Allegato A
Seduta 212 del 17/06/1997

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INTERPELLANZE ED INTERROGAZIONI

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A) Interpellanze:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per conoscere:
quali siano tutte le informazioni in suo possesso rispetto alle notizie di stampa sulla vicenda delle violenze operate dai paracadutisti italiani durante la missione in Somalia;
se ne sia stato a conoscenza prima delle rivelazioni della stampa e, in tal caso, perché non abbia sentito il dovere di informare tempestivamente il Parlamento;
se non ritenga che questo atteggiamento - ove i fatti risultassero veritieri, ma circoscrivibili a personali responsabilità - getti pesanti ombre sulle istituzioni e sulle forze armate che non meritano tali ingiuste e generalizzate accuse;
se non ritenga di aprire un'indagine amministrativa per fare piena luce sulla vicenda.
(2-00536) «Tassone, Sanza, Marinacci, Panetta, Volonté».
(9 giugno 1997)

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri della difesa e degli affari esteri, per sapere - premesso che:
l'ex paracadutista della «Folgore», Michele Patruno, autore di fotografie su violenze in danno di prigionieri somali da parte di paracadutisti italiani, dopo aver venduto tali fotografie a un settimanale ed aver rilasciato dichiarazioni sulle responsabilità di alcuni suoi commilitoni, ha sottolineato che costoro «sono pochissimi» e che «non si possono scatenare giudizi ingiusti sulla "Folgore"»;
i fatti sono comunque incresciosi, anche se riferibili a pochissimi militari e anche se rapportati ad altri e ben più atroci delitti compiuti da tutti gli eserciti democratici e non democratici, in situazioni di paura o con sentimenti incontrollati di vendetta;
le missioni di pace si svolgono in terre devastate da guerriglie o guerre civili, che coinvolgono anche i contingenti di pace;
le rivelazioni sulle torture inflitte ad alcuni somali si ripercuotono sul morale dei nostri soldati in Albania, «che hanno paura - come ha detto il generale Caligaris - non delle bande armate locali, ma dell'opinione pubblica italiana» (Tg3, ore 8,45, del 10 giugno 1997) -:
quali provvedimenti il Governo ritenga di poter legittimamente assumere sia per evitare il ripetersi di atti illegali, sia per evitare speculazioni a danno delle nostre forze armate e il venir meno delle condizioni di sicurezza per i nostri soldati impegnati all'estero.
(2-00541) «Orlando».
(11 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono d'interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri della difesa e degli affari esteri, per sapere - premesso che:
le rivelazioni di alcuni ex militari di leva impegnati durante la missione Ibis in


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Somalia e raccolte dal settimanale Panorama e dalla stampa nazionale hanno portato alla luce fatti d'inaudita gravità che coinvolgono le nostre forze armate;
prove fotografiche e testimonianze orali indicano che in Somalia, in quella che veniva sbandierata come una missione umanitaria, militari italiani usarono contro la popolazione somala torture, sevizie e stupri;
altre testimonianze indicano inoltre che il contingente italiano, reparti della «Folgore» ed i carabinieri del «Tuscania», attuarono diverse rappresaglie contro villaggi somali, con rastrellamenti condotti con metodi non-ortodossi propri della «guerra a bassa intensità» come distruzione delle case, pestaggi degli abitanti, inquinamento e distruzione delle risorse idriche e arresti indiscriminati;
le nuove testimonianze rappresentano inoltre un'ulteriore drammatico tassello sul contributo di sangue somalo provocato dal contingente italiano. Affermazioni che fanno impallidire quelle a suo tempo rilasciate dal generale Fiore, secondo il quale solo nella prima parte della missione Ibis sarebbero stati uccisi dai soldati italiani almeno 200 somali (episodi sul quale il Ministero della difesa si è sempre rifiutato di rispondere). I morti per mano italiana sarebbero stati molti di più (tra cui donne e bambini);
già il 7 giugno 1993 il settimanale Epoca aveva pubblicato diverse fotografie di prigionieri somali incappucciati ed «incaprettati». L'allora comandante italiano della missione Ibis, il generale Loi, chiuse la vicenda con la seguente affermazione: «Quei Somali lì non sono mica figli di Maria». Dal Ministero della difesa non venne aperta alcuna inchiesta;
il gruppo parlamentare di Rifondazione Comunista alla Camera già nel 1993 presentò un'interrogazione sulle notizie di torture e sevizie da parte di soldati italiani contro cittadini somali. L'interrogazione ricevette, significativamente, risposta;
analogamente vennero lasciate senza risposta le interrogazioni presentate dal Prc e da altri gruppi quando ancora la missione era in corso, che denunciavano come i carabinieri del «Tuscania» cercassero di ricostruire gli apparati repressivi somali addestrando ed armando ufficiali e poliziotti della vecchia polizia di Siad Barre (personalità definite da Amnesty International «come noti torturatori e criminali»);
sulla fallimentare missione Restore Hope, all'interno della quale era organizzata l'italiana Ibis, nessuna autocritica da parte delle autorità politiche e militari fu svolta. Le immagini della stessa sono state usate con disinvoltura dagli stati maggiori per pubblicizzare il nuovo ruolo «umanitario» delle forze armate italiane, omettendo di far sapere all'opinione pubblica nazionale quello che da tempo denunciano le organizzazioni non governative e per i diritti umani: la missione internazionale ha provocato più morti di quanti prima ne provocasse la guerra fra bande e la carestia;
fin dall'inizio Rifondazione comunista, che si oppose alla missione, individuò come il segno dell'adesione italiana alla Restore Hope fosse in linea di continuità con la sciagurata politica seguita sino al giorno prima dai Governi italiani di appoggio al dittatore Siad Barre, all'ombra del quale si consumò il latrocinio e la dissipazione dei fondi della cooperazione allo sviluppo destinati a quel paese;
il "nuovo modello di difesa", al quale continuano ad ispirarsi i programmi di ristrutturazione del nostro strumento militare, definisce la Somalia come «zona d'influenza politica e culturale italiana» ed individua il Corno d'Africa come luogo depositario di «interessi nazionali» che devono essere difesi con le armi;
proprio questa filosofia del "nuovo modello di difesa", oltre che in contrasto con il dettato costituzionale, tende a predisporre, con il pretesto degli interventi umanitari o di peacekeaping, missioni militari di sapore neocoloniale, che possono facilmente sfociare in un latente razzismo;

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il ricorso allo stupro e alle torture nei confronti di persone inermi, che non può in alcun modo essere liquidato come «episodi di goliardia», denotano l'arretratezza dell'istruzione e dei valori militari; richiamano i fenomeni degenerativi del «nonnismo»; segnalano l'esistenza di un approccio ossessivo e malato verso il sesso, dove la violazione del corpo altrui viene considerata come atto di forza e strumento di guerra;
molte testimonianze sono concordi nell'affermare che nei discorsi alla truppa gli ufficiali invitavano i militari a considerare i somali come «sub-umani» ed a non risparmiare i proiettili in zona operativa o l'uso della forza contro la popolazione civile;
nessun controllo parlamentare è attualmente consentito in merito alle missioni militari all'estero, alle regole d'ingaggio e ai corsi di formazione ed istruzione delle reclute e dei quadri. Questo appare non più tollerabile alla luce del fatto che, come già evidenziato, lo strumento del sindacato ispettivo è vanificato dalla non risposta (che può anche apparire complicità) del Governo alle interrogazioni sul tema;
i provvedimenti contro i militari implicati nelle torture e negli stupri sono arrivati con grave ritardo e segnalano un'eccessiva timidezza dell'autorità di Governo ad intervenire sul mondo militare. D'altronde il generale Loi era noto per i suoi modi «rudi», specialmente dopo le infelici frasi pronunciate a poche ore dal suicidio, nell'Accademia di Modena, di un suo cadetto. Eppure, nonostante la gravità del fatto, venne giustificato e mantenuto nell'incarico dalle autorità di Governo;
nella brigata «Folgore» continuano ad albergare rituali e richiami legati al passato fascista e coloniale cosa che è sempre più incompatibile con l'appartenenza ad un esercito democratico -:
se non ritenga che il compito della commissione d'inchiesta, insediata dal Governo e presieduta dal professor Gallo, debba appurare l'insieme dei fatti denunciati, ed in particolare: l'accertamento dell'entità e del numero dei morti provocati dai soldati italiani in Somalia; le ragioni che hanno indotto l'autorità di Governo, anche quando sollecitate da servizi di stampa o interrogazioni, a non indagare ed intervenire per appurare in tempo la verità dei fatti;
quali provvedimenti intenda assumere nei confronti della brigata «Folgore» e di quella «Tuscania» laddove venissero accertate gravi responsabilità dei suoi componenti, in considerazione anche del fatto che ambedue si trovano in una zona operativa fuori dal territorio nazionale (missione Alba), in una missione - anche questa - ufficialmente sponsorizzata come «umanitaria»;
quali iniziative di riparazione nei confronti delle vittime somale intenda porre in essere;
se non ritenga urgente modificare lo spirito del "nuovo modello di difesa", riavvicinandolo al dettato costituzionale, cominciando da una radicale riforma delle scuole e delle accademie di formazione militare nelle quali devono trovare spazio centrale la cultura dei diritti umani e della pace;
se non ritenga di dover varare, anche utilizzando i capitoli della tabella 12 (bilancio della difesa) destinati alla pubblicizzazione esterna delle forze armate, un programma di promozione culturale e civile rivolto al personale già in servizio presso le forze armate, distribuendo ai militari, facendo affiggere delle bacheche, leggendone i passi più significativi nelle adunate, copie della «dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» e della «convenzione internazionale contro la tortura» di cui l'Italia è firmataria;
se non ritenga che questo episodio renda necessaria una revisione dei programmi di transito dei volontari a lunga ferma ai corpi di polizia, questo in considerazione del fatto che l'attuale preparazione militare è per molti aspetti incompatibile

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con il ruolo e funzioni di una polizia chiamata ad agire nella società civile;
se non ritenga di dover rivedere i programmi di professionalizzazione delle forze armate, in considerazione del fatto che il muro di omertà sugli orribili episodi in questione, è stato rotto solamente grazie ai militari di leva e che dunque essi rappresentino un presidio democratico al quale il nostro Stato non può rinunciare;
se il Governo abbia provveduto ad avviare programmi di protezione dell'incolumità fisica degli ex-militari di leva che hanno testimoniato o denunciato le torture e le sevizie.
(2-00544) «Diliberto, Nardini, Mantovani, Michelangeli, Brunetti, Marco Rizzo».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per conoscere - premesso che:
degli episodi documentati dal settimanale Panorama, alcuni si sono rivelati del tutto infondati, mentre su altri sono in corso indagini;
l'opinione pubblica italiana si aspetta punizioni esemplari per coloro che fossero riconosciuti responsabili sia di torture ai prigionieri che di violenza nei confronti di donne somale;
per unanime testimonianza di giornalisti e di operatori del volontariato presenti in Somalia al tempo della missione di pace delle truppe italiane, non si conoscevano episodi di violenza;
di tali episodi erano, evidentemente, all'oscuro sia il Ministro, onorevole Andreatta, che il sottosegretario, senatore Brutti, i quali da oltre un anno sono responsabili del ministero della difesa;
pertanto, non è chiaro agli interpellanti per quali motivi il sottosegretario, senatore Brutti abbia - a quanto risulta agli interpellanti - fortemente sollecitato, fino ad ottenerle, le dimissioni dei generali Loi e Fiore in ossequio a un principio di responsabilità oggettiva che, se applicato uniformemente, avrebbe dovuto portare anche alle dimissioni degli stessi Ministro e sottosegretario;
il Governo ha nominato una commissione d'inchiesta, tre componenti della quale hanno rilasciato alla stampa e alla televisione delle dichiarazioni che agli interpellanti appaiono incredibili, cariche di pregiudizi politici sulle forze armate, arrivando perfino a fare accostamenti tra la vicenda Somala e il «caso Eichmann» al processo di Norimberga;
esponenti del Governo e della maggioranza hanno - ad avviso degli interpellanti - creato un clima isterico di diffidenza nei confronti delle forze armate italiane, arrivando al punto di chiedere lo scioglimento della «brigata Folgore» -:
se intenda sostituire i sopracitati membri delle commissioni d'inchiesta con personalità che diano garanzie di competenza e siano in grado di fornire un giudizio equilibrato e imparziale sui fatti nei confronti dei quali sono chiamati a far luce.
(2-00546) «Casini, Giovanardi e Fronzuti».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
il settimanale Panorama ha pubblicato testimonianze di soldati italiani e fotografie relative a un episodio di violenza sessuale ai danni di una ragazza somala compiuto da alcuni militari italiani nel febbraio del 1993 durante la missione denominata Restor Hope;
ove corrispondesse al vero, tale episodio costituirebbe un fatto gravissimo che si configurerebbe come un vero e


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proprio delitto contro l'umanità, assolutamente non giustificabile da alcun contesto psicologico -:
quali provvedimenti intenda prendere per appurare la verità di tale testimonianza e l'eventuale conoscenza di tale episodio da parte degli ufficiali superiori dirigenti quell'operazione militare;
in particolare, se il fatto reso noto dal settimanale sia da ritenere un episodio isolato o non possa far parte piuttosto di una catena più ampia.
(2-00547) «Chiavacci, Camoirano, Cordoni, Francesca Izzo e Mancina».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
documentate rivelazioni giornalistiche, dichiarazioni di testimoni e, l'avvio delle inchieste della magistratura civile e militare, stanno dimostrando che nel corso della missione in Somalia sono accaduti gravissimi episodi di violenze, torture, stupri per responsabilità di soldati, sottufficiali e ufficiali italiani del contingente internazionale;
il Governo ha già assunto alcune importanti iniziative, che dimostrano la volontà di accertare tempestivamente la verità su quanto accaduto e tutte le responsabilità, ad ogni livello;
è primario interesse dell'Italia, impegnata in numerose missioni internazionali di pace, fare rapida e piena luce su quanto accaduto in Somalia, punire i colpevoli e assicurare alle forze armate, ed in particolare ai reparti impegnati all'estero, piena credibilità e fiducia -:
quali siano le iniziative messe in atto dal Governo, accanto ai decisivi compiti che devono essere assolti dalla magistratura, per l'accertamento della verità ed in particolare quali siano i compiti e quali siano i poteri conferiti dal Consiglio dei Ministri alla commissione, presieduta dal professor Gallo;
se il Governo sia a conoscenza di segnalazioni, rapporti o notizie comunque pervenute agli stati maggiori o al Ministero della difesa dall'epoca dei fatti ad oggi, in particolare dalla polizia militare o dai comandi dei reparti impegnati in Somalia e, in caso affermativo, se sia a conoscenza delle iniziative che conseguentemente siano state adottate.
(2-00548) «Mussi, Spini, Guerra, Lucà, Mancina, Ruffino, Pezzoni, Campatelli, Vozza».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro detta difesa, per sapere - premesso che:
il settimanale Panorama, n.23 del 12 giugno 1997, ha pubblicato un'intervista al caporalmaggiore in congedo dal 185 reggimento, artiglieria paracadutisti della «Folgore», Michele Patruno, nella quale vengono denunciate torture attuate dai militari italiani ai prigionieri somali durante l'operazione Restore Hope in Somalia;
il servizio giornalistico è accompagnato da fotografie scattate dallo stesso Patruno nel periodo aprile-maggio 1993;
la fotografia principale è stata scattata al campo italiano di Johar, nel 1993 e vi si vede un somalo fatto prigioniero dai paracadutisti della «Folgore» nudo a terra e sulla sinistra un soldato che sta azionando un generatore di corrente in dotazione ai reparti ed un sottotenente che, secondo il racconto del Patruno, si prepara ad applicare gli elettrodi ai testicoli della vittima;
dal racconto emerge che prima gli elettrodi sarebbero stati applicati alle mani, ma con scarsi risultati e che poi su suggerimento di un ufficiale medico sono stati applicati ai testicoli;


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i livelli di tortura erano diversi: «si cominciava privando i prigionieri di acqua e cibo, tenendoli legati; pressione psicologica per indurli a parlare, poi si passava a metodi più pesanti e si dava libero spazio alla fantasia dei militari» (sigarette accese sul corpo, scosse elettriche, botte, eccetera);
per il Patruno le persone torturate «morivano, anche perché già debilitatefisicamente»;
sempre da quanto narrato dal Patruno «nel momento degli interrogatori quando avvenivano le torture, era sempre presente un graduato»;
secondo il Patruno il comandante della sua squadra era al corrente delle torture;
nel racconto si parla anche di perquisizioni nei villaggi in cerca di armi finite spesso con la devastazione delle capanne e la distruzione delle riserve d'acqua;
il caporalmaggiore Patruno parla anche di un «gioco crudele» con le tartarughe, che consisteva nel far passare sopra gli animali un furgone per vedere quanto erano in grado di resistere, con gli ufficiali che non hanno «mai incitato a farlo, ma non ci hanno mai osteggiato»;
il Patruno parla di soldati italiani morti in Somalia di cui non si è avuta notizia, alcuni addirittura uccisi da altri soldati italiani, come a Balad dove «un soldato professionista, andato a mensa aveva dimenticato di scaricare l'arma dalla quale, cadendo, partì un colpo che uccise un ragazzo», mentre «un altro giovane, forse non bene addestrato si è ucciso caricando in modo errato un Mg»;
il 9 giugno 1993, con l'interrogazione n.5-01289 di Chicco Crippa, si chiedeva conto al Governo della denuncia pubblicata sul numero del 15 giugno 1993 del settimanale Epoca dove in alcune fotografie venivano ritratti somali arrestati dai militari italiani tenuti legati in modo barbarico, come nel metodo dell'«incaprettamento»;
il generale Loi, si affermava nell'interrogazione, ha spiegato che i metodi documentati nel servizio fotografico consistevano nel «legare semplicemente» dei prigionieri;
l'interrogazione non ebbe risposta;
la procura militare di Roma, secondo quanto afferma Panorama, aprì un fascicolo utilizzando il modello 45, come quando si procede contro persone ignote e, in base agli accertamenti fatti dallo Stato maggiore dell'esercito, che liquidò il caso configurandolo con un «eccesso di zelo» nell'applicare le regole d'ingaggio, il caso venne chiuso;
sul quotidiano la Repubblica di domenica 8 giugno 1997, Yaya Amir, presidente dell'associazione degli intellettuali somali ha dichiarato che «a quell'epoca con un gruppo di 73 intellettuali somali mi ero recato presso il comando del contingente italiano per protestare contro gli atti di violenza con il generale Bruno Loi, che però ci fece cacciare in malo modo»; sempre Amir ha denunciato 34 casi di violenza in danno della popolazione locale da parte del contingente italiano, comprese cinque uccisioni;
nel quotidiano Il Mattino dell'11 giugno 1997 in un articolo, Elena Romanazzi scrive: «Qualcuno sapeva. Le torture in Somalia non erano un mistero per il Sismi, che ha seguito la missione Ibis passo dopo passo. Sono diversi i rapporti inviati dal Sismi al Cesis sulla situazione in Somalia dal 1991 al 1994 e custoditi nell'archivio della Presidenza del Consiglio. In uno di questi, quello datato 1993, non si parla solo della missione, ma anche del comportamento di alcuni militari. Si parlerebbe di torture, in un passaggio anche di somali morti e di metodi in alcuni casi «barbari nell'effettuare le catture»;
l'ex parà della «Folgore», Michele Patruno, intervenendo a Radio anch'io il

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10 giugno 1997 ha affermato che: «Inviai gratuitamente le fotografie sulle torture ad un paio di giornali quattro anni fa, ma nessuno le pubblicò. Un paio di giornali - afferma il Patruno - non hanno voluto quelle fotografie, mi hanno detto che non volevano inimicarsi il Governo»;
nel numero del 19 giugno 1997 del settimanale Panorama sono state pubblicate altre foto scattate dal soldato «Stefano» a fine novembre del 1993 nella strada tra Mogadiscio e Balad al check point Demonio. Le fotografie ritraggono una ragazza somala violentata da alcuni soldati italiani. Secondo il racconto del soldato un gruppo di soldati italiani si sta divertendo con una ragazza somala. La toccano. Lei si ritrae. La palpano. Lei cerca di scappare verso le sue amiche poco distanti, spaventate. Urla e si dimena. I militari ridono sempre più vigorosamente quasi a coprire gli strilli terrorizzati della giovane donna. I dieci paracadutisti arrivati insieme a Stefano se ne accorgono. Ma l'obbligo di andare a interrompere il gioco è l'ultimo dei loro pensieri, è l'ultima delle preoccupazioni. Anzi, decidono così: «Andiamo a divertirci anche noi»;
Stefano racconta: «Prima abbiamo cominciato a dare pizzicotti, a toccare. Qualcuno aveva in mano una bomba illuminante. E ha detto mettiamola qua, mettiamola su, mettiamola giù. Attacchiamo la ragazza al carro armato! Abbiamo cominciato a spingerla, da dietro la tenevano, l'hanno legata al Vcc con una corda alle gambe. Non contento qualcuno, dopo un po', ha spalmato sulla bomba della marmellata. Per farla entrare meglio»;
il soldato Stefano afferma che: «Quando gli ufficiali volevano divertirsi, tutta la banda gli andava dietro. E quella sera è stato così»;
il militare afferma di aver visto altri fatti del genere, ma di non averli fotografati e che questi fatti lo tormentano, come quello «per esempio di sparare addosso a della gente»;
alla domanda del giornalista «se rifarebbe il parà», Stefano risponde: «Non so. Allora ero esaltato. Eravamo tutti esaltati. Ero parecchio convinto. Non si poteva stare in quell'ambiente senza essere esaltati»;
dopo queste prime testimonianze, altri organi d'informazione hanno riportato denunce di altri militari rispetto ad altri episodi di violenza avvenuti in Somalia -:
quale sia il giudizio del Governo in ordine ai fatti denunciati, tale interrogativo è d'obbligo anche alla luce di talune infelici affermazioni del Ministro della difesa Andreatta, che collegavano gli agghiaccianti comportamenti di alcuni nostri militari al fenomeno della goliardia;
se il Governo non rilevi anche un aspetto di tipo razzistico nei comportamenti denunciati;
se il Governo ritenga ammissibile che, come è stato raccontato, la cerimonia dell'alza bandiera di alcuni reparti sia accompagnata dal saluto romano;
se il Governo non ritenga che i corpi così detti speciali (brigata «Folgore» e reparti analoghi) si siano trasformati di fatto in palestre ed in accademie di violenza e se abbia senso la loro permanenza e il loro utilizzo in operazioni di pace;
se il Governo, anche alla luce dei fatti denunciati, non ritenga rischiosa e pericolosa la proposta di un modello di difesa fondato solo su professionisti e volontari;
se il Governo non intenda predisporre un rapporto definitivo sulla missione in Somalia, in cui venga fatta chiarezza su questi pesanti episodi denunciati;
dopo le denunce del 1993 come mai il Governo non abbia fatto eseguire un'accurata indagine;
se corrisponda al vero che alcuni rapporti dei servizi segreti riguardano

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alcuni comportamenti dei nostri militari e se non ritenga opportuno che questi vengano declassificati e resi pubblici;
se il Governo non ritenga necessario provvedere a disporre misure amministrative cutelari nei confronti degli ex militari che hanno provveduto alle denunce sulle violenze in Somalia.
(2-00549) «Paissan, Leccese, Boato, Cento, Dalla Chiesa, De Benetti, Galletti, Gardiol, Pecoraro Scanio, Procacci, Scalia e Turroni».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
dopo la pubblicazione di fotografie e inchieste sulla missione militare italiana in Somalia da parte di un settimanale, sono state avviate inchieste giudiziarie e amministrative;
si moltiplicano le notizie su presunte violenze commesse da militari italiani in Somalia;
in seguito a queste vicende sono state avanzate richieste ad avviso degli interroganti incredibili, quali lo scioglimento della "brigata Folgore", da parte di gruppi parlamentari che sostengono il Governo;
quali siano le notizie attendibili a conoscenza del Governo;
quali misure siano state adottate.
(2-00550) «Gasparri, Alboni, Ascierto, Tremaglia e Benedetti Valentini».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
la notizia delle atrocità commesse dai nostri militari in Somalia ha suscitato sconcerto ed indignazione nell'opinione pubblica gettando pesanti ombre sulle nostre forze armate;
tali gravissimi episodi sono, comunque, estranei alle tradizioni ed alla mentalità dei militari italiani che, infatti, hanno sino ad oggi dimostrato spirito di servizio ed alto senso del dovere anche nelle circostanze più difficili;
gli stessi ambienti internazionali hanno assunto atteggiamenti ambigui o reticenti pur sapendo che comportamenti analoghi ebbero nel corso della stessa missione militari statunitensi, canadesi, pakistani e belgi-:
in quale modo e con quali strumenti intendano accertare la verità dei fatti, individuare le responsabilità e salvaguardare l'onore dei nostri militari, atteso che, anche in virtù dei limiti derivanti dalla legge n.400 del 1988 e dall'articolo 82 della Costituzione, la commissione mista istituita dal Governo, pur avendo un evidente significato morale e politico, non può assumere poteri e funzioni che sono proprie delle commissioni parlamentari d'inchiesta.
(2-00551) «Pisanu, Aleffi, Cosentino, Giannattasio, Lavagnini, Lo Jucco, Matacena, Previti e Rivelli».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
quali siano i criteri che hanno portato alla scelta dei componenti della commissione governativa d'inchiesta nominata per far luce sulle vicende che hanno visto coinvolti militari italiani in missione in Somalia nel 1993;
quali titoli, quale rappresentatività e quale competenza specifica abbiano le persone di Ettore Gallo, Tina Anselmi e Tullia Zevi, tutti qualificati come rigorosamente appartenenti a parti politico-sociali da almeno cinquant'anni, tenuto anche conto della circostanza che da tale appartenenza potrebbe derivare il sospetto


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di un giudizio dettato dall'emozione e comunque non fondato su una sufficiente conoscenza della realtà militare.
(2-00552) «Lembo, Gnaga, Bampo e Caparini».
(16 giugno 1997)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
le recenti notizie, apparse su tutti gli organi di stampa nazionale, hanno rivelato comportamenti violenti e deviati di alcuni militari italiani partecipanti alla missione Ibis in Somalia;
a seguito di tali rilevazioni, la magistratura militare, la magistratura ordinaria e il Governo hanno già intrapreso iniziative per accertare la verità e la consistenza dei comportamenti deviati del nostro contingente militare in Somalia e i possibili reati commessi -:
quali ulteriori iniziative il Governo intenda assumere per accertare la piena verità sulla vicenda in questione;
quali siano i poteri attribuiti alla commissione d'inchiesta istituita dal Governo;
quali iniziative intendano assumere per prevenire l'insorgere di tali comportamenti nelle nostre forza armate.
(2-00553) «Mattarella, Albanese, Pistelli, Bressa e Romano Carratelli».
(16 giugno 1997)

B) Interrogazioni:

PITTELLA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi sono apparse sui giornali e nei telegiornali agghiaccianti immagini riferite a sevizie e torture che nostri soldati della brigate «Folgore» avrebbero perpetrato contro la popolazione somala durante l'operazione militare chiamata Restore Hope nel 1993;
se tali testimonianze, avvalorate dalle dichiarazioni sconcertanti dell'allora caporalmaggiore Michele Patruno - che ha dichiarato di essere pronto anche a fare i nomi delle persone coinvolte -, dovessero venire confermate, sarebbe senz'altro una orrenda macchia per tutto il contingente italiano allora coinvolto nell'operazione, minacciando di gettare ombre anche sull'attuale spedizione in Albania -:
se non intenda provvedere immediatamente a porre sotto protezione l'ex caporalmaggiore della «Folgore» e la sua famiglia, perché si evitino pressioni e minacce contro il prezioso testimone oculare;
quali verifiche siano state effettuate per fare piena luce sull'accaduto ed accertare ogni eventuale responsabilità.
(3-01201)
(9 giugno 1997)

RUFFINO, RUZZANTE, SETTIMI e CHIAVACCI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il settimanale Panorama ha pubblicato una testimonianza di un ex paracadutista della «Folgore», Michele Patruno, che ha dichiarato di aver assistito a sevizie e torture inflitte da militari italiani a cittadini somali, durante la recente missione internazionale in quel paese;
l'agghiacciante testimonianza è corredata da una serie di fotografie, scattate dal Patruno tra l'aprile e il maggio del 1993 in varie località della Somalia, in cui si vedono militari italiani che infieriscono su detenuti legati ed incappucciati ed in cui, in particolare, è ripreso un sottotenente della «Folgore» intento ad applicare elettrodi ai testicoli di un prigioniero;
lo stesso Patruno sostiene che i torturati, debilitati fisicamente, sono morti, che le torture sono state inflitte


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sempre alla presenza di graduati e che il comando italiano era a conoscenza di questi episodi -:
quali siano le notizie in possesso del ministero della difesa su queste terribili denunce;
quali iniziative abbia immediatamente disposto, anche indipendentemente dalle indagini della magistratura, per accertare la verità di quanto rivelato.
(3-01202)
(9 giugno 1997)

VELTRI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da alcuni anni le forze armate del nostro Paese compiono missioni di pace in diverse parti del mondo, dal Libano alla Somalia, dalla Bosnia all'Albania, e altrove;
le missioni di pace sono tanto più utili e credibili quanto più il comportamento delle nostre forze armate è irreprensibile e conforme a princìpi di umanità, di solidarietà e di civiltà;
stando a quanto scrive il settimanale Panorama, ripreso da tutti gli altri organi di informazione, tali princìpi sarebbero stati ampiamente violati, con comportamenti violenti e ignobili, da parte di alcuni militari paracadutisti appartenenti al 185 reggimento «Folgore» nella missione di pace in Somalia, condotta sotto l'egida delle Nazioni Unite;
a questo proposito, il caporalmaggiore Michele Patruno, oggi in congedo, in un'intervista al settimanale Panorama ha dichiarato: «Non ho mai visto un singolo somalo sparare contro noi militari», e ha così proseguito: «Entravamo nei villaggi e perquisivamo le capanne in cerca di armi. Spesso facevamo devastazioni e lasciavamo i somali senza casa. Le capanne sono di fango e canne e molto basse, così per non prenderci il fastidio di entrare le scoperchiavamo. Distruggevamo anche le riserve d'acqua. Per procurarsi quell'acqua magari i somali avevano fatto chilometri a piedi». Alla domanda: «Ma il comandante della sua squadra (capitano Giovanni Iannucci) era al corrente degli episodi di tortura?» «Sì, sicuramente». Alla domanda: «Ci parli del T914: un gioco crudele», «Si faceva passare il furgone sopra l'animale (tartarughe) per vedere quanto tempo resistevano. Resistevano un minuto; gli ufficiali non dicevano niente». «Quanto all'applicazione degli elettrodi ai testicoli di un somalo (fotografia pubblicata su Panorama), la corrente era prodotta da un generatore a manovella. Prima gli elettrodi li avevano applicati alle mani, ma con scarsi risultati; poi un ufficiale medico consigliò di applicarli ai testicoli, perché contengono liquidi e conducono meglio la corrente. Le persone sottoposte a tortura morivano perché già debilitate fisicamente»;
il sottufficiale Patruno così prosegue: «Le torture consistevano prima nel privarli di acqua e con i prigionieri legati; poi libero sfogo alla fantasia dei militari: peperoncino piccante per aumentare la sete; sigarette accese sotto i piedi, scosse elettriche, botte. Infine li gettavamo contro il filo spinato americano, fatto con migliaia di rasoi affilati. Credo che le torture avvenissero sempre in presenza di ufficiali»;
alla domanda: «Perché non ha parlato prima?», il Patruno risponde: «Perché avevo paura delle conseguenze»; all'altra domanda, se il generale Bruno Loi sapesse, il Patruno risponde: «Girava molto in tutti i campi». Come a dire che non poteva non sapere;
già il 16 giugno 1993 il settimanale Epoca aveva pubblicato documenti «agghiaccianti», riguardanti due somali incaprettati da soldati italiani, chiedendo al Ministro della difesa di aprire una inchiesta per individuare rapidamente i responsabili; la richiesta non solo non ha avuto seguito, ma lo Stato maggiore aveva definito il comportamento dei nostri militari come un «eccesso di zelo»;
comportamenti simili a quelli dei nostri militari avrebbero tenuto anche


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militari di altri paesi, quali Stati Uniti, Canada, Belgio e altri;
il procuratore militare Antonino Intelisano ha aperto un'inchiesta e ha già interrogato il caporalmaggiore Patruno, ed il Governo, a sua volta, ha aperto un'inchiesta amministrativa, affidata al generale Francesco Vannucchi -:
se non ritenga di dover procedere con assoluta trasparenza e tempestività per tranquillizzare l'opinione pubblica internazionale e nazionale e le nostre forze armate, impegnate attualmente in Albania;
se intenda assumere misure cautelari nei confronti dei comandanti dell'epoca, i quali, attivissimi nel controllo dei campi, non potevano non essere venuti a conoscenza di fatti così gravi, e, qualora ciò fosse avvenuto, significherebbe che la loro professionalità non era tale da garantire né l'esito positivo della missione né il buon nome delle forze armate italiane;
se intenda proporre una riforma alle regole varate nel 1941 insieme al codice di guerra, perché mal si conciliano con le iniziative della nostra Repubblica democratica, che bandisce la guerra come mezzo di offesa e che è impegnata solo in missioni di pace.
(3-01211)
(10 giugno 1997)

COMINO, RIZZI, LEMBO e FONTANINI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i paracadutisti della «Folgore», corpo d'élite delle forze armate italiane, sono stati accusati di brutalità, violenze e torture sulla popolazione civile durante la missione di pace in Somalia;
il settimanale Panorama ha raccolto la testimonianza dell'ex paracadutista Michele Patruno, caporalmaggiore in congedo dal 185 reggimento artiglieria paracadutisti «Folgore», il quale, durante la sua permanenza in Somalia nel 1993 come volontario nel corso dell'operazione Ibis, ha fotografato i militari italiani mentre torturano alcuni prigionieri somali in presenza di ufficiali della «Folgore»: una sconvolgente sequenza fotografica;
già nel 1993 all'epoca della missione in Somalia erano circolate voci abbastanza insistenti e confermate da materiali fotografici, pubblicati dai settimanali Epoca e Sette, circa presunte sevizie da parte del nostro contingente nei confronti di guerriglieri somali;
in quell'occasione i vertici delle forze armate smentirono categoricamente episodi di maltrattamenti dei militari italiani nei confronti dei prigionieri somali e li minimizzarono, definendoli un comportamento caratterizzato da «eccesso di zelo»;
sui più recenti episodi citati sono in corso indagini da parte della procura militare di Roma e dallo stato maggiore della difesa, alla luce della circostanziata testimonianza resa dal caporalmaggiore Michele Patruno;
un'altra denuncia è stata fatta all'ambasciatore italiano in Somalia, Ino Cassini, dalla corte islamica di Mogadiscio, che ha esplicitamente fatto i nomi dei generali che si sono succeduti al comando del contingente in Somalia: Giampiero Rossi (deceduto), Bruno Loi e Carmine Fiore;
diversi ufficiali e sottufficiali della «Folgore» che hanno prestato servizio durante la missione in Somalia potrebbero essere oggi impegnati nella missione che si svolge sotto l'egida dell'Onu, in Albania -:
se non si ritenga opportuno fare immediata chiarezza sugli eventi più sopra denunciati, al fine di accertare subito le responsabilità del personale militare coinvolto e il grado cui questa responsabilità è giunta per definire i reali contorni della vicenda;
se non si ritenga opportuno altresì dissipare i dubbi che vengono avanzati


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sull'operato delle forze armate italiane all'epoca dei fatti e tuttora impiegate in una missione militare di pace;
se sia in grado di escludere che la pratica delle torture inflitte a quelli che sarebbero presunti guerriglieri abbia provocato la morte di questi ultimi ed eventualmente in quale numero;
se sia a conoscenza di direttive diffuse da ufficiali delle forze armate che autorizzassero e rendessero leciti tali comportamenti, gravemente lesivi anche dei codici militari di guerra e della convenzione di Ginevra;
se sia vero quanto affermato dal Patruno in un'intervista circa il segreto posto dalle autorità militari in relazione ad altre morti di militari italiani a causa di incidenti durante la missione in Somalia;
se si possa escludere che i fatti testimoniati dal Patruno possano avere una qualche relazione con l'agguato ai giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il quale potrebbe configurarsi come una rappresaglia somala al comportamento efferato dei militari italiani oppure se potrebbe avere una relazionata più diretta con i fatti descritti, visto che l'attività condotta dalla citata giornalista avrebbe potuto portarla a conoscenza dei fatti. (3-01220)
(11 giugno 1997)

PEZZONI, DI BISCEGLIE, EVANGELISTI, BARTOLICH, LENTO, LEONI, BASSO, RANIERI, RUFFINO, RUZZANTE e SETTIMI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri degli affari esteri e della difesa. - Per sapere - premesso che:
tutti gli organi di informazione da alcuni giorni rivelano, anche con dichiarazioni di testimoni oculari, notizie riguardanti un possibile uso della violenza e della tortura, fino a provocare la morte di alcune delle vittime, da parte di membri delle forze armate italiane in Somalia, nel corso della operazione Restore Hope;
notizie di tali episodi sarebbero già da tempo circolate in vari ambienti italiani, specie nelle forze armate stesse;
in particolare, specifiche denunce sarebbero state avanzate dalle autorità giudiziarie somale nel passato;
al momento attuale, risultano essere in corso varie inchieste, sia giudiziarie, sia amministrativo-militari, mentre l'ambasciata somala in Italia annuncia la propria costituzione parte civile -:
se non ritengano di informare al più presto il Parlamento sulla reale portata dei fatti, alla luce delle inchieste e nel rispetto del segreto istruttorio;
quali misure si intendano adottare, una volta accertati i fatti, al di là del procedimento penale, nei confronti di tutti i militari direttamente o indirettamente implicati, anche con l'intento di salvaguardare le forze armate nel loro complesso dal coinvolgimento in comportamenti criminali attribuibili a singoli o a piccoli gruppi di individui, incapaci di interpretare il vero ruolo loro assegnato in queste delicatissime missioni di pace;
quali iniziative si intendano assumere per fornire un'adeguata preparazione culturale e morale e gli strumenti di comprensione del valore del rispetto, sempre e comunque dei diritti umani a tutto il personale delle forze armate italiane, ed in particolare a coloro che sono destinati a simili delicate missioni, a cominciare da quelle attualmente in atto;
quali atti si intendano compiere nei confronti delle autorità somale per dare loro le più complete soddisfazioni e per evitare conseguenze nei rapporti tra i due paesi.
(3-01221)
(11 giugno 1997)

CREMA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri della difesa e degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel corso degli ultimi giorni l'attenzione dell'opinione pubblica è stata catalizzata


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da confessioni, fotografie, apparsi su quotidiani e settimanali, riportanti le atrocità che sarebbero state commesse nel corso della missione umanitaria in Somalia quattro anni fa, ad opera di reparti italiani, insieme a contingenti di altri paesi; episodi che sembra fossero in parte già noti da tempo e che erano stati liquidati come «eccesso di zelo»;
il settimanale Panorama, nei servizi pubblicati il 13 giugno 1997 attraverso ulteriori interviste e servizi fotografici, contribuisce a rafforzare la convinzione che sevizie, rappresaglie, esecuzioni di massa non possano essere frutto dell'invenzione di un singolo, ma la ripetizione di comportamenti indegni, perpetrati su una popolazione civile e spesso inerme, posti in essere da militari italiani appartenenti a contingenti diversi;
tra le altre opinioni riportate, quella dell'avvocato somalo Douglas Douale conferma che: «gli atti di violenza non sono stati circoscritti, ma hanno coinvolto tutto il territorio somalo e sono stati compiuti da tutto il corpo internazionale che faceva parte dell'operazione Restore Hope: Canadesi, Belgi, Italiani, Statunitensi, Pachistani, Indiani...» -:
quali iniziative siano già state poste in essere e quali si intendano porre in essere nell'immediato futuro, per fare piena luce sugli episodi suddetti e su eventuali responsabilità, coinvolgimenti, omertà che hanno così a lungo ostacolato la doverosa apertura di un'inchiesta al riguardo;
se non ritengano opportuno, contemporaneamente all'accertamento della veridicità degli episodi denunciati e alla conseguente azione penale, porre in essere un'indagine approfondita sulla preparazione e le attitudini - non solo militari - che i nostri contingenti dovrebbero avere, onde rafforzare quei princìpi di rispetto dei diritti umani che ogni singolo individuo dovrebbe possedere e che acquistano tanto più valore in circostanze che mettono a rischio la vita stessa di chi deve praticarli.
(3-01231)
(16 giugno 1997)

PISCITELLO, DANIELI e SCOZZARI. - Ai Ministri della difesa e degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
testimonianze dirette e prove fotografiche hanno documentato in maniera - ad avviso degli interroganti - assai difficile da confutare, sevizie e vere e proprie forme di tortura praticate da soldati ed ufficiali del battaglione «Folgore» nei confronti di cittadini somali;
tali comportamenti illegali ed odiosi contrastano con i princìpi e la sostanza della nostra legislazione nazionale oltre che con il mandato e i princìpi delle Nazioni Unite;
tali comportamenti offendono la coscienza democratica del nostro Paese e proiettano a livello internazionale un'immagine falsa delle nostre istituzioni e delle nostre forze armate;
i maggiori stanziamenti concessi al settore militare devono servire anche per una professionalizzazione di soldati, che devono essere educati innanzitutto come uomini, come persone consapevoli che conoscono la storia, le tradizioni, le difficoltà e il contesto del paese nel quale vengono inviati in missione;
non è la prima volta che il battaglione «Folgore» balza all'attenzione delle cronache per fatti ormai consegnati alla storia peggiore del nostro Paese;
di fronte a tali avvenimenti sono state pronunciate da parte di autorevoli esponenti del Governo, e dal Presidente del consiglio dei ministri in persona, parole gravi e importanti di condanna, di richiesta di chiarimenti e di punizione dei responsabili;
di fronte agli stessi avvenimenti si constatano da parte di altri esponenti del Governo e di parlamentari dell'opposizione affermazioni sconcertanti di copertura e di difesa di persone resesi responsabili


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di atti di tortura documentati con precisione e che non possono in alcun modo essere tollerati o rimossi -:
quali iniziative intendano assumere per accertare i fatti e le responsabilità a tutti i livelli; per ristrutturare e riqualificare il battaglione «Folgore»; per modernizzare e professionalizzare i diversi settori della difesa e degli esteri che sono oggi chiamati ad intervenire in contesti diversi e più difficili da quelli del passato.
(3-01233)
(16 giugno 1997)

SBARBATI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
lo stillicidio di notizie che appaiono su quello che ad avviso dell'interrogante non può che definirsi il vergognoso comportamento di alcuni nostri soldati, durante la missione in Somalia, getta una pesante ombra su tutto il nostro Paese;
dalle prime rivelazioni che sembravano denunciare episodi isolati si è giunti, con successivi scoop giornalistici, ad un quadro della situazione drammatico;
torture, sevizie, sparatorie sulla folla inerme vengono denunciate non solo da soldati improvvisamente «ravveduti» ma anche da numerose associazioni democratiche somale, che hanno fatto presente come simili azioni, durante l'operazione Restore Hope, siano state compiute da tutti i contingenti militari presenti in Somalia;
a questo si aggiunge il fatto gravissimo che, in seguito ad una precedente denuncia il 16 giugno 1993, lo stato maggiore dell'esercito aveva archiviato l'inchiesta, definendo «eccesso di zelo» il comportamento dei nostri soldati;
in un altra «confessione» di un paracadutista, si rivela che durante l'addestramento avuto in Italia, prima di partire per la missione in Somalia, gli era stato insegnato che non doveva trattare i somali come esseri umani, non doveva avere pietà e, soprattutto, che la consegna era «nel dubbio, spara, anche se sono donne e bambini» -:
ferma restando la rapidità, questa volta, con cui si è arrivati alla costituzione delle varie commissioni d'inchiesta, se non si ritenga opportuno fornire tutti i dati attualmente a conoscenza su quanto avvenuto in Somalia (senza costringere l'opinione pubblica italiana e noi stessi a dover aspettare le nuove puntate delle inchieste giornalistiche per conoscere tutta la verità), tenuto conto, oltretutto, dell'attuale impegno dei nostri soldati in un altra missione in Albania e della necessaria tranquillità che gli stessi debbono avere in questa situazione;
quali siano le responsabilità accertate dei comandanti della missione, visto che appare quanto meno singolare che gli stessi non fossero a conoscenza di simili episodi, mentre tutti ne parlavano e molti ne facevano oggetto, addirittura, di reportages fotografici;
come sia possibile, che i nostri soldati ricevessero durante il periodo di addestramento le istruzioni sopra riportate e se non si ritenga che, proprio a partire da questo, si debbano registrare responsabilità molto gravi tra coloro che, al contrario, dovrebbero istruire i nostri soldati sui compiti di una forza di pace;
se siano stati accertati eventuali collegamenti tra questi episodi e la tragica morte del maresciallo Marco Mandolini, caposcorta del generale Loi, a tutt'oggi avvolta nel mistero, nonché su quella della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore che l'accompagnava in Somalia.
(3-01235)
(16 giugno 1997)

BAMPO, LEMBO e FONTANINI. - Ai Ministri dell'interno e della difesa. - Per sapere - premesso che:
i noti fatti di Somalia, che vedrebbero coinvolte le nostre forze armate in deplorevoli e disumane atrocità, aprono vari interrogativi e fanno risorgere questioni irrisolte di un recente passato;


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l'interrogante ritiene che le azioni di violenza alla popolazione somala, oggi da tutti condannate, nonché i traffici illeciti di armi che permisero le lotte intestine in quella parte di Africa, non possano essere disgiunti dall'uccisione della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore televisivo;
la commissione già istituita terminerà i propri lavori troppo in là nel tempo per dare una versione dei fatti in tempo reale;
dopo la scomparsa della giornalista menzionata, sono stati sottratti e mai ritrovati alcuni suoi diari e presumibilmente anche riprese dall'operatore;
ad avviso dell'interrogante, chi uccide, violenta e tortura dimostra una lucida spietatezza che lascia supporre anche qualsiasi altra iniziativa delittuosa per la copertura delle proprie attività -:
se siano a conoscenza di elementi che possano smentire che l'assassinio della Alpi sia stato commissionato da qualcuno che avesse interesse ad eliminare un «testimone scomodo» delle atrocità commesse dalle nostre truppe e non dunque avvenuto per un fatto casuale o non necessariamente legato ad altri pur gravissimi fatti.
(3-01236)
(16 giugno 1997)