IX COMMISSIONE
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

INDAGINE CONOSCITIVA
SUL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI


Seduta di mercoledì 2 aprile 1997


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La seduta comincia alle 10.40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori della Commissione nell'odierna seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione dei rappresentanti di STET, Telecom e Telecom Italia mobile.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore delle telecomunicazioni, il seguito dell'audizione dei rappresentanti di STET, Telecom e Telecom Italia mobile.
Ringrazio il presidente della STET, professor Rossi, il dottor Tommasi di Vignano, l'ingegner De Julio, il dottor Chirichigno, il dottor Pugliesi, l'ingegner Gamberale ed i tanti altri ospiti che rappresentano le varie società in questa sede, per la cortese disponibilità dimostrata nel mettersi a disposizione della Commissione per fornire dati, valutazioni e chiarimenti in ordine all'attività del gruppo STET.
Come i nostri ospiti sanno, l'audizione odierna è formalmente il prosieguo di quella avviata il 23 ottobre scorso, durante la quale i commissari avevano formulato una serie di quesiti in ordine a diversi punti. Sono però trascorsi alcuni mesi e la situazione si è modificata sotto molti aspetti. Per i numerosi avvenimenti accaduti nel frattempo, credo quindi che sarà necessario aggiornare, attualizzare il contenuto di quegli interrogativi; sarà dunque possibile lo svolgimento di ulteriori interventi da parte dei componenti la Commissione.
Considero pertanto opportuno in via preliminare dare la parola prima al professor Rossi e successivamente a tutti coloro che ritengano di dover intervenire sulle varie questioni di loro competenza, se possibile brevemente (ma mi affido ovviamente alla loro valutazione), consentendo loro di fornire indicazioni utili per chiarire i problemi - sia di carattere giuridico sia di carattere industriale ed economico - che la STET oggi si trova ad affrontare. In questo modo la Commissione avrà un quadro il più possibile preciso dei vari argomenti di attualità e delle questioni che ad avviso dei nostri ospiti meritano una particolare attenzione. Naturalmente vi sarà poi lo spazio per il dibattito e per le risposte ai quesiti già formulati e a quelli che verranno posti oggi.
Ringrazio nuovamente i rappresentanti della STET, della Telecom e della TIM e do la parola al presidente Rossi.

GUIDO ROSSI, Presidente della STET. Ringrazio il presidente e tutti voi. Come new-comer, come neofita sarò brevissimo, non avendo partecipato alla seduta precedente. Sono in carica da meno di due mesi e certamente gli altri rappresentanti del gruppo che sono qui presenti saranno in grado meglio di me di fornire tutte le adeguate spiegazioni.
La situazione che mi riguarda particolarmente per il mandato che ho ricevuto è quella della struttura giuridica del gruppo


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a seguito della progettata fusione, che sarà deliberata il 30 aprile, tra STET e Telecom e del complesso processo di privatizzazione. Questo ha creato tutta una serie di problemi, sui quali, se vorrete, potrò rispondere a domande dettagliate, ma che non mi pare siano in questo momento di particolare attualità, essendo già stati superati nelle ultime assemblee del 26 marzo di STET e Telecom Italia con l'introduzione nello statuto dei cosiddetti poteri speciali previsti dalla legge di privatizzazione, la n. 474, e con la modifica degli oggetti sociali delle due società STET e Telecom.
Lascerei pertanto subito la parola al dottor Tommasi di Vignano perché illustri, invece, i problemi di carattere industriale che riguardano il gruppo.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Rossi; lei è stato davvero brevissimo nella sua introduzione.

TOMASO TOMMASI DI VIGNANO, Amministratore delegato della STET. Come ricordava il presidente Rossi, l'attività di questi primi sessanta giorni, nell'ambito della costruzione della nuova Telecom Italia, è stata fortemente incentrata sugli aspetti giuridico-societari comuni alla fusione e in prospettiva alla privatizzazione.
Parallelamente a tale attività, tuttavia, sono stati avviati da parte della capogruppo altri due cantieri, l'uno orientato a delineare le modalità anche organizzative con le quali il nuovo soggetto derivante dalla fusione tra STET e Telecom Italia potrà operare a partire dal prossimo mese di luglio, l'altro teso a definire nei tempi più brevi possibili il piano industriale al quale farà riferimento l'attività dell'intero gruppo.
Su questa seconda attività, certamente più significativa in questa fase, i lavori sono iniziati con immediatezza; riteniamo di poterli portare a compimento, e quindi di poter presentare un quadro di riferimento degli orientamenti industriali del gruppo, per la fine del corrente mese di aprile o al massimo per i primi giorni di maggio.
In tale ambito sono subito emersi i riferimenti fondamentali per il nostro lavoro e direi che era abbastanza semplice individuarne le caratteristiche: innanzitutto, la difesa del mercato italiano ed il potenziamento del ruolo di Telecom Italia e di Telecom Italia mobile, in particolare nel quadro della progressiva deregolamentazione delle attività di telecomunicazione, concentrando quindi ogni sforzo per rafforzare qualità dei servizi ed innovazione nell'ambito dell'offerta di queste due aziende. Ricordo in particolare che sotto questo profilo il gestore di rete fissa Telecom Italia da anni è impegnato in un significativo sforzo di innovazione sul versante dell'offerta. Già nel 1996 il 4 per cento del fatturato di Telecom Italia è risultato maturato nell'ambito di nuovi servizi, mentre nei piani attuali del gestore si prevede di raggiungere nel 1999 il 17 per cento in termini di incidenza della nuova offerta sul fatturato totale.
Parallelamente Telecom Italia sta impostando una significativa ulteriore fase di impegno sul versante della riduzione dei costi che possa accompagnare l'effetto della decrescita dei prezzi unitari delle telecomunicazioni, la quale, come loro sanno, ha già caratterizzato in modo quantitativamente rilevante la politica tariffaria seguita nel 1995 e nel 1996.
Il secondo punto su cui si concentrerà l'attenzione del piano è l'ulteriore valorizzazione dello sviluppo dei servizi mobili. TIM è in questo momento il primo operatore cellulare in Europa con 6 milioni di clienti ed il terzo, individualmente considerato, a livello mondiale. Rafforzarne la leadership sul mercato italiano già aperto alla competizione attraverso qualità e innovazione dei servizi costituisce, insieme all'apertura sempre più consistente verso un'offerta di servizi mobili internazionali, il quadro fondamentale degli obiettivi che questa società si propone.
Un vincolo rispetto a queste prospettive di attività del gestore mobile è oggi rappresentato in modo significativo dalla tematica della disponibilità delle frequenze, che condiziona ormai in modo piuttosto pesante sia lo sviluppo, sia la qualità del servizio. In questo senso ambedue gli


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operatori mobili italiani da tempo hanno avanzato al Ministero delle poste richieste di evoluzione nell'assegnazione delle frequenze. Attendiamo con molta ansia di vedere soddisfatta questa ipotesi di «scalaggio» delle stesse, con lo spostamento al GSM di quota parte di quelle oggi assegnate al servizio Tacs, per ridare respiro a quell'offerta, condizionandola però alla possibilità di acquisire al servizio Tacs, ossia all'offerta analogica, frequenze oggi assegnate all'attività dei militari, del Ministero della difesa. Siamo ancora in attesa di una risposta.
Un terzo punto qualificante dell'attività del gruppo, fortemente condizionato nel periodo più recente, da tematiche di ordine regolatorio, riguarda l'impegno del gruppo stesso sul versante della multimedialità, nel mondo dei servizi che nascono dalla convergenza tra telecomunicazioni, informatica e contenuti. Fondamentalmente i binari su cui dovremo esprimere i nostri obiettivi sono quelli dello sviluppo di nuovi servizi nel mondo Internet e dintorni, nonché della contribuzione che il gruppo potrà, com'è suo intendimento, dare allo sviluppo della televisione digitale.
In ambedue i campi l'operatività del gruppo STET avverrà attraverso il consolidamento ed il rafforzamento di una politica di collaborazioni e di alleanze con partner leader nei diversi settori.
Il quarto punto centrale nel nostro piano industriale è rappresentato - e ci viene richiesto a gran voce dall'evoluzione del mercato - dalla prospettiva di un ulteriore sforzo di internazionalizzazione nell'attività del gruppo. In questo ambito credo valga la pena di soffermarsi su un paio di considerazioni.
Anzitutto, già a fine 1996, il gruppo STET presenta una quota di fatturato per attività svolte a livello internazionale non irrilevante, perché, considerato nel suo insieme, si attesta al di sopra dei 5 mila miliardi, calcolando all'interno di questo dato l'effetto sia del traffico verso l'estero, sia di iniziative svolte da aziende del gruppo al di fuori dell'Italia. Obiettivo dei prossimi anni sarà, quindi, anzitutto accrescere significativamente la quantità di questo fatturato realizzato all'estero.
In termini di internazionalizzazione del gruppo vale però la pena di sottolineare come il fattore più eclatante e di più immediata percezione, e su cui si concentrano più critiche rispetto all'operato STET, sia quello relativo alla non presenza del gestore italiano in uno dei grandi poli internazionali. Va peraltro precisato che questo tipo di alleanze operano principalmente su un segmento specifico dell'offerta internazionale, ossia sui servizi per il mondo business, concentrandosi in particolare sul target delle aziende multinazionali. Dico questo perché anche risolvendo, come dovremo risolvere, il problema del nostro posizionamento rispetto ad un'alleanza globale, questo non potrà né dovrà costituire l'unico obiettivo del processo di internazionalizzazione del gruppo, in quanto attraverso la soluzione dell'alleanza globale si rafforza la presenza e la capacità di offerte verso la clientela di servizi ma restano aperte e percorribili altre aree di business. Ho citato prima la diffusione dell'offerta dei servizi mobili, ma va qui ricordato un terzo aspetto altrettanto rilevante, l'ampliamento della base di mercato in termini di acquisizione di quote di mercato domestico nei paesi in cui si dia corso a forme di privatizzazione alle quali il gruppo possa partecipare.
Su quest'ultima tematica, che non è condizionata significativamente dal problema delle alleanze, il gruppo STET ha già maturato esperienze significative, in particolare concentrando la propria attività nel Sud America; intende proseguire lungo questa strada soprattutto nello stesso Sud America e nei paesi dell'Europa occidentale e orientale.
Il 1997 e il nostro stesso piano, così come il valore con cui il gruppo si presenterà al momento della privatizzazione, rimangono fortemente condizionati da un aspetto non più internazionale ma italiano, anche se notevolmente influenzato, come tutti sanno, dalle decisioni assunte a livello comunitario; mi riferisco alla qualità e alla tempestività con cui maturerà nel corso del 1997 l'adeguamento della normativa e quindi il quadro delle regole


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con il quale il gruppo dovrà confrontarsi, in particolare a partire dal 1o gennaio 1998, data di riferimento - è a tutti noto - per la completa liberalizzazione.
In questo quadro credo valga la pena di ricordare, soltanto di passaggio, quattro tematiche di particolare rilievo. La prima attiene al quadro concessorio. La concessione di cui oggi dispone Telecom Italia è valida fino al 2012, per cui si tratterà di vedere armonizzate le norme con la regolamentazione delle licenze, che dovrà essere disposta dal Ministero delle poste in coerenza con le indicazioni comunitarie.
Una seconda problematica, aperta da un certo numero, di anni attiene al piano di concessione, ossia al modo di regolare, anche in aderenza ad una disattesa delibera del CIPE di due anni fa, al 1o gennaio 1998, la materia del canone di concessione in capo a Telecom Italia.
Il terzo punto è dato dall'esigenza di regolamentare il servizio universale e quindi tutto ciò che ruota attorno a questa tematica, in particolare la questione del ribilanciamento tariffario da completare entro la data del 1o gennaio 1998 o immediatamente a valle per realizzare quella che a livello internazionale è considerata condizione necessaria per la piena liberalizzazione del mercato. Una seconda questione attiene al finanziamento degli oneri del servizio universale ed alla definizione del listino di interconnessione, ed in particolare alle modalità, anche economiche, con cui dar corso all'apertura delle reti di Telecom Italia agli altri operatori del settore. Ricordo questi temi, estremamente complessi, sui quali il gruppo ha recentemente presentato le proprie proposte al Ministero delle poste e telecomunicazioni, perché dovranno necessariamente trovare una soluzione anticipata rispetto alla decorrenza, prima ricordata, del 1o gennaio 1998 come riferimento complessivo per un mercato pienamente liberalizzato.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire, ricordando loro che, secondo le abituali regole fissate per le audizioni, sono concessi cinque minuti per ogni intervento. Invito tutti i commissari ad attenersi a questo termine.

ILARIO FLORESTA. Desidero innanzitutto ringraziare i rappresentanti della STET, particolarmente il dottor Tommasi di Vignano, che è stato semplice ma sicuramente efficace, per averci illustrato almeno una prima parte dei lori piani.
Vorremmo conoscere quale sia veramente il piano di privatizzazione che si accinge ad attuare il gruppo STET sia per Telecom, sia per TIM, sia per le società collegate, quali Sirti, Italtel eccetera, anche perché ciò si lega, come giustamente ha sottolineato il dottor Tommasi di Vignano, all'internazionalizzazione del gruppo, che si attua sì con le alleanze, ma anche addentrandosi in aree dove le privatizzazioni sono in atto. Chiedo quindi al dottor Tommasi di Vignano se ritenga che per poter meglio operare in Sud America o nell'Europa orientale STET debba offrire un servizio globale, a 360 gradi, senza la Sirti o la Italtel, per esempio, e se con la cessione della Italtel ci si debba attendere una vicenda analoga a quella accaduta a suo tempo con Telettra.
Sul piano delle privatizzazioni, ci aspettiamo risposte certe, anche perché non essendo mai venuto a riferire il Governo, come invece la legge prevede, gradiremmo che chi deve operare ci specifichi i propri indirizzi.
Per quanto concerne i nuovi servizi, il dottor Tommasi di Vignano ha detto che, rispetto al totale del fatturato, siete proiettati sul 17 per cento. Gradiremmo conoscere a quali servizi egli si è riferito e quali percentuali ipotizzi rispetto alle normative della Comunità europea per quanto concerne l'antitrust.
A proposito dei costi, considerato che si va verso la globalizzazione dei mercati, ritengo anch'io che si debba tener ben presente l'obiettivo di offrire i migliori servizi al minor costo possibile. Chiedo però se la limitazione dei costi prevista da Telecom Italia - così si chiamerà la nuova società una volta che sarà attuata la fusione - comporti una razionalizzazione dei costi interni o una razionalizzazione dell'indotto per risparmiare, in modo da raggiungere i bilanci sicuramente brillanti degli anni passati e, quindi, auspicabili anche in futuro. Credo, infatti, che l'indotto sia


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stato già abbastanza colpito, per cui, anche se vorremmo che lavorasse con prezzi competitivi e di mercato, gradiremmo capire se si intendano razionalizzare i costi interni di Telecom, in quanto ritengo che anche su questo versante vi sia molto da fare.
Vorrei poi conoscere, a proposito del nuovo business del DECT, quali siano i progetti di TIM e, in particolare, se Telecom si accinga ad attuare la fase uno, due o tre: un portatile casalingo, un semiportatile o un apparecchio che diventa poi un servizio mobile a tutti gli effetti?
Una domanda per quanto riguarda la multimedialità, considerato che avete esaurito il S.O.C.R.A.TE 1 e che, per una prima fase, state attuando il S.O.C.R.A.TE 2 con contratti triennali rinnovabili per cablare prima cinque milioni di utenze, poi altri cinque milioni. Crediamo ai primi cinque milioni di utenze, perché i lavori stanno già partendo, ma per quanto riguarda i futuri cinque milioni di utenze vorremmo capire se si tratti di un piano credibile da qui a tre anni o se bisognerà attendere gli esiti dei primi cinque milioni di utenze. Dipenderà da un problema di mercato se la Telecom continuerà gli investimenti in questo settore, che peraltro riteniamo assolutamente necessario, in quanto oggi è forse quello che più dà lavoro in Italia? Mi auguro che sulle strutture che andrà a costruire Telecom si possano sviluppare servizi in grado di generare altro sviluppo, considerato che la vera rivoluzione industriale del 2000 avverrà sulle telecomunicazioni, sulle multimedialità. Quindi, gradiremmo capire quale sia esattamente il piano di Telecom.
Premesso che per quanto concerne la televisione digitale vorremmo conoscere il ruolo della Stream, vorrei rivolgere una domanda al dottor Tommasi di Vignano sull'internazionalizzazione del gruppo: al di là delle alleanze, a proposito delle quali staremo a vedere cosa intenderete fare, la Telecom potrà andare sui mercati dove si vuole privatizzare solo come entità a sé stante, oppure potrà farlo con le società a latere che oggigiorno vi sono? Se così fosse, che significato ha vendere Sirti, Italtel o Finsiel?
Per quanto riguarda i problemi di concessione che lei ha citato, dottor Tommasi di Vignano, ci auguriamo che la diatriba interna al Governo che vede Ciampi ottimista sul fatto che la traslazione delle concessioni da Telecom a STET o alla futura Telecom Italia sia automatica (non mi è sembrato così tranquillo il ministro Maccanico) si possa risolvere. Ritengo anch'io che entro gennaio 1998 si debba rivedere tutto in ordine a questa liberalizzazione, ma se veramente vogliamo che essa vi sia (dagli accenni che fa anche il presidente della Commissione non mi sembra che siamo sulla giusta via) dobbiamo capire...

PRESIDENTE. Non diamo interpretazione ad atteggiamenti del viso!

ILARIO FLORESTA. Vorremmo capire quale sia la vostra idea in merito all'authority che si dovrebbe creare: una vera authority che deve decidere, oppure una authority da pannicelli caldi?
Premesso che a suo tempo firmai io la delibera CIPE per l'abbattimento del tre per cento del canone, come si pensa di liberalizzare il mondo delle telecomunicazioni, quando solo in Italia esiste ancora un canone che, guarda caso, si abbatte su Telecom ma si va a ripercuotere sugli utenti o su chi intende realizzare l'interconnessione? Se avete dei costi, che considero impropri, è giusto che ne teniate conto per far quadrare i vostri bilanci. Che cosa pensate di fare nei confronti del Governo perché lo stesso rispetti quella delibera CIPE o ne emani un'altra per annullare il canone di concessione?
Veniamo all'ultima domanda. Quando pensate di fare le separazioni contabili per poter effettivamente stabilire le quote di interconnessione, in modo da dare certezza a chi vuole entrare in questo settore ed essere competitore o attore insieme con voi?
Per quanto riguarda infine gli aspetti tecnici della fusione per l'incorporazione di Telecom in STET, l'onorevole Becchetti, vicepresidente della Commissione, mi ha preannunciato che porrà in seguito una specifica domanda al professor Rossi.


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ANDREA GUARINO. Ringrazio innanzitutto gli amministratori e i rappresentanti di STET, di Telecom Italia e di Telecom Italia Mobile e ringrazio anche l'onorevole Floresta, che con il suo intervento ha puntualizzato - credo - tutti i punti principali della materia. Ciò, per evitare ripetizioni, mi consente di essere estremamente sintetico.
Credo che la posizione del partito popolare su questo punto sia nota e chiara. Noi siamo a favore della privatizzazione del sistema della telefonìa pubblica italiana, la consideriamo un po' la madre di tutte le privatizzazioni, il banco di prova della credibilità del Governo e della maggioranza; e quindi, solo per questo, riteniamo - e crediamo che ciò non si possa seriamente contestare - che non siano tollerabili incidenti di percorso. L'intervento che farò a nome del gruppo al quale appartengo e le domande che rivolgerò agli amministratori saranno focalizzati, quindi, sull'esigenza di chiarificare questo punto o quanto meno di attirare l'attenzione onde evitare che il processo di privatizzazione, così come è stato a grandi linee deliberato, possa subire intralci o addirittura delle interruzioni.
Il primo punto che voglio trattare è ben noto: è stato sollevato nei confronti dell'autorità governativa e sarà sollevato nuovamente quando l'audizione chiesta dal gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo avrà il suo corso. Mi riferisco al problema della concessione. Evidentemente, nel momento in cui gli amministratori della società si assumono la responsabilità di avviare un processo di fusione che potrebbe avere un'incidenza sul regime concessorio, è doveroso da parte del Parlamento offrire loro l'opportunità di esprimere il proprio punto di vista, anche perché, letteralmente, essi rispondono in proprio. Il problema evidentemente non è quindi quello della trasferibilità della concessione a seguito della fusione. Il parere del Consiglio di Stato è idoneo a fugare ogni dubbio in merito, resta però irrisolto, anche perché non faceva parte del quesito posto al Consiglio di Stato, il problema del mantenimento della concessione. Noi sappiamo che la concessione è stata assentita con un procedimento specifico non concorsuale, nel presupposto fondamentale che la maggioranza del capitale della società fosse in mano pubblica, direttamente o indirettamente, condizione che ovviamente verrà meno nel momento in cui verrà realizzata la fusione. Ritengo quindi doveroso chiedere agli amministratori delle due società protagoniste della fusione il loro punto di vista su questo problema: se e come sia possibile mantenere la concessione a quadro legislativo immutato; o se invece loro ritengano che sia necessario, o quanto meno preferibile per ragioni di certezza o di tranquillità, mutare il quadro legislativo ed eliminare l'incertezza.
Connessa ai risultati in termini di composizione azionaria dell'operazione di fusione vi è la questione del cosiddetto premio di maggioranza. Evidentemente, una società delle dimensioni della Telecom Italia e della STET, e della risultante SuperSTET, si controlla con molto meno del 50 per cento. Il problema non consiste tanto nel perdere il controllo operativo della società se il possesso azionario dello Stato scende sotto la fatidica soglia. Visto che la società di cui il Tesoro è l'azionista principale rappresenta in qualche modo denaro pubblico, vorremmo essere rassicurati su un punto, se cioè siano stati valutati e in quale misura vengano quantificati eventuali riflessi sul valore, su una diminuzione, su una volatilizzazione del premio di maggioranza a seguito della fusione.
Sempre con riguardo all'operazione di fusione, abbiamo notato un cospicuo assente in questo scenario. Non è chiaro, cioè, quale sia il destino di Telecom Italia Mobile. Telecom Italia mobile è destinata ad essere, in seguito, incorporata a sua volta nella SuperSTET? Continuerà invece ad avere vita autonoma? Verrà privatizzata separatamente? Verrà privatizzata contestualmente? Su questo punto credo che ai componenti della Commissione farebbe piacere avere qualche indicazione perché, per la verità, di recente non ve ne sono state molte.
In un quadro un po' più generale il dottor Tommasi di Vignano (e la sua valutazione è del tutto condivisibile) ha menzionato, tra gli elementi che incidono sia


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sul posizionamento del gruppo, sia sulla valutazione del medesimo, il quadro normativo complessivo. Ebbene, il quadro normativo, così come sembra delinearsi, seppure tra grandi incertezze e tra le note vicende forse indipendenti dalle ragioni proprie della telefonìa, sembra offrire due alternative. La prima è che una parte sostanziale di quello che è il telecommunication act italiano sia attuata con strumenti regolamentari, la cui base autorizzatoria, secondo affidabili interpretazioni, si è peraltro già esaurita prima dell'emanazione dei regolamenti; ma, supponendo che ciò non sia vero, gli amministratori della società destinata ad essere privatizzata per un valore di diverse migliaia di miliardi considerano soddisfacente, dal punto di vista dei futuri investitori, e ovviamente di quanti altri operatori vogliano entrare nel mercato italiano, una situazione in cui i capisaldi della normativa, in grado quindi di determinare il regime e le condizioni economiche di operatività delle società di telecomunicazioni, siano affidati ad uno strumento regolamentare e quindi modificabile con una certa facilità, nel bene e nel male, a seconda delle contingenze?
L'altra alternativa che offre lo schema della normativa sulle telecomunicazioni che si sta delineando è la seguente. Occorre decidere se adottare, semplificandolo ed estremizzandolo, il modello a common carrier, in cui vi è un operatore ex monopolista il quale sostanzialmente si collega e offre le sue infrastrutture a tutti gli altri operatori, che sono soprattutto dei service provider, o se adottare invece un sistema che incoraggi piuttosto la pluralità di gestori di rete (sto parlando sia di reti mobili che di reti fisse). Credo che sarebbe interessante, se al riguardo vi è stata una riflessione da parte degli amministratori del gruppo, conoscere le loro valutazioni in termini di ritorni per la collettività, non soltanto di ordine finanziario ma anche di sviluppo e disseminazione tecnologica e occupazionale, tenendo presente che il mercato delle telecomunicazioni sembra ormai avviato ad essere il più grande mercato di consumo in Italia, comunque di dimensioni - sembra - almeno pari a quello dell'automobile. Su questo punto (ed è una domanda che rivolgo particolarmente al professor Rossi, in quanto insigne studioso e maestro anche di problemi concorrenziali) vorrei conoscere quali siano i riflessi e i rischi (secondo le valutazioni da lui compiute sia come studioso, sia nella sua veste istituzionale) della creazione di fatto, invero non impossibile secondo quello che è dato di sapere dello schema legislativo che si sta preparando, di oligopoli chiusi; questo sia nella telefonìa mobile, che sembra essere orientata a procedere per gare specifiche di sistemi con numero predeterminato di operatori, che, a maggior ragione, nella telefonìa fissa, ove dovesse essere mantenuto quello che sembra il quadro di sostanziale preminenza di Telecom Italia-SuperSTET.

PRESIDENTE. Invito nuovamente tutti i commissari ad attenersi strettamente al limite di cinque minuti.

GIORGIO PANATTONI. Molte cose sono già state dette e mi auguro che, contrariamente a quanto avvenuto in altre audizioni, siano fornite risposte sufficientemente chiare e gestibili, perché uno dei vizi di queste audizioni è che le domande sono precise ma le risposte sono molto sfuggenti. Formulerò alcuni quesiti specifici, soprattutto in ordine alla politica industriale e allo sviluppo, temi che in questo momento così delicato credo interessino il paese, al di là e al di sopra delle dispute sui monopoli e sulle golden share.
Primo punto. Si è parlato molto della costituzione di un polo informatico italiano che dovrebbe vedere il raggruppamento di Olivetti, Finsiel ed Elsag Bailey. Domando quale sia la posizione di Finsiel in questo ipotetico raggruppamento, se esistano progetti operativi, se si stia pensando ad una forma di carattere societario e quali siano gli eventuali sviluppi dal punto di vista del controllo della società che dovesse emergere da questo raggruppamento di attività pubbliche e private nel settore informatico.
La seconda questione che intendo porre è molto importante e concerne la situazione Italtel, in relazione al processo di


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privatizzazione, al rapporto con Siemens, che in qualche modo continua ad essere un rapporto centrale (Siemens è al 50 per cento in Italtel), all'eventuale rapporto Italtel-Sirti, del quale si è parlato, anche perché mi risulta che esistano gravi problemi occupazionali per l'Italtel. Chiedo pertanto come questo processo di privatizzazione si collochi nei confronti dei problemi occupazionali e dello sviluppo, in particolare disponendo di un rapporto con Siemens che in Europa costituisce un partner quanto mai significativo ed importante.
Per quanto riguarda i processi di internazionalizzazione di cui si è già parlato, mi limito a chiedere se esistano rapporti tesi ad individuare un partner strategico, se quest'ultimo sia stato individuato, se esistano accordi di carattere operativo in divenire e, infine, in che modo si configuri il rapporto con tale partner.
Un altro punto è relativo alla piattaforma digitale. Vorremmo capire meglio l'accordo fra Stream e RAI in rapporto con Telepiù e Canal plus, in particolare con riferimento alla piattaforma digitale. Chiedo cioè se esista l'obiettivo strategico di sviluppare una piattaforma digitale italiana, se sia in via di costruzione e quale sia la posizione del gruppo STET al riguardo. Non sfugge la particolarissima rilevanza di questo tema che riguarda lo sviluppo futuro, quindi il grande sviluppo di mercato e le prospettive di crescita del gruppo, ma anche del paese, sotto questo profilo.
L'ultima questione che intendo sollevare concerne il quadro normativo, in merito al quale credo che concordiamo tutti sull'estrema urgenza e sulla necessità che venga portato a termine per rispettare la data del 1o gennaio 1998, che francamente a tutti sembra estremamente critica e che richiede sicuramente percorsi alternativi, perché la via tracciata dalla legge, cioè il transito attraverso l'authority, con tutti i tempi che questo richiederà, non ci sembra adeguata alla realizzazione delle condizioni per poter partire secondo le scadenze previste. Da questo punto di vista credo che i problemi sollevati, in particolare la definizione del servizio universale, i costi, i canoni di interconnessione, siano estremamente importanti per rendere reale il processo di privatizzazione.
Faccio peraltro notare due punti che mi sembrano rilevanti. In primo luogo, è vero che esiste un canone di concessione, ma è altrettanto vero che il canone di interconnessione della telefonìa mobile, che oggi TIM pratica a 200 lire al minuto, è fuori dal mondo; forse è il canone di interconnessione verso il secondo operatore più caro che esista in Europa.

VITO GAMBERALE, Amministratore delegato di Telecom Italia mobile. Guardi che non è TIM che pratica il canone: TIM paga!

GIORGIO PANATTONI. Certo, è chiaro. Rispetto alle 80 lire europee, ci sembra un canone di interconnessione molto elevato.
In secondo luogo, gradirei che da questo punto di vista venisse rivolto un appello, non tanto al Governo quanto all'opposizione, perché ci sembra di capire che i problemi delle telecomunicazioni, di cui l'opposizione parla molto - e a ragione, io credo - siano vincolati da un rapporto tra Mediaset e RAI e quindi da un conflitto di interessi così vistoso e globale...

PAOLO BECCHETTI. È una buona audizione, non cominciamo a rovinarla!

GIORGIO PANATTONI. ...che è francamente difficile poter sostenere la tesi secondo cui i processi di privatizzazione delle telecomunicazioni sono importanti, vanno realizzati secondo le scadenze, e via di seguito, mentre poi pervicacemente ci si ostina a privilegiare i rapporti di potere e di forza nel settore radiotelevisivo a scapito dei processi di liberalizzazione delle telecomunicazioni. Credo che di questo si debba prendere atto e vada chiesto finalmente uno sblocco definitivo, affinché questi processi tanto importanti per lo sviluppo e per l'occupazione del paese...

ILARIO FLORESTA. Rispettate i referendum e vedrete che li sbloccheremo!


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GIORGIO PANATTONI. ...non vengano frustrati da posizioni di potere privato nel settore radiotelevisivo che poco ha a che spartire (almeno per come viene trattato) con i problemi dello sviluppo delle telecomunicazioni in Italia.

PAOLO BECCHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Onorevole Becchetti, approfitti del tempo a sua disposizione per rivolgere le domande ai nostri ospiti per svolgere anche il suo intervento sull'ordine dei lavori. La prego di considerare (perché immagino il senso della sua interruzione) che qualche accenno a materia estranea si giustifica essendo questa un'audizione svolta in sede politica, non accademica, per cui qualche accenno polemico ben si adatta alla dinamica del dibattito politico.

PAOLO BECCHETTI. Io invece, presidente, ritengo che i cenni polemici possano riferirsi alla materia del contendere, alla ragione interna dell'audizione; non dobbiamo dare anche agli auditi il solito spettacolo di queste diatribe che ormai sono vecchie e stantie. Pertanto, intervenendo sull'ordine dei lavori, la prego di invitare i commissari ad attenersi all'oggetto dell'audizione, senza introdurre elementi che nulla hanno a che fare con essa e che diventano quindi un fattore distorsivo della chiarezza della discussione.
Detto questo, vorrei entrare nel vivo dei problemi, presidente.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Becchetti, ma a questo punto sono costretto ad effettuare una precisazione. Come ho già detto, siamo in una sede politica, quindi che vi siano spunti che fanno riferimento all'attualità mi pare perfettamente confacente. È evidente che il self restraint dei commissari, a cui faccio appello, indurrà tutti a mantenere questa audizione sul tono e sui contenuti che ad essa sono più propriamente specifici.

PAOLO BECCHETTI. Su questo tono intendo proseguire, presidente.
Come già anticipato dal capogruppo onorevole Floresta, intendo porre una serie di quesiti in punto tecnico-giuridico. Mi rivolgo specificatamente al presidente Rossi, le cui capacità nel settore, già magnificate anche dal collega Guarino, sono ampiamente note; sono poi le ragioni vere per le quali sembra sia stato chiamato a dirigere quest'importante azienda.
Intendo quindi porre domande precise.
Le due delibere sulla fusione assunte dalle assemblee straordinarie sono già state omologate dal tribunale?
Risulta che, pendente l'omologazione delle due delibere assunte dalle assemblee straordinarie che avevano deciso la fusione sulla base di progetti di fusione e quindi di statuti delle società fondende pubblicati nella Gazzetta Ufficiale secondo le regole civilistiche che disciplinano la fusione, siano state riunite altre due assemblee straordinarie delle due società per rendere omogenei i due oggetti sociali delle società da fondere.
Qualcuno dei grandi tecnici che si occupano di questo tema si è accorto che non rendendo omogenei i due oggetti sociali, pendente l'omologazione delle delibere delle assemblee, esisteva la possibilità per i soci di Telecom, incorporanda, di recesso dalla società. Al valore di recesso di 6.500 lire ad azione, vi sarebbe stata una turbativa di borsa straordinaria. Non solo, se è vero che ciò è realmente accaduto - le chiedo una conferma; se le informazioni avute non fossero vere la mia domanda cadrebbe da sola - questo rendere più difficoltoso il diritto di recesso costituirebbe una violazione dell'ultimo comma dell'articolo 2437 del codice civile, che testualmente recita: «È nullo ogni patto che esclude il diritto di recesso o ne rende più gravoso l'esercizio».
Se nella assunzione delle delibere di fusione non fossero stati resi a priori omogenei gli oggetti sociali delle due società, sarebbe stato commesso a mio avviso un gravissimo errore sul piano tecnico-giuridico, non so se voluto o - peggio ancora - involontario. Se così fosse, credo che qualunque piccolo operatore del diritto che abbia avuto un minimo di dimestichezza con le fusioni avrebbe dovuto sapere che questa cosa andava fatta contestualmente alla delibera di fusione, anzi prima ancora


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con la pubblicazione degli statuti delle società fondende.
Questo ha straordinari riflessi sul concambio, sul diritto di recesso che sarebbe stato conculcato, sul valore delle azioni. Se per caso vi fossero opposizioni alle delibere con cui sono stati resi omogenei i due oggetti sociali e si fosse quindi conculcato il diritto di recesso di taluni soci di Telecom in particolare, il concambio predeterminato nei progetti di fusione verrebbe stravolto; di conseguenza verrebbe stravolta la quota di partecipazione del Tesoro nella società, ogni parere finora espresso e comunque ogni decisione sulla questione già posta dal collega Guarino - la pongo di nuovo - in merito all'opinione così pacifica del ministro Ciampi (a me pacifica non sembra) sulla cosiddetta neutralità della fusione (passo al secondo punto del transfert della concessione).
Certamente è una neutralità di tipo fiscale, su questo nessuno ha dubbi; certamente nella fusione non mutano i soggetti perché, anche quando avviene per incorporazione, non vi è un mutamento soggettivo nel patrimonio. Ma tutto questo ha valore salvi i diritti dei terzi; infatti, come è noto, è possibile azione revocatoria, per esempio, da parte dei creditori di una società fusa o incorporata quando attraverso la fusione il patrimonio «si sposta» da una società all'altra. La domanda che rivolgo è precisa, le sarei molto grato se volesse dare una risposta altrettanto precisa sia sui tempi, sia sugli scopi di questa duplicità di assemblee straordinarie.
È noto a tutti che lei è sempre stato aspro nemico della golden share. Tuttavia ho letto su fonti certamente non riconducibili alla nostra parte politica che l'introduzione della golden share, secondo advisor internazionali molto specializzati, è idonea a produrre una minusvalenza intorno al 20 per cento delle azioni delle società. Pur riducendo prudenzialmente tale minusvalenza al 15 per cento, secondo questi advisor - secondo l'opinione, tanto per fare nomi e cognomi, di Franco De Benedetti espressa su Il Sole 24 ORE del 16 novembre - l'introduzione della golden share produrrebbe un decremento di valore di 10 mila miliardi così ripartiti: 4.800 per le azioni Telecom, 3.500 per le azioni TIM, 400 per le azioni Sirti, trascurando Italtel, Finsiel ed altre non quotate.

GUIDO ROSSI, Presidente della STET. Numeri al lotto.

PAOLO BECCHETTI. Questo secondo l'opinione di De Benedetti e di advisor, sulla base di una valutazione prudenziale di un decremento di circa il 15 per cento prodotto dall'introduzione della golden share. Anche su questo le chiedo un'opinione; visto che in punto di diritto e sulla base di ragioni imprenditoriali è contrario all'introduzione della golden share, lei come presidente di questa società credo debba subire, accettare quello che evidentemente è il frutto di un accordo politico che la oltrepassa. Evidentemente come presidente si deve attenere all'indirizzo dell'azionista di riferimento, certamente nessuno le fa colpa di questo.
Desidero porre la questione aggiuntiva delle politiche tariffarie. È all'esame di questa Commissione un progetto di legge che intende ritoccare - non so quale fine farà - alcuni aspetti della struttura della tariffa finché non avverrà la completa liberalizzazione del mercato della telefonìa. Con questo si vorrebbe - è stato evidenziato da alcuni commissari - dare agli utenti e ai consumatori un segnale forte, evidenziare un segmento sia pure piccolo degli utili prodotti dalle aziende di servizio di telefonìa dovuti non a fattori propriamente industriali ma a operazioni di carattere prettamente finanziario. Mi riferisco, per esempio, all'addebito, oltre che dell'IVA, delle spese di emissione della fattura, che producono un introito di circa 100 miliardi per il complesso delle aziende telefoniche, come se si trattasse di un servizio reso all'utente. Benché faccia il professionista, per mia disgrazia non ho mai potuto avere una posizione tanto dominante rispetto ai miei clienti da pretendere che mi pagassero 10 mila lire per ogni fattura che facevo a loro carico.
Dico questo perché credo che i vertici dell'azienda dovranno intervenire in sede di politica industriale sulla struttura tariffaria, risultante anche dal regolamento in fieri.


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L'ultimissima domanda riguarda la sorte di alcune aziende, in particolare di Stream e di TIM. Saranno incorporate, saranno vendute? Pongo nuovamente la domanda che è già stata formulata, per avere chiarimenti precisi su questo punto.
Mi sembra improprio chiedere in questa sede all'azienda un parere sul quadro normativo. Lei come magistrato conosce il brocardo da mihi factum, dabo tibi ius; penso che l'azienda dica da mihi legem, dabo tibi actionem.

ITALO BOCCHINO. Mi sembra che molto sia stato già detto. Vorrei solo ascoltare qualche precisazione; la prima riguarda il trasferimento della concessione da Telecom alla nuova società. Vorrei sapere se l'azienda si renda conto del problema esistente, anche alla luce delle norme del codice postale, per cui, essendo lo Stato andato in minoranza all'interno della nuova società, in futuro il trasferimento potrebbe essere rischioso per l'azienda, perché vi sono problemi che potrebbero spingere qualcuno ad avanzare ricorsi. Quindi, come si tutela l'azienda rispetto al rischio, successivo al trasferimento, di ricorsi che, per una grossa società di telecomunicazione, potrebbero creare problemi più gravi di quelli derivanti da un'azione preventiva?
Vorrei poi conoscere i tempi della fusione e, in particolare, le direttive dell'azienda per quanto riguarda il management, considerato che si tratta della fusione di una società molto operativa e con ampio management all'interno di una società molto snella come management ma poco operativa. Quindi, quali saranno le scelte strategiche in termini di management? Vi sono ancora partner esteri interessati, visto che si era parlato della AT&T per quanto riguarda, per esempio, la gestione di tutto il pacchetto delle comunicazioni?
Poiché il dottor Tommasi, accennando alla vicenda Internet, ha parlato dei futuri impegni che vedono Telecom già attiva, ricordo che quando Bill Gate è venuto in Italia l'unica raccomandazione che ci ha fatto è stata quella di equiparare i costi di Internet a quelli statunitensi perché, essendo ancora troppo alti i costi offerti da questo servizio, rischiamo di non essere competitivi nella corsa alla multimedialità. Vorremmo quindi sapere da voi cosa possiamo fare come legislatori per trovare una soluzione che porti il servizio Internet ad essere equiparato, dal punto di vista dei costi, a quello degli Stati Uniti.
Vorrei infine sapere se, a proposito della TV digitale, si stia già lavorando con dei partner.

MARIO BACCINI. Il centro cristiano democratico è molto attento al problema di cui discutiamo, tant'è vero che ho chiesto ai suoi uffici, signor presidente, di darmi copia della mozione sulla fusione STET-Telecom che qualche mese fa abbiamo presentato in questa autorevole Commissione, a proposito della quale sono d'accordo con lei quando afferma che le sue osservazioni non sono tecniche ma politiche perché gli autorevoli manager qui presenti, per esempio, sanno meglio di noi come impostare una politica industriale per arrivare a questa benedetta fusione.
E a proposito di questioni tecniche, vorrei rappresentare tutte le perplessità sulle ombre esistenti emerse in questi giorni, in questi mesi, che molte volte abbiamo appreso dalla stampa anziché dal Governo: non sappiamo esattamente se esista o meno una politica industriale né, soprattutto, se esista una politica, perché il ministro Ciampi, latitante in questo settore, non informa il Parlamento di ciò che sta facendo o che intende fare; più volte abbiamo sollecitato un intervento politico per chiarire quale fosse l'intendimento del Governo, perché riteniamo che, in questo caso, fare esercitazioni dialettiche serva a poco, forse solo ad imparare qualcosa di più, come sta accadendo stamattina nel corso di questa importante audizione. Credo, signor presidente, che si debba anzitutto capire se la missione dell'IRI come holding pubblica cessi con la fusione di STET-Telecom. Qualcuno deve chiarirci il ruolo che svolge l'IRI in questo processo di fusione; dobbiamo capire che futuro dovrà avere l'IRI, perché non possiamo privatizzare a tutti i costi, fondendo aziende così importanti, senza conoscere il fine della politica che stiamo portando avanti.


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Nell'ottica di questa fusione, signor presidente, l'azienda intende valorizzare l'attuale management o avvalersi di esterni? Intende avvalersi delle consulenze d'oro che ancora esistono nei settori della pubblica amministrazione, per esempio nelle Ferrovie dello Stato o in altri ambiti di cui abbiamo parlato più volte in Commissione? Credo che questo non possa avvenire, soprattutto in un momento drammatico per il paese, in cui si parla di tutto meno che dei problemi dei cittadini (abbiamo presentato una proposta di legge, perché questa Commissione rappresenta il popolo italiano non gli interessi delle lobby oggi esistenti in questa fase di privatizzazione selvaggia).
Ritengo anch'io, come i colleghi Guarino, Becchetti ed altri, che si debba concludere rapidamente questo processo politico anche con una determinazione violenta, dal punto di vista politico, della Commissione, in modo da impedire che si dica in giro che i rappresentanti del popolo, quindi il Parlamento italiano, non sono in grado di stabilire un punto di riferimento programmatico politico, considerate anche le gravissime affermazioni del ministro, il quale, all'indomani della mancata conversione del decreto sulla fusione, ha detto che il Parlamento non conta nulla!
Signor presidente, quando lei porterà all'esame della Commissione il documento conclusivo di questa indagine conoscitiva, credo che si debba valutare l'ipotesi, nel caso in cui vi siano ancora ombre in merito a questa vicenda, di trasformare questa Commissione in Commissione di inchiesta parlamentare.

SERGIO ROGNA. I colleghi che mi hanno preceduto hanno già ampiamente sondato la parte meno visibile dell'argomento, per cui vorrei aggiungere una domanda estremamente innocente, anche se non priva di qualche implicazione politica: quand'è che in Italia sarà realmente disponibile un sistema a larga banda per una parte significativa del territorio nazionale?
I ridimensionamenti dei vari piani S.O.C.R.A.TE hanno effettivamente lasciato alcune incertezze, in quanto è evidente, dal punto di vista della normativa, che Telecom ha anticipato i tempi, e questo è un fatto che di per sé non deve essere contrastato se contribuisce ad anticipare la disponibilità di un sistema a larga banda (anche se poi dovranno essere definite legislativamente le norme di utilizzo del sistema). In questo momento, però, sorgono alcune incertezze riguardo sia alla diffusione, sia ai tempi reali di disponibilità di questo sistema da parte dell'utente. Come dicevo, la domanda è innocente ma ha una forte rilevanza per quanto riguarda anche la distribuzione televisiva. Quindi, credo che non sfuggirà a nessuno quanto questa sia correlata con i discorsi che si fanno sull'antitrust via etere e con la disponibilità o meno di mezzi alternativi. È per questo, quindi, che vorrei qualche ulteriore precisazione proprio dalla Telecom.
Un'ulteriore domanda riguarda le prospettive della Stream e, in particolare, alcune notizie pubblicate sulla rivista L'Espresso di questa settimana in cui si evidenziavano alcune incertezze riguardo proprio alle prospettive reali di questa società e al fatto che la stessa non ha perfettamente chiarito se la sua diffusione debba avvenire via cavo oppure via satellite (il che sarebbe naturalmente differente). Al riguardo gradirei avere delle brevi ma impegnative risposte.

EDUARDO BRUNO. Vorrei innanzitutto richiamare la vostra attenzione su un articolo pubblicato dal Corriere della Sera del 19 marzo 1997 in cui si dà notizia di una presa di posizione dei popolari rispetto al processo di privatizzazione in atto. Secondo quanto riportato in questo articolo i popolari (sono tra l'altro citati autorevoli rappresentanti di quel partito) esprimono grosse perplessità rispetto al processo di privatizzazione del settore delle telecomunicazioni, soprattutto per quanto riguarda le concessioni. Tant'è che alcuni esponenti del partito popolare hanno sottoscritto una lettera indirizzata al presidente della Commissione Stajano per chiedere di convocare urgentemente in Commissione sia il ministro Ciampi, sia il


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ministro delle poste Maccanico per avere ulteriori chiarimenti. Prendo atto con soddisfazione di questa posizione dei popolari e mi associo alla loro richiesta.
Per quanto riguarda la discussione odierna, il gruppo di cui faccio parte, rifondazione comunista-progressisti, non fa altro che ribadire, con riferimento agli obiettivi generali, alcune importanti questioni di fondo in vista del processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni che sarà appunto completato a partire dal gennaio 1998. È necessario innanzitutto provvedere all'adeguamento della struttura rispetto all'obiettivo della competizione e anche rispetto a quella che dovrà essere la valorizzazione del patrimonio nazionale della telefonìa fissa e della telefonìa mobile. Questo è ovviamente un obiettivo di fondo. Per raggiungere tale obiettivo è importante il potenziamento della dimensione nazionale ed il continuo miglioramento del servizio anche dal punto di vista della trasparenza (molti colleghi si sono soffermati anche su quest'ultimo aspetto). Non mi soffermerò sull'importante questione del servizio universale, che dovrà essere definito quanto prima. È poi necessario il raggiungimento di obiettivi strategici rispetto alla situazione del sistema a livello internazionale.
Secondo il deliberato del Consiglio dei ministri del 6 agosto 1996 il futuro capitale della STET sarà formato nel modo seguente (è questo il punto più interessante, il cosiddetto nocciolo duro della questione): un nucleo di azionisti italiani stabili ed un nucleo di azionisti internazionali stabili.
Il punto di vista di rifondazione comunista è abbastanza noto, ma visto che sono qui presenti stamattina autorevoli rappresentanti del settore mi interessa sottolineare alcune questioni. Per quanto ci riguarda, il nucleo di azionisti italiani stabili dovrà avere le seguenti caratteristiche: non devono avere interessi in contrasto con quelli della STET ...

ANGELO SANZA. Sindacalisti!

EDUARDO BRUNO. ...non devono essere fornitori della STET; devono essere istituzioni di chiara fama e reputazione; devono avere grandi dimensioni; devono dimostrare indiscussa solidità patrimoniale; devono impegnarsi a mantenere l'investimento nel medio e lungo periodo.
Per quanto riguarda il nucleo di azionisti internazionali stabili, questi ultimi dovranno presentare le medesime caratteristiche degli azionisti italiani. Non potranno inoltre essere cedute quote di capitale della STET ad imprese internazionali dello stesso settore se la cessione non avrà come corrispettivo l'acquisto, da parte dello Stato italiano, di quote di capitale proporzionalmente analoghe dell'impresa straniera o di altra impresa straniera collegata alla medesima.
Infine è importante, per quanto ci riguarda, che lo Stato eserciti, nei confronti della STET, tutti i poteri speciali previsti dall'articolo 2 della legge n. 474 del 1994, al fine di imporre specifici indirizzi di politica economica e industriale, di conservare il potere di controllo su determinate decisioni aziendali di rilevanza strategica, di esercitare il controllo sull'assetto proprietario.
Rispetto a queste considerazioni, mi sembrava molto importante conoscere gli intendimenti dell'attuale assetto dirigenziale dell'azienda.

PRESIDENTE. Onorevole Bruno, la posizione di rifondazione comunista era nota, proprio con riferimento ai punti da lei sottolineati.

ANGELO SANZA. Puntuale!

EDUARDO BRUNO. D'altronde era nota la sua posizione, presidente.

PRESIDENTE. Certamente.

ENZO SAVARESE. Sei della stessa maggioranza!

ANGELO SANZA. Vorrei anzitutto ringraziare i rappresentanti della STET e delle società collegate per aver accolto l'invito della Commissione. Nel ringraziare i manager, vorrei richiamare politicamente la mozione Baccini, presidente. Noi faremo infatti tesoro delle informazioni che


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i tecnici ci offriranno, ma dovremo poi trasfondere queste informazioni in un giudizio politico, un giudizio che va verso la gestione da parte del Governo di questo complesso scenario chiamato telecomunicazioni.
È stato qui richiamato, prima dal dottor Tommasi e poi dai colleghi intervenuti, l'ampio fronte che questo business ha davanti a sé e qual è il sistema Italia in grado di far fronte a questo business mondiale.
Sarò molto breve. Fusione, ristrutturazione, privatizzazione, liberalizzazione e quadro normativo (richiamato dal collega Guarino) sono in veloce movimento. La STET è al centro di questo quadro e deve in qualche modo raccordare il suo ruolo di società che sta per essere privatizzata e quindi deve produrre utile con quelli che sono gli interessi del paese. E se gli interessi del paese - ahimè - fossero quelli del collega Bruno, non concilieremmo le esigenze aziendali con quelle della crescita del settore!

EDUARDO BRUNO. Sono dalla parte giusta, comunque!

ANGELO SANZA. Non voglio incorrere in ripetizioni e vengo pertanto alle domande. Vorrei conoscere, nel quadro del progetto di privatizzazione della STET, i tempi della privatizzazione stessa, il progetto industriale del gruppo e le sue alleanze internazionali. Sono argomenti già trattati da alcuni colleghi. Vorrei che nelle risposte che i nostri ospiti ci forniranno fossero focalizzati i punti che ho appena indicato.
Per quanto riguarda il quadro informatico, vorrei avere chiarimenti sul futuro della Finsiel e sul suo ruolo nella informatizzazione pubblica italiana.
Nell'ambito delle manufatturiere (mi riferisco al fronte della Tecnitel) vorrei sapere quanta affidabilità vi sia nel progetto Siemens, non solo per quanto riguarda la sua presenza in Italtel ma anche ai fini del recupero di una parte significativa di tutto il pacchetto Tecnitel.
Vorrei inoltre sapere se valga ancora la pena di insistere sul sistema via cavo, vista la prevalenza sulla piattaforma digitale del sistema satellitare rispetto appunto a quello via cavo ipotizzato con il progetto S.O.C.R.A.TE 1 dalla società Stream. Se è vero che sono stati persi 1.300 miliardi, dobbiamo capire se sia opportuno insistere su questo progetto o se convenga riconvertirlo.
Del dato concessorio si è fatto interprete il collega Bocchino, quindi rinvio alle sue sollecitazioni. Vorremmo certezza in questo quadro concessorio nel momento in cui si attua la privatizzazione.
Infine, vi è il complesso discorso della golden share. Mi rivolgo al presidente. Sappiamo di trovare in lei una persona molto sensibile, ma dobbiamo anche capire se attuiamo una privatizzazione reale: intanto la golden share è sottoposta a referendum, quindi tra qualche mese potremmo avere qualche novità; potrebbe anche esserci qualche iniziativa comunitaria, perché ormai si ha quasi l'impressione che con la golden share in Italia si realizzino false privatizzazioni. Questo quadro lo vorremmo recuperare in un ambito di certezza per poi assumere le iniziative politiche di cui ha parlato il collega Baccini ed alle quali io mi raccorderei.

ANNA MARIA BIRICOTTI. Esprimerò alcune brevissime osservazioni. Innanzitutto, stiamo parlando di aziende, ma soprattutto di servizi di telecomunicazioni, di servizi che, se opportunamente espansi, modificheranno profondamente il nostro paese, condizioneranno lo sviluppo, anche in termini di occupazione, e cambieranno gli stili di vita e di lavoro della gente. Credo pertanto che l'approccio nei confronti delle aziende debba essere di questo tipo, in funzione dello sviluppo di servizi per i cittadini.
Ritengo che nel nostro paese esista una forte domanda inespressa di telecomunicazioni. Sappiamo tutti che partiamo da fortissimi ritardi dei governi nel campo delle politiche industriali per le telecomunicazioni; è un fatto innegabile. Dobbiamo quindi recuperarli. Dobbiamo inoltre avere ben presente il ruolo del Parlamento ed in questo senso sono d'accordo con chi ritiene che a conclusione dell'indagine conoscitiva debba essere elaborato un documento


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in grado di fornire indirizzi al Governo. Così come d'altra parte sono convinta che il Governo debba muoversi come soggetto regolatore, ottimizzatore delle risorse, come soggetto in grado di fornire indirizzi strategici che in questi anni sono mancati. Esistono indubbiamente lacune legislative e su questo occorrerà intervenire.
Fatta questa breve premessa, avendo come quadro di riferimento lo sviluppo delle telecomunicazioni, vorrei acquisire maggiori conoscenze in ordine a due questioni che ritengo fondamentali per lo sviluppo delle telecomunicazioni. La prima è la seguente: a che punto siamo con i piani di investimento per la cablatura dell'intero paese? Si tratta di un problema essenziale che riguarda lo sviluppo e l'occupazione, sul quale abbiamo bisogno di avere informazioni certissime. È un quesito che anche altri colleghi hanno formulato, tuttavia io vorrei sapere in particolare se le novità esistenti stiano determinando rallentamenti.
La seconda questione riguarda la strategia delle alleanze ed è essenziale per comprendere come ci stiamo muovendo e dove stiamo andando. Mi sembra di aver capito che l'accordo con l'IBM è saltato: è un punto sul quale occorre maggiore chiarezza. Vorremmo sapere come la STET intenda muoversi nell'ambito degli accordi internazionali all'interno del processo di globalizzazione.
Si tratta di quesiti già posti da altri colleghi nell'ambito di una serie di considerazioni; io li ritengo essenziali per valutare poi la positività delle azioni finora condotte anche per quanto riguarda la fusione.

PRESIDENTE. Senza avere la pretesa di sintetizzare le molte considerazioni espresse o di ribadire interrogativi già acutamente formulati, vorrei porre al centro di questa ultima fase della discussione una riflessione di carattere generale, che attiene al progetto di politica industriale della STET, della SuperSTET (chiamiamola finalmente così), inserendo questo progetto nel quadro delle compatibilità normative e delle opportunità del mercato interno ed internazionale.
Prima di tutto esprimo una valutazione confortante ed un apprezzamento nei confronti di chi ha gestito questa società nel tempo: a differenza di altre società, la STET (intesa come gruppo, come holding industriale, finanziaria) ha ottenuto risultati molto buoni. Noi che in questa Commissione ci troviamo ad esaminare una lunga trafila di bilanci dissestati e di gestioni improvvide otteniamo conforto nell'esaminare i bilanci delle società che hanno fatto e fanno parte del gruppo STET.
Tuttavia secondo me questo non basta, perché la SuperSTET è una società che ha grandi possibilità ma che oggi mi sembra in difficoltà, lacerata fra il passato ed il futuro, fra un residuo di mentalità monopolistica ed una grande opportunità che invece offre il mercato. Quando parlo di residui di mentalità monopolistica voglio essere specifico: esiste un certo atteggiamento che si coglie qua e là con riferimento anche ad interventi spesso non coerenti del potere politico inteso in senso ampio, tendenti a valorizzare alcuni aspetti che non rientrano nell'ottica di liberalizzazione del mercato e che non si addicono ad una società che vuole candidarsi ad una compiuta privatizzazione.
Faccio riferimento ai ripetuti rilievi che giungono all'autorità antitrust, ad un approccio, per esempio, al problema del DECT che inizialmente non è stato dei più felici, cioè non perfettamente coerente ai principi della direttiva 96/2/CE, che pure prevedeva anche in questo settore una liberalizzazione del mercato. Penso alla ancora incompiuta - anche se ovviamente questo non dipende soltanto dalla STET - disciplina, che avrebbe potuto essere diversa, dei costi di interconnessione, che oggi fa gravare anche su una società dello stesso gruppo STET, la TIM, costi estremamente elevati, come prima notava l'onorevole Panattoni. Penso inoltre ad una serie di operazioni di cui si sta parlando, che secondo me non rispondono ad una compiuta affermazione dei valori del mercato, come per esempio la prospettata operazione che tenderebbe ad aggregare in un


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unico polo le attività private e pubbliche italiane nel settore dei computer e della telematica (operazione Olivetti, Finsiel ed altro).
A mio avviso, questo non è un atteggiamento da condividere in pieno. È una via vecchia, che prima o poi verrà superata. Credo che la STET debba invece ricercare una strada più ampia, più proficua, nell'interesse del paese (perché di questo ovviamente stiamo parlando): apertura al mercato, valutazione, per esempio, delle possibilità offerte, come è stato osservato, dalla creazione di una piattaforma digitale, mercato del futuro, mercato che si svilupperà con grandissima rapidità; apertura ai mercati internazionali. A questo riguardo non posso non segnalare con allarme qualche opportunità, qualche gara persa, il che denuncia una capacità forse non sufficientemente sviluppata, la necessità di un'attenzione più costante, più puntuale a queste opportunità del mercato internazionale in termini di sinergie o di competizione.
Ma veniamo alle insufficienze della politica, alla sua incapacità di risolvere i problemi. L'onorevole Panattoni acutamente sottolineava che non riusciamo ad avere una legge sull'authority, non riusciamo ad avere dopo molti mesi il passaggio in Parlamento dei disegni di legge Maccanico (chiamiamoli così, poi ci sono stati diversi stralci, come tutti sappiamo). Anzi, le notizie che giungono questa mattina sono al riguardo fortemente negative, sembra che ancora una volta tutto vada in alto mare, il che evidentemente rende più difficile la compiuta liberalizzazione, rende più difficile la privatizzazione che alla liberalizzazione si collega...

ILARIO FLORESTA. O più facile!

PRESIDENTE. La rende più difficile, onorevole Floresta, tanto da far ipotizzare al ministro Ciampi in questa Commissione - lo ricordiamo tutti - scenari diversi in ordine alla privatizzazione. Il ministro del tesoro, dal momento che nell'ambito delle sue sacrosante preoccupazioni, pur non incidendo tale questione sui saldi, evidentemente non intende lasciare in sospeso una partita che ha comportato per l'erario un forte esborso a favore dell'IRI, ha ipotizzato una vendita separata, uno splitting con riferimento ad importanti società; ne ha parlato anche relativamente a TIM. Esprimo l'opinione non solo mia, ma anche del mio gruppo politico in ordine a questo punto: sarebbe davvero un disastro, perché ci troveremmo di fronte alla vendita separata di una società che invece, così come avviene per altre, è collegata come progetto industriale al business della telefonìa fissa.

ANGELO SANZA. Presidente, è che non va proprio questo Governo. Lei ha ragione!

PRESIDENTE. Ritengo che questa impostazione sia del tutto fuorviante e sbagliata, onorevole Sanza. Al contrario, credo che questo Governo si preoccupi fortemente della risoluzione di questi problemi; naturalmente un atteggiamento migliore da parte dell'opposizione avrebbe consentito di risolvere quello dell'approvazione della legge sull'authority, cosa che non è avvenuta. Non voglio su questo punto avviare una polemica, non è questa la sede, riprenderemo il discorso in sede di valutazione (Commenti dell'onorevole Floresta)... Onorevole Floresta, la prego, non approfittiamo del fatto che sto esprimendo come presidente una posizione politica particolare.
Per quel che riguarda il progetto di privatizzazione, devo prima di tutto registrare con soddisfazione che il presidente Ciampi, in relazione a quanto stabilisce la legge n. 481 del 1995, ha assunto l'impegno di comunicare a questa Commissione per l'espressione dell'apposito parere...

ILARIO FLORESTA. A cose fatte!

PRESIDENTE. ...il progetto relativo alla privatizzazione. Nel frattempo, sulla base del decreto-legge n. 332 del 1994, poi convertito come voi sapete nella legge n. 474 del 1994, ha già inviato una comunicazione in ordine ai poteri derivanti dalla cosiddetta golden share. Su questa golden share si è detto molto, si può essere favorevoli o contrari: è noto che il sottoscritto


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e la sua parte politica sono contrari. Ciò nonostante le leggi finché esistono si applicano; una legge come la n. 474 va applicata, così come giustamente ha fatto il Governo. Si può modificarla, ma questo attiene ad un meccanismo di produzione legislativa che oggi è estraneo all'ambito delle determinazioni che si possono adottare.
Vorrei fare un'ultima notazione proprio con riferimento all'utilità di certe scelte operate dal Governo rispetto alla complessiva operazione di privatizzazione.
Ricordo che, quando alcuni mesi fa venne qui il presidente dell'IRI Tedeschi, questi attribuì all'operazione di privatizzazione della STET un valore che tutti ritenemmo assolutamente insufficiente e inadeguato. La successiva decisione di procedere alla fusione tra STET e Telecom ha fortemente alterato il quadro dei valori allora rappresentati e lo ha fatto in positivo; basti pensare al cospicuo incremento dei corsi delle azioni delle due società oggetto del rapporto di fusione, il quale dimostra quanto questo progetto, che allora fu portato avanti anche all'interno di questa Commissione (anch'io proposi una soluzione di questo genere quando non era, per così dire, all'ordine del giorno), abbia dato ottimi risultati; oggi l'operazione si presenta per il Tesoro, divenuto nel frattempo azionista di riferimento, come estremamente vantaggiosa.
Rimangono peraltro, a mio avviso, talune questioni, sulle quali formulo alcune domande (oltre a quelle sull'indicazione di progetto industriale che prima ho formulato). Vorrei avere dati - se è possibile disporne - in ordine alla distribuzione della proprietà azionaria e alle eventuali modificazioni della stessa avutesi negli ultimi mesi. In altri termini, vorrei sapere se si sia avuta una concentrazione della proprietà azionaria con diminuzione del numero degli azionisti di piccolo riferimento, ma comunque di riferimento (percentuali apprezzabili tra lo 0,5 e l'1 per cento del capitale); se si sia avuto - ripeto - questo fenomeno di concentrazione o se si sia assistito ad un'ulteriore dilatazione della proprietà azionaria...

PAOLO BECCHETTI. Di quali società?

PRESIDENTE. Evidentemente delle società oggetto della fusione.
In particolare allarma una certa oscillazione dei cambi in relazione alle azioni, dei valori di cambio; alterazioni piuttosto frequenti rispetto a fenomeni di oscillazione dei prezzi sul mercato azionario ...

PAOLO BECCHETTI. Quotazioni di borsa.

PRESIDENTE. Esattamente. Questo è a mio avviso un fatto cui occorre prestare grandissima attenzione, anche per dare poi un senso a quella volontà di realizzare una public company, che a mio avviso è la grande opportunità di quella che è stata definita la madre di tutte le privatizzazioni.
Se con riferimento ad una società come la SuperSTET (chiamiamola così per intenderci) non si riuscirà a realizzare in Italia finalmente una public company - che certo avrà un nocciolo duro più o meno ampio di soggetti di riferimento, ma che sarà in questo senso davvero un primo esempio di proprietà azionaria diffusa, con tutto quello che questa dimensione comporta - avremo perduto una grande occasione. Ciò con riferimento non solo alla STET, ma anche alla possibilità di utilizzare il relativo modello di privatizzazione in altri settori, introducendo un circolo virtuoso di sviluppo di una mentalità, di un modo di pensare, di una concezione dell'economia e del mercato che in Italia ha bisogno a mio avviso di fare molti passi avanti, se veramente vogliamo tendere alla creazione di una realtà industriale, non solo nel settore delle comunicazioni, che sia all'altezza delle aspettative dei mercati, ma soprattutto di chi vuole che il capitalismo industriale si sviluppi in Italia a livello di altri paesi, i quali conoscono traguardi di ricchezza e di sviluppo economico significativi.

GUIDO ROSSI, Presidente della STET. Sono particolarmente lieto di questo scambio di vedute tra i vertici della STET e il Parlamento italiano. Spero che le risposte siano altrettanto precise rispetto


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alle domande e siano sufficienti a soddisfare non la curiosità, ma certamente l'interesse che il Parlamento deve avere per questo importante progetto di privatizzazione.
Il mio intervento ovviamente presenta una caratteristica specifica e peculiare: non entrerò nei problemi di gestione, ma mi soffermerò soprattutto su altre questioni, quelle di carattere giuridico più generale che riguardano questa privatizzazione; quindi, in modo particolare risponderò ad alcuni interventi, a quello svolto dall'onorevole Floresta, a quelli degli onorevoli Guarino, Becchetti e di conseguenza dell'onorevole Sanza, nonché a quello del presidente Stajano.
Però, prima di affrontare specificamente ciascuna domanda, vorrei dare un'indicazione di carattere generale. I problemi di cui finora si è parlato e si continuerà a parlare a proposito della fusione STET-Telecom e del processo di privatizzazione si collocano su tre circuiti diversi che a volte si intrecciano tra loro. Al primo, quello del Parlamento, si devono la legge n. 474 del 1994 e la golden share, a proposito della quale mi sia consentito dire, con una certa cattiveria, che è inutile che adesso se la prendano con me, perché io l'ho avversata già prima della conversione in legge del decreto-legge; adesso, da buon cittadino, obbedisco alle leggi dello Stato. Al circuito del Parlamento si deve anche il problema dell'autorità (abbiamo sentito dal presidente Stajano le difficoltà che anche questa mattina sembrano essere presenti in Parlamento) e della normativa comunitaria. Quindi, un quadro normativo estremamente complesso.
Sul secondo circuito, quello del potere esecutivo, del ministro del tesoro, sotto certi profili né il Parlamento né la società possono interferire. Quando sento parlare dell'esigenza di far sì che gli azionisti stabili abbiano certe caratteristiche, devo ricordare, ahimè, che all'articolo 2 della legge n. 474 è previsto che uno degli strumenti per la privatizzazione, oltre alle offerte pubbliche di vendita, sia la creazione di nuclei di azionisti stabili legati da un patto di sindacato e che il vero responsabile della creazione di tali nuclei è il ministro del tesoro. Questo ha voluto la legge, per cui qui lavoriamo ancora su un circuito diverso.
Esiste poi il terzo circuito, quello societario, che è il più fragile in questo momento, perché ha meno poteri degli altri due. Soprattutto negli ultimi due mesi, la società ha iniziato un processo di privatizzazione estremamente rapido e ravvicinato rispetto a tempi che, solo due mesi fa, sembravano improponibili. Tenuto conto che la società è certamente nel circuito più fragile e che quando esistono incertezze normative questi dialoghi diventano molto importanti, essa chiede al Parlamento di venire aiutata anche e soprattutto dove - come ha paventato l'onorevole Guarino - esistono difficoltà ed intralci nel processo di privatizzazione. Dove vi è un quadro normativo incerto non è la STET che può intervenire ma solo il Parlamento italiano. Quindi, passiamo dal terzo al primo circuito, perché la mediazione del secondo circuito, cioè del Governo, non sempre è tale da poter risolvere tutti i problemi.
Ma qual è la funzione della società a proposito del problema del piano di privatizzazione, il cui vero responsabile - ripeto - è il ministro del tesoro? Esiste un piano di privatizzazione del ministro del tesoro che riguarda solo di striscio - per così dire - i problemi di alcune società del gruppo STET. Forse, il dottor Gamberale potrà prendere la parola per darmi torto o ragione, ma quando sento parlare dell'opportunità della privatizzazione di TIM, indipendentemente dalla privatizzazione di STET, dico che questo problema, fortunatamente, per quanto mi riguarda, non concerne più né il primo, né il secondo circuito ma solo il terzo circuito. Infatti, dopo il 30 aprile, con la cosiddetta nuova SuperSTET, sarà solo il consiglio di amministrazione di STET a decidere cosa fare di TIM; nessun altro potrà farlo, perché a quel punto sarà una società completamente autonoma, indipendente e privatizzata.
Quindi, se non intervengono decisioni prima della scadenza del 30 aprile, nessuna autorità di governo potrà più intervenire per obbligare a privatizzare o meno determinati settori nella struttura stellare


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del gruppo. Su questo credo di aver risposto con sufficiente chiarezza ad uno dei tanti problemi che continuano a circolare sui giornali e di cui si sente spesso parlare.
Mi sia consentita una premessa prima di rispondere alle domande dell'onorevole Guarino. La mia esperienza sulle privatizzazioni negli altri paesi, in parte professionale, in parte soprattutto di studio, mi porta a dire con convinzione che in tutti i paesi del mondo le privatizzazioni sono state sempre criticate. Non ce n'è mai stata una che abbia ricevuto suffragi unanimi. C'è sempre stato, giustamente, qualcuno che si è lamentato, perché i processi di privatizzazione coinvolgono interessi molto rilevanti nell'ambito di ciascuna struttura industriale e perché, molto spesso, la privatizzazione comporta il passaggio da un sistema di economia ad un altro, il che provoca, ovviamente, degli scossoni. Quindi, il terzo circuito è pronto alle critiche, che senz'altro vi saranno, qualunque sia la strada imboccata.
Il problema delle concessioni - rispondo alla domanda dell'onorevole Becchetti e di altri onorevoli intervenuti nel dibattito - credo che voi lo conosciate senz'altro meglio di me. Premesso che la concessione è stata data a Telecom Italia nel presupposto che si trattava di una società in mano pubblica, la progettata fusione pone il problema del trasferimento della concessione da Telecom Italia a STET. Anche in questo caso, il problema può essere affrontato in tre modi diversi. La soluzione più semplice, che avrebbe destato meno preoccupazioni, meno incertezze, meno domande da tutte le parti ed una minore creazione dei falsi problemi che esistono in gran numero in questo processo di privatizzazione - per esempio quello della golden share - sarebbe forse stata quella di una normativa ad hoc. Però, quest'ultima non c'è stata, per cui bisogna collegarsi o al diritto comune o al codice postale.
Il collegamento con il diritto comune è stato tentato sulla base del parere del Consiglio di Stato, cui ha fatto cenno l'onorevole Guarino. In pratica, nel parere espresso alla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato ha suggerito, nell'ipotesi di fusione, l'idea di applicare ai rapporti giuridici che riguardano la concessione lo stesso principio che si applica in tutti i casi di fusione, cioè la successione a titolo universale, come la chiamiamo noi giuristi-privatisti. Allora, sovvengono gli articoli 2503 e 2504-bis del codice civile, per cui l'incorporante subentra in tutte le posizioni giuridiche dell'incorporata. Quindi, il problema della concessione addirittura non esisterebbe se fossero applicabili soltanto le norme di diritto comune.
Per la verità esiste poi una sorta di discrasia tra il diritto comune e il codice postale. Il codice postale prevede infatti due norme di carattere generale, una all'articolo 190 e una all'articolo 187, in cui si parla di cessione della concessione. Ebbene, la cessione della concessione è un effetto naturale, per così dire, della fusione, cioè una conseguenza implicita della fusione, per cui si deve applicare ancora il diritto comune, o invece esige che venga applicata la normativa del codice postale, il quale prevede che la cessione delle concessioni non possa essere effettuata se non nell'ipotesi in cui ci sia un'autorizzazione ad hoc del ministro delle poste?
L'articolo 187 del codice postale prevede appunto quest'ultima ipotesi, cioè la cessione della concessione attraverso un decreto autorizzativo del ministro delle poste. E questa è stata la strada che, per tuziorismo eccessivo (per dirla con gergo avvocatesco), è stata imboccata: le due società hanno chiesto, su suggerimento del ministro delle poste, che si operasse attraverso l'autorizzazione questo trasferimento della concessione, in modo tale che quando verranno deliberate le fusioni nelle due società vi sia già il decreto del ministro che in base all'articolo 187 del codice postale ha trasferito (senza che vi sia più in quel momento alcuna possibilità di impugnativa) la concessione da Telecom Italia a STET, che poi si chiamerà a sua volta Telecom Italia.
Questa è la situazione e questa è tra l'altro l'ottica in cui va affrontato poi il secondo problema, onorevole Becchetti, quello della divergenza che si è creata


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sotto il profilo temporale tra le delibere di modifica dell'oggetto sociale e di introduzione della golden share e le delibere di fusione. Era infatti necessario, proprio ai fini del trasferimento della concessione, che i due statuti di Telecom Italia e di STET fossero identici, altrimenti non sarebbe stato possibile trasferire una concessione operativa quale quella in capo a Telecom Italia ad una società finanziaria qual è la STET. Le due società hanno quindi dovuto modificare il loro oggetto sociale. La modifica dell'oggetto sociale ovviamente è avvenuta prima; non sarebbe potuta avvenire al momento della fusione perché sarebbe stato troppo tardi: al momento della fusione è necessario che il decreto autorizzativo preesista, perché altrimenti verrebbe a cadere l'intera impalcatura. In questi termini sta il discorso relativo al rapporto tra le delibere concernenti la modifica dell'oggetto sociale e l'introduzione dei poteri speciali e le delibere di fusione.
Riprenderò questo problema tra poco, perché devo ora affrontare due questioni sollevate dall'onorevole Guarino.
Si è detto che questa fusione fa sì, tra l'altro, che il Ministero del tesoro vada in minoranza. Il 30 aprile, quando verranno in realtà deliberate le fusioni, la privatizzazione, nel senso di perdita del controllo da parte dello Stato, sarà già avvenuta. Anche al riguardo attenzione: ci sono molti falsi problemi. La privatizzazione della STET è un fatto che al 30 aprile, se abbiamo una maggioranza in tal senso nelle assemblee di STET e di Telecom, sarà già in gran parte avvenuto. Sarà poi necessario che il Governo, o meglio il Ministero del tesoro si disfi di una parte di quelle azioni, che però non costituiscono più la maggioranza, vale a dire il 51 per cento. Il 30 aprile è praticamente oggi. Dando per scontate le delibere del 30 aprile, noi siamo già una società che ha compiuto il passo decisivo sulla strada della privatizzazione completa. Dopodiché (e torniamo al secondo circuito) sarà un problema del Tesoro come collocare il significativo pacchetto di azioni di sua proprietà: attraverso i nuclei stabili italiani, attraverso i nuclei stabili stranieri, con un'offerta pubblica di vendita sul mercato o quant'altro.
Ma in questo senso, onorevole Guarino, quello del premio di maggioranza che viene meno con la fusione è un problema che rientra nell'ambito del secondo circuito. In realtà, con la fusione lo Stato certamente perde il premio di maggioranza, ma privatizza. Sarà allora il collocamento sul mercato che potrà in qualche modo far recuperare allo Stato quello che ha perso con la perdita del premio di maggioranza. Perché certamente, se lo Stato avesse trasferito il 60 per cento di STET e Telecom Italia prima della fusione ad un terzo, avrebbe potuto su quel trasferimento lucrare certamente un premio di fusione.
Per quanto riguarda la questione TIM, mi pare di aver già risposto.
È stato poi sollevato il problema dell'antitrust e della creazione di fatto di oligopoli chiusi. Onorevole Guarino, ci stiamo occupando tutti e due di oligopoli e di legge antitrust, sia a livello professionale sia a livello scientifico. Al riguardo per me la risposta è agevole: non tutti gli oligopoli sono necessariamente sanzionabili dalla legge antitrust. Quando esistono dei mercati dove l'oligopolio è, per così dire, naturale, non credo che l'autorità antitrust debba, o addirittura possa, intervenire, come è avvenuto in molte situazioni. Riconosciuto che non c'è stato alcun abuso di posizione dominante, la situazione di oligopolio, quando è dovuta alle strutture del mercato, è tale per cui nessuna autorità può creare dall'alto un mercato diverso. Questo è il discorso. E certamente anche nelle telecomunicazioni le situazioni di oligopolio, per un lungo periodo ed in molti settori, sono destinate a durare.
Non vorrei abusare della vostra pazienza, ma vorrei trattare almeno altri due problemi importanti, che sono stati entrambi sollevati dall'onorevole Becchetti. Innanzitutto, a proposito del diritto di recesso e della fusione, è necessario fare alcune precisazioni di carattere temporale. La modifica dell'oggetto sociale ai fini della concessione di cui ho parlato prima, con l'introduzione dei poteri speciali, è già stata deliberata dalle assemblee del 26 marzo 1997. Non mi risulta che vi siano


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problemi a livello di omologa, quindi si tratta di due delibere assembleari che verranno omologate e che dal momento in cui sono state assunte sono già di per sé efficaci. Viceversa, le assemblee che dovranno assumere le delibere di fusione, proprio per il progettato piano di fusione, sono state convocate per il 30 aprile. Il 30 aprile verranno quindi assunte le delibere di fusione. Perché è stato previsto questo anticipo?
Ebbene, quello del diritto di recesso, se si vuole, è un altro falso problema. Innanzitutto, perché in nessun paese del mondo, per le società quotate, esiste un diritto di recesso. Il diritto di recesso è una sorta di antiquariato istituzionale del diritto commerciale che andava bene per il codice di commercio del 1882, dove il diritto di recesso era un istituto fortissimo perché non vi era la possibilità di circolazione delle azioni, perché le società erano chiuse, perché le società erano strutture familiari. Il codice di commercio del 1882 prevedeva il diritto di recesso addirittura in caso di aumenti di capitale, perché il socio di una piccola società che non poteva sottoscrivere l'aumento di capitale non aveva possibilità di vendere le azioni e pertanto doveva ricorrere al diritto di recesso. Ma non solo: il diritto di recesso era previsto anche per le fusioni. Il codice civile del 1942, che pure nel titolo V («Del lavoro») disegna una struttura estremamente familiare del diritto societario, ha conservato il diritto di recesso pur non ricomprendendovi alcune fattispecie, apparse eccessive anche al legislatore del 1942, come quelle dell'aumento di capitale e della fusione. Pertanto, le fusioni non daranno più origine al diritto di recesso.
Cos'è avvenuto, allora? Avendo dovuto anticipare, per le ragioni relative alla concessione, le assemblee per la modifica dell'oggetto sociale, era ovvio che in quelle assemblee il terzo circuito, cioè la società, chiedesse al Governo di inserire in quella sede anche l'altra fattispecie che avrebbe dato origine al diritto di recesso, cioè i poteri speciali e quindi la golden share, perché altrimenti si sarebbero avuti due diversi diritti di recesso, uno al momento del cambiamento dell'oggetto sociale ed uno, eventualmente, al momento della fusione con l'introduzione di poteri speciali; questa, dal punto di vista degli amministratori, sarebbe stata un'operazione assolutamente incauta nell'interesse della società ed anche degli azionisti.
Pertanto le posso assicurare che nessun errore è stato compiuto. Il problema del diritto di recesso è un falso problema. Passerei quindi all'ultima questione, relativa alla golden share.

PAOLO BECCHETTI. I progetti di fusione pubblicati contengono i due statuti delle società fondende?

GUIDO ROSSI, Presidente della STET. Certo, anche la golden share; c'è già tutto.

PAOLO BECCHETTI. Anche i poteri speciali?

GUIDO ROSSI, Presidente della STET. Anche i poteri speciali, perché questi sono stati deliberati nelle Assemblee del 26 marzo, quindi da allora sono scattati i diritti di recesso.
Per quanto riguarda il problema della golden share, sul fatto che la golden share riduca del 10, 15, 20 per cento il valore di mercato sono assolutamente scettico. Devo anzi affermare che da quando è stato annunciato che sarebbe stata introdotta, attraverso la convocazione dell'assemblea, in una riunione del consiglio di amministrazione, regolarmente pubblicizzata, e che sarebbero stati introdotti poteri speciali, il corso delle azioni è salito. Il dottor Albertini (che è il decano degli ex agenti di borsa italiana, il titolare di una delle più prestigiose SIM) all'assemblea del 26 marzo ha detto che considera questi calcoli numeri del lotto, non ritenendo che vi sia stata in alcun modo un'influenza determinante sul problema delle valutazioni delle azioni STET per quello che riguarda l'introduzione della golden share.
A parte la mia posizione personale, che è nota a tutti perché è sempre stata pubblicizzata, la golden share introdotta nello statuto della STET presenta caratteristiche particolari rispetto alla golden share introdotta invece nelle altre società privatizzande, perché è quanto meno a tempo e il


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tempo è quello della liberalizzazione dei mercati, il che torna a dimostrare tra l'altro che nel terzo circuito il problema della privatizzazione è strettamente legato a quello della liberalizzazione dei mercati.
Non vi nascondo che esiste un referendum sulla golden share, che esistono delle iniziative comunitarie. Non credo che, proprio perché è a tempo, questa golden share costituisca l'elemento per caratterizzare la privatizzazione della STET come una falsa privatizzazione. È una golden share a tempo, che secondo me servirà al ministro del tesoro per attuare la politica di sganciamento del pacchetto azionario, determinando dove questo pacchetto dovrà andare a seconda dei nuclei stabili italiani o internazionali che vorrà creare.
In merito ai quesiti posti dal presidente Stajano, non risulta né a me né ad alcuno dei presenti che vi siano state modifiche nella distribuzione della proprietà azionaria, cioè nell'assetto societario delle due società STET e Telecom in quest'ultimo periodo. Forse c'è stato un piccolo aumento, che avevo rilevato personalmente, di una società, la Chase Nominees, che però è una società fiduciaria, la quale quindi non è cresciuta direttamente e non ha modificato la struttura, ma invece, operando per i fiducianti, ha ulteriormente frazionato la sua partecipazione.
Per quanto riguarda le quotazioni di borsa, esse sono a tendenza unica. Il problema del recesso si è creato perché, contrariamente a quanto avviene normalmente nel diritto societario, per cui quando si annunciano da parte delle società progetti di fusione vengono anche indicati i rapporti di cambio, viceversa in questo caso si è annunciata la fusione tra STET e Telecom mentre il rapporto di cambio è stato indicato parecchi mesi dopo, quindi il mercato già scontava la fusione senza avere il rapporto di cambio. Questo ha spiegato la salita del corso dei titoli e ha spiegato il motivo per cui il problema del recesso è diventato gigantesco, perché la gente dice: se considero gli ultimi sei mesi e mi fanno rientrare i tre mesi del 1996, il prezzo di compenso del recesso scende; se invece calcolo il recesso dal mese di giugno, tengo conto di tutto l'aumento verificatosi dopo l'incauta affermazione, se volete, sotto il profilo societario, relativa alla fusione delle due società dall'inizio di gennaio. Tutto questo non deve riguardare una condotta societaria seria.
La verità è che i titoli telefonici (al riguardo i miei colleghi potranno essere più espliciti) sono particolarmente sensibili per quello che riguarda le quotazioni di borsa, anche perché occorre considerare che l'intero gruppo muove circa il 25 per cento di tutta la borsa italiana, quindi le fluttuazioni dell'intero mercato incidono in modo particolare sui titoli del gruppo. Questa è la ragione per cui molto spesso hanno questa caratteristica erratica.
Vi sono inoltre altre due considerazioni da fare. In primo luogo, per quanto erratico sia questo ciclo, il trend è sicuramente in rialzo. In secondo luogo, molto spesso l'erraticità è dovuta anche alla normativa dei fondi, i quali hanno dei plafond per la partecipazione in ciascuna società, e questo plafond sarà ovviamente sfondato nel momento in cui avverrà la fusione, perché di due società ne rimarrà una sola, per cui coloro i quali erano già in posizione critica rispetto al plafond massimo che avevano hanno alleggerito le posizioni. Anche in questo caso probabilmente sarebbe opportuna una modifica del regolamento.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro nel fornire le risposte che erano di mia competenza; lascio ora la parola al dottor Tommasi.

PRESIDENTE. La ringrazio, professor Rossi; lei è stato davvero esauriente - possiamo riconoscerlo tutti - nel rispondere ai vari quesiti.

TOMASO TOMMASI DI VIGNANO, Amministratore delegato della STET. Vorrei fare una brevissima premessa di carattere cautelativo, che non vuole sminuire l'impegno ad essere assolutamente trasparente nelle risposte che cercherò di fornire. Farò riferimento ad un piano industriale del gruppo che, come ho anticipato prima, non è ancora stato completato e quindi ad orientamenti che stiamo maturando in questo periodo e che ovviamente non sono


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stati ancora neppure sottoposti al consiglio di amministrazione.
L'onorevole Floresta nel primo quesito posto ha affrontato, oltre alle problematiche di privatizzazione di Telecom ed eventualmente di TIM (sulle quali mi pare che il presidente abbia già chiaramente espresso la nostra posizione), la questione delle prospettive post fusione del mondo manifatturiero ed impiantistico che fa capo a STET.
Indubbiamente esistono indicazioni convergenti di due tipi, entrambi di segno non positivo, rispetto al permanere di una presenza forte del gruppo STET su questi due comparti.
Le prime sono indicazioni di tipo europeo sull'inopportunità che esista una coincidenza di proprietà tra il gestore di telecomunicazioni e chi produce o realizza gli impianti, cosa che fin qui, con la separazione tra la finanziaria e l'operativa, era stata ritenuta compatibile.
Un secondo segnale nella medesima direzione viene dall'assetto dei nostri competitor: nessuno dei nostri grossi competitor internazionali ha più al proprio interno tale situazione. L'ultimo era la AT&T, che ha separato totalmente nel 1995 la proprietà della parte relativa a questo comparto.
Nell'obiettivo di ridefinire un perimetro futuro per il gruppo, riteniamo che un primo segnale debba essere quello di confermare un orientamento, da gestire nel tempo, verso un minore impegno del gruppo medesimo su questi due comparti. Questo è un dato che possiamo ritenere acquisito. Le modalità con cui ciò potrà avvenire e la sequenza rispetto alle due realtà di cui stiamo parlando sono ancora da definire, ma sono anche condizionate da un assetto azionario e da caratteristiche della composizione della proprietà molto diverse tra le due società: nel caso di Italtel abbiamo un unico socio - siamo al 50 e 50 per cento - con una serie di vincoli legati a patti parasociali sulla gestione di questi primi anni di compartecipazione; nel caso di Sirti, si tratta di una società quotata in borsa, anche con soci privati, ma con quote molto contenute.
Non credo che la prospettiva appena descritta possa significativamente incidere sulla possibilità dell'offerta internazionale di Telecom Italia nel suo processo di internazionalizzazione. In questi anni in cui il gruppo si è già mosso nelle direzioni che prima ho ricordato in termini di allargamento del proprio mercato in paesi emergenti o in occasione di privatizzazioni di gestori si è trattato di opportunità che si sono potute offrire alle nostre aziende manifatturiere, ma non è successo il contrario.
A proposito degli obiettivi «sfidanti» che Telecom da qualche anno sta perseguendo in termini di composizione del proprio portafoglio di ricavi, direi che bastano i titoli, perché molti di questi, già oggi, sono oggetto di grosso successo. È il caso dei servizi su rete intelligente, è il caso della diffusione della rete ISDN, che in questi ultimi due anni ha rappresentato, anche in virtù di una politica tariffaria particolarmente favorevole, una realtà di grosso successo. Semmai, in questo momento fatichiamo a rincorrere la domanda che è aumentata, nel secondo semestre del 1996 e all'inizio del 1997, in modo più marcato di quanto avessimo previsto.
La razionalizzazione dei costi cui ho fatto cenno è evidentemente una necessità per mantenere determinati equilibri, è orientata ad incidere non soltanto sull'indotto ma anche sulla struttura dei costi interni.
Rispetto al progetto S.O.C.R.A.TE, credo che anzitutto si debba dare un segno di credibilità e di concretezza riconfermando che nel 1996 - anno nel quale sostanzialmente si è potuti partire con il progetto - Telecom Italia ha realizzato 300 mila abitazioni collegate nell'ambito delle famose diciannove città campione; quindi il progetto nel secondo semestre del 1996 ha avuto realizzazioni secondo il programma. Per il 1997 siamo traguardati su circa 1 milione 200 mila abitazioni cosiddette vendibili, ossia collegabili a richiesta del cliente; si sta procedendo nelle diciannove città con cui si era partiti l'anno scorso, con una grande estensione, come è stato ricordato, ad altre città.
È chiaro che la gestione prospettica di questo rilevante investimento deve essere


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molto attenta non solo al maturare delle condizioni di mercato ma anche all'ulteriore evoluzione tecnologica attesa, non solo in Italia ma anche all'estero, in termini di modalità di realizzazione della rete a larga banda. In funzione di queste due variabili verrà governata nei prossimi anni la prospettiva di una diffusione a livelli elevati del progetto S.O.C.R.A.TE così come era stato impostato.
Quindi, il progetto va avanti, ha già dei numeri precisi sia per l'anno scorso sia per quest'anno e procederà nel prossimo futuro attento a queste due variabili: crescita del mercato ed assestamento definitivo della soluzione tecnologica (Commenti dell'onorevole Floresta).

PRESIDENTE. Onorevole Floresta, lei sa che le interruzioni creano difficoltà ai fini della resocontazione.

TOMASO TOMMASI DI VIGNANO, Amministratore delegato della STET. Stream si è proposta, quando è nata, come gestore di un centro servizi, come anello di congiunzione tra i fornitori di contenuti e i fornitori della rete; il fornitore della rete sappiamo chi è, il fornitore dei contenuti è rappresentato fondamentalmente dal mercato televisivo, in questa fase. Stream si è presentata fin dalla sua nascita - che, grazie a Dio, non è così remota e soprattutto non ha raggiunto in termini di difficoltà di start up i livelli di negatività citati qui stamattina - con una grande logica di apertura: non ha nessun intendimento di mettersi a produrre televisione, né di dar corso ad un ruolo di raccolta pubblicitaria; il suo è un ruolo tipico di gestore di centro servizi e questo vuole mantenere. Evidentemente nella sua fase di partenza sta scontando le incertezze che l'assetto normativo sin qui ha indotto sul mercato televisivo italiano e che sono uno dei condizionamenti forti alla nascita di un'offerta significativa di pay-TV via cavo e via satellite. Sappiamo benissimo tutti quali siano le condizioni del mercato e della normativa a questo riguardo; è quindi ovvio che questa apertura al mercato da parte di Stream si è manifestata in questo ultimo periodo attraverso contatti con tutti gli operatori televisivi italiani come detentori di know how e di contenuti utilizzabili per la pay-TV e, nello stesso tempo, con coloro che conoscono ancor meglio il mondo della pay-TV, ossia con quanti già svolgono questo tipo di attività all'estero; sappiamo che uno di questi è presente anche in Italia; altri operano in altre realtà.
A fronte di questo scenario, ci auguriamo che Stream al più presto possa coagulare accordi di partnership con produttori di contenuti italiani ed internazionali in maniera tale da contribuire significativamente al decollo della televisione digitale in Italia. Questa potrebbe ovviamente fruire alternativamente ed in maniera complementare sia della soluzione via cavo, che stiamo approntando ma che necessariamente avrà i propri tempi, sia della soluzione satellitare che è di più veloce diffusione.
L'onorevole Panattoni si è soffermato sul polo informatico, rispetto al quale il bombardamento dei giornali in questi giorni è stato molto forte. In questo momento il nostro orientamento per ciò che riguarda Finsiel non dà alcuna priorità ad una prospettiva di questo genere. È nostro intendimento lavorare intensamente per l'efficientizzazione, il miglioramento della qualità dell'offerta che Finsiel tradizionalmente ha dato sul versante dell'informatica alla pubblica amministrazione; abbiamo anche un secondo obiettivo, quello di realizzare per una parte significativa di Finsiel un livello di integrazione con il mondo delle telecomunicazioni superiore a quello fin qui verificatosi.
Questo non esclude due prospettive aggiuntive. Nel tempo potranno prospettarsi esigenze di alleanze anche di tipo internazionale per il mondo Finsiel, ma non è questa una delle priorità che ci poniamo. In secondo luogo, eventuali forme di collaborazione con altri operatori anche italiani sul versante dell'offerta potranno benissimo realizzarsi attraverso accordi di tipo commerciale nella partecipazione a singole iniziative, singole gare, quindi in una logica pienamente di mercato, anziché di abbinamento di tipo societario.
Mi pare di aver già esposto i nostri orientamenti rispetto a Italtel. Non risultano


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confermati quelli che sono stati citati come gravi problemi occupazionali, anche perché quest'anno Italtel ha chiuso il suo bilancio in nero, dopo alcuni anni di difficoltà. Il portafoglio ordini proveniente sia dal mercato italiano, sia dalla componente apportata dal socio tedesco, ci lascia tranquilli anche per il 1997.
Per quanto riguarda l'internazionalizzazione, la ricerca del partner strategico continua e non credo che le anticipazioni emerse sui giornali abbiano svelato situazioni di tipo particolare o riservato. L'importante è collocare correttamente il tema dell'alleanza nei termini reali che in questo momento può avere nel mercato delle telecomunicazioni, cioè senza pensare che sia onnicomprensivo. Una volta collocato in questa sfera, il tema dell'alleanza riguarda quel tipo di offerta a quel segmento di mercato, ed in questo momento è possibile immaginare la collocazione di chi voglia entrare in un circuito di questo genere o in uno dei tre poli oggi esistenti oppure, in virtù dell'evoluzione degli operatori secondi e terzi gestori in Europa e della nuova regolamentazione del mercato statunitense, in un quarto polo da costruire. È in quest'ambito che si colloca anche la nostra fase di ricerca e di confronto, che in questo momento è particolarmente intensa.
Con la RAI non vi sono accordi ma confronti intensi nel quadro della politica di apertura, che prima ho ricordato, di Stream verso gli operatori italiani ed esteri del mondo televisivo.
A proposito dei tempi della fusione va detto, anzitutto, che il primo step successivo a quelli descritti prima dal presidente è quello del 30 aprile, con le assemblee. A partire da quel momento scatteranno fasi di definizione dell'assetto organizzativo della nuova società che dovranno essere disponibili ed operative al 15 di luglio, data prevista per l'operatività reale e concreta della nuova Telecom Italia.
Per quanto riguarda gli indirizzi e la valorizzazione del management interno, l'orientamento è certamente quello di garantire la massima attenzione alla valorizzazione delle risorse, dirigenziali e non, oggi presenti in questa realtà.
Credo valga la pena soffermarsi sul tema Internet. Ho con me alcuni dati che forse servono a smentire un luogo comune che, forse, finora non siamo stati capaci di chiarire. Cito soltanto quattro cifre: in Italia e negli altri tre grandi paesi dell'Europa occidentale (Francia, Gran Bretagna, Germania), la tariffa urbana feriale dopo le 18,30 - l'orario più tipico di utilizzo di Internet - per un'ora di connessione è la seguente: lire 1.143 per Telecom Italia, 2.678 per France Telecom, 2.129 per British Telecom, 2.849 per Deutsche Telekom. La tariffa urbana è il costo telefonico per l'utilizzo di Internet per l'85 per cento degli utenti. Vi è poi il problema del collegamento interurbano, che però riguarda il 15 per cento dell'utenza Internet. Da maggio entreranno in vigore nuovi pacchetti di agevolazione, con sconti specifici, anche per la parte interurbana.
In realtà, come è stato messo bene in evidenza dal Ministero dell'industria con un comunicato proprio di questa mattina, credo che lo sviluppo di Internet non trovi blocchi nel problema delle tariffe ma, purtroppo, nel livello di diffusione dei personal computer, soprattutto di quelli in rete, ancora modesto rispetto al resto d'Europa e agli Stati Uniti. Finché non riusciremo, anche attraverso azioni promozionali intense, come quelle che il gruppo ha recentemente attivato nei confronti del mondo della scuola, a far maturare condizioni per una diversa diffusione, è chiaro che, rispetto agli altri paesi, il problema del gap dell'utilizzo di questi servizi continuerà a permanere.
Aggiungo, riprendendo un cenno che è stato fatto poc'anzi, che l'accordo IBM non è saltato. Dal nostro punto di vista la durata della negoziazione è stata eccessiva. L'accordo si è trasformato da un'ipotesi di alleanza in un significativo accordo commerciale che riguarda aspetti sia di informatica, sia di offerta di telecomunicazioni. In questo momento non è operativo perché la sua rilevanza era tale da doverlo sottoporre all'approvazione di organismi della Comunità europea prima di poter diventare operativo. Siamo quindi in attesa di questa approvazione.


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Per ultimo credo, anche da parte dei colleghi, di dover ringraziare il presidente Stajano per ciò che ha voluto ricordare in termini di risultati del gruppo. Ci ha fatto piacere ascoltare una valutazione così positiva e ritengo che il nostro sforzo per un approccio ai diversi temi che si agitano nel settore e che ci accompagneranno per tutto il 1997 sia già comprovato dai fatti, in qualche misura. Ci auguriamo di avere un'assistenza, una spinta al consolidamento di un quadro normativo adeguati al tasso di evoluzione e proporzionati alle nostre attese. Di ciò vi ringraziamo anticipatamente.

FRANCESCO CHIRICHIGNO, Amministratore delegato della Telecom. Vorrei svolgere qualche considerazione a proposito di alcuni argomenti trattati dagli onorevoli intervenuti nel dibattito.
A proposito del problema dei costi, a cui ha accennato il dottor Tommasi, devo dire che dal 1994 ad oggi lo abbiamo assunto come fatto propositivo per creare ricchezza all'interno del sistema azienda e, conseguentemente, per realizzare investimenti molto sensibili e molto significativi, in un'epoca in cui su questa materia tutte le aziende sono abbastanza riflessive. Abbiamo quindi sviluppato al nostro interno la possibilità di realizzare investimenti, riducendo l'indebitamento, proprio in una politica di rivisitazione dei costi che non ha riguardato solo e soltanto i rapporti con i fornitori, ovviamente oggetto primario della nostra attenzione, ma anche tutti i processi produttivi dell'azienda. Ciò per far sì che in un processo di fusione di cinque aziende in una sesta azienda si potessero ottimizzare al meglio tutte le capacità intrinseche espresse ed inespresse dell'azienda stessa, in modo da avere dei costi ridotti.
Mi sono soffermato sulla politica dei costi perché è su di essa che l'azienda si è dovuta confrontare in una non adeguata politica dei prezzi. Infatti, ragioniamo sempre in base al principio per cui le aziende devono fornire ai propri clienti prezzi adeguati ai costi che riescono a generare, altrimenti si farebbe fatica ad ipotizzare l'applicazione del price cup e, quindi, di tutte le conseguenze annesse e connesse. Invece in Italia, purtroppo, permane una politica tariffaria che si basa su una problematica richiesta di liberalizzazione proveniente da più parti e su un'altrettanto problematica richiesta, anch'essa proveniente da più parti, di mutualità e di sussistenza fra un prezzo ed un altro. L'ultima modifica tariffaria che è stata infatti adottata pochi giorni orsono era anch'essa figlia di un incrocio fra due diverse esigenze. Alcuni settori in cui la nostra contabilità registra già una partita in rosso sono stati ulteriormente appesantiti, frapponendo quindi un elemento negativo sulla strada di una reale liberalizzazione. Tutto ciò non fa altro che ritardare il processo che noi vogliamo portare avanti.
A questo riguardo mi preme sottolineare anche una serie di altre questioni, che sono state da voi soltanto accennate. Per quanto concerne il canone di concessione, se esso non viene rivisto in tempi stretti, andrà praticamente a costituire una nuova asimmetria a livello europeo e mondiale tra il nostro sistema delle telecomunicazioni e quello delle altre aziende. Praticamente la nostra azienda viene ad essere caricata di un costo che altri non devono sopportare. Mentre altri hanno praticamente avuto delle facilitazioni nel ribilanciamento dei loro conti, la nostra azienda ha dovuto da sola sopportare l'onere di questo ribilanciamento. Il canone di concessione, che ha un peso per l'azienda di circa mille miliardi, è una di quelle leve che dovrebbero essere manovrate per realizzare una politica di prezzi tesa a favorire lo sviluppo dei servizi. Mi riallaccio al riguardo a quanto detto dalla vicepresidente onorevole Biricotti (che al momento non è presente). Lo sviluppo dei servizi può essere ovviamente favorito dalla Telecom, ma deve far parte anche della cultura dei vari organismi che devono usufruire di tali servizi. Il mondo bancario e il mondo della pubblica amministrazione godono poco di tali servizi e, proprio per questo, in Italia lo sviluppo delle telecomunicazioni è sempre stato abbastanza rarefatto. Rispetto a quanto accade in altri paesi, noi «catturiamo» un coefficiente del PIL molto inferiore. Ci


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possiamo rapportare alla Francia, ma rispetto all'Inghilterra la differenza è pari a diversi punti percentuali. Tutto ciò potrebbe costituire ricchezza per il sistema delle telecomunicazioni.
Un'altra questione che è stata sollevata è quella della separazione contabile. La nostra azienda sta andando verso una netta, precisa e completa separazione contabile. D'altra parte, alcuni servizi rispetto ai quali sono state effettuate trattative con il ministero ed anche con l'autorità antitrust (si pensi, per esempio, a interbusiness) hanno portato ad una netta separazione, escludendo qualsiasi sussidio incrociato.
Noi ci siamo impegnati, così come imponeva anche la direttiva europea, a predisporre listini di interconnessione, che saranno pronti entro il mese di giugno e che saranno sottoposti naturalmente alla convalida degli organi competenti.
Anche se si trattava di temi già affrontati dal collega Tommasi, desideravo puntualizzare quanto ho detto per rendere più agevole il vostro giudizio sul nostro comportamento.

PRESIDENTE. Se l'ingegner Gamberale vuole aggiungere qualcosa, può prendere la parola.

VITO GAMBERALE, Amministratore delegato di Telecom Italia mobile. Mi considero pienamente rappresentato da quanto detto dal presidente e dall'amministratore delegato della STET.

PRESIDENTE. Ribadisco il ringraziamento mio personale e di tutta la Commissione nei confronti dei rappresentanti di STET, Telecom e Telecom Italia mobile per il contributo fornito all'indagine conoscitiva. Sono certo che attraverso questa audizione sono stati offerti a tutti i commissari elementi di valutazione estremamente utili.
Ci avviamo al termine della nostra indagine conoscitiva sulle telecomunicazioni. Speravamo, per la verità, di chiuderla quando già fosse pervenuta alla Camera la legge sull'authority e sull'assetto delle comunicazioni; sembra di poter dire che così non sarà, salvo fatti che spero si determinino e che eventualmente saranno valutati sicuramente in modo positivo. In ogni caso questa indagine, che è stata particolarmente complessa e articolata in numerose audizioni, sarà posta a disposizione anche dei vertici della STET, che credo ne trarranno indicazioni utili ai fini di un approfondimento e di una valutazione.
Ringrazio ancora i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.15.