III COMMISSIONE
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 3 febbraio 1999


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La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

DARIO RIVOLTA. Vorrei che si riflettesse un momento sull'opportunità di attivare il circuito chiuso. Non si tratta di un avvenimento particolarmente atteso dall'opinione pubblica e dai giornalisti, a quanto mi risulta; quindi, potrebbe valere la pena di avere una maggiore libertà di espressione, senza necessariamente una comunicazione diretta verso l'esterno, pur essendo redatto un resoconto stenografico della seduta odierna. È una decisione che lascio ai colleghi e non ne faccio una questione di principio.

FRANCO DANIELI. Concordo con le valutazioni del collega Rivolta. Mi sembra che l'intendimento sia quello di discutere con serenità, approfondendo le tematiche per trovare soluzioni e risposte ad alcune nostre preoccupazioni. Non si tratta di un evento politico rilevante, ma di un incontro di lavoro; credo pertanto che la disattivazione del circuito chiuso ci consenta di lavorare meglio.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare che l'obiettivo di questo incontro era di mostrare preoccupazione per la raccolta di firme contro la presenza in Italia del Presidente Khatami e di rivedere un'ipotesi priva di considerazioni politiche formulata sull'onda del «tanto non costa niente e firmo» grazie ad una discussione ai fini di una valutazione più attenta.
Comunque, alla luce delle obiezioni sollevate, dispongo che gli impianti audiovisivi a circuito chiuso non siano attivati.

Audizione del ministro degli affari esteri, Lamberto Dini, sulla visita in Italia del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mohammad Khatami.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro degli affari esteri, Lamberto Dini, sulla visita in Italia del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Mohammad Khatami.

Do subito la parola al ministro.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Signor presidente, onorevoli deputati, la visita in Italia del Presidente dell'Iran Mohammad Khatami, nel marzo prossimo, è avvenimento di grande spessore internazionale. È quanto mai opportuno, pertanto, discuterne in questa sede, coglierne i molteplici aspetti.
Il viaggio del Presidente Khatami si presta ad una valutazione in termini di equilibri geopolitici di un'area vitale per i destini dell'Europa e del mondo, di incontro tra culture, civiltà, religioni, in una globalizzazione ormai non soltanto economica, di contributo del nostro paese all'altrui ammodernamento, proiettandovi vitalità, creatività, competitività del nostro sistema produttivo.

L'Iran è essenziale per la stabilità del Golfo, del Medio oriente, essenziale per l'Italia, che vuole essere un ponte dell'Europa


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lanciato nel cuore del Mediterraneo, avanguardia nel dialogo con altri paesi che sul Mediterraneo non si affacciano, ma che hanno comunque una valenza mediterranea. L'Iran è il terzo esportatore di petrolio e ha riserve che gli esperti ritengono si collochino al primo o al secondo posto tra quelle dei paesi produttori. Immensi giacimenti di gas naturale ne fanno il secondo produttore di gas. Crocevia geografico fra Europa ed Asia, l'Iran ha sviluppato con i paesi del Caucaso e dell'Asia centrale una rete di relazioni finora pragmaticamente orientate alla cooperazione economica e alla stabilità regionale. La crisi irachena ci ricorda il ruolo cruciale di Teheran nel contenimento di un paese sempre pronto a dotarsi di strumenti militari eccedenti ogni necessità di difesa. Ma in quell'area, più che il petrolio e gli eserciti, contano talvolta aspetti sottili e profondi della politica, modi e forme di convivenza tra il mondo occidentale e l'universo dell'Islam, del quale l'Iran rappresenta la forma più articolata e frastagliata, quella sciita. Il dialogo con l'Iran potrà rivelarsi produttivo anche per la comprensione dei nuovi fondamentalismi. Potrà, se non altro, aiutare l'Occidente ad affrontare dal lato più intelligibile un problema che rischia di divenire il più grave tra quelli che si affollano in questo ultimo scorcio di secolo.
L'elezione di Khatami, nel maggio 1997, ha avuto il sostegno dei settori della società civile maggiormente interessati alla modernizzazione del paese (soprattutto i giovani: in Iran il 65 per cento della popolazione ha meno di venticinque anni). Con il nuovo corso sono nati alcuni partiti ed associazioni che promuovono la partecipazione politica. Nei programmi del governo, interessanti sono il valore attribuito alla trasparenza ed alla solvibilità del settore pubblico, l'assenza di progetti inutilmente ambiziosi, l'attenzione dedicata ai giovani ed alla questione femminile. Il Presidente Khatami cerca di assecondare le attese migliori, attese molto forti nella società civile, riguardanti: il superamento dell'isolamento internazionale; il rispetto dei diritti umani; una visione politica che, pur non rinnegando le proprie tradizioni, le riconciliasse con la modernità, con le sue regole e le sue tecniche. Di qui il confronto interno, anche aspro, che investe tuttora il modello di società teocratica teorizzato da Khomeini e attuato dai suoi successori. L'Iran di Khatami cerca di superare la linea di condanna e di demonizzazione pregiudiziale dell'Occidente; tenta di stabilire con esso, al contrario, un dialogo paritario. Come logico corollario di questa nuova disponibilità, l'Iran, in cambio, desidera essere considerato alla stregua non più di paese nemico, bensì di grande e responsabile potenza regionale. Il Presidente Khatami deve tuttavia fare i conti con un movimento conservatore, talvolta oscurantista, ancora molto forte, soprattutto nel clero e in Parlamento. Egli stesso ha parlato apertamente di un «fascismo religioso». Ambiguo anche il ruolo degli apparati di sicurezza, come drammaticamente evidenziato nelle ultime settimane dall'esplicita chiamata in causa di alcuni responsabili dei servizi segreti per l'uccisione di esponenti del mondo culturale.
Il Presidente Khatami è atteso ad un lungo e paziente cammino. Le elezioni amministrative del 26 febbraio prossimo - proprio alla vigilia della sua visita in Italia - saranno una verifica importante del consenso moderato. Il governo deve consolidare gesti ed atteggiamenti che hanno finora consentito di riaprire il dialogo con l'Occidente. Ad esempio, la decisione di non dare attuazione alla condanna a suo tempo emessa contro lo scrittore Salman Rushdie. Una svolta che ha, tra l'altro, consentito la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Teheran e Londra. Aveva perorato questa causa anche l'allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi, recandosi a Teheran nel giugno 1998.
L'Iran ha dato prova di moderazione ed equilibrio nella difficile crisi insorta nell'estate scorsa con l'Afghanistan, a seguito dell'uccisione, in quel paese, di propri diplomatici - nove, per l'esattezza - ad opera delle milizie dei Talibani.


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L'Iran di Khatami interpreta in modo costruttivo la propria presidenza di turno, fino al 2000, dell'Organizzazione della conferenza islamica. Di recente, inoltre, l'Iran, unico tra i paesi mediorientali, ha aderito alla Convenzione sul controllo delle armi chimiche ed ha aperto alcuni siti sensibili alle ispezioni internazionali. Nel processo di pace arabo-israeliano, il governo Khatami ha assunto una posizione sostanzialmente moderata; pur mantenendo uno scetticismo di fondo sulla validità della strada intrapresa ad Oslo, riconosce la necessità di arrivare ad una soluzione per via negoziale, rifuggendo dalla violenza.
Tutto questo ha favorito un qualche rasserenamento anche dei rapporti con gli Stati Uniti: ne è testimonianza, oltre ad uno scambio di messaggi televisivi, la decisione americana di attenuare il regime sanzionatorio. Forti condizionamenti limitano tuttavia l'azione sia di Washington sia di Teheran, frenate rispettivamente da un Congresso sempre molto critico verso l'Iran e da un Parlamento e da un clero iraniani ancora ostili agli Stati Uniti. Permangono ancora zone d'ombra, in particolare per quanto riguarda le ricorrenti voci su programmi iraniani di riarmo non convenzionale. Molto resta da fare nel campo dei diritti umani, della libertà di espressione, delle riforme economiche. I rischi dell'involuzione di una primavera iraniana sono sempre presenti. Presenti finché la liberalizzazione non si sarà tradotta in riforme istituzionali che sciolgano le ambivalenze del sistema politico, attraverso una reinterpretazione liberale dei principi religiosi su cui si fonda la Repubblica islamica.
L'Italia per prima ha compreso la necessità di sostenere i propositi di modernizzazione di Khatami, di incoraggiare le forze più moderate, di far uscire il paese dall'isolamento. Abbiamo sempre sostenuto, con i nostri partner ed alleati, che l'emarginazione fosse la condizione meno adatta a favorire l'emergere di una società più aperta, più tollerante, disposta al dialogo ad alla cooperazione. La visita del Presidente Khatami non sarà quindi un evento episodico. Si iscrive in una ben precisa e coerente linea di nostra politica estera. Sono stato il primo ministro degli affari esteri europeo a recarmi in Iran, nel marzo scorso, anticipando una svolta dell'Unione europea, e, più in generale, del mondo occidentale. La nostra politica di apertura, testimoniata da numerosi scambi di visite a livello governativo, parlamentare e culturale (ricordo quella del Presidente Violante nell'aprile scorso), ha finito per rappresentare un autentico volano nel rilancio delle relazioni tra Teheran e gli altri paesi europei. Anche l'Unione europea ha avviato un nuovo corso, un dialogo franco ed aperto, non più limitato ai soli temi critici (diritti umani, terrorismo e non proliferazione), ma esteso anche a questioni attinenti alla collocazione più generale del paese nel contesto mediorientale e centro asiatico. Elemento originale di questa strategia è il dialogo tra le civiltà e le culture, dialogo commisurato alla nostra storia ma anche alla visione dei rapporti internazionali proprio del Presidente Khatami. Volle testimoniarmelo con forza in occasione della nostra conversazione a Teheran del marzo scorso e lo ha ribadito più volte, dinanzi alle Nazioni Unite, in interviste e pubbliche allocuzioni. Mentre ogni civiltà si interroga per dare le proprie risposte alle nuove sfide della modernità, sul piano internazionale si cercano nuovi strumenti con i quali gestire le situazioni di conflitto e costruire relazioni più stabili ed equilibrate, per individuare, attraverso il confronto, valori e modelli che possano essere condivisi. Il Convegno tenuto a Torino nel dicembre scorso su «Religione e società e Stato in Italia e Iran», al quale ho partecipato insieme al ministro degli esteri Kharrazi, è stato un esempio singolare di reciproco avvicinamento, punto di partenza di nuove iniziative. A conclusione del Convegno, entrambe le parti hanno manifestato l'intenzione di proseguirne il motivo ispiratore. La visita del Presidente iraniano consentirà di fare avanzare il progetto di un confronto su quattro grandi, antiche civiltà, egiziana, greca, persiana e romana, la cui realizzazione è


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prevista per l'anno 2000. Non a caso il soggiorno di Khatami in Italia prevede anche una conferenza presso l'Istituto universitario europeo di Firenze; sarà il luogo di un messaggio all'Europa, un'Europa che, anch'essa, vuole sottrarsi al risorgere del razzismo e delle esclusioni, sfuggire ad una vecchia logica di chiusura e di ripiegamento su se stessa. Sarà, quello di Firenze, un incontro nel segno delle grandi tradizioni. Uno dei demoni dell'Europa è stata la tendenza a confondere troppo spesso la propria civiltà con la civiltà universale, volere un mondo a propria immagine. Se l'Europa vuole essere un modello per il mondo moderno, deve anch'essa rispettare gli altri, aprirsi agli altri.
La visita, la prima effettuata in un paese europeo dal Presidente Khatami, corona dunque gli sforzi fin qui congiuntamente esercitati in favore del pieno reinserimento del paese nella comunità internazionale. Rappresenta, al tempo stesso, il punto di partenza verso nuovi e più ambiziosi traguardi L'Iran sta approfondendo l'ipotesi di accordi con i confinanti paesi della ex Unione Sovietica per la costruzione di una rete di gasdotti regionali; è coprotagonista di una strategia internazionale intesa a disegnare o ridisegnare il tracciato di approvvigionamenti energetici fondamentali anche per il nostro continente. Ma l'improvvisa caduta della rendita petrolifera, che normalmente rappresenta il 40 per cento del bilancio complessivo, ha costretto l'Iran a rivedere più volte i propri conti. Spinge, soprattutto, a sciogliere l'economia dai vincoli esclusivi dello sfruttamento energetico, in un processo di diversificazione che fa appello anche al concorso esterno. Vorrei a questo proposito ricordare la firma, nel febbraio 1998, di un protocollo tra l'ICE e l'omologo istituto iraniano per iniziative congiunte nei settori agricolo, alimentare e farmaceutico. La lotta all'inflazione ed alla disoccupazione sono i principali obiettivi della politica di quel governo: creare, in altri termini, le condizioni di stabilità, trasparenza e convenienza che possano attrarre i capitali stranieri, in particolare europei; introdurre gli strumenti, anche normativi, per la tutela e la prosperità del capitale straniero. Tra Italia ed Iran è in corso di negoziazione un accordo di promozione e protezione degli investimenti. L'Iran è un paese di grande interesse per le imprese italiane, molte delle quali già presenti su quel mercato; l'Italia è il quarto fornitore (dopo Germania, Emirati e Giappone), ed il secondo cliente (dopo il Giappone). L'apertura al mondo esterno del governo di Khatami, il proposito di un rapporto fruttuoso e stabile con noi, hanno creato le condizioni per un rilancio delle relazioni economiche bilaterali e per il superamento dei contenziosi commerciali ancora pendenti. Si è così giunti, il 21 gennaio scorso, alla firma di un memorandum of understanding tra la SACE e la banca iraniana Markazi - la banca centrale - per la parziale ristrutturazione delle scadenze del debito. Le intese hanno aperto nuove prospettive di collaborazione economico-commerciale. Sono molte le nostre società interessate all'aggiudicazione di importanti commesse nei settori petrolifero, della produzione di energia, delle telecomunicazioni, siderurgico e delle infrastrutture. Il ruolo di partner europeo privilegiato e le conseguenti rilevanti prospettive non debbono indurci ad ignorare le molte incognite ed i rischi tuttora presenti; consigliano tuttavia di proseguire nella disponibilità e nel sostegno al cammino riformatore del governo di Khatami.
Questo, in sintesi, il ricco bagaglio che accompagna l'imminente visita tra noi del Presidente dell'Iran, un bagaglio che certo non ci impedisce di vedere luci ed ombre nel travaglio della società e del governo di quel paese. Travaglio che ci conferma tuttavia nella nostra strategia, che è anche la strategia dell'Europa, intesa a favorirne l'evoluzione interna ed esterna perché l'Iran possa, nel contesto internazionale, svolgere un ruolo commisurato al suo peso ed alle sue tradizioni. La visita assume un significato che va ben oltre la cerchia dei rapporti bilaterali. Il Parlamento è certamente consapevole delle sue


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molteplici e rilevanti implicazioni e - non ne dubito - vorrà dare all'azione del Governo tutto il sostegno necessario.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano svolgere considerazioni o porre quesiti.

FRANCO DANIELI. Esprimo consenso pieno alla relazione del ministro degli affari esteri sul tema della visita del Presidente Khatami. La ragione dell'audizione odierna nasce da una preoccupazione - che era stata concordemente manifestata dai diversi rappresentanti dei gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione - non tanto per una raccolta di firme, che è assolutamente legittima, quanto per un pressappochismo nella valutazione da parte di alcuni colleghi: mi riferisco solo a quelli che conosco e che mi risulta abbiano firmato senza peraltro ricevere - qui confermo le indicazioni fornite dal collega Rivolta la settimana scorsa - il testo del documento che avevano sottoscritto. Vi è quindi una sorta di incertezza anche rispetto all'uso che poi sarà fatto di quel documento e ai suoi stessi contenuti.
Scopo di questa audizione è di capire fino in fondo la complessità attuale della società iraniana, con i pro e i contro, come anche lei, signor ministro, ha puntualmente sottolineato, nel senso che è una situazione in divenire, rispetto alla quale ad oggi non sappiamo quale prospettiva prevarrà, se quella riformatrice o quella oscurantista, una prospettiva cioè di violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ma non riuscire oggi a cogliere la dinamica interessante e assolutamente positiva che si è aperta all'interno di quel paese, con posizioni riformatrici espresse dal Presidente Khatami, o comunque anche da un'area di intellettuali vicini a queste ipotesi riformatrici, vuol dire banalizzare la complessità della odierna situazione sociale e politica in quel paese.
Condivido la sua analisi, signor ministro. In una visione di realpolitik e di corrispondenza in questo caso alla oggettività dell'evoluzione che si manifesta in quel paese, ritengo sia assolutamente positivo per il nostro paese accogliere il Presidente Khatami, soprattutto svolgendo un'azione di intesa con l'Unione europea per rafforzare il processo riformatore in atto in Iran e coinvolgere in un dialogo non esclusivamente bilaterale anche gli altri partner europei. In una visione di realpolitik dobbiamo sempre scegliere le tendenze che consentono l'inclusione e non l'esclusione di Stati, partendo da tutte le ricadute positive che si possono manifestare sui temi che ci sono molto cari, quali quello della tutela dei diritti di libertà e di espressione dei diritti umani più in generale.

RAMON MANTOVANI. Vale la pena di ricordare alcuni elementi della storia recente dell'Iran. Quando vi fu una vera e propria insurrezione di popolo contro un regime fascista e totalitario che non esitava a schiacciare nel sangue qualsiasi anelito di libertà dell'Iran, il regime dello scià, regime sostenuto per decenni dall'Occidente e con il quale l'Occidente ha intrattenuto sempre ottime relazioni; quando vi fu quella insurrezione - dicevo - essa venne osteggiata dall'Occidente e soprattutto dagli Stati Uniti d'America.
Faccio riferimento a questo evento ormai storicamente acquisito perché quella politica di ostacolo alla volontà di un popolo di liberarsi da un regime oppressivo fu alla base dell'involuzione di quel regime. Non bisogna dimenticare che il primo governo che ebbe l'Iran liberato dallo scià era diretto da un liberale illuminato che potrei tranquillamente annoverare tra gli esponenti di un modello di democrazia occidentale. Nonostante ciò l'Iran fu aggredito da ogni punto di vista; tra l'altro, anche con una guerra mossa da Saddam Hussein, che a questo fine allora veniva armato e foraggiato dalle potenze occidentali, prima fra tutte gli Stati Uniti d'America. Ciò portò ad un'involuzione di quel regime che ridusse quel capo di governo ad un esule politico, ed è tuttora esule in Francia. Nel corso di tutti questi anni - parliamo ormai di diciotto-dician


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nove anni - quell'involuzione è stata diametralmente speculare al tentativo di guerra economica e di isolamento che il paese ha subìto. Come sempre quando ci sono embarghi e aggressioni - e ci sono altri casi che non vorrei aprire qui, ma che sono di altrettanta attualità - i regimi tendono a fare quadrato e ad ottenere un consenso da parte della popolazione, con un reciproco vantaggio, dell'aggressore e del regime aggredito, che in questo gioco conservano entrambi una posizione privilegiata nello scacchiere internazionale.
Ci sono dunque enormi responsabilità dei paesi occidentali, e in primo luogo degli Stati Uniti d'America, nell'aver determinato quell'involuzione. Vi è una responsabilità diretta ma sicuramente anche una responsabilità indiretta, perché in questo modo si è consentito che in quel paese si consumassero i delitti terribili che sono stati commessi non solo contro i diritti umani ma anche contro l'umanità nel suo complesso.
Il ministro Dini sa bene che abbiamo appoggiato la politica di timidissima apertura che i nostri governi, a cominciare da quello presieduto dall'allora Presidente del Consiglio Dini, hanno portato avanti nei confronti della possibilità di porre fine all'embargo. Ciò peraltro corrisponde anche ad un interesse specifico del nostro paese. E noi siamo, come l'onorevole Danieli, molto interessati a comprendere l'evoluzione della situazione interna al regime iraniano, perché di regime tuttora si tratta. Del resto, il ministro degli affari esteri, con la sua consueta e naturale cautela, ha parlato di luci ed ombre, ha parlato di servizi di sicurezza ambigui che nel corso degli ultimi mesi hanno ucciso diversi esponenti dell'opposizione all'estero dopo averli inseguito a lungo.
Siamo molto interessati a vedere questa evoluzione. Tuttavia, proprio perché abbiamo cercato di conoscere e di capire, non solo attraverso gli oppositori ma anche per conoscenza diretta, non ci sembra che la situazione sia così rosea. Nessuno mette in discussione la natura confessionale dello Stato iraniano, ma è proprio da tale natura che derivano le leggi che permettono, in applicazione di norme precise, di lapidare le donne considerate adultere e gli omosessuali, e di commettere crimini che nulla hanno a che vedere con l'opposizione politica, che anche in quel paese è naturalmente considerata puro terrorismo, perché chiunque si opponga ad un regime da quel regime è sempre catalogato come terrorista.
La situazione, ripeto, non mi appare così rosea. Quando mi sono trovato di fronte all'opzione se apporre o meno la mia firma in calce a quel documento (che alcuni definiscono «famigerato» ma per me non lo è affatto), ho deciso di firmarlo, con cognizione di causa. Innanzitutto mosso da un principio che guida il mio atteggiamento e che non è sottoposto a realpolitik di sorta, e cioè quello della solidarietà nei confronti di un'opposizione democratica che valuta in un certo modo un atto politico del Governo italiano e che gli chiede di recedere da quell'atto politico. Si badi bene, con questa opposizione iraniana, cioè con il consiglio nazionale della resistenza iraniana, non ho un'identità di vedute su moltissimi aspetti della sua politica nazionale: per esempio, loro sono d'accordo sull'embargo al quale io invece sono contrario, ed infatti ogni passo del Governo italiano teso a superare questa misura punitiva è stato da me appoggiato anche in dissenso da loro. Tengo a fare questa precisazione perché il gesto compiuto da me e dagli altri colleghi del mio partito che hanno firmato il documento si configura non come un atto di solidarietà automatico e semplicemente dovuto, ma come un gesto di solidarietà ragionato. Penso piuttosto che il Governo italiano, prima di arrivare ad un'azione politica di questa portata, che indubbiamente costituisce un fatto in qualche misura storico (l'Italia è il primo paese europeo che riceve in visita il Presidente Khatami), meglio avrebbe fatto ad agire ancora di più sulla rimozione dei motivi che hanno alimentato l'involuzione del regime, innanzitutto sulla questione dell'embargo; in secondo luogo, meglio e di più si sarebbe potuto fare per chiedere al Governo iraniano di dismettere la repressione


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dell'opposizione politica, che è da tutelarsi da parte di un paese democratico e civile, come sostiene di essere l'Italia, più degli stessi interessi economici che pure si veicolano attraverso questa grande operazione che comunque resta sempre di carattere politico.
Dissento dunque sia sul livello sia sulla direzione dell'iniziativa che è stata intrapresa, che mi sembra muoversi all'interno della classica politica che tutti i governi italiani hanno condotto negli ultimi anni, che è di cercare, sì, dei varchi di autonomia, ma nell'ambito di compatibilità che comunque non si vogliono toccare e che sono quelle imposte dalla politica estera degli Stati Uniti in quell'area e dall'alleanza politico-militare alla quale il nostro paese appartiene.
La nostra critica non è tuttavia dello stesso spessore e della stessa portata di quella che abbiamo mosso in altre occasioni e su altri temi. Comprendiamo le motivazioni che spingono il Governo a fare questa operazione, così come rispettiamo le posizioni di altri colleghi che furono con noi in atti di solidarietà con il consiglio nazionale della resistenza iraniana auspicando che possano rivedere e cambiare almeno parzialmente le loro posizioni. In sostanza ribadiamo sia il nostro apporto ad una parte della politica estera italiana nei confronti dell'Iran sia un'acuta critica nei confronti di questa specifica iniziativa.

DARIO RIVOLTA. Signor ministro, la ringrazio per il suo intervento, che giudico intelligente ed istruttivo.

PRESIDENTE. Istruttivo o distruttivo?

DARIO RIVOLTA. Ho detto: «ed istruttivo»! Sono due termini - intelligente e distruttivo - non incompatibili, anzi, utilizzati in una logica non solo rivoluzionaria ma anche appartenente a molti filosofi, e che può darsi abbiamo in comune.
Signor ministro, nel suo intervento mi ha molto colpito un aspetto che condivido: si tratta dell'accenno ad un atteggiamento dell'Europa, che a volte ha mostrato di credere di poter creare un mondo a propria immagine e somiglianza. È quanto di più sbagliato si possa fare, ma spesso ci siamo trovati a farlo, per fortuna non con estrema coerenza, perché in caso contrario saremmo venuti totalmente meno al rispetto delle differenti sensibilità e - faccio un esempio tra i più banali - saremmo stati costretti ad interrompere le nostre relazioni con paesi come l'Arabia Saudita in quanto pratica un procedimento per noi disumano, quello del taglio della mano per i ladri. Ben altre sono comunque nella realtà le differenti sensibilità che vanno rispettate. Il mondo deve continuare a mantenere la possibilità di differenti immagini, e questo è un criterio che - mi fa piacere - è tenuto presente dal ministro degli affari esteri di questo Governo. Ciò non toglie che noi, ugualmente agli altri paesi, abbiamo il diritto di perseguire i nostri valori ed abbiamo la giusta ambizione che tali valori siano volontariamente condivisi, ove possibile, anche da altri paesi.
Signor ministro, anche alla luce degli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, emerge una condivisione, almeno fino ad ora, della rilevante portata della visita in Italia del Presidente Khatami: pur con le luci ed ombre che, come è stato sottolineato da lei stesso ma anche da altri, esistono nella realtà, Khatami sembra (dobbiamo usare una formula dubitativa) più vicino alla nostra sensibilità rispetto ad altre forze e ad altri poteri all'interno dell'Iran. Sarebbe logico in questa luce, se Khatami svolgesse realmente questo ruolo, aiutare tale evoluzione, rafforzando anche con questa visita la sua posizione nel suo stesso paese, legittimandolo maggiormente.
Vorrei sottolineare un aspetto che non mi sembra sia stato evidenziato a sufficienza: l'Iran svolge un ruolo importante, grazie ad atteggiamenti come sembrano essere quelli di Khatami, di non radicalizzazione delle posizioni. Stiamo parlando di un'area che, come tutti sappiamo, è per vari motivi particolarmente delicata, ed è nostro interesse che non


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prevalgano posizioni estreme e radicali, di netta contrapposizione nei confronti dell'Occidente ed in particolare dell'Europa; è nostro interesse, per una questione geopolitica, evitare che si creino le condizioni per una radicalizzazione, elemento colto e condiviso da tutti i colleghi intervenuti. Tutti coloro che hanno già parlato ed implicitamente anche lei, signor ministro, hanno riconosciuto anche la sussistenza di un problema che forse travalica la normale accettazione di una differente sensibilità, un problema che tocca in maniera cruciale alcuni dei diritti umani che siamo abituati a considerare sacri.
Sarebbe opportuno, proprio perché questi due fattori hanno entrambi validità, che alla fine di questo incontro, come era stato già detto tra colleghi in maniera informale, scaturisse un documento della Commissione esteri che inviti il Governo, proprio in occasione di quella visita di cui si ribadisce la necessità e l'importanza, rafforzando quindi la posizione dell'esecutivo nell'interlocuzione con la controparte, a porre in particolare evidenza, nel corso del dibattito, il tema dei diritti umani. Se Khatami, come sembra, rappresenta l'anima meno integralista e meno oscurantista all'interno del regime iraniano, l'evidenziazione da parte del nostro Governo di questi temi potrebbe rafforzarlo nell'azione che sta compiendo, senza dimenticare evidentemente che la sua posizione attuale all'interno dell'Iran sembra non particolarmente stabile né eccezionalmente forte, ma ancora soggetta alla possibilità di capovolgimenti per la contrapposizione delle varie forze ed anche per la crisi socioeconomica in atto nel paese, che indebolirebbe qualunque tipo di governo. È anche questo un fattore di cui tenere conto.
Mi riprometto con i colleghi, se - come penso ed auspico - ci sarà una possibilità di accordo, di fare tutto il possibile affinché la Commissione approvi una risoluzione che sarà poi sottoposta alla sua attenzione prima dell'incontro con Khatami.
Concludo ribadendo che la linea che il Governo sta seguendo in questo momento in quella zona del mondo mi sembra l'unica praticabile.

MARCO PEZZONI. Signor ministro, ritengo che le sue affermazioni siano in gran parte condivisibili; vorrei quindi sviluppare solo alcune riflessioni in ordine ai diritti umani, al processo di democratizzazione, alle novità della politica europea, ricordando che è stato un ministro degli affari esteri italiano ad aprire questa nuova strada, come lei giustamente ha detto, proprio per sottolineare come tale novità nel rapporto tra Iran ed Europa non sia solo il frutto di scelte contingenti e di alcune convenienze geopolitiche ed economiche.
Vorrei sviluppare il tema dei diritti umani e l'aspetto della democratizzazione: come ha detto giustamente il collega Rivolta, la situazione è incerta, ma io non mi sentirei - come Italia, come Europa, come comunità internazionale - di accollarmi la responsabilità storica di non aver fatto il possibile, in una situazione del genere, perché quel processo ambiguo ed incerto evolvesse verso maggiori garanzie dei diritti umani e di pluralismo. È questa infatti la partita aperta, e la partita aperta come l'abbiamo vista in tante parti del pianeta ci interpella anche sul piano etico, dicendo a noi Italia ed Europa che è con la diffidenza nei confronti di politiche di contenimento e di esclusione che favoriamo, dall'alto di un nostro giudizio occidentale, l'evoluzione ed il radicamento del pluralismo e della crescita dei diritti umani, mentre la grande strategia della comunità internazionale, quella dell'inclusione, è ancora alle prime battute e fatica ad emergere. È questo il punto chiave.
Abbiamo visto spesso gli errori della vecchia politica che mostra i muscoli (e che in fondo è il frutto di una politica di esclusione) o di quella statunitense verso l'Iran e verso l'Iraq che non a caso è stata battezzata del «doppio contenimento»; c'è il superamento di una strategia statunitense che ha fatto il suo tempo nel Mediterraneo, nel Golfo, nel Medio


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Oriente, la vecchia strategia del «doppio contenimento» (del contenimento, in questo caso, solo verso uno dei paesi), che stiamo mettendo in discussione alla radice. Come si fa a non cogliere l'esistenza di una svolta straordinaria rappresentata da una politica che cerca di dare una mano innanzitutto all'evoluzione e ai diritti umani e che è alternativa alle politiche dell'embargo, dell'esclusione, della contrapposizione? E poco importa che provenga dall'estrema destra, dall'estrema sinistra o dall'estremo centro; parlo di estremo centro perché so che il collega Taradash è uno dei più grandi sostenitori dell'inopportunità della visita di Khatami in Italia. Si tratta di un clamorosissimo errore politico. Nutro molta simpatia, anche umana, per la resistenza iraniana in esilio, però politicamente non posso non vedere che è un errore trasformare la loro giusta critica ed esigenza di sviluppo di diritti umani in una linea politica di contrapposizione a quei milioni di giovani e di donne iraniani che, votando per il 70 per cento per Khatami, hanno aperto uno spiraglio interno di limitazione del vecchio regime. È evidente allora l'errore politico clamoroso, perché in realtà chi è in esilio dovrebbe allearsi con chi è all'interno per favorire il processo di democratizzazione.
Sottolineo con forza che siamo di fronte ad una linea che ha un'enorme nobiltà politica ed etica, che salda le questioni dei diritti umani con una politica di inclusione, di superamento della «doppia esclusione». Vorrei ricordare che Khatami ha parlato alla 53a Assemblea dell'ONU (chi di noi vi ha partecipato lo sa); tra l'altro la resistenza iraniana, che è fortissima anche negli Stati Uniti, ha ottenuto che Clinton non lo incontrasse: grande errore politico, perché appunto gli Stati Uniti sono in ritardo quanto a coraggio politico e democratico, ma innanzitutto - loro sì - si fanno guidare esclusivamente da una convenienza affari-economia. Khatami all'Assemblea dell'ONU ha stretto con la comunità internazionale il patto di affrontare la questione dei diritti umani, della crescita democratica, della lotta al terrorismo. Vorrei ricordare - il ministro Dini lo sa benissimo - che si sono verificati avvenimenti che l'ONU ha guardato con grande interesse, per esempio quando a Teheran lo scorso anno è stata promossa la Conferenza internazionale per la pace in quell'area, con osservatori dell'ONU, per la questione Afghanistan, centro Asia, fondamentalismo, tensioni con il Pakistan. L'ONU ha guardato con interesse a questa iniziativa, come del resto anche noi, così come abbiamo guardato con interesse al fatto che l'Iran non abbia trasformato in una guerra - e lo poteva fare - il conflitto clamoroso per l'uccisione di cittadini iraniani in Afganistan, cercando invece di risolvere la questione su un terreno esclusivamente diplomatico. Dal rapporto dell'ONU dell'anno scorso sui paesi che in questi anni hanno primeggiato per il diritto di asilo e per la capacità di accoglienza di milioni di profughi, emerge che il primo in assoluto non è un paese europeo, non sono gli Stati Uniti, ma è l'Iran; milioni di azeri, di afghani, di curdi e appartenenti a minoranze religiose si sono rifugiati nelle grandi periferie di Teheran o di altre grandi città iraniane e sono ospitati dal paese, sia pure in baraccopoli. E come allora non riflettere anche sulla capacità dell'Iran di diventare il primo paese al mondo per asilo politico?
Concludo affermando che condivido la linea del Governo italiano e le affermazioni del ministro Dini su questa nuova «via della seta», non solo degli affari e dei commerci ma anche della democrazia, da aprire verso il Golfo e verso il Medio Oriente. Inoltre, concordo con il collega Rivolta sull'opportunità di un documento, ma ritengo interessante prevedere un incontro, anche se so che sarà difficile, tra la Commissione esteri e il presidente Khatami; a mio giudizio sarebbe importante che il Parlamento mostrasse di non aver paura di affrontare la questione dei diritti umani, ma di essere disponibile ad incontrare tutti i capi di Stato e di governo, per far capire quanto teniamo al primato dei diritti umani, alla strategia di inclusione di tutta quell'area, dando una


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mano concreta, politica innanzitutto, all'affermazione dei diritti umani e della democrazia in Iran.

GABRIELE CIMADORO. Condivido pienamente la linea espressa dal ministro Dini, e posso capire l'esistenza di luci ed ombre e la moderazione della sua relazione, anche perché egli rappresenta il Ministero degli affari esteri e la nazione; però, nell'ambito della nostra Commissione, possiamo anche alzare un po' i toni della discussione, mettendo in evidenza il vero problema di questo paese.
Sono convinto, perché il Presidente Khatami rappresenta la speranza per il suo popolo di uscire dal clima chiuso e persegue comunque il rafforzamento del processo di democratizzazione del paese, che dobbiamo andare avanti su questa linea, chiedendo al Governo di fare grandissimi sforzi sul fronte dei diritti umani e della libertà, perché purtroppo da questo punto di vista l'esecutivo non ha ancora la capacità di portare avanti delle iniziative concrete. Su questi aspetti dobbiamo insistere. Credo che l'Italia svolga un ruolo importante: come ha detto il ministro, è ormai la propaggine più avanzata verso l'Asia e l'Africa, ed il nostro ruolo deve essere sempre più determinato alla ricerca di nuovi sviluppi e di nuove opportunità, anche perché l'Iran rappresenta per noi un paese su cui investire molto e da cui possiamo ricavare molto.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Penso che l'argomento di cui stiamo oggi discutendo sia di estrema importanza e meriti proprio per questo un'attenzione particolare. Nessuno mette in dubbio la potestà del Governo di incontrare il capo di un governo estero, però è chiaro che ci sono momenti in cui questi passaggi richiedono chiarezza di posizioni, in modo particolare da parte del Governo italiano.
Si tratta di un'azione certamente importante, ma che forse andava inquadrata nel più ampio contesto dei rapporti fra l'Unione europea e l'Iran, che senza dubbio svolge una funzione importante nello scacchiere del Golfo ma che sembra difficile possa essere considerato un elemento di stabilità in quell'area. Ecco perché un atteggiamento italiano di attenzione verso quel paese andava verificato e concordato a livello europeo ed eventualmente portato avanti in quella direzione senza un impegno diretto dei singoli governi ed in particolare del Governo italiano.

MARCO PEZZONI. C'è un impegno anche della Francia e della Spagna.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Certamente la Francia è uno dei paesi che continua ad avere importanti rapporti economici con l'Iran: lo ha fatto anche durante il periodo dell'embargo. Ciò è comunque dovuto a motivi di natura diversa, tra i quali probabilmente il fatto che la Francia pone gli interessi economici al di là e al di sopra di altre valutazioni. In Italia abbiamo invece la necessità di sottolineare l'importanza - e in questo Khatami doveva e deve dare segnali inequivoci - che il Governo italiano deve richiedere impegni precisi sul problema del rispetto dei diritti umani. Il Governo italiano, che ha rischiato una crisi diplomatica con un paese amico che fa parte della NATO, la Turchia, per sostenere il diritto alla permanenza in Italia di un capo terrorista come Ocalan, non vedo perché non debba avere la giusta e necessaria attenzione nei confronti di rifugiati e perseguitati che vengono rincorsi e uccisi in tutto il mondo dagli uomini dei servizi dello Stato che Khatami rappresenta. La sua appartenenza ad un'ala più aperta rispetto alle esperienze dei governi che si sono susseguiti dopo la rivoluzione islamica ci pone in una posizione di attenzione nei confronti suoi e del suo governo, però attribuire patenti e passaporti di democrazia, di liberalità e di garanzia dei diritti umani a persone che fino ad oggi non hanno dato segni tangibili in questa direzione significa andare più in là del necessario.
Chiediamo dunque al ministro che nell'agenda dell'incontro con Khatami al primo punto ci sia il riconoscimento dei


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diritti umani e delle garanzie delle libertà democratiche. Se poi vogliamo parlare dell'aspetto economico, non penso che i rapporti delle nostre industrie con lo Stato iraniano siano stati sempre idilliaci. Il ministro ha fatto riferimento ad un vecchio contenzioso con la SACE, che si è chiuso ma che è costato a molte aziende italiane addirittura il fallimento, con migliaia di persone che si sono trovate senza lavoro, grazie agli atteggiamenti che in campo economico - in sostanza non pagando quanto dovuto - sono stati assunti in passato dal governo iraniano.
Questi problemi vanno posti in maniera evidente perché se vi è una possibilità che si creino rapporti con l'Iran, non dobbiamo dimenticare che sul terreno economico devono essere fornite ampie garanzie, non solo per oggi ma per sempre, perché non possiamo permetterci di mandare le nostre aziende allo sbaraglio in paesi dove si troverebbero abbandonate a se stesse. Il punto essenziale - lo ripeto - è che nel programmato incontro venga posto al primo punto dell'agenda il richiamo alla difesa dei diritti umani.

GIOVANNI BIANCHI. Mi ricollego, anche per abitudini ragionative e per temperamento, all'ultima osservazione del collega Amoruso. Sono anch'io convinto che il quadro dei diritti umani debba essere non solo presente ma evidente in questa fase. Dico questo perché non mi sentirei, come il collega Danieli, di rivolgere un invito alla realpolitik, anche perché mi sfuggono i termini di che cosa sia realpolitik oggi, soprattutto in uno scacchiere con le difficoltà e le incognite che presenta quello mediorientale, che proprio per questo, signor ministro, lei fa bene a frequentare. Del resto anche la nostra prossima missione in Iraq presenta, diciamo così, qualche analogia con tale linea politica.
Per converso, sono meno fiducioso del collega Pezzoni sulle capacità del teorema dell'inclusione; in un certo senso sono una persona un po' più rosa dai dubbi in questa fase. Va peraltro considerato che la politica e la diplomazia non si fanno senza un margine di rischio e senza difficoltà nelle scelte.
Aggiungo che sono molto attento alle ombre della situazione, non tanto per il salto tecnologico all'indietro che è stato compiuto perfino rispetto al regime dello scià Reza Pahlevi. Molti ricorderanno - io ho il malvezzo di leggere libri di polemologia - che uno degli scenari prospettati più frequentemente negli Stati Uniti è quello di una sorta di sollevazione o di nuova guerra mondiale a partire proprio da qualche potenza mediorientale, e l'esercito dello scià, ricco di overcraft, di aerei e così via, era pensato come adatto a questo.
Perfino il dato personale talvolta si mischia con la politica. Sono attento alle ragioni del consiglio della resistenza in esilio, anche perché ho avuto la ventura di essere amico - e non casualmente - del rappresentante in Italia di quel consiglio della resistenza, che è stato poi assassinato da emissari del regime di Teheran. Si trattava di persona squisita e di grande intelligenza, e il mio cruccio è che sia stato assassinato nonostante mi fossi fatto allora parte diligente presso le autorità del nostro governo perché gli fosse assicurata una maggiore sorveglianza e sicurezza; ma allora ero un semplice rappresentante della società civile, e forse questo ha depotenziato il mio intervento. Nonostante tutto ciò, non ho firmato la petizione di questi giorni perché credo che la scelta dei mujaeddin del popolo - che peraltro fanno parte di un esercito che per noi è difficile immaginare votato ad una guerra di resistenza, dal momento che hanno carri armati ed armi pesanti lungo il confine - di puntare al tanto peggio tanto meglio non sia utile né al popolo iraniano né alla loro causa.
Ecco perché mi trovo con molti dubbi a percorrere la linea che lei, signor ministro, ha scelto. E ne spiego le ragioni. Anzitutto l'Iran è indubbiamente un paese emergente di grande importanza nello scacchiere mediorientale, dove peraltro la nostra diplomazia può contare, esplorando anche terreni nuovi rispetto ad


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altre diplomazie - come dire - più assestate da questo punto di vista. In tal senso mi pare che la scelta abbia una sua acutezza.
Seconda ragione. È in atto un processo che vuole condurre ad una qualche laicità dello Stato iraniano. Ebbene, è un processo che non solo vedo con favore ma che mi sentirei anche di appoggiare per motivazioni religiose. I diritti delle religioni sono tanto più saldi e più approfonditi quanto più lo Stato è laico. Ritengo dunque che questo sia un processo da favorire perché il riconoscimento dei diritti umani investe tutte le libertà, anche quella religiosa, chiedendo a quanti in nome di una religione non si muovono in questa direzione di ripensare il loro atteggiamento e di produrre o lasciar produrre le riforme che sono necessarie in questo senso.
Quindi ho trovato una frase chiave nella sua relazione, signor ministro, laddove si dice che è in atto un'interpretazione liberale dei principi religiosi su cui si fonda la Repubblica iraniana. È evidente che la lapidazione di donne adultere, il taglio delle mani e così via sono atti che ai nostri occhi, non credo soltanto perché occidentali, appaiono barbarici e persino antireligiosi, se mi è consentito rilevarlo.
Da ultimo osservo che davvero l'Italia, ricevendo il Presidente Khatami e continuando in questa politica per le ragioni dette, debba considerarsi il battistrada dei partner europei: sotto tale profilo le osservazioni fatte da settori dell'opposizione mi trovano assolutamente concorde. Del resto la ricerca di una sintonia tra Roma, Parigi, Bonn (in attesa di Berlino), Londra e così via è uno degli elementi necessitati dal cammino che l'Europa unita va compiendo, ed anche dalla frequentazione delle cancellerie mediorientali emerge il bisogno di una voce univoca che l'Europa in questo senso deve far sentire. Mi sembra quindi un ottimo primo passo e la inviterei davvero a tenere conto delle osservazioni che oggi le sono pervenute, perché mi sembrano sottolineature positive e costruttive.

MARIO BRUNETTI. Credo davvero che non vi siano dubbi sulla natura repressiva del regime iraniano: lo testimoniano del resto i dati storici portati qui dal collega Mantovani. È parimenti fuori dubbio la negazione totale dei diritti umani e la natura confessionale di quel regime, il che gli conferisce caratteri preoccupanti. Non è quindi questo il problema. Del resto, in una missione effettuata in Medio Oriente, la nostra Commissione ha avuto modo di verificare, da una parte, la natura di quel regime e, dall'altra, un elemento che in questa sede mi porta ad essere favorevole all'iniziativa della visita del Presidente Khatami in Italia.
Alcuni di noi in privato, avendo avuto rapporti con forze democratiche e con intellettuali iraniani, si sono sentiti dire (era tra l'altro il periodo in cui era stato arrestato il sindaco di Teheran, che è stato successivamente liberato a seguito di una manifestazione di popolo) che l'unica possibilità di incrinare quella società repressiva ed avviare un processo di democratizzazione stava nel sostenere le positive, seppure equivoche, posizioni di Khatami. Anche dal di dentro si vede dunque un processo che passa attraverso il ruolo che può svolgere questo presidente.
Il senso che deve assumere la visita in Italia di Khatami è intanto quello della rottura dell'embargo, che costituisce un'evidente presa di distanza dall'intera politica degli Stati Uniti: dobbiamo sottolineare questo aspetto noi che da tempo portiamo avanti una battaglia politica in tale direzione. Nei colloqui che si svolgeranno con Khatami dovremo peraltro manifestare con forza la necessità per uno Stato democratico come il nostro di avere ampie assicurazioni sul problema della difesa dei diritti umani.
Da questo punto di vista dichiaro di concordare con la proposta di un incontro della nostra Commissione con il Presidente Khatami, però con un'aggiunta. Per dare maggiore risalto al tema della difesa dei diritti umani propongo un incontro della Commissione esteri con il Comitato dei diritti umani; in tal modo riusciremo


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a dare un senso laico e democratico alla visita in Italia del Presidente Khatami.

FABIO CALZAVARA. Anche se il ministro Dini ha svolto una relazione apprezzabile per i contenuti europeisti, è tuttavia necessaria una valutazione prudente delle sue considerazioni.
Per il momento ci sono state solo parole e dichiarazioni di intenti sull'apertura di un nuovo scenario internazionale democratico in Iran. Il nuovo accenno di apertura è venuto infatti per la buona volontà di pochi leader iraniani, tra i quali Khatami, ma anche per una situazione matura nella società iraniana, che deve decidere di andare verso un'evoluzione democratica o verso una implosione preoccupante, foriera anche di aggressioni esterne.
C'è poi la questione non secondaria dei diritti civili ed umani che in Iran sono largamente conculcati, peraltro senza chiari segnali di cambiamento a tale riguardo. Ci risulta anche che l'apertura politica dell'Italia sia stata preceduta da numerose consultazioni europee ed anche americane. Se collego questo alla contemporanea guerra americana in Iraq, mi viene il dubbio che tutto ciò non sia casuale, ma faccia parte di un disegno i cui contorni di politica macroeconomica non sono delineati; se anzi, signor ministro, lei fosse in condizione di fornirci qualche chiarimento in merito, gliene sarei grato.
Il movimento della lega nord vede la venuta di Khatami come un avvenimento certamente importante e come un'opportunità da cogliere non solo per migliorare le relazioni commerciali e politiche tra l'Italia e l'Iran, ma anche per poter incidere positivamente nel processo democratico di un paese che nella regione mediorientale si caratterizza per la rilevanza della sua posizione strategica e, al momento, anche politica.
Le rivolgo quindi comunque, signor ministro, l'invito a tener sempre in primo piano nel suo incontro con il Presidente Khatami e con la delegazione iraniana la situazione deficitaria dei diritti umani in Iran.
In conclusione, vorrei anche stigmatizzare la raccolta di firme attuata dalla resistenza iraniana in esilio, non tanto per i suoi contenuti (che non ho potuto appurare perché non mi è stata data possibilità di conoscerli nonostante avessi chiesto il testo del documento ed avessi dato il mio recapito per riceverlo) quanto per le modalità con cui è stata attuata, che appaiono inconcepibili per la sottoscrizione di un documento di così fondamentale importanza in politica estera. Negli esponenti del movimento di opposizione al regime iraniano ho riscontrato una sorta di massimalismo, di fretta: nelle risposte alle richieste di informazioni facevano finta di non capire l'italiano e in un caso anche l'inglese.

MARCO ZACCHERA. Parlavano benissimo francese!

FABIO CALZAVARA. Purtroppo non lo parlo. Comunque, mi auguro che ciò venga riportato, perché non ci siano colleghi che con la loro firma mettano in agitazione il Parlamento e in difficoltà non soltanto il Governo ma anche i gruppi stessi.

MARCO ZACCHERA. Poiché un collega precedentemente ha detto che dei parlamentari hanno sottoscritto non in piena coscienza, vorrei precisare che ho sottoscritto in piena coscienza perché quanto era scritto in quella «famigerata» richiesta di sottoscrizione mi sembrava perfettamente legittimo.
Ringrazio il ministro, e vorrei ribadire il discorso dei diritti umani, che non devono essere a senso unico. Ritengo che di macellai - non è il caso del Presidente dell'Iran - negli ultimi tempi ne abbiamo ricevuti, ne abbiate ricevuti, molti. L'Italia deve parlare con tutti ma deve pretendere, prima o contemporaneamente rispetto agli accordi commerciali, il doveroso rispetto della libertà umana, di coscienza, di scelta e di religione, tutte cose che nell'Iran


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democratico di cui tanto si parla effettivamente in questo momento non si stanno verificando.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro, dal momento che non abbiamo gli strumenti per votare una presa di posizione, vorrei fare una dichiarazione, dopo di che i gruppi, se lo riterranno, su quella base potranno proporre un ulteriore strumento, come una risoluzione o quant'altro, alla Commissione.

In occasione dell'audizione del ministro degli affari esteri sulla visita in Italia del Presidente della Repubblica islamica dell'Iran Khatami è emerso che è necessario e utile cogliere l'occasione rappresentata da tale viaggio per il rafforzamento ed il rilancio della posizione europea di inclusione di tutti i paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e del Golfo nella strategia di dialogo permanente dell'Europa con i paesi di quest'area. In questo quadro riteniamo anche determinante il ruolo di un grande paese qual è l'Iran, fondamentale per la sua collocazione geografica, per la sua potenzialità economica, per l'antica tradizione culturale e storica, specialmente a condizione che si rafforzino e consolidino i processi di democratizzazione ed apertura al pluralismo culturale e politico; pertanto, ribadendo che l'Iran può essere un punto di riferimento fondamentale proprio per la necessaria politica di attenzione strategica e di dialogo costruttivo di cui abbiamo parlato, non rinunciamo a sottolineare oltre le luci anche le ombre presenti in quella società.

Auspichiamo pertanto che il Governo operi al fine di spingere verso una soluzione positiva che si muova con ancora maggiore decisione nella direzione della democrazia e della difesa dello sviluppo dei diritti umani. La Commissione esteri della Camera invita pertanto il Governo a sottolineare nel corso dei colloqui con Khatami la centralità di mettere al primo punto il tema dei diritti umani. Mi associo anche alla proposta di un eventuale incontro della Commissione con il Presidente Khatami.
Do ora la parola al ministro degli affari esteri.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Signor presidente, accolgo volentieri la dichiarazione che ha appena svolto e che mi pare riassuma molto bene le valutazioni espresse dagli onorevoli membri di questa Commissione. Certamente l'espressione «diritti umani» è molto vasta e nel caso dell'Iran si tratta più dei diritti civili che di quelli umani, di diritti di libertà di associazione, di diritti politici.

PRESIDENTE. Diritti umani e civili.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Esattamente, anche civili, perché in effetti non si può dire che non esista quel rispetto elementare di altri diritti dei cittadini che in Iran nel loro insieme mi pare oggi siano garantiti.
Il Presidente Khatami ha avuto un'espressione molto illuminata.

RAMON MANTOVANI. Ministro, lapidano le donne adultere! Non le sembra una violazione dei diritti umani?

PRESIDENTE. Infatti ha parlato di diritti umani e civili.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di uno Stato islamico basato sul Corano. Noi evidentemente non condividiamo e combattiamo queste violazioni.

Come dicevo, il Presidente Khatami ha avuto una bellissima espressione durante il suo discorso alle Nazioni Unite, affermando che ci sono fasi o periodi storici in cui, nel nome della libertà, si sacrifica la giustizia o che, nel nome della giustizia, si sacrifica la libertà. Nella nostra storia ciò è avvenuto spesso. L'Iran sta attraversando un periodo di difficile trasformazione. L'onorevole Mantovani ha lamentato le ingiustizie commesse da un regime totalitario come quello dello Scià, ma è stato sulle ceneri di quel regime che è nato uno Stato islamico di cui noi ora


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effettivamente lamentiamo gli eccessi e gli abusi che non sono in linea con il nostro pensiero e con la nostra civiltà. Dobbiamo superare anche questo passaggio - si tratta di una rivoluzione di oltre vent'anni - e credo sia corretto incoraggiare quelle forze nuove che vogliono muovere la società verso un avvicinamento al rispetto ed alla condivisione dei valori civili dei nostri paesi. Di qui il dialogo, che il Presidente Khatami spinge, di confronto delle civiltà e delle religioni, destinato in effetti a far capire anche in Iran i fondamenti della nostra civiltà e dei nostri regimi democratici.
Dobbiamo fare di tutto per incoraggiare queste nuove tendenze che si incarnano e si identificano nell'elezione del Presidente Khatami e nell'opera che sta svolgendo. Khatami, come Presidente eletto, non ha tutti i poteri; sappiamo che esiste una forte opposizione religiosa e parlamentare alla liberalizzazione del sistema in Iran. Credo che noi che abbiamo aperto questa strada, ma anche l'Europa, ci muoviamo in questa direzione, tant'è che se il dialogo critico sui diritti umani, sul terrorismo e così via è fondamentale, è anche necessario aprire l'Europa al dialogo su altri aspetti delle relazioni con quel paese. È questo che stiamo facendo. Mi auguro francamente che emerga un giudizio positivo dal Parlamento per l'incoraggiamento che dobbiamo offrire alla persona che più di ogni altra sta cercando di portare quel paese alla modernizzazione e di rompere l'isolamento in cui oggi vive a seguito delle politiche portate avanti finora dallo Stato islamico.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Dini per aver accolto sollecitamente il nostro invito a discutere della visita del Presidente Mohammad Khatami in Italia. È un precedente, un felice precedente, il fatto che si sia svolta un'audizione su un incontro che deve ancora avere luogo.
Ringrazio nuovamente il ministro e dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 16.40.