davanti a me la lettera che il presidente Storace ha inviato al ministro delle comunicazioni Maccanico e al presidente della RAI Zaccaria sulla gestione illegittima o illegale di questa quarta rete parlamentare. Infatti, la legge, all'articolo 24, stabilisce che la quarta rete parlamentare si occupi esclusivamente dei lavori parlamentari e di quelli degli organi costituzionali; oggi, invece, la quarta rete parlamentare si sta occupando, oltre che dei lavori dell'Assemblea, anche di quelli delle Commissioni, della Corte costituzionale, dei lavori dei congressi, dei convegni, di tutto quanto fa spettacolo e di tutto quanto fa politica. Quindi, vi è un primo problema che dovreste risolvere: mi riferisco al fatto che la RAI sta sfruttando in maniera illegittima, cioè non conforme alla norma che volete tenere in vita, questa funzione. È un fatto molto importante perché dobbiamo dire le cose come stanno ed è un fatto che evidenzia quale sia il reale oggetto dello scontro.
Maggioranza e Governo sono appiattiti sulle posizioni del «partito RAI». Non voglio ideologizzare lo scontro, ma non voglio neppure che tutto questo passi in cavalleria, altrimenti non si spiegherebbe perché siate addirittura arrivati a smentire il Presidente del Consiglio. Infatti, voi avete smentito Prodi che, nel gennaio scorso, ha parlato della necessità di una gara. Invece in questo disegno di legge, onorevole Vita, non vi è alcun riferimento alla gara, perché il Governo, contrariamente a quanto lei ha affermato in quest'aula, ha espresso parere favorevole, al Senato, all'emendamento Falomi, che ha stravolto e travolto il testo del disegno di legge precedente. Questa è la verità.
Quindi, non vi è alcun atteggiamento di neutralità né super partes del Governo, ma vi è invece la volontà di seguire pedissequamente le esigenze del «partito RAI».
Grazie a questa scandalosa fornicazione tra maggioranza, Governo e «partito RAI», avete prodotto un provvedimento che non significa nulla, perché non risolve la situazione esistente e non prevede alcunché per il futuro. In esso non vi è riferimento alla gara, onorevole Vita. Vi siete attardati sulla logica di una piccola Yalta. Avete spartito un segmento dell'informazione parlamentare, facendo capo da una parte ad un soggetto pubblico e dall'altra ad un concessionario privato. Siccome siamo il paese degli accomodamenti, come diceva qualcuno, finirà che un soggetto si occuperà della Camera e l'altro del Senato. Arriveremo anche a questa soluzione, in modo da non scontentare alcuno.
Come faremo però a spiegare al contribuente che dovrà pagare due volte per ottenere il medesimo servizio? Come si farà a spiegare al cittadino italiano che per avere uno stesso servizio dovrà pagare due volte, perché dovrà pagare il concessionario privato ed il servizio pubblico? È quanto il Governo e la maggioranza hanno prodotto con il provvedimento in esame.
Ho sentito dire anche stasera che Radio radicale non potrebbe farlo perché è una radio di partito. Mi viene in mente - non suoni offesa per nessuno - il proverbio cinese: «Quando il dito indica la luna l'imbecille guarda il dito e non la luna». Ma valutiamo se questo servizio sia

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stato espletato bene da Radio radicale: non ho sentito nessuno qui dentro che abbia accusato quest'ultima di faziosità, di aver trasmesso in maniera parziale, incompleta, scorretta; nessuno lo dice: tutti elogiano Radio radicale. Ma nel momento in cui si deve parlare della proroga della convenzione e della gara pulita allora si dice che Radio radicale è una radio di partito. Lo diceva Tassone prima, voglio ripeterlo anch'io, forse per fare una battuta: ma la RAI che cos'è, onorevole Vita?
Abbiamo dimenticato cosa è accaduto lo scorso autunno, con la crisi di Governo? La RAI ha dispiegato la potenza di fuoco catodica contro un partito della maggioranza, rifondazione comunista. Sono uscite fuori le donne dell'Ulivo, gli operai di Brescia, i metalmeccanici della FIOM, tutti insieme a spiegare che era male far cadere il Governo, che non era conveniente mettere in ginocchio Prodi, perché era il Presidente del Consiglio ed era necessaria la stabilità, per cui tutto ciò che la minava era addirittura un male. Che cos'era quello: un servizio pubblico foraggiato da tutti i cittadini italiani oppure un'emittente al servizio di uno schieramento politico, se non di un partito?
Onorevole Vita, noi - almeno chi vi parla - non facciamo una battaglia per Radio radicale; facciamo una battaglia di libertà. Se non si trattasse di questo, non ci sarebbe stato l'appello di ex Capi dello Stato, di Presidenti emeriti della Corte costituzionale, di senatori a vita, di legioni di parlamentari; neppure difenderemmo - consentitecelo -, noi di alleanza nazionale, un uomo politico come Pannella, dal quale ci separano tante cose.
Stiamo facendo qualcosa che va oltre la vicenda di Radio radicale e questa convenzione; è una battaglia più importante, di libertà. Mi meraviglia, onorevole Vita, che il partito al quale lei è iscritto, che è quello che più di altri si batte per introdurre capitali privati nella RAI, che ha presentato proposte per trasformarla in una holding, sia poi quello che più si sta accanendo a riportare nella sfera pubblica un servizio che il privato già svolge, per unanime riconoscimento, bene.
Vorrei che qualcuno in quest'aula spiegasse un atteggiamento non comprensibile all'opinione pubblica. Vorrei dire all'onorevole Giulietti che non si tratta di essere pro o contro la privatizzazione di un servizio. Io sono contro la privatizzazione della RAI: lo sono oggi e forse lo sarò anche domani. Si tratta di un servizio che era già stato espletato da un soggetto privato perché vi era un soggetto pubblico inadempiente, che non lo svolgeva perché non gli conveniva. La RAI vuole la quarta rete perché non vuole svolgere la gara sulle tre reti che già ha, perché sarebbe un servizio non conveniente, che non produrrebbe nulla in termini di ritorni pubblicitari o «budgettari»: questa è la verità.
Si riporta allora in vita l'articolo 24 della legge Mammì dopo otto anni, lo si introduce nel contratto di servizio e si trasforma una facoltà in un obbligo. Oggi ci troviamo qui a discutere di questo provvedimento, facendo finta che ci siano gli spazi per una mediazione.
Se le cose stanno come ho ascoltato in quest'aula dalle parole dell'onorevole Risari e del sottosegretario Vita, penso che i margini per una mediazione siano estremamente ristretti, quasi inesistenti.
Partiamo da premesse molto, molto distanti; soprattutto non riesco a capire ancora stasera se nella maggioranza le posizioni siano univoche, se il pensiero del relatore corrisponda a quello del rappresentante del Governo.
Può darsi che sia una mia colpa, ma ho il conforto di altri colleghi, i quali pure sembrano non aver capito la differenza tra la gara pulita e il «no» al monopolio o la fine della normativa vigente al termine di una gara che pulita non potrà essere. Fino a quando sarà in vigore l'articolo 24 della legge Mammì non potrà mai esserci una gara pulita, perché la RAI è in una posizione dominante, ancorché legittima, per come produce le trasmissioni. Fateci capire: volete la sede legislativa per questo provvedimento? Benissimo, parliamone, ma fateci capire su quali basi, su quale testo, su quale prospettiva chiedete al Parlamento di riportare

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l'esame in sede legislativa. Mi sembra che questo sia il minimo che l'opposizione può chiedere alla maggioranza su un argomento così importante; qui si parla di informazione parlamentare nel senso più lato del diritto all'informazione, qui si parla della natura stessa del servizio pubblico.
Certo, onorevole Vita, quando esamineremo il disegno di legge n. 1138 ci occuperemo del futuro della RAI e allora verificheremo se chi oggi sostiene la necessità di portare nella sfera del servizio pubblico anche questo segmento dell'informazione parlamentare avrà la stessa forza nel propugnare la privatizzazione di una parte del servizio pubblico.
Su questo siete voi a doverci dare delle risposte, non dobbiamo essere noi a dichiarare se aderiamo o no alla vostra proposta, che è estremamente confusa.
Mi sia consentito, signor Presidente, in chiusura sollevare un altro aspetto, che afferisce solo marginalmente a questo problema. Mi dispiace che non presieda il Presidente Violante, ma spero che lei si faccia interprete delle mie parole. Mi riferisco all'episodio accaduto la settimana scorsa nella VII Commissione e che l'onorevole Romani ed io abbiamo richiamato in aula. Il Presidente Violante ha tenuto un atteggiamento «liquidatorio» rispetto ai rilievi da noi sollevati, quando abbiamo parlato di comportamento arrogante del presidente Castellani. L'onorevole Castellani è un galantuomo - non lo scopriamo oggi - ma ciò non toglie che egli abbia potuto tenere in quel momento un comportamento arrogante. Non mi sembra che ci sia nulla di eccezionale, perché anche la persona più mite, come il presidente Castellani, può avere qualche caduta di stile (se mi è consentito usare quest'espressione).
Il Presidente Violante ha liquidato questa faccenda in pochissime battute, in pochissimi secondi, mentre io speravo che egli ricordasse alla sua maggioranza che se essa, in ultima analisi, è protetta, garantita e tutelata dal numero, la minoranza può esistere solo in quanto è tutelata dal rispetto rigoroso delle regole del gioco. Quando il numero travolge e stravolge le regole del gioco, si verifica una situazione diversa dalla democrazia. Credevo che questo ricordasse il Presidente Violante, il quale forse si è fatto suggestionare dalla personalità dei due contendenti, e cioè il presidente Storace ed il presidente Castellani. Vogliamo sperare che quest'atteggiamento del Presidente Violante sia annoverabile tra gli errori umani, quelli che non ammettono perseveranza (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e per l'UDR-CDU/CDR).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Giovanardi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Colombo. Ne ha facoltà.

PAOLO COLOMBO. Signor Presidente, non ho molto da aggiungere a quanto è stato già detto e quindi mi limiterò a richiamare le questioni fondamentali contenute in questo provvedimento. Come ha ricordato l'onorevole Giulietti, bisogna tenere distinti fra loro due aspetti: da un lato la proroga del servizio concesso a Radio radicale (è un atto dovuto sul quale non c'è molto da discutere); dall'altro, la questione sulla quale dovremmo invece concentrare la nostra analisi è sul modo in cui proseguire, allo scadere della proroga, l'assegnazione del servizio di diffusione delle trasmissioni parlamentari e degli altri organi istituzionali. Questo è il nodo vero da sciogliere ed è un problema che chiaramente non può essere risolto in modo semplicistico pensando a due sole alternative, com'è stato paventato nel disegno di legge al nostro esame. Una di tali alternative è quella di individuare una gara che anche l'onorevole Giulietti considerava come viziata all'origine da un peccato originale, che non è risolvibile in questi termini: se i due contendenti sono Radio radicale e Radio Parlamento della RAI e se bisogna avere dei requisiti che possiede solo uno dei soggetti, allora è inutile svolgere qualsiasi tipo di gara e si potrebbe procedere con una licitazione


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privata al minor costo; in tal modo, però, si incapperebbe chiaramente nelle maglie di quelle che sono le direttive europee ed in tutte quelle questioni - che ben conosciamo - che ci impediscono di affrontare il problema in tali termini. Il problema va allora affrontato in termini assolutamente generali, senza pensare ad un soggetto che già dovrà vincere. Mi sembra evidente che anche la storia recente ci insegni che Radio Parlamento, cioè il servizio pubblico, faccia molta fatica ad introdursi in questo settore molto particolare; ed è altrettanto evidente che sia difficile ipotizzare e trovare soggetti privati disponibili a gestire su tutto il territorio nazionale questo servizio, perché è poco remunerativo dal punto di vista economico. Se non vogliamo, allora, ridurci a trattare con Radio radicale la prosecuzione di questo servizio, dobbiamo per forza di cose introdurre un elemento nuovo. Al di là di alcuni aspetti di carattere tecnico che bisogna risolvere (il primo dei quali è quello del possesso o meno di frequenze; vale a dire se il gestore deve portare in dote le sue frequenze o se queste ultime devono essere assegnate dal Ministero: vi è quindi il discorso del riassetto delle frequenze, che non è stato ancora risolto), credo che la chiave di volta che potrebbe reggere una gara è quella di non prevedere un unico gestore per tutto il territorio nazionale (perché ad oggi non ve ne sono e non si prevede che ve ne siano, proprio perché - lo ripeto - il settore non è appetibile dal punto di vista economico) e di prevedere, invece, diversi gestori per zone territoriali omogenee, che possono essere individuati in una regione o in un gruppo di regioni. Questo non deve scandalizzarci, perché non rappresenterebbe un attentato all'unità dello Stato, ma l'unico modo reale di mettere in concorrenza un numero adeguato di gestori e quindi di trovare una soluzione concorrenzialmente congrua ed inattaccabile.
Non ho altro da aggiungere in termini politici, perché le strade a questo punto sono due: o non si esce da questa ambiguità, dalla volontà di difendere un monopolio o un duopolio (e questo darà sicuramente dei risultati negativi sia in termini di servizio che di costo che gli utenti dovranno sostenere in qualsiasi termine, o pagando il canone oppure delle tasse per mantenere e per remunerare un gestore privato), oppure, uscendo da questa ambiguità e da questa incoerenza, dobbiamo per forza trovare una soluzione che possa garantire trasparenza e chiarezza e che sia in grado di fornire un servizio economicamente sostenibile da parte dello Stato (quindi con i minori oneri finanziari possibili) e quindi di rivolgerci a strutture che non abbiano dei costi di gestione abnormi, che già magari esistano, che possiedano frequenze e strutture e che abbiano dei costi limitati. Non vedo altra soluzione che individuare delle aree territoriali diverse da quella dell'intero territorio nazionale, che oggi non presenta altro attore oltre a quelli dei quali continuiamo a parlare, cioè appunto il gestore privato attuale (Radio radicale) e il gestore pubblico (Radio Parlamento). Al di là di questi due gestori, infatti, nessun altro può svolgere oggi questo servizio, perché gli editori radiofonici che svolgono il servizio commerciale privato sono pochissimi sul territorio nazionale ed hanno scopi diversi da quelli di utilità sociale.
È difficilissimo, inoltre, recuperare frequenze, come ha constatato anche Radio Parlamento, che non è riuscita ancora oggi a coprire tutto il territorio nazionale. Radio radicale è potuta arrivare a questo risultato dopo anni di encomiabile lavoro e credo che tutti i cittadini di questo Stato debbano riconoscerle questo merito. Sicuramente è stata avvantaggiata anche dal tempo che ha avuto a disposizione e dal periodo nel quale ha cominciato a svolgere questo servizio, quando la deregulation del settore garantiva migliori opportunità, migliori prospettive. Nella situazione attuale, se non si esce da questo impasse, se non si dà la possibilità di recuperare diversi gestori per diverse zone territoriali, penso sia difficile trovare una soluzione chiara, che stia in piedi e che possa essere approvata dal Parlamento.
L'ipotesi di tornare in Commissione in sede legislativa può essere utile, ma deve

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rappresentare uno strumento per arrivare ad una soluzione rapida e non un modo per evitare di affrontare i problemi e quindi per tentare di superare quelle maggioranze trasversali che potrebbero formarsi in aula a fronte di una mancanza di chiarezza e di soluzioni pasticciate che neppure il mio gruppo si sente di sostenere. Non siamo «preconcettualmente» contrari alla sede legislativa per affrontare con più calma il problema in Commissione; tuttavia, ripeto, questo non deve essere uno strumento per nascondere i problemi, per evitare di affrontarli, altrimenti saremo pronti a riportare la discussione in aula e sappiamo di avere la matematica certezza di poterlo fare.
Ribadisco ancora una volta che i problemi sono distinti: da un lato la proroga del servizio a Radio radicale, su cui siamo d'accordo e che riteniamo un atto dovuto; dall'altro la necessità di trovare una forma coerente di individuazione di un gestore che dia tutte le garanzie di correttezza e la possibilità di far competere più soggetti in modo che possa vincere il migliore. Siamo sicuri che Radio radicale in questa gara partirà avvantaggiata rispetto a molti altri. Quindi non deve essere assolutamente considerata un pericolo una gara trasparente, aperta e non una forma mascherata di affidamento di un servizio. La gara non deve assolutamente spaventare chi oggi fornisce questo servizio e che ha sicuramente le competenze, le professionalità, la storia, la documentazione, gli archivi, il materiale e le strutture funzionali per partire avvantaggiato rispetto ad altri concorrenti, ma sicuramente non esclude a priori altri soggetti che potrebbero intervenire e costruire una storia alternativa e sicuramente al servizio dei cittadini e di una maggiore democrazia in questo paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, colleghi, il provvedimento al nostro esame costituisce - lo ha già detto l'onorevole Tassone - un problema vitale, che misura anche il grado di libertà all'interno del nostro paese. Non è in gioco, infatti, soltanto la sopravvivenza di Radio radicale, che ha assicurato spazi di libertà sia alle forze di maggioranza sia alle forze di opposizione, una radio che si è conquistata un mercato attraverso un servizio che ha permesso ai cittadini di conoscere i dibattiti parlamentari, i congressi, i più importanti processi, le manifestazioni culturali e quanto consente al cittadino di ragionare con la propria testa e non con l'informazione che noi definiamo di regime.
Ci sentiamo vicini, per questi motivi, ai radicali, anche se, come i colleghi di alleanza nazionale ed altri, ci dividono certamente altre importanti questioni, come quelle dell'aborto o delle tossicodipendenze.
Gli inconfutabili dati raccolti dall'osservatorio di Pavia confermano il peso dominante che viene attribuito all'informazione governativa e, di converso, la scarsa attenzione alle forze dell'opposizione. Anzi, vi sono alcune forze politiche che non hanno trovato alcuno spazio: sono state letteralmente eliminate con un eloquente zero percentuale. L'articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di informazione e di stampa. Ma possiamo, caro sottosegretario, affermare veramente che tale diritto è oggi tutelato? Questo disegno di legge richiama la legge n. 223 del 1990, meglio nota come legge Mammì, che obbliga la concessionaria pubblica ad effettuare la trasmissione dei lavori parlamentari. Per otto anni la concessionaria pubblica non ha provveduto ad eseguire quanto la legge prevedeva, mentre per iniziativa libera di Radio radicale abbiamo potuto usufruire di tale servizio, dapprima a titolo gratuito, in seguito in base ad una convenzione. Perché solo ora la RAI si è precipitata, frettolosamente, ad attivare questo servizio? Forse per creare una quarta rete? Ma quale sia il motivo vero per il quale si debba attivare una quarta rete RAI, non si capisce bene. O forse il tentativo di creare una rete di informazione ancora una volta di regime, senza preoccuparsi se questo comporterà altri


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oneri per la collettività (vedi aumento del canone RAI, a proposito del quale non è stato detto chiaramente che non ci sarà)?
Di fronte a questa situazione pasticciata, la soluzione migliore ci appare quella di una proroga del servizio di Radio radicale e l'avvio di una gara vera, che ponga tutti i concorrenti su un piano di effettiva parità. Non accettiamo, quindi, lo stravolgimento dell'impostazione originaria del provvedimento operato al Senato. Ribadiamo con forza la necessità di una gara e, allo stesso tempo, il nostro «no» alla creazione di una quarta rete RAI. È per queste ragioni che il gruppo per l'UDR-CDU/CDR sosterrà l'emendamento presentato dalle opposizioni a garanzia della libertà di informazione. Mi riferisco all'emendamento, firmato dall'onorevole Manzione a nome di tutto il gruppo, sostitutivo dell'articolo 1, che voi certamente conoscete.
In conclusione, voglio solo fare una battuta sia all'onorevole Giulietti, sia all'onorevole Vita, ricordando, soprattutto al primo, che nel nostro emendamento, come ha detto anche il sottosegretario Vita, vengono identificati chiaramente i criteri che saranno posti al centro del bando di gara, con la normativa comunitaria a tutela della concorrenza, nonché la «disciplina in materia di posizioni dominanti del settore delle telecomunicazioni, di cui all'articolo 31 luglio 1997». Con questi criteri, oggettivamente usati in tutta Europa, mi sembra molto gratuita la posizione dell'onorevole Giulietti, per il quale si tratterà di una gara a senso unico che premierà il monopolista Radio radicale. Sarà invece una gara che permetterà, a chiunque sarà in grado di farlo, di partecipare in maniera trasparente a questa fetta di mercato costituita dagli ascoltatori dei lavori parlamentari. In tutta Europa è possibile farlo e forse lo sarà anche da noi, approvando l'emendamento di cui sto parlando.
L'ultima annotazione è indirizzata al sottosegretario Vita, il quale, come ha già fatto poco fa il suo collega Bassanini, prende atto di alcune modifiche della normativa apportate al Senato, a proposito delle quali la maggioranza è libera di decidere, a livello delle due Camere, qualsiasi cosa voglia. Ma io mi chiedo: questa maggioranza non sostiene questo Governo? Questa maggioranza con questo Governo non ha fatto una riflessione prima di stravolgere il testo della Camera al Senato? O vogliamo tutti giocare a rimpiattino, alla maggioranza e alla posizione della maggioranza a seconda dei banchi in cui ci troviamo?
Ecco, onorevole Vita, forse potrebbe evitarci queste prese d'atto pensando che il resto del Parlamento e gli ascoltatori non si rendano conto che sono un concorso di idee tra il Governo e la maggioranza, anche al Senato.
Spero che raccogliere l'invito suo e del relatore voglia dire anche avere nei prossimi minuti un maggiore chiarimento sulla reale buona volontà di accettare gli stimoli positivi contenuti nel nostro emendamento sostitutivo dell'articolo 1.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, questa sera la seduta è iniziata con la proposta del relatore - che mi sembra informale, visto che non è stata posta in votazione - di tornare in Commissione ed eventualmente di passare alla sede legislativa. Questa proposta è stata rinforzata, seppure con accenti diversi, dal sottosegretario Vita. Credo che bisognerebbe chiarire di che cosa si sta discutendo, perché io sto svolgendo, come altri, un intervento in una discussione sulle linee generali che non può tenere conto di quella proposta, perché essa non è stata formalizzata e non è stata legata ad alcuna novità. Infatti, se non c'è questa novità, mi domando di che cosa stiamo discutendo. Io stesso - lo ricordava il relatore - sollecitai il collega Risari a richiedere eventualmente la sede legislativa a conclusione della discussione in Commissione, ma ciò non venne fatto ed anzi il dibattito venne troncato piuttosto bruscamente evitando anche la discussione ed il voto degli emendamenti per arrivare celermente in Assemblea.


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Come dicevo, la sollecitazione che feci quella volta è stata respinta, siamo arrivati in aula e adesso in questa sede ci viene detto che potremmo tornare in Commissione ed eventualmente esaminare il provvedimento in sede legislativa. Aspetto allora di sapere su quale nuova proposta normativa torniamo in Commissione, perché se non c'è una nuova proposta non vedo proprio che cosa andiamo a fare: a guardarci negli occhi ed a ripetere tutto quello che abbiamo già detto in sede di discussione generale? Andiamo a votare gli emendamenti in Commissione dopo che c'è stato impedito di farlo? Non mi pare sia seria una discussione impostata in questi termini e chiedo al Governo che cosa voglia fare, di fare un passo indietro, non in avanti, cioè di tornare sulla proposta originaria dell'esecutivo, presentata il 10 febbraio scorso, cioè il disegno di legge n. 3053, in cui si parlava di una gara. Questa è la proposta che il Governo deve ripresentare, la sua proposta. Naturalmente, deve farlo tenendo conto di quelle che sono state le osservazioni dell'autorità garante della concorrenza, perché questo è il punto, sottosegretario, è inutile che ci giriamo intorno. In realtà, un mese dopo la presentazione di quel disegno di legge l'autorità garante della concorrenza è entrata pesantemente in campo e vi ha detto che avete fatto bene a scegliere la strada della gara, ma che in quella norma avete introdotto alcune cose che non possono essere accettate. Avete introdotto infatti il principio che nell'assegnazione del concessionario si terrà conto degli investimenti effettuati nel settore, ma la RAI non può realizzare oggi investimenti e poi pretendere di presentarsi alla gara sulla base degli investimenti che avrà effettuato nel settore. Ciò anche perché non soltanto falsifica la gara, ma fa concorrenza sleale ed illegale alle altre emittenti radiofoniche che stanno sul mercato.
L'autorità, quindi, ha detto: «Togliete il punto d) di quella proposta»; ha detto però anche un'altra cosa, ossia che non sarebbe bastato stabilire che era sospesa fino al 31 dicembre 1998 (data prevista per la gara in quel disegno di legge) l'efficacia dell'articolo 14 del contratto di servizio, ma che quell'articolo va cancellato, altrimenti la RAI potrebbe immediatamente, effettuata la gara, riprendere il servizio delle dirette dal Parlamento e, in questo modo, duplicare il servizio.
Collega Risari, lei ha detto l'esatto opposto di quanto sostiene l'autorità garante per la concorrenza ossia che, comunque vada la gara, la vinca Radio radicale, radio Padania o radio non so che cosa, la RAI sarebbe tenuta comunque, perché è gestore di servizio pubblico, a fornire lo stesso servizio. L'autorità garante per la concorrenza ha invece sostenuto ufficialmente con una sua segnalazione al Governo che questo non si deve fare. La RAI è l'unica emittente in Italia che non può offrire questo servizio; qualsiasi altra emittente privata - Radio radicale, Radio Padania, Italia radio - potrebbe svolgerlo gratuitamente; la RAI non potrebbe farlo perché riceve il canone, con il quale non può rifare una cosa che fa un altro, un privato il quale ha vinto una gara d'appalto ed oltre tutto l'ha vinta sulla base di un costo minore. La RAI non la può fare.
Questo è il principio, sul quale, sottosegretario Vita, noi ci stiamo scontrando. Non si tratta di mantenere in vita quell'oasi serena di felicità nel mondo cattivo che ci circonda, che è Radio radicale. Non si tratta di questo; non stiamo discutendo di finanziare Radio radicale, per due mesi, per due anni o per vent'anni, di darle una tutela. Stiamo discutendo di quello che l'autorità garante per la concorrenza ha comunicato al Parlamento.
L'autorità ha più volte sottolineato come un servizio pubblico o una parte di esso possa essere efficacemente svolto da soggetti diversi dal concessionario pubblico, garantendo comunque il pieno raggiungimento degli obiettivi di interesse generale. Noi stiamo discutendo di questo e su questo deve arrivare una proposta, collega relatore e sottosegretario Vita! In caso contrario, è chiaro che in nessun modo potremo trovare un punto di in

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contro, perché sarà una soluzione buonista, la soluzione di chi pensa a Radio radicale perché, sebbene sia radicale, straordinariamente, per qualche miracolo riesce a fare servizi obiettivi. Poi bisogna pensare alle radio comunitarie, a quelle che stanno sui territori colpiti dal terremoto, a quelle dei preti, a quelle degli ebrei. Bisogna pensare a tutto! Non bisogna pensare a tutto; oggi dobbiamo riflettere su un provvedimento volto a far sì che i cittadini di questo paese abbiano le dirette dal Parlamento. Di questo dobbiamo occuparci; tutto il resto verrà affrontato in un'altra sede; discuteremo in un'altra sede delle radio comunitarie, delle radio che si occupano del terremoto e via dicendo.
Dobbiamo discutere se la RAI debba offrire questo servizio perché a ciò tenuta dalla legge Mammì e dal contratto di servizio - quindi, se lo dovrà fare comunque, anche se Radio radicale o altra radio vincesse la gara -, oppure se in questo paese valga il principio per cui il servizio pubblico può essere gestito da chi lo offre in termini di migliore qualità e di minori costi. Questo è il problema.
Allora, si tratta di avanzare una proposta in quella direzione che innovi il punto della discussione cui eravamo arrivati in Commissione. La proposta ce l'avete! È quella del Governo, con le modifiche richieste dall'autorità garante per la concorrenza. Vi è anche un emendamento che si muove in quella direzione sottoscritto da numerosi parlamentari; può esser rivisto (ci sono giuste, formidabili preoccupazioni sulla radio di partito), discutiamone; nella sede legislativa si possono eventualmente affrontare questi punti, ma alcune cose devono essere chiarite prima di decidere il trasferimento in tale sede.
L'articolo 14 del contratto di servizio deve essere cancellato perché diversamente non esiste gara possibile. La RAI l'ha già vinta perché sta spendendo decine di miliardi, facendo investimenti, creando la quarta rete. La fa illegittimamente, come evidenzierà il collega Storace, che prenderà la parola dopo di me ed è già intervenuto nelle sedi appropriate per denunciare l'illegalità del comportamento della RAI, la quale non fa una quarta rete esclusivamente parlamentare, ma la quarta rete politica! In questo periodo sta facendo la prima rete e tutti questi «tran tran» (Camera, Senato, Commissione in sede legislativa) servono soltanto a consentirle di realizzare finalmente questo obiettivo: la prima rete, la MF1, quella che sta costruendo oggi, quella che una radio nazionale deve avere e finora non ha creato perché non l'ha voluta fare (fatti suoi). Intanto, però, dal 1976 Radio radicale svolge questo servizio e si candida a farlo anche per il futuro, costando la metà della metà di quello che costa la RAI, che, se Radio radicale svolgerà questo servizio, avrà il divieto assoluto di continuare a farlo, perché questo dice l'autorità garante della concorrenza. Questa non si basa su un preconcetto, ma sul fatto che un'emittente che riceve soldi pubblici deve spenderli per offrire un servizio che altri non offrono, per offrire qualcosa di diverso e di più. Questo è chiaro, ma non riesce ad entrare nella testa di chi ha una cultura completamente diversa e ritiene che la RAI, essendo gestore pubblico (per quanto si sappia che è RAI di partiti, RAI di Governi, RAI di poteri interni e di fazioni), essendo «cresimata» come pubblica, deve fare quello che non ha mai fatto e deve farlo oggi, anche se lo fa quando pare a lei e non quando pare alle leggi! La legge Mammì, infatti, esiste dal 1990 ed il concetto di servizio pubblico da qualche decennio, ma la RAI viene assolta da tutti i suoi peccati e le si dice: «Lo fai adesso? Benissimo! Lo fai per "fottere" Radio radicale? Benissimo! Ma lo fai perché è doveroso che tu lo faccia, quindi continua a farlo, noi siamo contenti». Allora, andiamo in sede legislativa a dire quanto siamo contenti che tutto ciò succeda.
Noi non possiamo accettare tutto questo. Allora, o il Governo ci comunica che è tornato all'impostazione del 10 febbraio scorso, quella del disegno di legge approntato dal Consiglio dei ministri, e che prende atto della segnalazione dell'autorità e su questa base intende proporre

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una gara aperta a tutti - e che vinca il migliore - oppure è inutile che torniamo nella Commissione da cui proveniamo, oltre tutto sentendoci sbattuti fuori dalla porta.
Spero che gli ultimi minuti di questa tarda serata, dopo l'intervento dell'onorevole Storace, verranno utilizzati positivamente per offrire una prospettiva: in caso contrario, non si venga qui a fare discorsi quali quelli che ho sentito, come se cioè ci fosse qualcuno che vieta qualcosa. Noi stiamo semplicemente ricordando che c'è una procedura stabilita dalla legge e ci sono le osservazioni di un'autorità garante, insediata da qualche tempo in questo paese: il Governo vuole attenersi alla legge oppure preferisce altre vie? Se vuole attenersi alla legge ci trova pienamente disponibili (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Storace. Ne ha facoltà.

FRANCESCO STORACE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, non si offenderà l'onorevole Risari, relatore per la maggioranza, se risponderò, nei fatti, più all'onorevole Giulietti, per le argomentazioni che ha portato, che alle sue, ma io vorrei confutare la tesi dei passi in avanti di questa maggioranza. Faccio quindi presente al sottosegretario che finora non c'è stato alcun compromesso, nulla di nulla. Sicuramente non vi è stato un compromesso al Senato, dove l'opposizione ha dovuto votare contro. Il Governo ha visto sconfessare dalla propria maggioranza la sua posizione (tanto è vero che si è arrivati all'approvazione di un emendamento), dopo essere stato sconfessato, come ha ricordato l'onorevole Taradash, dall'autorità garante della concorrenza, che non è composta da pericolosi esponenti del Polo delle libertà. Se su questo siamo d'accordo, possiamo arrivare al merito delle questioni.
Ci si accusa di definire il progetto di legge in esame «liberticida». Come dovremmo definirlo non lo so, però è certo che su questo testo abbiamo un giudizio fortemente negativo, partendo proprio dalla questione - che altri tentano di inserire - dell'organo di partito a cui viene appaltata una parte di servizio pubblico. Nessuno chiede una gara per favorire Radio radicale: sarà lecito affermare (e spero che tutti lo teniate presente nella riformulazione di un eventuale testo) che nessuno possa mettersi in testa di bandire una gara che preveda l'esclusione di Radio radicale, perché nemmeno questo è consentito dalle regole di mercato.
Arriverò anche alla proposta relativa al modo in cui rendere la gara più ampia, visto che questa sollecitazione viene espressa dall'onorevole Giulietti.
Tralascio il riferimento alle affermazioni del relatore secondo cui non vi è chiusura nei confronti dell'opposizione. Molte cose sono state già dette. Mi permetto di ricordare anch'io come si sia arrivati in Assemblea, dopo la burrascosa seduta di Commissione. A me non è mai capitato, onorevole Presidente Petrini, in Commissione di vigilanza, di interrompere l'intervento di un collega e di porre in votazione una questione. In Commissione cultura è successo questo, proprio mentre un rappresentante - non dico autorevole, ma un rappresentante - dell'opposizione cercava di fare una proposta ai fini del dibattito. Perché tanta fretta onorevole, presidente Castellani, onorevole Risari, membri della maggioranza? Arriveremo a capire il perché di tanta fretta, chi vi obbliga. Prima ci è stata messa fretta per arrivare subito a fissare il termine per la presentazione degli emendamenti. Io chiesi quando sarebbe stato fissato il termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione e mi fu risposto «domani», anzi, si stava quasi dicendo «oggi». Si arriva il giorno dopo e non si discutono più: si va in aula. Adesso si vuole ritornare in Commissione. È stato già detto, ma lo vorrei ribadire, perché c'è tanta strana follia in questo atteggiamento un po' schizofrenico, consentitemi di usare questa espressione: è un atteggiamento schizofrenico o, al contrario, sicuramente


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molto razionale, che ha precise motivazioni politiche, perché altrimenti non si comprenderebbe il motivo di certi atteggiamenti. E si chiedono all'opposizione passi in avanti. L'opposizione passi in avanti li ha fatti, per esempio, depositando pochi emendamenti; non abbiamo presentato un «vagone» di emendamenti, ma ne abbiamo presentati pochi per sottoporli alla discussione e non abbiamo avuto uno straccio di risposta su nemmeno un emendamento! Questo è un atteggiamento della maggioranza che va stigmatizzato.
E adesso si chiede la legislativa. Già i colleghi Landolfi, Romani, Taradash e altri intervenuti hanno detto: «Vogliamo vedere un testo». È la politica: se proprio ci tenete a tentare la strada di un'intesa, perché si può anche andare avanti a colpi di maggioranza, vi assumete la responsabilità di fronte al paese. Le battaglie si possono fare anche in nome di principi. Voi vincete, noi perdiamo: prendetevi questa responsabilità. Ma se chiedete all'opposizione di collaborare a migliorare un testo che evidentemente anche voi volete migliorare perché non vi soddisfa, ebbene ci vuole un passaggio politicamente corretto e come primo atto, immagino, la sconvocazione domani mattina del Comitato ristretto. Se dobbiamo discutere su come arrivare alla sede legislativa, cosa ci riuniamo a fare domani nel Comitato ristretto? È molto meglio la via politica, informale, per capire dove si deve andare a parare. Utilizziamo al meglio quelle ore. Invece, magari ci direte che è confermata la riunione di domani mattina.
Visto che ci sono questi precedenti, capirete che è difficile, non dico fidarsi, perché può sembrare scortese, però comprendersi, capirsi sulla sostanza delle questioni. Ad esempio, aspetto di capire dal relatore e dal sottosegretario se noi dobbiamo sanare un'illegalità. La vicenda che ho denunciato sulla programmazione che sta seguendo oggi il giornale radio Parlamento è qualcosa che non vi può vedere insensibili. Si è accusata per anni Mediaset di violare le norme antitrust; qui è la RAI che viola sicuramente le norme antitrust e nessuno dice nulla? Non dice nulla il relatore e, quel che è più grave, non dice nulla il Governo? Onorevole Vita, vorremmo sapere se nella lettera di autorizzazione alla RAI a varare Radio Parlamento avete detto alla RAI che può violare le norme antitrust. Il Parlamento ha il diritto di saperlo prima di legiferare su questa questione, prima di poter consentire alla RAI di continuare nei suoi disegni. Come ha detto l'onorevole Landolfi e come ribadisco, poi si può arrivare alle mediazioni. Prima ci deve essere chiarezza su quello che sta succedendo. Io sono disponibile a qualsiasi mediazione, non partendo dalla posizione nostra, ma da quella di un esponente della maggioranza, l'onorevole Pecoraro Scanio, che, guarda caso, assomiglia molto alla nostra: l'abrogazione dell'articolo 24 della legge Mammì nella parte che riguarda la rete parlamentare e l'abrogazione conseguenziale dell'articolo 14 del contratto di servizio, per arrivare alla gara vera. È stato già detto, ma va ribadito, che si deve andare ad una gara, ma la RAI vi deve partecipare con una delle sue reti. Non ci possono essere privilegi, non ci possono essere favoritismi: una volta tanto, fate capire anche voi alla RAI che non sempre si può avere tutto.
Questa RAI vuole avere tutto, ogni volta chiede i soldi al Parlamento. Sicuramente, a differenza di Radio radicale, non ha l'unanimità dei consensi: il servizio gestito dai privati ha l'unanimità dei consensi, mentre così non è per il servizio gestito dalla RAI (il quale non ha nemmeno la maggioranza dei consensi). E noi vogliamo affidare alla RAI altra roba a scatola chiusa? Consentirete all'opposizione di avere qualche perplessità.
Dobbiamo uscire dall'ipocrisia collettiva: se vogliamo arrivare a far partecipare tante radio (Radio dimensione suono, Radio 105, i network, tutti), lo possiamo fare, ma dobbiamo alzare il costo. Non ci sono alternative, perché non c'è nessuno che rinunci alla pubblicità per fare un piacere allo Stato. È per questo che partecipa Radio radicale: state tranquilli. Perché il corrispettivo è basso. Voi volete

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favorire il concorrente più forte, in modo che il «partito RAI» abbia il sopravvento. Ecco la motivazione politica: non dispiacere mai a viale Mazzini; alla vigilia di un'importante stagione di nomine bisogna fare quello che ordina il «partito RAI», altrimenti non ci sono le cambiali. Aiutateci a sgombrare il campo da questo sospetto; dimostrateci che siamo noi in malafede, che non volete favorire la RAI in cambio di nomine. Se c'è questo atteggiamento, forse si può recuperare un minimo di discussione seria. Anche per rispetto di chi in questi giorni ha dato prova di essere disponibile perfino a rischiare la vita su questa vicenda.
Lo dico con tutta la forza che ha l'argomento: non capita spesso di vedere cittadini pronti anche a morire per una battaglia politica; in tempi di fine delle ideologie c'è ancora chi vuole morire per la politica. Io non mi sono associato agli appelli per l'interruzione dello sciopero della sete: facevano bene ad andare avanti, anche a costo di morire. Vedete, colleghi, è vero che si tratta di vicende diverse, ma sono collegate intimamente dagli stessi soggetti passivi: la vicenda di Radio radicale e l'informazione sulla lista Pannella.
Dispiace non trovare nemmeno una parola negli interventi del sottosegretario e del relatore su quello che sta accadendo adesso a viale Mazzini. Non mi riferisco certo all'informazione sulla lista Pannella. Per fortuna, grazie alla battaglia dell'opposizione, nella legge Maccanico fu inserita la norma sul principio di responsabilità: per una violazione degli indirizzi della vigilanza si può attivare l'autorità di garanzia. Talvolta l'opposizione fa qualcosa di buono, quando ci si acconcia a discutere. Ma non aver trovato nemmeno una parola nei vostri interventi sulla violazione delle norme antitrust da parte della RAI (a cui vorremmo affidare questo servizio) è difficilmente commentabile: spero vi sia spazio per trattare questo argomento nelle repliche.
Allora chiariamo una volta per tutte questa storia dell'articolo 24. L'articolo 24 dice che la RAI può trasmettere esclusivamente lavori parlamentari: non, onorevole Risari, le attività dei gruppi parlamentari, che non c'entra nulla con l'attività costituzionale. Sul provvedimento lei ha avuto un predecessore illustre: l'onorevole Aniasi. Vada a rileggersi - come ho fatto io - le cronache parlamentari di quei giorni e le interpretazioni autentiche date da quel relatore. Le leggerò, per sua scienza, un passo del verbale della seduta del 31 luglio 1990: «Non si tratta di creare un'ulteriore rete della RAI-TV, bensì una rete istituzionale per la Camera, il Senato ed altri organismi costituzionali». Finito: i gruppi parlamentari non c'entrano nulla; sono organi interni.
Se si vuole sostenere questa tesi, allora si capisce tutto: si torna alla logica del «partito RAI». Lei potrebbe essere anche ribattezzato: «Raisari». Così capiremmo chi abbiamo di fronte. Vede, onorevole Raisari, lei sostiene che i gruppi parlamentari sono organi costituzionali, poi viene a sostenere - al contrario dell'autorità garante - la curiosa tesi del monopolio, per cui chi vince una gara è monopolista e chi la perde deve continuare a fare il servizio (lo ha brillantemente esposto l'onorevole Taradash). Non è possibile dirlo ai cittadini. Non è possibile dirlo neanche a me, non parlo di un illustre luminare. Non è possibile dirlo a nessuno. Non sono queste le regole del gioco.
Che lei sia in straordinaria coincidenza con il «partito RAI» lo dimostrano alcune circostanze. Onorevole Vita, la pregherei di darci una risposta in ordine alle modalità con le quali il Ministero ha autorizzato la RAI a varare la rete parlamentare in ossequio all'articolo 14 del contratto di servizio.
Dal rapporto bimestrale mi sono accorto - non perché sono bravo, ma perché leggo gli atti che ci invia la RAI - che sono stati trasmessi importanti eventi politici: la conferenza di alleanza nazionale a Verona, la direzione con rifondazione comunista a Roma, gli stati generali della sinistra a Firenze. Ce lo ha raccontato

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la RAI: hanno fatto una rete all news, che è un'altra cosa, come diceva l'onorevole Taradash, è una rete politica.
Sapete cosa ha risposto l'ineffabile presidente pro tempore della RAI? «La RAI ha avviato la rete parlamentare per rispettare l'obbligo previsto dal contratto di servizio»: fin qui ci siamo. «La RAI ha sempre detto di non volere alcuna esclusiva per l'informazione parlamentare»: cambia i termini della questione, perché il problema è che deve trasmettere esclusivamente i lavori parlamentari. Di più: «e non si è mai opposta alla convenzione con Radio radicale». Viale Mazzini ha diritto di veto? Sottoponete a viale Mazzini i vostri progetti? Il presidente della RAI dice che la RAI non si è mai opposta alla convenzione con Radio radicale: a che titolo dice queste cose?
E dice anche qualcosa di peggio, sottosegretario, nella dichiarazione rilasciata alle agenzie il 22 maggio scorso: «Il piano editoriale di GR Parlamento è stato inviato, prima dell'inizio delle trasmissioni, ai Presidenti dei due rami del Parlamento e al ministro delle comunicazioni». Violante, Mancino e Maccanico hanno dunque autorizzato la RAI a violare le norme antitrust? Questa è la conseguenza? Allora occorre una presa di posizione formalmente corretta da parte del ministro delle comunicazioni e dei Presidenti delle Camere, che dicano al presidente Zaccaria: non ci attribuisca autorizzazioni che non le abbiamo mai concesso! Mi rifiuto di credere che il ministro Maccanico e i Presidenti delle Camere siano proni ai voleri di Zaccaria e disponibili a dichiarare: sì, noi abbiamo autorizzato la violazione delle norme antitrust!
Serve una presa di posizione. Vedete, voi parlate di passi in avanti ed io rispondo: non abbiamo diritto di chiedere passi in avanti nel rispetto della legalità a chi rappresenta le istituzioni?
Veniamo al merito delle questioni. Come si fa a parlare delle gare aperte e a sostenere che la RAI rivendica il diritto di gara? 28 marzo 1994: il giorno dopo le elezioni vinte dal Polo delle libertà è stata firmata una convenzione ventennale che dà alla RAI 2.500 miliardi l'anno e poi ha la faccia tosta di dire che bisogna fare trasparenza sulle gare! Non devono scherzare su queste cose a viale Mazzini!
Vedete, voi potete anche approvare in Parlamento certe norme. Avete la maggioranza (la dovreste avere, nonostante qualcuno dichiari di votare in altro modo). Almeno il paese saprà chi voleva la gara aperta per 10 miliardi e chi non se l'è mai sognata per i 2.500 miliardi per vent'anni che il servizio pubblico radiotelevisivo si è intascati! Qualcuno si incaricherà di testimoniare queste cose!
Ancora: non conta proprio niente - lo ha ricordato prima l'onorevole Landolfi - l'interessante movimento di opinione che si è sviluppato a livello istituzionale? Penso che tutti dobbiamo avere rispetto per chi ha servito lo Stato nei più alti ambiti, dal Quirinale alla Consulta. Visto che parliamo di Europa, abbiamo un commissario europeo che ha dovuto trascorrere notti all'addiaccio - mi riferisco ad Emma Bonino - per tentare di conferire con un rappresentante del Governo della Repubblica. Non contano niente queste cose, onorevoli colleghi? Non è importante che chi rappresenta l'Italia in quel consesso sia costretto a rimanere fuori da palazzo Chigi per due o tre notti, perché non riesce a parlare della vicenda con il Presidente del Consiglio? Eppure vorrebbe cercare di capire le ragioni di una battaglia che - ha detto bene l'onorevole Landolfi - è di libertà.
Allora, perché non interrompere questo atteggiamento e passare dalla fase dell'iscrizione al «partito RAI» a quella di chi vuole giudicare con oggettività ed obiettività le vicende? Sono toni da comizio o sono semplicemente amare verità che vanno dette in quest'aula? Dobbiamo cominciare a riconoscere le ragioni di chi sta tentando di battersi per una causa giusta. Non è una causa utile: le utili le combattono altri, a noi interessano le giuste, anche quando non riguardano noi stessi. Davvero non abbiamo conflitto di interesse, vogliamo semplicemente fare una battaglia politica. La volontà di chiarezza, però, non traspare da altri settori.

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Ancora dobbiamo conoscere, in ordine alle considerazioni di merito che abbiamo fatto su questo provvedimento, alcune risposte.
Chi non l'ha fatto, legga il primo comma dell'articolo 1! In esso si dice che si fisseranno entro il 31 dicembre le modalità per lo svolgimento del servizio delle sedute parlamentari. Chi le fissa? Quali sono i requisiti? Quali sono i controlli da attivare? Non c'è scritto nulla! Chi fissa le modalità? Lo Spirito Santo? Questo allora è un problema, la legge dovrà dunque tornare al Senato: questo è poco ma sicuro, a meno che non vogliate approvare una legge che francamente sarebbe censurabile, se non altro per il modo in cui è stata scritta nell'altro ramo del Parlamento.
Onorevole Vita, abbiamo diritto o no ad una risposta, non sulle responsabilità vostre, ma su quelle della RAI e sull'alterazione del mercato delle frequenze? Lei è stato protagonista di altre battaglie per altro tipo di frequenze, ebbene, ci sono anche queste questioni.
Stiamo parlando di un servizio che con i radicali è costato 10 miliardi, mentre, di riffa o di raffa, con la RAI è costato 80 miliardi. Grazie a questo marchingegno, l'aumento di 5 mila lire del canone moltiplicato per 16 milioni di abbonati fa 80 miliardi. E questo per avere lo stesso servizio! Costerà la metà di 80 miliardi? Costerà un quarto di 80 miliardi? Siamo a 25-30 miliardi, è questo il corrispettivo. Ebbene cosa ha fatto con questi soldi la RAI? Ha comprato tante frequenze facendo lievitare il costo della radio.
Eliminiamo dunque quel «senza oneri aggiuntivi» sul canone di abbonamento, perché il canone è già stato aumentato. Ogni anno rimane quella cifra che è stata già aumentata. Non si è trattato dunque di un aumento una tantum! È un'ipocrisia.
Visto che sul punto sono state presentate delle interrogazioni, ci volete informare, prima di arrivare a licenziare questo provvedimento, se è vero che vi è stata una turbativa di mercato e che la RAI, con quei soldi, è andata a comprare nelle Marche, per un miliardo e 900 milioni, Radio golden che un anno fa ancora non esisteva?
Per Roma e parte del Lazio sono stati spesi un miliardo e 800 milioni; in Toscana, per due impianti (uno a Monte Serra e l'altro a Monte Argentario) sono stati spesi 800 milioni per «coprire» una zona con poco più di 500 mila abitanti. In Abruzzo è stato speso un miliardo per 600 mila abitanti. Sulla base di tali dati risulta pertanto che la RAI ha sborsato o dovrà comunque sborsare per servire una popolazione di circa 5 milioni e 100 mila abitanti (gli abitanti delle zone che ho citato) una somma che oscilla tra i 6 miliardi e 200 milioni e 7 miliardi e 200 milioni.
La rete GR Parlamento, in base a quanto preannuanciato dall'ex direttore Iseppi, dovrà arrivare a «coprire» la stessa quota di popolazione servita da Radio radicale (il 75 per cento); quindi si dovranno acquistare impianti per una cifra oscillante tra i 40 e i 50 miliardi (i radicali, 10 miliardi, che provengono dai cittadini).
Vorremmo sapere se il Governo ha verificato queste cose su cui peraltro abbiamo presentato un nostro emendamento al quale non è stata data risposta. A tale riguardo ricordo che nel nostro emendamento diciamo che la RAI può attivare questo servizio sulle frequenze disponibili fino al 31 dicembre 1997; i contratti successivi a quella data sono nulli, perché non è pensabile che si possa arrivare con una potenza di fuoco - quella sì! - miliardaria sul mercato delle frequenze, rastrellando tutto e dire poi: noi siamo i più forti sul mercato. E questo con i soldi dei cittadini!
Vorrei concludere, Presidente, ricordando soltanto come valore morale quanto è già stato detto da altri, in particolare dai colleghi Romani e Landolfi. Vorrei cioè ricordare l'appello sottoscritto da 560 parlamentari ed infine la questione legata al fatto se si possa essere organi di partiti o movimenti politici.
Brevissimamente dirò che noi dobbiamo valutare se quell'organo di partito

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sia andato bene o no, se ha servito il pubblico oppure no. Di converso, possiamo valutare se l'organo non di partito (la RAI) sia in grado di soddisfare la domanda di pluralismo. Diversamente vorrebbe dire che far parte di un partito politico è una limitazione; il che francamente non mi sento di condividerlo. Penso che far parte di un partito politico, se si rispettano le regole del gioco dettate da una convenzione (e se ne controlla il rispetto), possa essere tranquillamente accettato.
Mi riesce difficile immaginare che l'organo non di partito (come immagino voi definiate la RAI), soggetta a convenzioni e a controlli possa risultare alla prova pulito, candido, innocente. Abbiamo sufficiente esperienza, da questo punto di vista, che ci porta a considerare forse molto più pluralista chi si dichiara apertamente di parte rispetto a chi predica ogni giorno pluralismo facendone però strage (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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