XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 settembre 1996


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La seduta comincia alle 9,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che è stato richiesto che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro della sanità, Rosy Bindi, sul botulismo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro della sanità, Rosy Bindi, sul botulismo.
Do subito la parola al ministro della sanità, Rosy Bindi.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Ringrazio lei, signor presidente, e i colleghi della Commissione, per aver sollecitamente messo all'ordine del giorno la mia audizione sulla vicenda dei recenti casi di botulismo perché credo che ciò darà la possibilità a tutti noi di ricostruire con estrema chiarezza e puntualità come si sono svolti i fatti e di appurare la tempestività e qualità dell'intervento del ministero.
È proprio per esigenze di chiarezza e di trasparenza che anche il ministro della sanità ha chiesto d'urgenza di poter riferire presto sia alla Camera sia al Senato.
Gli aspetti sui quali occorre la massima chiarezza, nell'interesse generale, sono essenzialmente due: le modalità ordinarie e straordinarie di approvvigionamento del siero antibotulinico; la tempestività degli interventi atti sia ad identificare con certezza il tipo di intossicazione sia ad individuarne la fonte, sì da poterne circoscrivere immediatamente, ove possibile, la diffusione.
Al fine di ristabilire la verità dei fatti, anche e soprattutto sotto il profilo degli interventi operati dai competenti dipartimenti («prevenzione e farmaci» e «alimenti, nutrizione e sanità pubblica veterinaria») del ministero, dell'Istituto superiore di sanità e dei servizi sanitari territoriali interessati, l'esposizione che segue farà riferimento esclusivo a disposizioni normative od amministrative ed a fatti rigorosamente documentati e, perciò, facilmente riscontrabili da parte dei poteri istituzionali che dovessero chiederne l'acquisizione.
Come è ben noto a molti, il botulismo è un'intossicazione, presente in tutto il mondo, che si manifesta come sindrome neuroparalitica indotta dall'azione delle tossine dal clostridium botulinum, germe patogeno ubiquitario, necessariamente anaerobico e produttivo di spore.
Quella alimentare è di gran lunga la forma di botulismo più frequente ed è associata all'ingestione di alimenti che, per essere stati contaminati da spore di clostridium botulinum, contengono le tossine da esso prodotte in presenza di condizioni ambientali favorevoli.
Gli alimenti più frequentemente implicati sono quelli conservati sott'olio, talvolta alimenti in scatola mal conservati, insaccati di produzione domestica. L'analisi dei dati desumibili dalle indagini epidemiologiche obbligatorie delle autorità sanitarie territoriali, trasmessi al ministro, in termini statistici finora hanno così


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attribuito la responsabilità delle infezioni di botulismo: nel 57 per cento dei casi al consumo di conserve vegetali sott'olio o in acqua, in prevalenza di produzione familiare; nel 6 per cento a tonno sott'olio; del tutto marginale è apparso, invece, come possibile veicolo di tossina botulinica, il consumo di altre preparazioni alimentari, quali salse, frutta sciroppata, conserve varie, benché risulti un 13 per cento di casi in cui non è stato possibile risalire all'alimento sospetto di contaminazione.
La tipicità dei sintomi può consentire anche una diagnosi esclusivamente clinica. Tuttavia, il sospetto clinico può essere suffragato da determinati esami di laboratorio: ricerca della tossina botulinica, con metodo biologico, sia in campioni di siero e di feci del paziente sospetto di botulismo sia in campioni degli alimenti sospetti come potenziale veicolo dell'intossicazione; isolamento di clostridium botulinum o di sue spore nelle feci dello stesso paziente con opportuni controlli microbiologici.
Una volta accertata l'intossicazione da botulismo non si richiede alcuna misura di isolamento dei pazienti, poiché non sono mai stati documentati casi di trasmissione dell'infezione da individuo a individuo.
La terapia specifica dell'intossicazione consiste nella somministrazione per via endovenosa e intramuscolare di antitossina botulinica trivalente che deve essere attuata il più presto possibile e, comunque, non oltre una settimana dall'inizio dei sintomi, perché risulterebbe tardiva ed inefficace dopo che la tossina abbia potuto esplicare la sua azione nell'organismo. D'altra parte, il mancato o tardivo trattamento implica gravi rischi, poiché il botulismo, se non trattato, può determinare elevata percentuale di mortalità (fino al 70-80 per cento).
Va considerato, peraltro, che gli episodi di botulismo sono annualmente ricorrenti nel nostro paese (2 casi nel 1992, 39 nel 1993, 28 nel 1994 e 41 nel 1995), ma anche altrove, proprio perché di solito prevalentemente connessi al consumo di semiconserve e conserve alimentari di produzione familiare o artigianale, prodotti molto diffusi in alcune regioni italiane, magari più apprezzati dal punto di vista merceologico ma non sempre incondizionatamente sicuri sotto il profilo igienico.
Per questo il Ministro della sanità ha incluso il botulismo fra le malattie infettive a segnalazione immediata - cioè entro 12 ore dal semplice sospetto - previste nella classe I del decreto 15 dicembre 1990, proprio tenendo conto dei suoi possibili, gravi risvolti sulla salute pubblica nel caso, non infrequente, di intossicazioni collettive da cibi conservati di produzione artigianale e, talvolta, come nel caso in esame, persino industriale.
Agli stessi fini l'articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 123, che ha attuato la direttiva comunitaria 89/397 sul controllo ufficiale dei prodotti alimentari, ha reso più vincolante il compito delle unità sanitarie territorialmente competenti in ogni episodio epidemico di intossicazione alimentare previsto dallo stesso decreto del 1990, imponendo loro di svolgere nel più breve tempo possibile una specifica indagine epidemiologica e di trasmetterne i risultati alla regione di appartenenza. Tale attività delle regioni trova fondamento nelle coordinate previsioni degli articoli 6, comma 1, lettera b) e 7, comma 1, lettera a), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, laddove si dice che «gli interventi contro le epidemie e le epizoozie» sono stati individuati fra le attribuzioni dello Stato, delegando tuttavia le relative funzioni alle regioni, con subdelega operativa ai comuni.
Fin qui la ricostruzione sul tipo di intossicazione e sulla considerazione che questa, fin dal 1990, ha presso il Ministero della sanità. Per quanto riguarda l'approvvigionamento del siero antibotulinico, in base al comma 4 dello stesso articolo 7 della legge n. 833, resta ancora affidato al Ministero della sanità il compito di provvedere «se necessario, alla costituzione ed alla conservazione di scorte di sieri (...) di uso non ricorrente, da destinare alle regioni per esigenze particolari di profilassi e cura delle malattie infettive, diffusive e parassitarie». Soltanto tale norma legittima il Ministero della sanità, anche sotto


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il profilo della disponibilità finanziaria, a costituire e conservare scorte di quei prodotti che, in questo ambito ed in relazione alla situazione epidemiologica nazionale ed internazionale, ritenga utile approvvigionare. Tra questi è stato da tempo individuato proprio il siero polivalente antibotulinico, in considerazione della gravità con cui si manifesta l'intossicazione botulinica, del carattere essenziale ed insostituibile dello stesso siero per la sua terapia d'urgenza e delle note difficoltà di reperimento della specifica antitossina, ultimamente accresciute dal venir meno di case farmaceutiche nazionali che ne assicurino la produzione.
Proprio questa circostanza, evidentemente, ha reso inevitabile, sia da parte delle aziende-unità sanitarie od ospedaliere che debbano assicurare il dovuto, ordinario approvvigionamento delle proprie farmacie ospedaliere sia da parte del Ministero della sanità per le proprie scorte di carattere integrativo, curarne l'acquisto all'estero, con importazione diretta dalle poche imprese che ancora producono questo siero. In questo senso, sia consentito dire che il siero antibotulinico è una sorta di medicinale «orfano», il cui approvvigionamento si presenta molto problematico soprattutto perché, essendo un farmaco utilizzato molto raramente, non offre convenienza economica alle aziende farmaceutiche, le quali, quindi, sono scarsamente motivate a produrlo e commercializzarlo. Le pochissime aziende estere che ancora lo producono per derivazione dal sangue di cavallo, vi provvedono, tuttavia, con modalità discontinue e, comunque, del tutto fuori dal controllo degli acquirenti.
Per comprendere le grandi difficoltà connesse a questo approvvigionamento, basti pensare che il Ministero della sanità ha commissionato all'estero, fin dal 4 dicembre 1995, una partita di siero antibotulinico, che è stata consegnata solo in data 4 settembre 1996, e solo dopo numerosi e pressanti solleciti. Questo, peraltro, non significa che spetti al Ministero della sanità provvedere all'acquisto del siero per tutte le strutture sanitarie italiane. È vero, al contrario, che il ruolo del ministero è di secondo livello, in quanto, secondo le norme vigenti (testo unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1235, articolo 123; regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706 «Regolamento del Servizio farmaceutico», articolo 34), tutte le farmacie degli ospedali di livello regionale sono tenute ad approvvigionarsi del siero antibotulinico come di ogni altro farmaco di vitale importanza. Infatti, l'attuale ordinamento sanitario prevede che siano le aziende USL od ospedaliere ad avere competenza in materia di assistenza ospedaliera (legge n. 833 del 1978 articolo 14, comma 3, lettera l)).
È vero, d'altra parte, che le stesse difficoltà di approvvigionamento riguardano, ovviamente, non solo il ministero ma anche le strutture sanitarie territoriali. Proprio allo scopo di superare questa preoccupante situazione - peraltro influenzata in modo imprevedibile sia da consumi elevati, in relazione a particolari eventi tossico-infettivi, sia da carenza di fornitura derivante da decisioni di carattere aziendale - viene azionato in Italia un sistema di collegamento tra le farmacie degli ospedali regionali ed il Ministero della sanità ampliando, in tal modo, il numero delle strutture cui far ricorso in caso di necessità. In seconda alternativa, il ministero, in caso di necessità e qualora ne disponga, previa notifica del caso di botulismo può fornire tale presidio anche direttamente, e ciò avviene il più delle volte.
Questo sistema combinato ha consentito anche in questo caso di affrontare tempestivamente la situazione. Nell'emergenza in esame, infatti, benché il Ministero della sanità fosse rimasto realmente sprovvisto, per un breve periodo di tempo, di siero antibotulinico (ultimo quantitativo distribuito il 14 agosto 1996 alla regione Basilicata) e fosse in attesa delle forniture richieste sin dal mese di dicembre del 1995, è stato comunque possibile per l'ospedale Cardarelli di Napoli ottenere il siero necessario dal Centro antiveleni di Milano nella stessa giornata della richiesta (ore 15,30 del 31 agosto); tale farmaco, più precisamente, è stato reso disponibile dal Centro antiveleni alle ore 16,45, ed è stato


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inviato a Napoli con il volo delle 17,30 dello stesso giorno (ovviamente, si tratta di dati tutti documentati).
E veniamo alla circolare del 1o luglio 1996 e alle comunicazioni obbligatorie. Va rilevato che il Ministero della sanità, nella piena consapevolezza dei gravi rischi per la salute pubblica di tale patologia, delle situazioni di emergenza che può determinare e degli interventi a breve termine che comporta sotto il profilo della terapia e profilassi e delle correlate procedure informative imposte dalle ricordate disposizioni normative, ha da sempre dedicato all'intossicazione da botulino tutta la particolare attenzione che essa richiede in via preventiva. Basti rilevare che, ancor prima che il botulismo si inquadrasse nel più ampio «Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive», ora previsto dal già ricordato decreto del ministro della sanità del 15 dicembre 1990, per effetto di una specifica lettera-circolare ministeriale dell'8 luglio 1988, era stato creato un «sistema di sorveglianza» espressamente dedicato alle intossicazioni da botulino, proprio in considerazione della loro gravità, dell'incidenza improvvisa e dell'urgenza terapeutica. Inoltre, non è mancato neppure l'invio delle indicazioni tecnico-sanitarie ritenute più opportune, in materia, per le regioni e le province autonome, solo se si considera che l'ultima circolare diramata in materia, la n. 9, risale appena al 1o luglio scorso, e risulta particolarmente esaustiva sotto tutti i profili.
Tale circolare, dopo aver lamentato che, nonostante la chiarezza delle disposizioni del decreto ministeriale del 15 dicembre 1990 e dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 123 del 1993, le notifiche di casi di botulismo e la trasmissione delle relative inchieste epidemiologiche al ministero non sempre venivano effettuate con modalità appropriate, non a caso ha richiamato espressamente le misure obbligatorie da attuare a norma di legge al verificarsi di un caso di botulismo nel modo che viene ora riassunto (è il contenuto della circolare da me firmata il 1o luglio).
Segnalazione del caso da parte del medico che l'ha rilevato all'azienda sanitaria locale competente per territorio entro 12 ore anche dal semplice sospetto, per telefono, telefax o telegramma.
Notifica immediata, da parte della stessa azienda USL interessata - che avrà frattanto avviato la relativa indagine epidemiologica - alla regione e da questa, tramite telefax, telegramma o fonogramma, al Ministero della sanità-dipartimento prevenzione e farmaci-ufficio profilassi malattie infettive e, di conseguenza, all'Istituto superiore di sanità, riportando almeno gli essenziali dati di identificazione, i fondamenti del sospetto diagnostico, l'alimento sospettato, con i suoi eventuali elementi identificativi, le generalità del medico segnalatore, con il suo recapito telefonico.
Invio all'Istituto superiore di sanità-laboratorio alimenti-reparto microbiologia degli alimenti, ai fini della conferma diagnostica, di campioni di materiali biologici e degli alimenti sospetti, accompagnati dalla scheda epidemiologica corrispondente al modello allegato alla stessa circolare del 1o luglio 1996 e secondo le indicazioni telefoniche di volta in volta impartite dallo stesso Istituto; questo, a sua volta, ricevuti i campioni secondo le indicazioni fornite, sarà in grado di comunicare direttamente, in tempi brevi, i risultati dell'accertamento del caso, positivi o negativi, sia all'ente che li ha richiesti sia al Ministero della sanità.
Notifica dei casi di botulismo confermati, che risultino verosimilmente determinati dal consumo di prodotti alimentari, artigianali o industriali, da parte dell'azienda USL al dipartimento competente del Ministero della sanità.
Invio del modello 15 previsto dal decreto 15 dicembre 1990 alla regione e da questa al ministero, insieme ai risultati dell'indagine epidemiologica frattanto obbligatoriamente condotta dall'unità sanitaria sulla presumibile causa alimentare dell'intossicazione, dato - quest'ultimo - davvero essenziale - e lo sarebbe stato anche nell'emergenza in esame - per poter prevenire l'estendersi dell'intossicazione, sottraendo al consumo gli alimenti sospetti di contaminazione, dopo averli sottoposti


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al più presto ai necessari controlli di laboratorio.
Fin qui ho esposto, evidentemente, il quadro normativo ed amministrativo. Passo ora alla cronologia degli eventi svoltisi in particolare in Campania, perché è sui casi verificatisi in quella regione e a seguito della morte di una persona che il problema si è rivelato particolarmente grave.
Dunque, deve rilevarsi che la corretta esposizione degli eventi non può prescindere da una loro rigorosa ricostruzione cronologica, quale risulta dai documenti agli atti del ministero sulle comunicazioni in materia intercorse fra i servizi sanitari territoriali, l'Istituto superiore di sanità ed i competenti dipartimenti del ministero.
Passo agli eventi relativi ai giorni 21, 22 e 23 agosto 1996. In data 21 agosto 1996, l'Istituto superiore di sanità aveva ricevuto telefonicamente una comunicazione di sospetto botulismo dalla direzione sanitaria del II Policlinico dell'Università di Napoli, chiedendo l'invio della relativa scheda di segnalazione: questo, tuttavia, il Ministero della sanità ha potuto desumerlo - in assenza di pur dovute comunicazioni anteriori - soltanto dalla nota dello stesso Istituto in data 11 settembre 1996.
In data 22 agosto 1996, come attesta la stessa nota, l'Istituto superiore di sanità aveva ricevuto campioni biologici (siero e feci), prelevati al paziente Raffaele Corvino, insieme alla relativa scheda, compilata senza alcun elemento identificativo sull'alimento sospettato quale causa dell'intossicaizone; a quanto in essa riferito, le analisi sono state immediatamente avviate.
Considerato che su questo primo caso nulla era stato all'epoca notificato al ministero, l'equivoco sulla mancata tempestività dell'intervento ministeriale, in cui sono caduti la stampa ed alcuni parlamentari, trae presumibilmente origine dal carteggio intercorso tra il servizio di rianimazione del II Policlinico di Napoli, la relativa direzione sanitaria e locale sezione di pubblica sicurezza Arenella; se conosciuti tempestivamente dal ministero tali atti, relativi ai giorni 20-24 agosto, avrebbero potuto indirizzarne fin da allora interventi sul prodotto individuato come concausa degli eventi. Di essi e dei relativi eventi, invece, il ministero ha potuto avere cognizione, in realtà, soltanto l'11 settembre successivo, ricevendone copia, su sua richiesta, dal procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere.
Eventi relativi ai giorni 29, 30 e 31 agosto e 1o settembre 1996. Soltanto la scheda del Centro antiveleni dell'ospedale Niguarda di Milano, relativa ad invio di siero antibotulinico al Cardarelli di Napoli per il trattamento di Gaetano Saggiomo e di altre due persone (Nicola Saggiomo e Pietro Falco) ha permesso al Ministero della sanità di desumere che l'esposizione al tossico dei tre pazienti sarebbe avvenuta alle ore 20 del 29 agosto 1996. In realtà, anche sulla base di dati che ho personalmente acquisito, oltre a questo elemento c'è da segnalare una telefonata che il giorno 31 agosto fu fatta al magazzino sieri del ministero: in questa telefonata fu precisato che il magazzino era sfornito del siero antibotulinico ma fu segnalato immediatamente - come risulta debba farsi sulla base della normativa vigente - di rivolgersi ai centri antiveleni, in particolare a quello dell'ospedale Niguarda di Milano; cosa che fu fatta, tant'è che lo stesso giorno, un'ora più tardi, il siero è stato inviato al Cardarelli di Napoli con il volo delle 17,30. Sempre dalla scheda del centro antiveleni dell'ospedale Niguarda risulta, dunque, che l'arrivo al pronto soccorso dell'ospedale Cardarelli sarebbe avvenuto alle ore 10 del 31 agosto (circa due giorni dopo), che il siero è stato richiesto alle ore 15,30 del 31 agosto (cinque ore e trenta minuti dopo l'arrivo al pronto soccorso) e reso disponibile alle 16,45 dello stesso giorno per essere inviato a Napoli con il volo Milano-Napoli delle ore 17,30.
Da un'altra scheda dello stesso centro antiveleni di Milano risulta che altro siero antibotulinico è stato inviato alle ore 1,30 del 1o settembre all'ospedale Cardarelli di Napoli.
Eventi relativi al giorno 2 settembre 1996. In data 2 settembre 1996, l'ospedale Cardarelli di Napoli richiedeva al


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Ministero della sanità la disponibilità di siero antibotulinico per due pazienti affetti da botulismo e degenti presso le rianimazioni dei policlinici.
Lo stesso giorno 2 settembre il Ministero della sanità, al momento sprovvisto di siero dopo averne inviato le ultime dosi il 14 agoto precedente, rispondeva all'ospedale Cardarelli di Napoli fornendo la mappa delle strutture ospedaliere dotate del siero antibotulinico a livello nazionale, ma precisando, contestualmente, di essere a conoscenza che il CAV di Niguarda aveva già inviato il siero richiesto.
In data 2 settembre 1996, l'ospedale Cardarelli inviava all'Istituto superiore di sanità campioni biologici prelevati dai pazienti Pietro Falco e Nicola Saggiomo nonché un campione dell'alimento sospettato della loro presunta intossicazione botulinica, che perveniva il 4 settembre successivo.
Eventi relativi ai giorni 3 e 4 settembre 1996. Il 3 settembre 1996, da parte dell'Istituto superiore veniva riscontrata presenza di score botuliniche nei campioni di feci di Raffaele Corvino e di tale risultato veniva data immediata comunicazione alla direzione sanitaria del II Policlinico di Napoli; questo può desumersi dalla nota inviata dallo stesso Istituto al ministero l'11 settembre 1996. Del risultato delle analisi venivano resi edotti, altresì, la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ed il dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale Caserta-2.
In data 4 settembre 1996, in assenza di riscontro ad una precedente richiesta telefonica, il Ministero della sanità inviava tramite fax all'ospedale Cardarelli di Napoli copia delle schede di informazione, chiedendo ulteriori elementi di identificazione commerciale dell'alimento sospetto (lotto di produzione, casa produttrice, scadenza).
In data 4 settembre 1996, il Ministero della sanità, avendo finalmente potuto ricostituire in pari data le proprie scorte di siero antibotulinico, provvedeva ad evadere le richieste pervenutegli dall'ospedale di Vibo Valentia lo stesso giorno.
Eventi relativi ai giorni 5 e 6 settembre 1996. Alle ore 17 del 5 settembre 1996, l'Istituto superiore di sanità dava notizia al Ministero della sanità della presenza di tossina botulinica nel siero di due pazienti ricoverati a Napoli ed in un campione di alimento identificato quale mascarpone Giglio, con scadenza 3 ottobre 1996.
Nella stessa serata del 5 settembre 1996, con telescritto urgente, il Ministero della sanità disponeva l'immediato sequestro cautelativo del mascarpone Giglio in tutto il territorio nazionale.
Il giorno seguente, 6 settembre 1996, veniva disposto analogo sequestro cautelare anche del mascarpone commercializzato con i marchi Parmalat, Sol di Valle, potenzialmente considerati prodotti «a rischio» perché risultati provenienti dalla stessa linea di produzione dello stabilimento Giglio di Reggio Emilia e dalla stessa materia prima del mascarpone Giglio, a seguito dell'intervento notturno dei carabinieri della sanità. Nel contempo, era stato avviato il sistema di allerta europeo, a norma del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 123, informando anche le ambasciate dei paesi terzi.
Si ritiene, anche per quanto si è potuto successivamente accertare, che la responsabilità del mascarpone sia riscontrabile sia nel momento della produzione sia in quello della distribuzione.
Per quanto riguarda il momento della produzione, si tiene a precisare che si tratta di una sola ed unica linea per tutti i marchi di mascarpone prima ricordati (Giglio, Parmalat, Oro e Sol di valle). Si è riscontrato che nel prodotto prelevato presso lo stabilimento di Reggio Emilia erano presenti soltanto spore. Le tossine sono state invece riscontrate nei prodotti consumati dai pazienti intossicati ed anche nelle confezioni integre prelevate negli stessi negozi dove era stato acquistato il prodotto consumato.
Sono state accertate responsabilità sia nel momento della produzione sia in quello della distribuzione e conservazione, perché sembra essersi realizzata, da quanto si apprende da organi di stampa che danno notizia delle indagini della


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magistratura, nel momento della produzione, una interruzione di energia elettrica che non ha consentito il confezionamento secondo le norme dovute. Tuttavia, se il prodotto fosse stato distribuito e conservato secondo le regole, cioè mantenuto a 4 gradi di temperatura, le spore non avrebbero prodotto le tossine (le spore da sole non sono nocive, lo diventano quando producono le tossine).
In data 6 settembre 1996, il servizio epidemiologia e prevenzione della azienda sanitaria locale Caserta-2 inviava quattro schede di notifica di malattia infettiva di classe I - caso confermato (modello 15 di sanità pubblica) - relative a casi di botulismo intercorsi a carico di Raffaele Corvino, Gaetano Saggiomo, Nicola Saggiomo e Pietro Falco. Va rilevato che nessuna di queste schede rispetta i criteri informativi, i tempi e le modalità previsti dal decreto ministeriale 15 dicembre 1990 e dalla circolare n. 9 del 1o luglio 1996.
Eventi relativi ai giorni 7 e 8 settembre 1996. In data 7 settembre 1996, è stata inviata al Ministero della sanità la relazione sulle indagini epidemiologiche effettuate a cura del personale del servizio di epidemiologia e prevenzione della ASL Caserta-2 sui casi di Gaetano Saggiomo, Raffaele Corvino, Antonia Panaro, Maria Cerasuolo, Pietro Falco, Nicola Saggiomo.
Sempre in data 7 settembre 1996, il servizio di igiene degli alimenti d'origine animale - distretti nn. 36 e 37 della ASL Caserta-2 - trasmetteva gli esiti (positività della prova biologica per presenza di tossina botulinica termolabile) delle indagini di laboratorio effettuate dall'Istituto zooprofilattico sperimentale di Portici su campioni di «Mascarpone dello chef» Parmalat, consegnati dai sanitari del II policlinico di Napoli, da cui non si deducevano, tuttavia, né il numero di lotto né la data di scadenza e supposto correlato all'intossicazione di Raffaele Corvino.
In data 8 settembre 1996, da notizie di stampa si apprendeva l'avvenuto decesso del paziente Nicola Saggiomo per botulismo, decesso che non è mai stato comunicato al ministero.
Eventi relativi al giorno 9 settembre 1996. In tale data veniva nuovamente trasmesso al ministero il risultato delle analisi di laboratorio effettuate dall'Istituto zooprofilattico sperimentale di Portici, assieme alla scheda di notifica di malattia infettiva relativa alla paziente Maria Cerasuolo.
Come già anticipato, il decreto ministeriale 15 dicembre 1990 classifica il botulismo tra le malattie a notifica obbligatoria di classe I, per le quali si richiede segnalazione immediata. Le modalità di comunicazione obbligatoria sono dettagliatamente specificate nello stesso decreto e nella circolare n. 9 del 1o luglio 1996.
Dalla cronologia degli avvenimenti appena esposta emerge con chiarezza come, in realtà, soltanto l'Istituto superiore di sanità, interessato soltanto dal punto di vista laboratoristico - quindi senza la scheda informativa che segnalasse in modo particolare l'alimento sospetto - sia stato informato sin dal 21 agosto 1996, mentre il Ministero della sanità, cui pure compete l'adozione dei necessari provvedimenti cautelativi per la tutela della salute pubblica nel territorio nazionale, ha ricevuto notizia dei casi di botulismo in esame soltanto con molto ritardo.
Dalla sequenza cronologica degli eventi risulta inequivocabilmente che, sebbene fin dal 21 agosto 1996 fossero stati localmente espressi chiari sospetti di intossicazione botulinica e fossero in corso, sia presso le autorità sanitarie territoriali sia presso l'Istituto superiore di sanità, ulteriori accertamenti, nessuno si curò in alcun modo di informare il Ministero della sanità di quanto accadeva. Ciò nonostante l'aumento dei casi sospetti verificatisi nei giorni immediatamente successivi.
Va ribadito che la prima comunicazione pervenuta al Ministero della sanità - a parte la telefonata ricordata, del 21 agosto - è quella inviata dal Centro antiveleni di Napoli in data 2 settembre 1996, connessa ad una richiesta di siero antibotulinico che, peraltro, risultò essere già stata soddisfatta dal Centro antiveleni di Milano. Tale nota, comunque, non può essere considerata un idoneo adempimento degli


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obblighi di legge, in quanto parziale, frammentaria e, in ogni caso, priva degli elementi informativi essenziali.
Chiarito, da quanto sopra esposto, la indiscussa qualità e tempestività dell'azione - peraltro riconosciuta anche a livello comunitario - del Ministero della sanità, dell'Istituto superiore di sanità e del comando dei Carabinieri per la sanità, chiarita altresì - mi auguro - la strumentalità degli attacchi ingiustificati rivolti all'azione del ministero, dell'Istituto superiore di sanità e allo stesso ministro, resta ovviamente da approfondire con quanta tempestività gli assessorati regionali, ai quali fin dal 1o luglio era stata inviata la circolare di cui sopra, abbiano provveduto a notificarla alle competenti unità sanitarie locali. Resta da chiarire perché con tanto ritardo e con tanta imprecisione i presidi ospedalieri, le competenti unità sanitarie locali e la regione Campania abbiano provveduto ad informare i competenti organi centrali.
Di fronte alla morte di Nicola Saggiomo, oltre al dolore resta anche il profondo interrogativo su come sia potuto accadere che, ricoverato alle ore 10 del 31 agosto e avuta la disponibilità nello stesso giorno del siero antibotulinico, sia deceduto, a quanto a noi risulta, il 7 settembre.
D'altra parte, è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un caso di botulismo causato da un prodotto derivato dal latte e per di più, come nel caso in specie, da un prodotto a base industriale così diffusa. Voglio però sottolineare che, probabilmente, siamo venuti a conoscenza di una causa che può permetterci di esercitare un'azione di prevenzione anche su altri prodotti il cui sistema di produzione e distribuzione si va molto diffondendo, quelli a cosiddetta conservazione fresca. Da questo punto di vista, quindi, il sacrificio di una persona può risultare anche estremamente positivo per la vita di molte altre.

GIULIO CONTI. Lo dice lei!

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Lo dico perché ho una visione della vita che mi porta a fare anche questo tipo di considerazione. Lo dico perché prima mi sono doverosamente documentata su come si sono svolti i fatti.
Di fronte ad un processo di regionalizzazione che abbiamo voluto e al quale crediamo profondamente, di fronte alla piena realizzazione di responsabilità dei competenti organi locali in materia sanitaria, mi chiedo, e invito la Commissione e quindi il Parlamento a fare altrettanto, come sia possibile creare una maggiore comunicazione e, soprattutto, una maggiore responsabilità, da parte degli organi regionali e locali, per funzioni che sono e che restano eminentemente statali e con risvolti anche di carattere internazionale. Il Ministero della sanità - al quale non potranno mai essere sottratte le competenze che riguardano, ad esempio, l'osservatorio epidemiologico - non può non avere...

GIULIO CONTI. Questo statalismo, questa centralizzazione... mi piace.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Questo non è statalismo, questa è funzione... Come si potrebbe non avere un'interfaccia con le realtà locali? Nessuno invoca organi decentrati del ministero, per carità; anzi, assisteremo ad un trasferimento ulteriore di materie di carattere locale ad organi locali; ma come si può non pensare che questi si debbano organizzare in maniera efficace per quanto riguarda le funzioni eminentemente statali, che restano tali? Il fatto in discussione non può non farci riflettere, da questo punto di vista: evidentemente, manca un potere di controllo del ministero, che qualcuno in questi giorni ha invocato, nei confronti degli organi locali. Ma credo che la registrazione dei fatti parli chiaro, da questo punto di vista.

GIUSEPPE DEL BARONE. Presidente, solo una domanda.

PRESIDENTE. Vi è un ordine di iscrizione a parlare, collega Del Barone.

GIUSEPPE DEL BARONE. Ma voglio solo sapere quanti casi sono stati registrati.


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PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Conti.

GIULIO CONTI. Sono soddisfatto della relazione del ministro dal punto di vista cronologico, perché ha spiegato alcune cose anche scontate, però è giunta ad una conclusione di grande valore, e cioè che alcune funzioni debbono essere centralizzate. In questa vicenda, a parte i casi dolorosi dei decessi e del diffondersi del botulismo (ma questa non è un'epidemia e non è neanche una malattia infettiva), vi è stato qualcosa che mi ha molto soddisfatto: finalmente si è riconosciuta la necessità di centralizzare alcune funzioni in corrispondenza di eventi che, nel settore sanitario, non possono essere regionalizzati in base a criteri di natura politica o istituzionale. E questo è uno dei casi più importanti, insieme a molti altri, compreso quello di cui si è parlato nei giorni scorsi. Mi riferisco alla ricerca.
È chiaro che, con la conclusione di questo intervento ministeriale, oltre a un tentativo di scaricabarile che non condivido affatto, considerata l'importanza della materia in questione, vi è stato anche un appello alla necessità di centralizzare e comunque di potenziare la ricerca. La ricerca deve essere incentivata, potenziata e centralizzata per problemi che interessano tutta una nazione, e deve essere finanziata. Infatti, non è possibile sostenere che il botulino provoca solo alcuni decessi all'anno e quindi non vi è interesse a compiere ricerche su questo tipo di malattia, perché poi si ha la sorpresa di un terreno di coltura che sarebbe nuovo per il botulino. Su questa «novità» non voglio insistere né criticare né polemizzare, trattandosi di un discorso che non interessa al ministro, avendo un valore unicamente scientifico; ma ciò che interessa a tutti noi è la carenza di riserve che un paese di 60 milioni di abitanti ha per forza. Perché per forza? Si osserva giustamente che le scorte ministeriali non possono essere per tutti gli ospedali di Italia, e questo è un dato di fatto; ma la replica è che non è possibile che l'ospedale di Niguarda della regione Lombardia sopperisca alle necessità di tutto il paese. Questo, infatti, è il fattore politico contenuto nella vicenda: ogni regione dovrebbe avere le sue scorte. Qui siamo, evidentemente, ad una valutazione di impossibilità di questa necessità, perché le regioni povere o piccole non avranno la possibilità economica di dotarsi di scorte sufficienti nei casi di epidemie, non potendo certo fornirsi di 200 mila dosi di siero. E figuriamoci una regione più grande: infatti, le scorte hanno una scadenza, che certo non è di 20 anni, essendo un siero di origine animale e trattato (in sostanza un vaccino). Quindi è necessario cambiare, con un intervento anche di carattere legislativo, l'approccio a questo problema.
In questo caso la cronologia degli eventi era necessaria, ma gli attacchi che sono stati portati, spesso in modo non dico violento ma molto incompetente, sono dovuti al fatto che gli organismi del ministero hanno peccato nel rispettare troppo la legge. La notifica, infatti, è obbligatoria, come sanno tutti, perfino per gli orecchioni; ma l'Istituto superiore di sanità ha ricevuto una richiesta di analisi il 21 agosto. Credo che avrebbe dovuto dare l'allarme: non credo sia necessario attendere la scheda da Napoli o da Caserta per dire che si è in una situazione di allarme. L'Istituto superiore di sanità non fa le analisi su ordinazione come un istituto privato, per cui è necessaria una forma di autoresponsabilizzazione.
Un altro aspetto importantissimo. Sulla scheda non è indicata la probabile causa della malattia, ma questo può essere scusato, perché è stata la prima volta in cui il latte o un suo derivato può aver provocato un caso di botulismo. Perciò, il medico, nel compilare la cartella clinica, avrà anche scritto che il paziente aveva ingerito del mascarpone, però senza rilevare che poteva essere la causa del botulino, o del terreno di coltura del botulino.
Allora, nel contesto della relazione, questo tipo di attribuzione di responsabilità non al ministero ma al medico, o al paziente che non ha detto o, almeno, non ha sottolineato di aver mangiato un certo alimento, perché non era conservato in


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una scatola di latta, oppure a chi a livello centrale non ha sottolineato che poteva trattarsi di qualcosa di nuovo, non è per me motivo di scandalo tanto da farne un caso politico. È invece importante affermare che quando accadono cose del genere il ministero deve avere il potere di esercitare un'autorità che obblighi la regione ad osservare quanto dal ministero stabilito, cioè il potere di fare un'ispezione immediata per controllare quanto stia accadendo, perché se a livello regionale gli strumenti non ci sono, c'è il centro antiveleni, che è un servizio, non un centro di indagine. Ritengo, dunque, che il ministero debba essere reinvestito di una responsabilità che gli è stata tolta, in modo sciocco ed inconscio, alcuni anni fa da un legislatore in preda ad una frenesia politica ed ideologica.
Il caso che purtroppo si è verificato serva ad educare tutti noi che alcune competenze debbono essere di grado superiore. Possono anche esservi regioni che hanno le possibilità di operare direttamente; ma in questo caso si sta verificando una cosa gravissima, cioè la dipendenza di alcune regioni da altre. Napoli si è rivolta a Milano e per fortuna Milano disponeva del siero! Ma se Milano avesse avuto solo quello sufficiente alla Lombardia, cosa sarebbe successo? Se ci fosse stata un'epidemia anche a Milano - e probabilmente c'è stata, perché su 40-100-200 casi alcuni vengono confusi con altre patologie, altri non sono denunciati, altri ancora, per fortuna, non portano alla morte del paziente - cosa sarebbe accaduto? Dobbiamo dunque trarre insegnamento dall'episodio che si è verificato.
Non andrei a cercare responsabilità del singolo per punirlo, perché non sarebbe serio. Sarebbe come dire: poiché vi è una situazione che coinvolge tutti, compresi noi parlamentari, che poi siamo coloro che hanno prodotto queste disfunzioni, allora ce la prendiamo con il medico che non ha dichiarato che origine della patologia era il mascarpone, anche se un caso del genere non si era mai verificato. Trarre insegnamento dalla vicenda significa invece, secondo me, modificare la legislazione al fine di dare più poteri, in questo senso e per questo tipo di patologie ed eventualità, cioè le epidemie, a livello centrale. Questo in primo luogo.
In secondo luogo, occorre che ci sia un finanziamento per le scorte di medicine che si trovano con difficoltà, poiché vengono prodotte in scarsa quantità essendo pochi i casi della malattia per cui sono impiegati. Ora stiamo parlando di botulismo, ma vi sono altre malattie rare per le quali le farmacie non dispongono del medicinale adeguato perché non hanno la disponibilità economica di fornirsi di medicine per tutte le malattie. Mi pare dunque che sia ovvia la necessità che una riserva per questo tipo di patologie sia fatta da qualcuno e, fin tanto che c'è, secondo me e secondo alleanza nazionale questo qualcuno non può essere che il Ministero della sanità.
C'è, poi, un terzo punto, importantissimo, mentre ora stiamo andando contro tendenza, contro logica e contro gli interessi nazionali; questo punto è rappresentato dalla ricerca, la quale non può essere affidata alle regioni ma assegnata a qualche regione in grado di affrontarla con i mezzi e le strumentazioni di cui dispone. Però, se questi mezzi e queste strumentazioni non vi sono, che ricerca volete si faccia? Se i laboratori non sono all'altezza cosa volete che si ricerchi?
Quarto punto: il sistema di produzione. In tutta questa vicenda ci è stato sottolineato quali siano le responsabilità e, ovviamente, queste fanno capo ad un produttore, il quale si è reso conto che si vogliono, per forza, conservare prodotti destinati, invece, a durare poco (è una mia osservazione, che può essere contestata). Per farli durare di più, perché siano disponibili anche fuori stagione e per destinarli ad un uso nuovo si adottano criteri di produzione, di conservazione e di diffusione mai sperimentati prima. Cioè vi è stata, in questo caso, una conservazione del mascarpone per la confezione del tiramisù senza aver mai sperimentato prima cosa sarebbe potuto succedere mettendo in commercio certi prodotti destinati a certe utilizzazioni. Questo significa ricerca e sperimentazione. Poco fa il ministro ha


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detto che il caso mortale che si è verificato ci servirà per salvare altre vite umane: sono d'accordo, anche se, a livello politico, è azzardato fare una tale dichiarazione e ci vuole coraggio per farla. Il medico, invece, affermazioni di questo tipo ne fa molto spesso, è la sua vita, per andare avanti non può fare diversamente. Di pari passo, però, si deve affermare che per evitare questo tipo di sperimentazione spontanea bisogna farne una scientifica, studiata e programmata; questo mi pare che il ministero possa farlo o, quanto meno, imporlo e programmarlo.
La quinta considerazione - ed ho finito - concerne il danno economico e di immagine per l'Italia. Che abbiamo fatto da cavia per altre nazioni è un dato di fatto, ma per questo saremo presi ad esempio di arretratezza da parte di tutti, all'estero, e sarà una valutazione ingiusta. La Comunità europea o altri importatori di questi prodotti, come gli Stati Uniti, bloccheranno le importazioni - così come hanno fatto - dichiarando che l'Italia non è affidabile. In parte questo è vero, perché abbiamo prodotto beni commerciali senza sperimentare quali effetti avrebbero potuto causare - la cosa è grave e la legislazione al riguardo va rivista -; ma è anche vero che è ingiusto rivolgere questa accusa all'Italia perché lo stesso sarebbe potuto accadere negli Stati Uniti e noi avremmo potuto comprare loro prodotti con queste stesse conseguenze.
Quindi, occorre valorizzare la ricerca ed imporla per i beni commerciali di uso alimentare. E chi può farlo? Una regione o il ministero? Chi può impartire una tale disposizione? Il ministero e non certo l'assessore alla sanità di ciascuna regione, con venti ordini diversi, che possono essere tra loro convergenti, divergenti o addirittura in contrapposizione su materie di interesse generale per tutta la comunità.
È questo un richiamo di natura politica ed istituzionale che certamente si basa sul buonsenso e sulla necessità di unire le scarse forze economiche di cui si dispone per andare incontro ad esigenze di carattere nazionale e generale.

PRESIDENTE. Non ho voluto interrompere l'onorevole Conti, però vorrei raccomandare ai colleghi di contenere i loro interventi in tempi abbastanza ristretti, in modo che sia possibile concludere l'audizione con la replica del ministro, che un po' prima di mezzogiorno dovrà lasciare la nostra Commissione per un impegno al Senato.

GIUSEPPE DEL BARONE. Cercherò di aderire al massimo alla richiesta del presidente, ponendo però una domanda, che già volevo fare in precedenza, completamente asettica e cordiale.
Dal discorso del ministro Bindi non ho afferrato una sola cosa e vorrei capire se non l'ho afferrata io o non l'ha detta lei: quanti casi si sono realmente verificati? Premesso che, essendo napoletano, ho seguito la vicenda non in vitro ma in vivo, se dovessi pronunciarmi riguardo al caso che ha registrato la pseudodiagnosi - mi permetto di dire pseudodiagnosi - del 10 agosto e la morte del 7 settembre, non mi pare che morte per conclamata diagnosi di botulismo vi sia stata. Dunque domando: quanti casi si sono verificati in tutta Italia? Se questo numero è enorme, possiamo dire tutto ciò che vogliamo; ma a me pare che, molto intelligentemente, lei abbia detto «diamo a Cesare ciò che è di Cesare», cioè che nel 1992 si sono verificati due casi ma nel 1995 addirittura quarantuno, per cui quest'anno i casi sono stati in numero nettamente inferiore rispetto a quello dell'anno precedente. Allora, si è fatto tanto rumore perché vi è stato un morto? E se vi sono state altre morti per le quali sono state fatte altre diagnosi? Ecco perché Vorrei sapere quanti decessi si siano verificati.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. I casi accertati sono stati 7, mentre quelli sospetti variano da 7 a 11, perché alcuni esami sono ancora in corso presso l'Istituto superiore di sanità.

GIUSEPPE DEL BARONE. Quindi, statisticamente parlando, la sua risposta colloca i casi di botulismo di quest'anno in


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una posizione nettamente inferiore rispetto a quella degli anni precedenti.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Il primo caso che si è verificato, e che a tutt'oggi non siamo in grado di affermare se sia o meno collegato al consumo di mascarpone, è quello di Raffaele Corvino, che non è deceduto. La persona deceduta è quella che ha contratto l'intossicazione successivamente.

GIUSEPPE DEL BARONE. È vero che i casi di quest'anno si riferiscono solo ad un mese, ma anche se allarghiamo la statistica ai dodici mesi, più o meno vale quanto ho detto prima (sia chiaro: non sono uno iettatore, per cui mi auguro che la faccenda si fermi a questo punto, così tutti dormiamo tranquilli!).
Lei ha detto che l'Istituto superiore di sanità colloca il botulismo tra le malattie infettive. Ma dal punto di vista clinico-medico ciò è da scartarsi assolutamente, perché il botulismo è una intossicazione non una malattia infettiva, e questo dobbiamo sottolinearlo con estrema chiarezza.
Mi dichiaro soddisfatto, signor ministro, dalla sua esposizione cronologica dei fatti. Lei ci ha parlato, in termini estremamente chiari, di una situazione che resta valida dal punto di vista cronologico, ma da quello dell'attuazione della terapia sposta un poco i tempi, perché non c'è corrispondenza tra le date da lei indicate per i casi successi e le possibilità di intervento terapeutico sugli stessi. Da qui l'interrogativo del collega Conti: si deve lasciare una centralizzazione per funzioni precise? Personalmente, mi pongo a metà strada, perché vi sono regioni - la Campania potrebbe essere una di queste - che in certe circostanze, dimenticando per un attimo la parola «botulismo», devono saper operare autonomamente: sarebbe paradossale, per esempio, se una ASL di Caserta non si ponesse la possibilità dello studio della brucellosi nel caso in cui tale malattia fosse un fatto endemico in quella provincia. Diciamo, quindi, che la centralizzazione può andare bene, ma che casi specifici di malattia devono essere affidati alle regioni.
Vorrei adesso sottolineare un altro punto, e certo non per ipertrofia di categoria, che credo di aver superato abbondantemente. Signor ministro, se lei ha letto quanto è stato detto negli ultimi due o tre giorni, avrà notato che si è di nuovo parlato in eccesso di botulismo dopo che un ragazzo aveva accusato stanchezza, difficoltà a camminare eccetera. Mi sono informato su questo caso ed ho saputo ciò che la stampa ha riportato questa mattina, cioè che si trattava di una polinevrite virale. Dunque, una cosa è la psicosi, un'altra è la realtà diagnostica! La diagnosi di botulismo non è tra quelle che un medico può fare di punto in bianco, perché è necessaria una preparazione clinica che esclude l'immediatezza. A mio avviso, quindi - lo dico a me, non a lei, signor ministro - sarebbe paradossale andare a cercare assolutamente responsabilità in campo clinico. Così come ritengo inopportuno spostare a livello periferico responsabilità centralizzate.
Signor ministro, se con molta amicizia - sottolineo questa espressione - mi fosse consentito di invitarla a cancellare una frase dalla sua relazione, mi permetterei di chiederle di farlo dove è detto che «il prodotto può mancare perché le case farmaceutiche non hanno convenienza economica». A me, della convenienza economica delle case farmaceutiche non me ne frega assolutamente niente!
Lei ha usato un'espressione molto valida quando ha detto che la morte di quel povero ragazzo servirà per la ricerca, quindi per evitare che vi siano altri decessi. Sono d'accordo con lei, anche perché ricordo che nel salone dove studiavo anatomia era scritto: «Questo è il posto dove la morte dà incremento alla vita». Di soldi ne buttiamo via tanti, a volte anche in senso letterale, per cui ben vengano quelli spesi per questo tipo di ricerca.
Signor ministro, personalmente non vedo particolari responsabilità dell'assessorato regionale della Campania, per cui diciamo che determinate cose si sono ipertrofizzate perché dei suoi


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«simpaticissimi» amici della maggioranza hanno voluto, con posizioni di cui non discuto la validità o meno, moltiplicare per 6,28 un fenomeno che, in termini fisiologici, poteva essere ricondotto ad un fatto normale, con una sua genesi clinica particolare, considerato che per la prima volta, anziché negli insaccati, nelle marmellate, nelle conserve o in quant'altro, il botulino è stato trovato nel latte e, più esattamente, nel mascarpone.
Ultima considerazione. In questo caso mi sembra vi sia stata una deficienza, nel senso che, se fossi stato al posto dei NAS o del ministro della sanità, avrei chiesto un'indagine più accurata presso il venditore. Infatti, signor ministro, se quest'ultimo apre la scatola di mascarpone, ne tocca il contenuto con le mani sporche e non lo mette in frigorifero, può causare la presenza di spore nel prodotto. È pur vero che trovarle nella catena di produzione già di per sé non è cosa simpatica, ma è altrettanto vero che le spore potrebbero restare tali vita natural durante se non vi fosse uno stimolo che le muta in tossine.
Prego vivamente il ministro di accettare queste considerazioni senza spostare responsabilità a destra o a manca, perché questo è un «simpatico» punto dove le responsabilità, compresa quella relativa alla difficoltà della diagnosi, possiamo trovarle tutti quanti con il concetto papale dell'urbi et orbi.

PRESIDENTE. Onorevole Del Barone, comunque lei non ha mantenuto le promesse.

GIUSEPPE DEL BARONE. Onorevole presidente, lei è cattiva!

ANNAMARIA PROCACCI. Anzitutto, voglio ringraziare il ministro Bindi per la sua relazione molto minuziosa ed articolata.
Cercherò di contenere il mio intervento su questa vicenda che ci ha molto preoccupato sia per un problema di salute pubblica della collettività sia perché - qui mi permetto di non concordare con alcuni colleghi - credo si debbano accertare le responsabilità che vi sono state, pur tenendo conto di tutti gli aspetti particolari o eccezionali della vicenda botulismo, per esempio il fatto che per la prima volta sia stato causato dal latte.
Vorrei anzitutto evidenziare l'opportunità, da noi ripetutamente sottolineata, di controlli anche sul latte proveniente dall'est, perché riteniamo che le abitudini alimentari che si vanno modificando, anche nella conservazione, come giustamente ha rilevato il collega Conti, debbano essere all'attenzione di tutti noi. Quindi, raccomando all'attenzione del ministro un'attenta ricerca anche in questo senso, considerato che abbiamo modificato anche l'origine di molte componenti dei prodotti alimentari che consumiamo e che ciò vale in particolare per i formaggi. Ho detto che l'accertamento delle responsabilità non mi scandalizza assolutamente, perché ritengo sia un elemento doloroso che, però, ci consentirà di lavorare meglio, in quanto potremmo capire quali siano stati, in questa vicenda del tutto particolare, i punti che non hanno funzionato al meglio. Sono d'accordo sulla centralità di due elementi: il siero e il sistema di informazione tra il centro e la periferia e viceversa. Vorrei soffermarmi soprattutto su questi due aspetti, proprio in nome dell'esigenza di chiarezza e trasparenza che condivido completamente.
Nelle ripetute interrogazioni che il nostro gruppo ha presentato al ministro della sanità era contenuta una grande preoccupazione, derivante anche dalle dichiarazioni degli amministratori locali della regione Campania, su cui stanno indagando i magistrati competenti, in relazione alla pretesa negazione del siero da parte del ministero. Non si può non convenire sul fatto che una negazione del siero sarebbe fonte di legittima perplessità e di preoccupazione. Addirittura, organi di stampa di ieri riportavano alcuni punti dell'indagine che la magistratura sta conducendo, formulando anche l'ipotesi che il giovane Nicola Saggiomo, di anni 14, possa essere deceduto per la mancanza dell'antidoto. Ho ascoltato con attenzione la relazione del ministro, anche quando ha


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avanzato perplessità chiedendosi come sia stata possibile la morte del giovane sette giorni dopo la somministrazione dell'antidoto. Credo che il Ministero della sanità debba avere scorte di prodotti farmaceutici di non facile reperibilità o considerati tali anche per le cause segnalate dal ministro; non credo, infatti, che sia stata una giustificazione dire che le case farmaceutiche non producono il siero in quanto non redditizio: penso che, purtroppo, sia un dato di fatto. Segnalo quindi all'attenzione del ministro la necessità di scorte di siero presso il ministero in modo che si accorcino i tempi per la sua reperibilità.
Il secondo aspetto concerne quello che, in alcuni momenti, abbiamo considerato un tardivo o, addirittura, mancato allarme sulla patologia relativa al botulismo di Raffaele Corvino di Casal di Principe. Non vi era una chiara visione della razionalità degli eventi, e quindi non ha funzionato il sistema di comunicazione tra la periferia e il centro e tra il centro e la periferia. Credo che proprio il caso di Raffaele Corvino costituisca l'elemento più importante, e per questo abbiamo insistito affinché lo si considerasse con molta cura. Nella vicenda di questo paziente, infatti, è risultato smagliato il sistema della comunicazione, che invece deve essere tempestiva. Raccomando perciò al ministro che, anche attraverso una circolare o altro genere di intervento, si possa risolvere il problema, perché la tempestività è un elemento fondamentale.
Non entro nel discorso concernente le regioni, e non certo perché abbia paura di pronunciarmi; anzi, siamo stati sempre critici, anche perché pensiamo che l'accertamento delle responsabilità sia fondamentale. Però ritengo che l'efficienza del funzionamento del ministero debba essere sempre salvaguardata come un elemento centrale, anche se oggi è in atto un processo storico, che ha motivazioni assai valide - ma ne discuteremo in altra sede -, di progressivo decentramento verso le regioni.
Nel corso della prima audizione del ministro della sanità presso questa Commissione, all'inizio della legislatura, affrontai l'argomento della prevenzione come un elemento di straordinaria importanza per la salute della collettività, anche per quanto riguarda l'alimentazione. Ricordo che feci l'esempio del ricorso ai fitofarmaci nell'agricoltura. Trovo assolutamente sensato andare a scavare nelle nostre abitudini alimentari, nella ricerca dell'introduzione di nuove abitudini alimentari sulle nostre mense per ragioni di mercato, perché credo che su questo sia opportuno fare un'approfondita riflessione.
I punti che ho sinteticamente richiamato, che abbiamo richiamato nelle ripetute interrogazioni del nostro gruppo e che sono stati sollevati questa mattina anche da altri colleghi, sono importanti se vogliamo lavorare meglio. Ritengo, infatti, che in questa circostanza non debbano esservi tra noi spunti polemici, bensì la ricerca di un funzionamento complessivo migliore del settore, se vogliamo che vicende come questa non si ripetano. Tra l'altro, il nostro è un paese che ha abitudini alimentari ancora radicate nel passato, come per esempio nel caso delle conserve fatte in casa. Secondo le statistiche, la regione che coltiva questa abitudine alimentare nella misura maggiore è la Campania. Dobbiamo essere particolarmente attenti nella prevenzione e nella soluzione dei problemi anche per questo motivo.

PRESIDENTE. Raccomando ai colleghi di non dilatare troppo i tempi degli interventi (anche se in ufficio di presidenza non abbiamo stabilito limiti), per dar modo al ministro di replicare nella seduta odierna.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio il ministro per la dettagliata relazione svolta in Commissione; è stata talmente dettagliata da far dire all'onorevole Conti che si è rispettata troppo la legge. Essendovi stati troppi dettagli, sembrerebbe una relazione burocratizzata, anche se era utile farla. Comunque, direi che in effetti non è che la legge sia stata rispettata, perché essa impone a qualunque pubblico ufficiale, quando viene a conoscenza di un evento, di intervenire. E


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credo che il ministro e il Ministero della sanità siano qualcosa di più di un pubblico ufficiale. Per cui, il rispetto dell'eventuale notifica o dell'eventuale comunicazione è importante, ma di fronte a un fatto così eclatante, di cui hanno parlato tutti i mass media, e che ha suscitato preoccupazione nell'opinione pubblica, l'intervento del ministero poteva essere più presente e più cogente, al di là della semplice segnalazione. Questo deve essere tenuto in considerazione indipendentemente dal fatto che debba essere più o meno centralizzata la competenza del ministero. Ritengo che, da questo punto di vista, non vi sia bisogno di una centralizzazione dell'intervento del ministero, il quale esercita una funzione di controllo e di verifica a livello superiore, mentre la competenza delle regioni, così come è attualmente, sembra sufficiente. Il problema è di metodo, di approccio, non di variazione di leggi o di regolamenti.
Fatta questa premessa di ordine generale, formulo velocemente alcune domande. Il ministro ha riferito di aver emesso, nel mese di luglio, una circolare che faceva riferimento proprio al botulismo. Mi sorge un dubbio: perché proprio nel mese di luglio il ministro pensò improvvisamente di emanare una circolare? Vi era qualche discrasia, qualcosa che non andava, per cui il ministro ritenne di dover varare questa circolare? In questo caso il discorso diventa inquietante, perché la circolare è fatta veramente bene ed affronta il problema.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Quella è la nona circolare che è stata emanata.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Lascia perplessi, sembra che vi sia stata qualche irregolarità, qualcosa che non andava all'interno del ministero.
Passando al tema della conservazione di dosi di siero da parte del ministero e delle regioni, mi domando se non sia opportuno che a livello ministeriale sia tenuta una banca dati che fornisca indicazioni riguardo alle disponibilità di tutti i sieri di difficile reperimento, in modo che chi ne ha bisogno possa attingere sia al ministero sia alle regioni che ne sono in possesso.
Chiedo poi se sia possibile che la nostra Commissione sia fornita di un elenco dettagliato dei tipi di siero che esistono presso il ministero e le regioni. Mi riferisco a sieri di difficile reperimento per malattie che difficilmente si riscontrano; ad esempio, mi chiedo se sia disponibile siero antidifterico, dal momento che la difterite è una malattia ormai quasi scomparsa. Come ha detto il ministro, le case farmaceutiche ormai non mettono più in commercio certi farmaci, che, tra l'altro, hanno una determinata scadenza, ma qualora fossero necessari, come sarebbe possibile reperirli?
Domando, inoltre, se debba essere effettuato un controllo non soltanto sulla fase della produzione ma anche riguardo alla conservazione del prodotto dal momento che, come ha osservato il ministro, la tossina del botulino si sviluppa in caso di cattiva conservazione e di contatto con l'aria, mentre in condizioni anaerobiche tale sviluppo non avviene.
L'ultima domanda riguarda il decesso verificatosi il 7 settembre e rispetto al quale vi sono molti dubbi. Penso che sia stato disposto un controllo sulla cartella clinica, poiché vi è il dubbio che possa esservi una concausa di morte diversa dal botulino. Si tratta di un accertamento che va compiuto al fine di dare tranquillità. Attraverso il controllo dei dati clinici, dell'evoluzione della malattia e dei dati di morte e, eventualmente, attraverso l'autopsia si dovrebbe riscontrare quale sia l'effettiva causa della morte, poiché - come noi medici ben sappiamo - a volte la causa non è una sola ma vi sono concause che possono aggravare precedenti patologie, instaurando una patologia ancora diversa. Ritengo sia importante dare certezza rispetto alla vera causa della morte di quel soggetto.
Ringrazio per le risposte che mi saranno fornite dal ministro.

FRANCESCO STAGNO D'ALCONTRES. Ringrazio il ministro per la sua


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relazione e mi associo ai complimenti già rivoltigli da altri colleghi, ma vorrei fare alcune brevissime considerazioni. Non voglio assolutamente fare processi particolari, come è accaduto negli anni precedenti quando, con cadenza biennale e sempre d'estate, abbiamo assistito al prodursi di fatti infettivi (ricordo il caso del colera) che interessavano la salute nazionale, ma in base a questa esperienza ritengo che dovremmo prestare particolare attenzione, a livello centrale, per prepararci ogni anno a rischi di epidemie o di malattie particolarmente rare.
Sono tre le osservazioni che, in sintesi, vorrei fare. La prima è legata alla sensazione, che ho avuto, che il ministro della sanità abbia agito soltanto dopo l'accertamento dell'Istituto superiore di sanità. In poche parole: 3 settembre, diagnosi dell'Istituto superiore di sanità; 4 settembre, arrivo del siero in Italia. Non voglio assolutamente attribuire colpe ad alcuno, però vorrei sapere quale sia la quantità di scorte di siero che dovrebbe essere tenuta, in base all'articolo 4 della legge n. 833 del 1978, dagli organi competenti del ministero.
Altro punto importante: il lotto di produzione dell'azienda Parmalat è stato distribuito solo in Campania? L'azienda dovrebbe saperlo; magari i signori che hanno contratto il botulismo no, ma l'azienda dovrebbe sapere dove è andato a finire il prodotto. Dunque, se questo è finito solo in Campania vi sono responsabilità dell'azienda - giusto? -; se è stato distribuito in tutta Italia l'azienda, secondo me, non ha responsabilità, ma ne hanno il distributore o l'utilizzatore.
Ancora un punto essenziale: dal momento che sono in produzione prodotti particolarmente vulnerabili, in una conservazione dalla scadenza, magari, di cinque o sei giorni, perché - al limite - non inibirne la produzione nel periodo estivo?

GIUSEPPE FIORONI. Sentendo, poco fa, il collega Lucchese affermare che la relazione del ministro era troppo burocratizzata, ho cercato di immaginare cosa avremmo detto se non fosse stata così dettagliata, pignola in ogni passaggio. Avremmo, probabilmente, trovato il sistema di presentare altre ventisette interrogazioni, magari senza collegare la lingua al cervello e ripetendo quel nobile esercizio che è stato compiuto per qualche tempo sulla stampa e per il quale, come qualche collega prima ricordava, vi possono essere due chiavi di lettura: o si è cercato di alzare un grosso polverone perché, alla fine, le reali responsabilità non emergessero; oppure, come spesso accade, si è trattato dell'esercizio di chi ignorava i meccanismi eziopatogenetici del botulino e dunque ha parlato senza compiere prima i necessari accertamenti.
Lo stesso vale per la circolare del 1o luglio. Io non so se, come ha detto il ministro, sia la nona; comunque, come sa chiunque di noi abbia svolto attività amministrativa, le circolari trasmesse dai prefetti ai sindaci, ai direttori generali delle aziende ogni anno riguardano essenzialmente gli stessi casi di manifestazioni epidemiche, così il botulismo, ad esempio, come le febbri tifoidee.
Credo, però, che da questa vicenda emerga una serie di interrogativi, che già sono stati evidenziati nel dibattito. Intanto vi è il problema delle responsabilità, non per colpevolizzare, ma per comprendere quale sia la parte del meccanismo che non ha funzionato e sulla quale è necessario intervenire perché non si ripetano gli errori compiuti questa volta. Né si può dire che se dai fatti emergono alcune disfunzioni o responsabilità questo sia uno scaricabarili; perché dire le cose come stanno ed evidenziarle senza fare giustizialismo non significa fare scaricabarili, ma individuare con chiarezza le responsabilità e le cose che non vanno. Pertanto, credo che dovremmo fare qualche considerazione sulla gestione delle malattie epidemiche o di larga diffusione nel nostro paese; dovremmo compiere una riflessione che dovrebbe riguardare gli istituti zooprofilattici, le funzioni dell'Istituto superiore di sanità ed anche di quegli istituti che fanno ricerca a carattere scientifico. Perché? Perché vi è una necessità che, tra l'altro, è in perfetta sintonia con quanto avviene


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negli altri paesi della Comunità europea. Ho sentito qualche collega interpretare il discorso del ministro come un voler tornare al centralismo bloccando un processo di federalismo o di responsabilizzazione delle regioni. Credo che nel campo della ricerca o della programmazione sanitaria in questo specifico settore, tutti i paesi europei, anche quelli americani, abbiano un indirizzo unitario, perché per far fronte a patologie che si credevano scomparse e che invece stanno riapparendo, favorite dall'indebolimento del sistema immunitario, dalla promiscuità, dai cambiamenti climatici o dal ritorno, specialmente nel nostro paese, di malattie tropicali, vi è la necessità di attivare la ricerca e di predisporre adeguati meccanismi di intervento. Ipotizzare che tutto ciò debba rientrare in una competenza centrale non significa voler togliere qualcosa a qualcuno ma consentire, a chi poi sarà corresponsabile diretto della gestione anche federata del sistema sanitario, di disporre degli strumenti per poter agire con capacità ed efficienza; significa avere la possibilità di interventi coordinati sia sul territorio nazionale sia nel contesto europeo.
Prima, il collega Conti osservava, rispetto a quanto è accaduto il 21 agosto, che forse è stata rispettata troppo la legge anche nei riguardi dell'Istituto superiore di sanità. Ma credo che altri colleghi intervenuti nel dibattito abbiano individuato la difficoltà, per un medico del pronto soccorso o un medico che fa ricerca, di pensare al botulismo come conseguenza del consumo di prodotti lattiero-caseari, quando si trovino di fronte ad un paziente con la febbre e il mal di pancia. Se certi protocolli diagnostici fanno ormai parte di un patrimonio comune, se i meccanismi di ricerca sono andati avanti in modi e forme che ormai sono prassi, credo che questa realtà valga sia per il medico del pronto soccorso sia per chi deve attuare gli accertamenti e l'individuazione dell'agente patogeno che ha scatenato la malattia.
Ritengo anche che questo problema ponga un altro aspetto: vi è la necessità, se non di un testo unico generale, di andare ad una riindividuazione delle competenze anche in altri settori, considerato che vi è una parte di questo aspetto, che non abbiamo toccato, che riguarda, a livello periferico, le competenze che si intrecciano tra direttori generali delle aziende sanitarie e sindaci. Non dimentichiamo, infatti, che in questo caso scattano in maniera diretta anche le responsabilità per questi ultimi, come massime autorità sanitarie locali, così come scattano le responsabilità e le competenze dei direttori generali delle aziende sanitarie. Ritengo, quindi, che in un caso come questo vadano rievidenziati la sfera delle competenze e i meccanismi di subentro delle varie responsabilità.
Credo anche che, nell'ambito di certe manifestazioni patologiche, debba essere ipotizzata la necessità di riorganizzare linee di ricerca in questo contesto, linee-guida che non siano solo circolari ma che, con punti di monitoraggio, incidano anche sulla ricerca e sull'intervento, garantendo una efficace prevenzione.
Per quanto riguarda l'approvvigionamento del siero, è chiaro che le scorte ministeriali vi sono nella misura in cui ogni anno viene attuato il monitoraggio di quelle prelevate. È vero però che l'approvvigionamento è difficile perché alcuni di questi sieri non vengono più prodotti dalle case farmaceutiche, se non nei paesi dove certe patologie sono endemiche. Comunque, stando anche a quanto ha riportato la stampa, credo che la scorta di siero antibotulino sia stata di gran lunga superiore alla necessità dei casi che si sono verificati.
Passando all'ultimo aspetto, che credo riguardi non solo il ministro della sanità ma anche quello dell'agricoltura, ritengo che dietro ai casi di botulismo dovuti al consumo di prodotti lattiero-caseari vi sia la necessità di rivedere il complesso delle norme sanitarie che regolano la commercializzazione del latte e l'uso dello stesso come prodotto alimentare, perché prima di questi casi abbiamo avuto problemi con la brucellosi. A mio avviso, quindi, vi è la necessità di ridefinire le norme ed i controlli portandoci al livello di quelli vigenti su scala europea.


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PIERGIORGIO MASSIDDA. Dico subito che sono tra coloro che hanno gradito la pignoleria della relazione del ministro, fermo restando che anch'io ho delle perplessità. Ma poiché credo che sia opportuno dare al ministro il tempo necessario per la sua replica, non ripeterò osservazioni già fatte e mi limiterò a riferirmi solo alle riflessioni e ai dubbi poc'anzi esposti dai colleghi Del Barone e D'Alcontres. Sono anche d'accordo sulle riflessioni svolte poc'anzi dal collega Fioroni, che credo meritino profonda attenzione da parte della Commissione.
Credo che dovremmo far tesoro di quanto è accaduto e moltiplicare i nostri sforzi per educare anche l'utente, in quanto potrebbe anche esservi una sua responsabilità nel mantenimento del prodotto acquistato. Sappiamo benissimo quanti errori si fanno nella conservazione dei prodotti surgelati, per esempio.
Non vado oltre per concedere più spazio alla replica del ministro, ma rubo ancora due secondi per ringraziare il presidente per l'addobbo della Commissione: la bandiera che vedo esposta, infatti, per me è molto importante e mi ricorda anche quanto sia necessario essere sintetici per poter lavorare il più velocemente possibile.

PRESIDENTE. La ringrazio.

ALESSANDRO CÈ. La relazione del ministro mi è sembrata abbastanza esauriente, però con una caratteristica particolare che riscontro spesso in questi incontri in Commissione: il ministro tende a fare un'esegesi e a portare a casa un'autoassoluzione rispetto al fatto accaduto. Credo, invece, che il compito del ministero non sia quello di autoassolversi ma di esaminare le cause e di vedere se realmente si sarebbe potuto fare di più in termini di prevenzione e di tempismo nella cura.
Il percorso virtuoso che indico - spero che il ministro Bindi ne tenga conto - è quello di un esame accurato ed approfondito di questi problemi, che si ripetono anche per malattie diverse e che si registrano ogni anno, e di adottare una teoria che tenga in minor conto i formalismi e che miri di più alla concretezza. In particolare, non si può mai prescindere dal meccanismo responsabilità-sanzione, considerato che - il discorso vale anche in questo caso - nonostante ci troviamo di fronte a molti vincoli e a parametri da rispettare, alla fine non vi sono mai conseguenze negative per chi non li rispetta.
È un'utopia immaginare di evitare in modo assoluto fenomeni come quello che si è verificato e che sembra dovuto, come lei ha detto prima, signor ministro, ad una interruzione di corrente durante la produzione dell'alimento. Invece, a mio parere, considerata la cronistoria del caso, è più probabile (mi associo a quanto detto dal collega D'Alcontres) che ciò che è accaduto sia dovuto ad una cattiva conservazione prima della distribuzione.
Per quanto riguarda il nodo politico, che viene a galla anche in questo caso e di cui ha parlato il collega Conti, sono assolutamente in disaccordo con quanto egli ha detto: non deve essere questa l'occasione per riproporre la centralizzazione del sistema nel settore della sanità. È importante che la nostra idea finale scaturisca da un esame approfondito di queste situazioni, ma vi sono due fattori ben diversi da esaminare: uno è quello della ricerca, l'altro è quello delle risorse finanziarie, entrambi abbinati all'importanza della responsabilità. Quindi, se vi sono direttive secondo le quali le regioni devono approvvigionarsi del siero antibotulinico o di altre sostanze che si utilizzano raramente, bisogna valutare se la loro autonomia risulti insufficiente perché le risorse finanziarie sono scarse. Purtroppo, siamo in una sede in cui è possibile solo accennare al problema, ma sappiamo che l'autonomia delle regioni, da un punto di vista sanitario, non è completa, in quanto gestiscono solo la metà dei fondi. Se in alcune regioni queste risorse sono effettivamente scarse perché, essendo poco popolate, ricevono una quota capitaria più bassa rispetto ad altre, deve esservi un fondo di redistribuzione gestito diversamente. Ma questo è un aspetto implicito nella teoria federalista della sussidiarietà, non è in


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contrasto con essa. È necessario, invece, accertare con fermezza se vi siano state inefficienze e responsabilità nel mancato approvvigionamento non dipendenti dalla carenza di risorse finanziarie.
La ricerca, com'è logico secondo il principio di sussidiarietà, va effettuata ai livelli superiori. Su questo non c'è dubbio, per cui non penso che possa nascere una diatriba politica. Il federalismo e la sussidiarietà prevedono una ripartizione di poteri a vari livelli, e la ricerca deve essere al livello più alto, deve essere integrata a livello mondiale.
In conclusione, mi sembra che vi sia stato un insufficiente interessamento preventivo da parte del ministero. È vero che il ministro si era insediato da poco tempo, ma anche chi l'ha preceduto non si è accertato della mancanza di queste sostanze a livello centrale e periferico.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Il siero non è mai mancato.

ALESSANDRO CÈ. È risultata, abbastanza chiaramente, un'inefficienza delle strutture ospedaliere. Ma il fattore più grave è che in Italia manca ancora un'informazione adeguata sulla conservazione di queste sostanze, che sono realmente a rischio.

TIZIANA VALPIANA. Ringrazio la ministra per la relazione, che ho trovato esauriente e molto precisa. Per risparmiare tempo, darò per scontate alcune questioni, che sono già state affrontate da altri colleghi. Perciò, mi limiterò solo ad alcuni argomenti.
Il primo aspetto che vorrei sottolineare riguarda ancora la produzione di siero in Italia. Mi pare che la ministra abbia detto nella relazione che le case farmaceutiche nazionali che lo producevano sono venute meno e quindi è stato necessario acquistarlo all'estero. Ritengo che, poiché il Ministero della sanità rimane in Italia il primo acquirente dell'industria farmaceutica, sia in qualche modo necessario che diventi una controparte sufficientemente «pesante» per l'industria farmaceutica nazionale, al fine di spingerla a produrre farmaci anche in mancanza di una stretta convenienza economica: penso appunto al siero antibotulino ma anche a tutti i farmaci per le malattie metaboliche o per quelle forme patologiche che si manifestano così raramente da renderne non conveniente la produzione dal punto di vista economico. Poiché in Italia, fortunatamente, la sanità è ancora pubblica, credo sia importante tutelare anche questo tipo di minoranze.
Mi soffermo brevemente sull'informazione sanitaria e sull'educazione alimentare. Leggendo i giornali in quei giorni mi ha colpito il fatto che in due o tre occasioni si è parlato di ragazzini che si preparavano il dolce conosciuto come tiramisù. A parte il fatto che non saprei da che parte cominciare, sono rimasta meravigliata nel leggere che si trattava di ragazzini: potrebbe darsi che non abbiano avuto sufficienti conoscenze sulla conservazione del mascarpone e che lo abbiano tolto dal frigorifero troppe ore prima. Mi ricollego perciò all'aspetto dell'educazione sanitaria, e di quella alimentare in particolare (che non è mai stato sufficientemente affrontato dal Ministero della sanità), che potrebbe essere svolta magari anche attraverso il mezzo televisivo, in particolare per quanto riguarda le conserve prodotte in casa. Credo che i vasetti a produzione familiare, se non ben conservati, al momento dell'apertura scoppino. Si potrebbe dare la notizia, anche attraverso spot pubblicitari, che, nel momento in cui ci si accorge che la conservazione non è perfetta, è necessario buttare il prodotto.
Anche se non rientra strettamente nelle competenze del Ministero della sanità, affronto brevemente il tema dell'educazione alimentare nelle scuole. Si tratta di una materia assolutamente trascurata, che invece deve essere privilegiata dal punto di vista sia teorico sia pratico: intendo dire che le mense scolastiche, dal punto di vista di una corretta educazione alimentare, sono ad un livello assai basso, per cui occorrerebbe una forma di supervisione.
Mi sembra di ricordare - ma basandomi solo sulla memoria rischio di dire


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cose inesatte - che l'ultimo episodio grave di botulismo verificatosi in Europa fu all'inizio degli anni ottanta in Francia, quando si verificò una decina di decessi di lattanti (mi pare addirittura dodici). In quel momento, si attribuì la colpa a spore di botulismo contenute nel miele raffinato, aggiunto al latte, che poi avrebbero sviluppato la tossina nel lattante. Se lo arricchivano con miele, evidentemente non era latte materno; potrebbe essere, allora, che già in quell'occasione vi siano state le prime avvisaglie di quanto accaduto oggi con prodotti derivati del latte. Sarebbe necessario sapere quali risultati diedero le ricerche effettuate all'epoca.

VASCO GIANNOTTI. Ringrazio il ministro per la ricostruzione dei fatti, molto precisa, puntuale, assai convincente, che ha escluso - come mi sembra che anche i colleghi abbiano riconosciuto - responsabilità nell'azione del ministero (almeno allo stato dei fatti rilevabili). Questo mi sembra molto importante.
Farò due osservazioni, la prima sotto forma di tre domande. Forse il Ministero della sanità potrebbe tornare con maggiore precisione sul rapporto, sulle forme di comunicazione che non hanno funzionato a dovere, quanto meno nella tempistica, tra le regioni e il ministero e l'Istituto superiore di sanità. Vorrei capire meglio come si sia svolta questa comunicazione e se vi sia stato qualcosa che non ha funzionato. Lo stesso discorso vale nei rapporti tra il ministero e l'Istituto superiore di sanità. Se ho compreso bene, si è avuta una parentesi temporale tra la comunicazione all'Istituto superiore di sanità e quella di quest'ultimo al ministero. Da questo punto di vista, mi sembra che non c'entri molto parlare a favore o contro il centralismo per il semplice fatto che l'Istituto superiore di sanità è un istituto nazionale e le sue funzioni sono nazionali. L'Istituto risponde direttamente al ministero, quindi non capisco quale normativa farraginosa o insufficiente abbia in qualche modo impedito lo svolgimento di funzioni e di responsabilità il cui mancato impiego, allo stato attuale delle conoscenze, non è dovuto a difficoltà di questa natura. Semmai - passo così alla terza domanda - sulla base di questa esperienza e in considerazione del fatto che il ministero e l'Istituto superiore di sanità possono trovarsi, come è accaduto, di fronte ad emergenze, ci si potrebbe domandare se le competenze, in casi di emergenza, tra funzioni dell'Istituto e funzioni del ministero, siano tali da ottimizzare l'intervento.
Seconda osservazione. Sono d'accordo con il ministro che si debba imparare anche dalle lezioni più drammatiche, in questo caso addirittura la perdita di una vita umana; desidero però sollevare un problema che, forse, la Commissione dovrà riprendere in tempi brevi, quello relativo alla prevenzione. La collega Valpiana ne ha parlato riferendosi ad un capitolo importante come è quello della educazione alimentare; io qui mi assumo la responsabilità di fare una denuncia: tutto il sistema dei controlli in materia di prevenzione oggi non funziona. Il Parlamento ha una responsabilità: la legge n. 61 del 1994, varata a fronte dell'emergenza referendum e, peraltro, non applicata in molte regioni - allo stato dei fatti mi risulta che siano solo cinque le regioni che hanno agito sulla base di questa legge - è comunque assolutamente carente, con il risultato che oggi i controlli sull'aria, sull'acqua, sull'ambiente e sui sistemi di produzione sono quanto mai carenti. Impariamo allora, anche come Parlamento, ad agire; ad esempio, su tale questione credo che la Commissione abbia il dovere di porre attenzione.
Infine, come ho accennato, mi è parsa alquanto impropria la discussione su centralismo e federalismo a partire dal botulismo. Onestamente, ritengo che questo sia un tema da discutere e da approfondire in Commissione, anche nel rapporto con il Governo, ed è mia opinione che una linea spinta di federalismo serva a responsabilizzare di più tutti (regioni, ministero ed istituti di carattere nazionale) e sia dunque la strada da seguire. Penso che il ministero debba avere importantissime responsabilità ma che, al tempo stesso, possa rispondere a tali importantissime


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responsabilità tanto più quanto sarà liberato da funzioni di gestione o di natura burocratica, che oggi non hanno più ragione di essere. Faccio queste considerazioni perché il tema è stato affrontato, ma credo che esso meriti una discussione più approfondita di quella che abbiamo potuto fare oggi.

PRESIDENTE. Vi sono ancora solo tre iscritti a parlare. Ciò significa che se il ministro potesse rinviare di qualche minuto il suo impegno al Senato, saremmo in grado di concludere in questa stessa seduta l'audizione con la replica del ministro stesso, senza dover rinviare. Penso che la concretezza dell'audizione ne trarrebbe giovamento, invito pertanto i colleghi a fare interventi il più possibile stringati.

GIOVANNI FILOCAMO. Come al solito sarò molto rapido. Innanzitutto, esprimo la massima soddisfazione per la relazione del ministro, che è stata molto dettagliata e che mi è piaciuta anche per la definizione clinica che ha fatto della malattia botulinica. Quelle che purtroppo non condivido sono le conclusioni e, più che altro, le prospettive, cioè il da farsi. Infatti, viviamo da molti anni nella emergenza e, purtroppo, non sappiamo risolverla.
Tutto ciò che è successo e che succederà in avvenire dipende dal fatto che noi manchiamo di organizzazione: organizzazione e operosità. A me, personalmente, non interessa se continuerà ad esistere il Ministero della sanità o se, come deputato del collegio, invece di recarmi a Roma dovrò recarmi nel capoluogo della mia provincia; quello che mi interessa è che le cose funzionino e, purtroppo, non credo che la morte di quel giovane napoletano servirà a qualcosa, cioè a salvare la vita agli altri. Credo, purtroppo, essendo un pessimista incallito, che queste cose servano per mandare in galera quei poveri operatori sanitari che sono costretti a lavorare in una disorganizzazione completa e che devono non soltanto adoperarsi a curare gli ammalati ma anche a fornirsi di medicinali.
Il ministro ci ha detto che il botulismo è una malattia ubiquitaria, che è frequente, che si ripete ogni anno - per cui ogni anno si verificano venti o trenta casi - e che, purtroppo, il farmaco antidoto si trova scarsamente perché le case farmaceutiche non lo producono perché non ne traggono guadagno. A me questo dà molto fastidio, perché ormai le malattie si curano con i medicinali, per cui essi si devono trovare, qualunque sia il loro costo. Quindi, il ministero deve fare in modo che i farmaci siano in commercio, magari mettendo ticket aggiuntivi, come suole fare ogni anno.
Faccio anche un'altra considerazione: a cosa servono gli osservatori che attualmente esistono? Se osservano le malattie e poi danno consigli in periferia, allora vanno bene; ma se servono soltanto a riempire di inchiostro le carte del ministero, non servono a niente.
So, inoltre, che esistono anche dei controlli, poiché esiste un nucleo di polizia sanitaria chiamato NAS. Questo nucleo va a controllare la produzione e la distribuzione degli alimenti? Se ci fosse andato, molto probabilmente si sarebbe accorto che è mancata la luce per quattro o cinque ore. I NAS dovrebbero effettuare anche questo tipo di controlli, altrimenti perché esistono? Devono andare a controllare nelle fabbriche e nelle industrie, devono vedere come avvengono la produzione e la distribuzione, altrimenti, ripeto, non so a cosa servano. I NAS servono per prevenire e la prevenzione significa controllo, non punizione.
Vorrei anche sapere se esista qualche istituto di ricerca, perché, stando anche alla letteratura scientifica, non risulta da nessuna parte che il germe si sviluppi nel latte o nei suoi derivati. Quindi, a me suona male il fatto che il prodotto in questione possa avere sviluppato il botulino perché per un certo periodo non è stato conservato ad una data temperatura. Il ministero deve farsi carico di accentuare la ricerca, perché questa è essenziale per la cura, senza la quale la gente continua a morire.


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MARIA BURANI PROCACCINI. Rifacendomi al concetto di educazione sanitaria, vorrei sottolineare alla sua sensibilità, che mi è parsa notevole, il fatto che, con estrema facilità, il negoziante e il piccolo distributore cambiano la famosa data di scadenza del prodotto. Deve essere quindi sollecitata la Guardia di finanza, ma anche, con apposite circolari, il negoziante ed il piccolo distributore, perché è ingenerata, in maniera abbastanza diffusa, l'abitudine di ritenere che la data di scadenza impressa sul prodotto abbia una certa elasticità, per cui non succede nulla se, in ipotesi, viene spostata di una settimana.

PAOLO CUCCU. Nulla da dire a proposito della cronologia dei fatti illustrata dal ministro nella sua relazione. Forse, sarebbe stato necessario aggiungere qualche informazione in più sul decorso della patologia, non perché intenda cercare responsabilità altrove, ma per avere il quadro completo di quanto è avvenuto.
Credo sia necessario un maggior controllo della catena di produzione, conservazione e distribuzione a freddo. Vorrei addirittura sottolineare come, forse, sia necessario passare dai controlli ad una normativa molto specifica e dettagliata.
A proposito della ricerca, credo che il problema non stia nel chiedersi se essa debba essere a livello centrale o federale, perché si deve fare dappertutto, sia al centro sia alla periferia. È chiaro, comunque, che certi tipi di ricerca, per la tecnologia che richiedono e per l'alto costo delle apparecchiature, non si possono fare in ambito regionale, provinciale e comunale, ma solo a livello centrale. Faccio un unico esempio citando proprio il caso del latte sospetto proveniente dall'estero: i controlli su questo tipo di latte in polvere vengono fatti con apparecchiature sofisticate, addirittura a risonanza magnetico-nucleare, per cui è impensabile che esse possano essere usate anche a livello periferico.

ROSY BINDI, Ministro della sanità. Vi ringrazio molto, perché l'avermi consentito di replicare questa mattina ci dà la possibilità di portare avanti un discorso più completo.
Ringrazio i colleghi intervenuti nel dibattito per le sottolineature, le domande e gli appunti che, credo, consentiranno una maggiore chiarezza.
Inizierei con alcuni aspetti di carattere generale che mi preme sottolineare e puntualizzare. Primo fra tutti: la mia ricostruzione dei fatti e l'esposizione del quadro normativo ed amministrativo non voleva e non vuole assolutamente essere, come è stata definita, una ricerca di responsabilità altrui per toglierle al ministero. A me sembra chiaro ed evidente, da quanto è stato ricostruito, che non vi siano responsabilità del ministero, dell'Istituto superiore di sanità e dei carabinieri per la sanità o NAS, come si chiamavano prima. È su questo che volevo relazionare.
Nell'esposizione dei fatti, evidentemente, ho dovuto mettere in evidenza anche come si è svolta la comunicazione ma, ripeto, non si vogliono dare responsabilità a nessuno. Avrete notato che ho detto che è la prima volta che abbiamo accertato un caso di botulismo collegato alla consumazione di un prodotto proveniente dal latte. A chi attribuisce una grave responsabilità al medico che ha riso in faccia ai genitori del paziente quando gli hanno detto che aveva mangiato mascarpone, dico che sono anch'io convinta che la curiosità sia la prima molla nella ricerca e nel comportamento professionale, ma è pur vero, stando ai dati finora in nostro possesso, che non è mai avvenuto che un caso di botulismo sia stato collegato ad un prodotto proveniente dal latte. Quindi, ben lontano da me l'intendimento di cercare responsabilità altrove. Però, mi corre l'obbligo di precisare che responsabilità del ministero e della struttura amministrativa di cui ho la responsabilità politica non ve ne sono state.
Ritengo improprio aprire la polemica o il confronto su federalismo o accentramento legandola ai casi di botulismo. Però, fermo restando che vi sono alcune funzioni, di cui mi pare condivisa la natura eminentemente nazionale, statale e anche internazionale, alla quale credo sia legata


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in maniera inequivocabile la necessità dell'esistenza, anche nei paesi a più forte federalismo, di un Ministero della sanità, è evidente come per poter svolgere queste funzioni il ministero abbia bisogno di interfacciarsi, a livello locale, con punti di responsabilità precisi che, attualmente, forse non ci sono. Infatti, non è altrettanto chiaro che in ogni assessorato regionale, per esempio, vi sia chi si rapporti direttamente ad alcune funzioni eminentemente statali. Non vi sono più gli organi decentrati dello Stato, perché le funzioni sono state trasferite alle regioni e agli organi locali, per cui è necessario che vi sia un'organizzazione a livello locale, alla quale, direttamente, le funzioni nazionali e ministeriali possono rivolgersi. Ciò non significa scaricare la responsabilità su alcuni ma constatare una necessità di comunicazione e organizzazione che ritengo assolutamente indispensabile.
Altra precisazione di carattere generale. Il ministero non ha mai sottovalutato questo problema, ma ciò non significa che si debba fare dietrologia sul perché si è inviata una circolare il 1o luglio. Se mi consentite, è abbastanza strano questo modo di ragionare. Si dice: «Perché ha inviato una circolare? Che cosa si sospettava?». Non certo che si sarebbe interrotta la corrente nella catena di produzione o che sarebbe stato conservato male il mascarpone! Quella è stata la nona circolare rispetto alle altre di tanto in tanto inviate, sempre in periodo estivo, quando si riacutizzano i casi. È stata inviata perché è stata constatata, come ho detto nella relazione, una mancanza di comunicazione - e per questo si riaccentua e si sottolinea l'importanza di una informazione reciproca - e perché si scoprono casi ed aspetti nuovi che vanno comunicati. Qualcuno ha detto: «Il ministero sapeva». Il ministero sa che il botulismo esiste e che è suo dovere interessarsene.
Vorrei sottolineare che il siero non è mai mancato: vorrei risultasse molto chiaro che in tutta questa vicenda non si è mai verificato che sia mancata anche una sola dose di siero per curare chi aveva contratto l'intossicazione. Questo elemento deve essere chiaro. Detto questo, possiamo ragionare sull'approvvigionamento. Per malattie «orfane» come quella di cui stiamo parlando non credo, se per le case farmaceutiche non è conveniente produrre i farmaci, che si debba costringerle a farlo. Se in Europa vi sono 200 case che producono il siero in quantità sufficiente per affrontare tutti i casi di botulismo che si verificano (del resto anche negli Stati Uniti d'America sono solo alcuni i centri che lo producono), mi sembra che sia una risposta sufficiente: vivere nell'Unione europea vuol dire anche questo, vuol dire la libera circolazione dei prodotti. Se tra il Ministero della sanità italiano e un'azienda tedesca vi è un rapporto particolare, questo è sufficiente.
Meno chiaro è risultato il motivo per cui, nonostante le documentate richieste da parte del ministero (che vengono fatte regolarmente e puntualmente, proprio per essere certi che non si resti senza scorte), si sia tardato così tanto prima di effettuare l'ultima spedizione. Faccio però notare che non si è mai verificata la carenza di siero nel territorio nazionale. Né questo significa nulla nel rapporto tra nord e sud, tra regioni ricche e regioni povere, in primo luogo perché la quota capitaria è uguale per tutti, e quindi non ci sono regioni che hanno più possibilità e altre che ne hanno meno. Ribadisco ancora una volta, perché desidero che non rimanga alcun dubbio in materia, che sul territorio nazionale non è mai mancata una dose di siero.
E vengo al rapporto tra l'Istituto superiore di sanità e il ministero, richiamato in particolare dall'intervento del collega Giannotti. Credo che quanto si è detto a proposito dei rapporti tra il centro e la periferia debba valere in misura ancora maggiore per quelli tra organismi di carattere centrale. Sottolineo che la comunicazione si verifica dalla periferia verso il centro sia per quanto riguarda il ministero sia per quanto concerne l'Istituto superiore di sanità. Come non si attribuisce al medico la responsabilità di non aver immediatamente indicato che la causa del botulismo era il mascarpone - gli stessi


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genitori del ragazzo lo hanno ricostruito solo dopo i casi successivi -, allo stesso modo non si può imputare all'Istituto superiore di sanità di aver ricevuto le feci di Raffaele Corvino insieme ad una comunicazione in cui era detto: «Alimento sospetto: nessuno». Questa comunicazione, per l'Istituto, significava che si trattava di un caso di botulino analogo a quelli che si verificano ogni anno. Se il medico ha rifiutato l'ipotesi del mascarpone, non si capisce perché l'Istituto avrebbe dovuto pensare che la responsabilità dell'intossicazione era di questo alimento. Né era tenuto ad informare il ministero, perché il compito dell'Istituto superiore di sanità è quello di svolgere gli esami in laboratorio; spetta invece al ministero attivarsi per impedire la diffusione della patologia, che non è infettiva (come sappiamo tutti). Allora, perché la si considera di prima classe? Perché può essere dovuta ad alimenti di produzione industriale - com'è accaduto in questo caso - o di produzione artigianale a largo raggio, che possono provocare una sorta di epidemia (ovviamente, non trasmessa da persona a persona: si può contaminare un gran numero di persone perché consumano lo stesso prodotto). Perciò è importante conoscere subito il prodotto incriminato per bloccarne immediatamente il consumo.
Desidero sottolineare la tempestività dei carabinieri della sanità, la cui azione è avvenuta nella stessa notte tra il 5 e il 6 settembre. Immagino, infatti, che nessuno possa chiedere che un carabiniere assista ogni notte ai cicli di produzione del mascarpone (e non solo del mascarpone). È stato tempestivo anche l'intervento delle prefetture, che sono state attivate per il sequestro delle confezioni che, a quanto ci risulta, erano state diffuse su tutto il territorio nazionale.
Ribadisco che nei momenti della produzione, della conservazione e della distribuzione si sono verificate concause. Questo perché nella produzione dell'alimento «a freddo» bisogna essere in grado di garantire che l'eventuale presenza di spore non diventi mai nociva. È vero che la cattiva distribuzione e conservazione si è verificata solo in alcuni casi (ma non credo che si sia trattato di dettaglianti che abbiano contraffatto la data di scadenza, perché il lotto è lo stesso che è stato ritirato in fabbrica); ma resta il fatto che nel momento della produzione di alimenti come questi si deve garantire che, se esistono spore, siano messe in condizione di non diventare mai nocive. Non vorrei essere fraintesa, ma si apre la possibilità di una ricerca su una produzione che è in espansione e che non riguarda prodotti acidi, prodotti per i quali il latte è sterilizzato a 140 gradi, né prodotti conservati, come i gelati, a «molto freddo»: il latte, in questo caso, è sterilizzato sotto i 100 gradi e la conservazione avviene tra 0 e 4 gradi. Trattandosi di prodotti in espansione, vi è la possibilità di effettuare una ricerca che forse sarà in grado di introdurre elementi di tutela della vita delle persone nelle fasi di produzione, conservazione e distribuzione.
Condivido la sottolineatura dell'importanza dell'educazione e della prevenzione in materia. Se responsabilità vi sono state, saranno accertate, perché si sta indagando. Però a me non spetta accertare le responsabilità altrui, ma solo registrare i fatti ed escludere la responsabilità dell'amministrazione di cui sono responsabile.
Le informazioni che ho comunicato alla Commissione le ho acquisite personalmente una per una, perché l'evento è stato di una gravità assoluta: non da allarme generale, ma anche la perdita di una sola vita o una sola patologia non possono non preoccuparci. In base ai fatti, credo di poter dire che il Ministero della sanità, l'Istituto superiore di sanità e i carabinieri hanno agito come dovevano. Se responsabilità vi sono state, tocca ad altri indagare. I risvolti politici strumentali che vi sono stati non mi sono sembrati utili, e lo dico non per la persona del ministro, o per il ministero e l'Istituto superiore di sanità, ma per i cittadini, che non avevano bisogno di essere allarmati. Non c'era bisogno di allarmarli e, soprattutto, di creare sfiducia nelle istituzioni in un momento di difficoltà. Ciò non serve a nessuno. Per


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tanto, questo episodio ci serva da lezione per un'altra volta, mettendo in conto che, nella materia di cui ci stiamo interessando, purtroppo non potremo essere certi in assoluto che sarà possibile evitare nuovi episodi, per questa o per altre cause. Qui interviene il valore della ricerca, ma questo è il limite con il quale dobbiamo fare i conti, oltre alle responsabilità che però, in alcuni momenti, forse non sono di nessuno.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro, anche per il richiamo che ha voluto fare, in chiusura della sua replica, alla necessità di un lavoro concordato con le istituzioni per un rapporto di fiducia fra i cittadini e le istituzioni stesse. Ringrazio anche l'onorevole Massidda il quale ha ricordato che finalmente, in Commissione, è stata esposta la bandiera italiana.

La seduta termina alle 12.