PRIMA SEZIONE

SCHEDE DI SINTESI

1.1. Forma di Stato

1.1.1. Norme in tema di ordinamento territoriale della Repubblica contenute in altri titoli del progetto.

Le disposizioni sull'ordinamento territoriale della Repubblica sono raccolte principalmente nel titolo I. Il quadro deve tuttavia essere completato da alcune fondamentali disposizioni contenute negli altri titoli.

Sono in particolare da considerare direttamente connesse, tra le norme di primaria importanza, quelle sulla integrazione del Senato (art. 89) e sulla ripartizione della funzione legislativa e della funzione normativa primaria (artt. 89, 90, 104 e 106), sulla riserva di competenza a favore dei regolamenti amministrativi emanati dai diversi enti territoriali, con particolare riferimento all'organizzazione di ogni pubblica amministrazione (art. 106) e sulla formazione e le funzioni della Corte costituzionale (artt. 134 e 135).

Il titolo dell'intera seconda parte

Va sottolineato che il titolo dell'intera seconda parte della Costituzione è stato significativamente modificato da "Ordinamento della Repubblica" a "Ordinamento federale della Repubblica".

Norme transitorie necessarie ancora da introdurre

Il complesso delle norme sull'ordinamento territoriale della Repubblica dovrà essere ulteriormente completato da disposizioni transitorie, particolarmente importanti per questa parte della riforma costituzionale che richiede una complessa e non breve attuazione per la redistribuzione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali. Le norme transitorie, già previste nel testo approvato a giugno, non sono comprese nel testo finale approvato dalla Commissione, anche se sono state ampiamente discusse in diverse fasi del precedente iter. La Commissione ha infine deciso di proporre le necessarie disposizioni transitorie solo dopo che almeno una delle due Camere abbia approvato le norme principali.

1.1.2. Il rapporto tra le innovazioni introdotte in tema di organizzazione delle autonomie territoriali e l'articolo 5 della Costituzione.

Nel dibattito svoltosi in Commissione ha avuto ampio spazio il rapporto di attuazione tra le nuove norme e il principio fondamentale posto dall'articolo 5 della Costituzione a favore della più ampia tutela delle autonomie territoriali nell'ambito della Repubblica una e indivisibile.

Inammissibilità degli emendamenti in contrasto con l'articolo 5

Si è ritenuto che non potessero essere ammessi all'esame gli emendamenti concernenti il diritto di secessione. In primo luogo perché, modificando sostanzialmente il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, sono certamente estranei alla competenza delineata dalla legge costituzionale istitutiva, limitata alla modifica della seconda parte della Costituzione. Tali proposte potrebbero inoltre trascendere lo stesso potere di revisione costituzionale così come è definito dal combinato disposto dell'articolo 139, che sottrae alla revisione la forma repubblicana, e dell'articolo 1, che attribuisce all’Italia la forma repubblicana stessa.

Sono stati invece ammessi alla votazione, nonostante siano stati sollevati alcuni dubbi sulla loro ammissibilità per contrasto con l’articolo 5 Cost., gli emendamenti tendenti ad attribuire all'Italia la forma confederale.

La definizione della Repubblica come ordinamento federale

È stato invece accolta, ma inserita solo nel titolo dell'intera seconda parte, come si è già detto, la definizione della Repubblica come ordinamento federale. Si noti, in connessione con tale scelta, che nel passaggio dal testo di giugno a quello definitivo sono state soppresse alcune disposizioni ripetitive dei principi fondamentali della prima parte della Costituzione, o da essi discendenti (come la definizione della Repubblica come "una e indivisibile" e l'individuazione di un obbligo di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti). Tali disposizioni sono infatti state considerate come sostanzialmente superflue e, seppur ripetitive, invasive di una materia preclusa alla competenza della Commissione. Si è cioè ritenuto che non fosse opportuno introdurre nella seconda parte norme integrative di aspetti rientranti nella formulazione di principi fondamentali e non nel loro svolgimento, neanche nei casi in cui ciò appariva possibile senza che tali principi ne risultassero modificati.

1.1.3. Pariordinazione di Comuni, Province, Regioni e Stato nell'ordinamento territoriale della Repubblica.

La scelta della pariordinazione si è concretizzata nelle seguenti innovazioni, che sono state oggetto di un lungo e approfondito esame:

Il nuovo assetto della forma di Stato come svolgimento dell'articolo 5

La configurazione della Repubblica che così si delinea appare quindi non conforme ad altri modelli esistenti, in particolare di tipo federale, basati sull'aggregazione di Stati od altre ripartizioni territoriali analoghe alle nostre Regioni e caratterizzati da una maggiore differenziazione ordinamentale di ciascuna di esse.

Tuttavia, nell'ambito di una considerazione unitaria del testo costituzionale, essa è stata ritenuta un coerente sviluppo dei principi fondamentali stabiliti dall'articolo 5, che sancisce il primato delle autonomie senza fare tra esse differenze, e prevede che la Repubblica attui il più ampio decentramento amministrativo ed adegui il metodo della legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

In questa chiave di lettura si può guardare alle concrete scelte operate in merito alla ripartizione delle funzioni amministrative (art. 56) e legislative (art. 58).

Principio di sussidiarietà e ripartizione delle funzioni pubbliche (art. 56)

Il principio del "più ampio decentramento amministrativo" previsto dall’articolo 5 trova applicazione attraverso il suo svolgimento nella sua più moderna versione del principio di sussidiarietà. Le varie funzioni pubbliche vengono infatti ripartite tra i diversi enti territoriali secondo il criterio guida fornito dal principio di sussidiarietà (art. 56, co. 1), quale elaborato in dottrina e definito normativamente nel Trattato di Maastricht. Viene in particolare adottata la formulazione del principio applicata nella legislazione italiana più recente ai fini del decentramento amministrativo, nella quale il principio in questione è integrato dalle regole di differenziazione (in relazione alle diverse caratteristiche degli enti riceventi), di adeguatezza (in relazione all’idoneità organizzativa) e di omogeneità (in relazione alla attribuzione di compiti organici e omogenei allo stesso livello di governo). Su questa base, la ripartizione delle funzioni amministrative e regolamentari privilegia l'ente territoriale minore, individuando l'intervento di quello più esteso come sussidiario e necessario solo nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dall'ente minore, a motivo delle sue dimensioni e delle sue potestà. Così, la generalità delle funzioni regolamentari e amministrative viene attribuita direttamente al Comune (co. 2), attribuendo alle leggi statali e regionali la competenza a individuare in capo a Province, Regioni e Stato lo svolgimento delle funzioni che i Comuni non sono in grado di esercitare adeguatamente.

Rispetto a quanto previsto nel Trattato di Maastricht, il testo in esame interpreta il principio di sussidiarietà, oltre che come principio di ripartizione di funzioni tra i diversi livelli di governo, anche come criterio generale di limitazione della sfera dell’intervento pubblico rispetto all’autonomia dei privati e delle formazioni sociali. Nel testo approvato a giugno dalla Commissione tale criterio è stato espresso attraverso il principio della attribuibilità ai pubblici poteri delle sole funzioni non esercitabili in modo più adeguato dall’autonomia dei privati. Rispetto alle perplessità sollevate nei confronti di questa formulazione – per i rischi di una implicita funzionalizzazione delle attività dei privati ai fini pubblici – sono state proposte nella fase autunnale dei lavori della Commissione formulazioni alternative. In alcune proposte si è ipotizzato di dichiarare in termini più assoluti la sfera di autonomia dei privati; in altre si è invece proposto di rimodulare il principio in questione attraverso un suo più diretto riferimento alla tutela dell’autonomia dei privati e delle formazioni sociali sancita dall’articolo 2 della Costituzione. La formulazione su cui si è attestata in ottobre la Commissione rappresenta una mediazione tra le formulazioni alternative proposte, affermando sia il principio della garanzia dell’autonomia dei cittadini, sia quello della necessaria valutazione di adeguatezza delle attività svolte nella sfera privata per l’attribuzione di funzione ai poteri pubblici.

Ripartizione delle competenze legislative (art. 58)

La scelta di conservare la potestà legislativa agli enti territoriali che ne sono già forniti nell'ordinamento vigente (Stato e Regioni) si completa tuttavia con il totale rovesciamento del criterio che attualmente presiede alla ripartizione di competenza tra gli stessi. Al sistema vigente (art. 117) che individua tassativamente le materie per le quali le Regioni possono legiferare, ne viene sostituito uno opposto, caratterizzato dall'elencazione tassativa delle materie in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (art. 58, co. 1) e di quelle nelle quali può dettare solo la disciplina generale (co. 2), e dall'attribuzione alle Regioni della potestà legislativa generale per tutte le restanti materie ed oggetti (co. 6). La competenza statale è completata da quella prevista da altre norme costituzionali. In particolare vanno segnalate per la loro importanza le norme che prevedono le competenza propria della legge bicamerale (art. 90 e altri) e di quel particolare tipo di legge bicamerale prevista dall’articolo 89 e che deve essere deliberata dal Senato in sessione speciale integrata dai rappresentanti delle autonomie territoriali. Particolarmente rilevante è la competenza legislativa statale definita dall’articolo 62 in materia di finanza delle autonomie.

Finanza regionale e locale (art. 62)

Anche in materia finanziaria trova svolgimento il principio di pariordinazione tra Comune, Province e Regioni. Per tutti i livelli di Governo è prevista una forma omogenea di autonomia finanziaria regolata da una legge bicamerale. Si prevede che essi stabiliscano e applichino tributi e entrate proprie e partecipino ad una quota di entrate erariali, che complessivamente non può essere inferiore al cinquanta per cento. Tale quota va calcolata dopo aver sottratto le risorse destinate al servizio del debito, allo sviluppo economico equilibrato, al Fondo perequativo e alle calamità naturali e alla sicurezza del paese.

L'articolo 62 prevede una precisa definizione del principio di perequazione con riferimento a parametri connessi alla capacità fiscale per abitante. La sua disciplina è rinviata ad una legge bicamerale non paritaria da adottare per un periodo pluriennale.

In applicazione della disciplina generale in materia di bilancio stabilita dall'articolo 103 è previsto per gli enti territoriali il divieto di indebitamento, salvo che per spese di investimento. Tutti gli enti rispondono solo con il loro patrimonio delle obbligazioni contratte con tassativa esclusione di garanzie statali.

Il principio di unità della finanza pubblica viene ribadito dall'articolo 103 che prevede che il bilancio dello Stato stabilisca annualmente l'equilibrio di bilancio anche per il complesso delle amministrazioni pubbliche, in conformità alle indicazioni contenute nel Trattato di Maastricht. Alle finalità di coordinamento finanziario concorre anche la previsione di una competenza statale, con legge bicamerale non paritaria, in tema di coordinamento informativo, statistico ed informatico (articoli 58 e 89).

Ordinamenti differenziati e particolari condizioni di autonomia (art. 57)

La scelta della Commissione è stata non solo quella di valorizzare le diverse autonomie territoriali, muovendo in direzione di una loro tendenziale pariordinazione "verso l'alto"; ma anche quella, in parte con essa confliggente, di mantenere una tendenziale omogeneità di condizioni tra i singoli enti appartenenti a ciascuna categoria. Allo stesso tempo viene però ribadita la possibilità di adattare, attraverso vie ordinarie, le forme dell'autonomia conferita in generale dalla Costituzione alle concrete esigenze delle diverse realtà territoriali del paese.

Così, al rigetto delle proposte volte a conferire pari dignità costituzionale a quegli ordinamenti territoriali differenziati che sono le aree metropolitane, si accompagna l'esplicita previsione della possibilità di istituirle; e, nella stessa direzione, si prevede che i Comuni più piccoli, o situati in zone montane, debbano associarsi in modo da adattare al meglio le proprie strutture organizzative alle funzioni ad essi attribuite (art. 56, co. 4).

Sul versante regionale, si è assistito al rigetto delle proposte volte a conferire condizioni differenziate di autonomia a tutte le Regioni, come di quelle che prefiguravano procedure agevolate per l'acquisizione, da parte di singole Regioni, di nuove competenze legislative. Allo stesso tempo si è però voluto ribadire che l'omogeneità di condizioni tra le Regioni attualmente a statuto ordinario non è un dato immodificabile e necessario, e che ognuna di esse potrà ottenere un ampliamento della propria autonomia tramite la via della legge costituzionale (art. 57, co. 4).

1.1.4. Intese delle Regioni con altre Regioni o Stati esteri

Un elemento particolarmente innovativo è contenuto nell'articolo 61 del progetto, che prevede la possibilità per le Regioni di stipulare intese con altre Regioni o con Stati esteri, o articolazioni interne di tali Stati, nelle materie di loro competenza. Le intese con gli Stati esteri dovranno essere concluse nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato.

1.1.5. Le garanzie costituzionali

La pariordinazione di Comuni, Province e Regioni nel nuovo sistema delle autonomie ha comportato l'adeguamento delle garanzie costituzionali previste a favore dei diversi enti, attraverso il riconoscimento anche a Comuni e Province di forme di tutela attribuite dalla vigente Costituzione alle sole Regioni (impugnazione diretta delle leggi statali e regionali e possibilità di sollevare il conflitto di attribuzioni). Per l'illustrazione di tali istituti si rinvia alla sezione della scheda riguardante la Corte costituzionale.

Al sistema delle autonomie, nella sua articolazione in Comuni, Province e Regioni, è inoltre riconosciuta la titolarità della nomina di un quarto dei venti giudici costituzionali. Anche per l'illustrazione di tale aspetto si fa rinvio alla scheda riguardante la Corte costituzionale.

1.2. Forma di Governo

1.2.1. Principi generali.

Gli elementi che definiscono la forma di governo nel nuovo sistema si ricavano da una considerazione complessiva degli organi e degli istituiti preposti alla definizione dell'indirizzo politico nazionale. A tal fine sembra necessario porre in relazione le disposizioni più direttamente connesse alla definizione della forma di governo (le norme riguardanti il Presidente della Repubblica e il Governo) con le altre parti del progetto (le disposizioni sul Parlamento, quelle sulle autonomie, le norme sulle garanzie costituzionali).

Il progetto della Commissione introduce rilevanti innovazioni al sistema di governo quale definito sia dalla costituzione del 1948 sia soprattutto nella prassi costituzionale affermatasi nel corso della storia repubblicana.
Le innovazioni introdotte fanno perno su quattro elementi:

  1. definizione di meccanismi per la diretta investitura popolare degli organi di governo; alla elezione diretta del Capo dello Stato si accompagnano su questo profilo altre previsioni del progetto, come quelle che sanciscono una forte connessione tra la nomina del primo ministro e il risultato delle elezioni della camera politica;

  2. individuazione di istituti per incrementare l'efficienza delle procedure di decisione politica. Si inseriscono in questa logica le previsioni del testo riguardanti la semplificazione del bicameralismo paritario, la revisione delle norme sull'articolazione interna del Governo nel senso di assicurare la prevalenza del premier, l'attribuzione al governo di poteri assai rilevanti nell'ambito del procedimento legislativo;

  3. opzione per modalità di esercizio della funzione di indirizzo politico fortemente connotate in senso policentrico e pluralistico. Tale opzione si riferisce ad entrambi gli ambiti principali di esercizio dell'indirizzo politico, quello della funzione di governo propriamente detta e quello della funzione legislativa;

  4. la ridefinizione dei circuiti di espressione dell'indirizzo politico comporta infine una revisione approfondita del sistema dei controlli, tanto di quelli neutrali che di quelli politici.

Per ciascuno di tali aspetti si dà conto dei principali elementi innovatori contenuti nel progetto.

1.2.2. Investitura diretta degli organi di governo e titolarità della funzione di indirizzo politico.

L'introduzione di forme di diretta legittimazione popolare degli organi di governo è stata sostenuta da un'ampia maggioranza, con la significativa eccezione del gruppo di rifondazione comunista e del gruppo della Lega Nord per l'indipendenza della Padania che ha espresso posizioni fortemente critiche nei confronti dell'intero progetto.

Tra i fautori di tale innovazione è stato comune il richiamo alla necessità di tradurre anche sul piano costituzionale le trasformazioni già indotte nel circuito di legittimazione democratica dalle modifiche in senso maggioritario delle leggi elettorali a partire dal 1993. Ampio è stato anche l'accordo sulla necessità di collegare tali nuove forme con il mantenimento del parlamento nel circuito di legittimazione degli organi di governo: si è pertanto rinunciato all'introduzione di soluzioni (pur sostenute nei progetti presentati da alcuni gruppi, quali Forza Italia) basate sulla totale indipendenza dei canali di legittimazione e delle condizioni di operatività delle camere e del governo analogamente a quanto avviene nel sistema presidenziale nordamericano.

Oggetto di netta contrapposizione è stata invece la scelta sul sistema per assicurare la diretta legittimazione degli organi di governo. Si sono affrontate in proposito due ipotesi principali: quella di prevedere meccanismi finalizzati a garantire la diretta scelta popolare del primo ministro e quella di introdurre invece l'elezione diretta del Presidente della Repubblica cui affidare diretti poteri di governo nonché la nomina di un Esecutivo in grado di ottenere il sostegno del Parlamento. Nell'ambito del Comitato sulla forma di Governo sono stati elaborati due articolati alternativi riguardanti entrambi i modelli, che sono stati poi sottoposti alla scelta del plenum della Commissione. Nella seduta del 4 giugno 1997 la Commissione si è espressa a favore dell’ipotesi di elezione diretta del Presidente della Repubblica.

La scelta della diretta investitura popolare del capo dello stato è stata confermata nel prosieguo dei lavori della Commissione. Sono tuttavia state introdotte significative modifiche al testo base inizialmente adottato dalla Commissione al fine di contemperare l'opzione dell'elezione diretta del Presidente con i principi del modello incentrato sul primo ministro.

Si è inteso raggiungere tale finalità attraverso la definizione a favore del primo ministro e del governo da lui diretto di un canale di investitura politica autonomo rispetto al Presidente. A questo fine, la già ricordata opzione per il mantenimento del legame fiduciario tra primo ministro e la camera politica è accompagnata dal vincolo posto al Presidente della Repubblica di nominare il premier tenendo conto dei risultati elettorali della Camera (vedi infra): viene in tal modo a stabilirsi un legame diretto tra scelta del primo ministro e risultato elettorale.

Tali scelte inducono ad annoverare la forma di governo disegnata dal testo in esame tra i sistemi nei quali, in ragione della contemporanea presenza di un Capo dello Stato eletto direttamente e di un Governo sostenuto dalla fiducia parlamentare, si possono determinare sia situazioni di sintonia tra l'indirizzo politico presidenziale e quello del premier, sia situazioni in cui i due soggetti istituzionali sono espressione di diversi o opposti orientamenti politici (determinandosi in tal modo una situazione di c.d. "coabitazione").

Gli istituti fondamentali attraverso i quali è assicurato l'equilibrio del sistema sono i seguenti:

- La differente durata dei mandati

Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto a doppio turno eventuale (artt. 64 e 67, co. 6). Il mandato del presidente dura sei anni (art. 67). Si introduce in tal modo un elemento discronico con il ciclo politico della camera politica che esprime il primo ministro (la Camera dei deputati dura in carica cinque anni: art. 80).

E' inoltre importante rilevare che il Presidente può essere rieletto, anche se solo per un secondo mandato.

- La nomina del primo ministro

Il Presidente nomina il Primo ministro, "tenendo conto dei risultati della Camera dei deputati" (art. 66, lettera b). Pur essendo l'atto di nomina sottratto alla controfirma (art. 71, co. 2), la scelta del primo ministro è dunque direttamente correlata all'esito delle elezioni della Camera politica. Un elemento fondamentale di legittimazione del premier e del governo da lui guidato è pertanto individuato nell'indirizzo espresso dal corpo elettorale nelle elezioni politiche: coerente con tale impostazione è anche la mancata previsione di un voto iniziale di fiducia al nuovo governo da parte della Camera dei deputati (la fiducia si ritiene pertanto "presunta").

- Il sistema elettorale

L'intento di attribuire alla elezione della camera politica anche la funzione di investitura del governo pone in rilievo il problema di definire una legge elettorale coerente con tale funzione. Tra i compiti della Commissione non è previsto l'esame delle modifiche riguardanti le leggi elettorali: tuttavia è stato lungamente dibattuta nel corso dei lavori l'opportunità di "costituzionalizzare" alcuni dei principi in materia elettorale in modo da assicurare appunto la coerenza tra le leggi elettorali e il sistema di governo delineato dal progetto.

Si è sostenuto in proposito che l'opzione per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica imporrebbe, per assicurare l’investitura maggioritaria del Governo, il vincolo costituzionale di una legge elettorale fondata sul sistema uninominale maggioritario a doppio turno. Un emendamento presentato in tal senso dagli onn. Mussi ed altri è stato tuttavia respinto dalla Commissione (seduta del 24 giugno 1997). Al termine della sessione estiva dei lavori della Commissione (seduta del 30 giugno 1997) sono stati tuttavia presentati due "documenti di intenti" sulla materia elettorale.

Il primo documento, a firma di Mattarella, Berlusconi, Nania, Dentamaro, Loiero, Cossutta, Pieroni, Boselli e Salvi, definiva i seguenti principi cui dovrebbe ispirarsi una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati:

Il secondo documento, a firma di D'Amico, Spini, Passigli e Occhetto (p. 2182), ha richiamato l'attenzione delle Camere sulla necessità di accompagnare la revisione della parte seconda della Costituzione con una riforma della legislazione elettorale che si fondi su una formula di doppio turno; ciò al fine di ridurre la frammentazione del sistema partitico e di accentuare le tendenze bipolari, per favorire l'omogeneità delle maggioranze di governo.

I documenti in questione sono stati discussi ma non sono stati posti in votazione.

- Il potere presidenziale di scioglimento della Camera dei deputati.

Un elemento fondamentale di raccordo tra la sfera dell'indirizzo politico del Presidente e quella espressa dal primo ministro e dalla sua maggioranza parlamentare è rappresentato dalla disciplina del potere del Presidente di scioglimento della Camera dei deputati. L'articolo 70 prevede infatti che il Presidente della Repubblica possa sciogliere la Camera dei deputati prima del termine ordinario, mentre l'articolo 71, co. 2 sottrae l'atto di scioglimento all'obbligo di controfirma: il Presidente esercita pertanto tale potere in piena autonomia, disponendo in tal modo di uno strumento assai efficace di risoluzione delle situazioni di "coabitazione".

L'esercizio del potere di scioglimento è tuttavia subordinato ad una limitazione fondamentale: il Presidente può sciogliere le camere unicamente in caso di dimissioni del primo ministro. Nel caso in cui il premier sia sostenuto da una solida maggioranza parlamentare, il Presidente non avrà pertanto modo di provocare nuove elezioni. Questo principio conosce una sola, importante eccezione: ai sensi dell'articolo 74, co. 6 il primo ministro è tenuto a dimettersi in caso di elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Il Presidente neoeletto ha dunque la possibilità di sciogliere la Camera e indire le elezioni. Al Presidente è in tal modo offerta la possibilità di favorire l'elezione di una maggioranza parlamentare orientata in senso politicamente omogeneo al proprio. Si ritiene espresso in questo istituto il principio della prevalenza, nella determinazione dell'indirizzo politico, del criterio del "mandato popolare più recente". Il medesimo principio è alla base del divieto di procedere allo scioglimento delle camere nell'anno immediatamente successivo alla loro elezione, anche in caso di dimissioni del primo ministro.

Va infine ricordato che, successivamente alle elezioni presidenziali ed in costanza di rapporto fiduciario tra primo ministro e Camera dei deputati, il Presidente della Repubblica può chiedere al primo ministro di presentarsi alla Camera per verificare la sussistenza del rapporto di fiducia (art. 66, lettera d): si tratta di una importante facoltà attribuita al Presidente che potrà essere esercitata per provocare un dibattito parlamentare sulle situazioni di "crisi latente" con eventuale esplicitazione delle conseguenze politiche della crisi (dimissioni del premier, voto di sfiducia parlamentare).

Per gli altri particolari della disciplina dello scioglimento, si veda la scheda relativa all'articolo 70.

- Poteri del Presidente della Repubblica e poteri del primo ministro.

Il Presidente e il primo ministro dispongono, come si è detto, di distinti canali di legittimazione che si riflettono anche sul piano della distinzione di competenze costituzionali: su tali distinte sfere i due soggetti sono destinati ad esercitare funzioni di indirizzo politico che il sistema ha necessità di ricondurre ad unità nell'ambito del concetto di "politica nazionale". Alcune previsioni fondamentali contenute nel testo sono finalizzate a comporre la sfera dell'indirizzo politico del Governo con quella del Presidente della Repubblica secondo la logica della distinzione, altre secondo quella della continuità e del coordinamento. I punti fondamentali sui quali si basa l'equilibrio tra i due poteri sono i seguenti:

  1. il testo approvato dalla Commissione assegna al Governo la responsabilità di "dirigere la politica nazionale" e al primo ministro il compito di dirigere la politica del Governo. Rispetto a tale competenza di carattere generale, i poteri del Presidente della Repubblica sono invece definiti, come già si verifica nel testo della vigente Costituzione, principalmente con la tecnica della enumerazione (artt. 65 e 66). Va tuttavia osservato che alcuni di tali poteri hanno portata generale (in particolare quelli enumerati dall'art. 65: il Presidente è il capo dello Stato, rappresenta l'unità della nazione e ne garantisce l'indipendenza e l'integrità).

  2. Nella determinazione del rapporto tra la sfera dei poteri presidenziali e quella del Governo, uno snodo fondamentale è rappresentato dalla titolarità della presidenza del Consiglio dei ministri: il testo base originariamente adottato dalla Commissione attribuiva la presidenza al Capo dello Stato, ma successivamente tale previsione è stata soppressa. Il punto rappresenta uno degli elementi di maggiore differenziazione del sistema disegnato dal testo rispetto al modello "semipresidenziale" francese e vale a distinguere con maggiore nettezza la sfera dei poteri presidenziali dall'ambito delle funzioni di governo attivo. Va tuttavia rilevato che il testo attribuisce al Presidente la presidenza del Consiglio supremo per la politica estera e la difesa: tale competenza è da porre in connessione con le attribuzioni riconosciute al Presidente dall'articolo 68, a norma del quale il Capo dello Stato "garantisce l'indipendenza e l'integrità" della nazione e "assicura il rispetto dei trattati e dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia a organizzazioni internazionali e sovranazionali";

  3. l'articolo 75 conferma il principio, accolto nella vigente Costituzione, della irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. L'art. 71 precisa tale principio, affermando che gli atti del presidente adottati su proposta del primo ministro o dei ministri sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità. Lo stesso articolo 71, (secondo comma) enumera tuttavia una serie di atti del Capo dello Stato per i quali non è richiesta la controfirma ministeriale e che quindi debbono ritenersi adottati dal Presidente in piena autonomia (oltre al già citato scioglimento delle camere rientrano in questa categoria: l'indizione delle elezioni delle camere, l'indizione dei referendum, il rinvio delle leggi e degli atti con forza di legge e dei regolamenti, la promulgazione delle leggi, l'invio di messaggi alle camere, le nomine attribuite alla esclusiva competenza del presidente).

1.2.3. La funzione di governo.

Come anticipato, il testo contiene una serie di previsioni finalizzate a rafforzare e rendere più efficiente l'azione di governo.

Questo risultato viene perseguito attraverso tre strumenti principali:

a) il principio della primazia del primo ministro nella guida della compagine governativa.

Si tratta di un principio che intende introdurre una significativa innovazione al nostro sistema istituzionale, soprattutto come esso si è definito nella prassi: in questo ambito il Presidente del Consiglio è venuto a configurarsi nella compagine governativa più come un primus inter pares che come soggetto effettivamente sovraordinato agli altri componenti dell'esecutivo.

Il testo in esame innova per questo profilo in primo luogo mutando la denominazione del Presidente del Consiglio in quella di "primo ministro". Pur non abbandonando il principio di collegialità nell'azione dell'esecutivo, il testo esprime inoltre con chiarezza la sovraordinazione del primo ministro rispetto agli altri ministri. Tale principio è reso operante in primo luogo dagli incisivi poteri riconosciuti al primo ministro nella formazione del Governo (a lui spetta proporre al Presidente della Repubblica non solo la nomina, ma anche la revoca dei ministri); viene confermato dalle attribuzione (art. 73, terzo comma) al premier della competenza di dirigere l'azione del Governo e di mantenere l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. Il mantenimento in capo a questi ultimi della responsabilità individuale per gli atti di loro competenza (art. 73, quarto comma), si accompagna alla precisazione che l'azione dei ministri deve svolgersi "nell'ambito delle direttive del primo ministro".

Il primo ministro è inoltre l'esclusivo interlocutore nei confronti della Camera politica per quanto attiene alle vicende relative al rapporto fiduciario con il Governo: all'atto dell'insediamento dell'esecutivo, il premier espone alle Camere il suo programma (art. 74, secondo comma); può essere invitato dal Presidente della Repubblica a presentarsi alla Camera per verificare la sussistenza del rapporto di fiducia (art. 66, lettera d); presenta al Capo dello Stato le dimissioni dell'esecutivo (art. 74, comma quinto), mentre è espressamente sancita l'inammissibilità di mozioni di sfiducia contro singoli ministri (art. 74, quarto comma).

b) Semplificazione del bicameralismo paritario.

Un'ulteriore elemento finalizzato a rendere più rapide le modalità di attuazione degli indirizzi politici di maggioranza può essere individuato nella definizione della sola Camera dei deputati quale ramo del Parlamento titolare del rapporto fiduciario e competente alla approvazione di tutte le iniziative legislative rilevanti per gli indirizzi politici di maggioranza.

c) Incremento dei poteri del Governo nel procedimento legislativo.

Il testo riconosce ampi poteri al Governo nella determinazione dell'ordine del giorno delle Camere e nell'ambito del procedimento legislativo. L'articolo 95, quarto comma prevede infatti che il Governo possa chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno di ciascuna Camera e sia votato entro una data determinata. La medesima disposizione riconosce altresì al Governo la facoltà di chiedere che, decorso il termine, la Camera deliberi sul testo proposto o accettato dal Governo articolo per articolo e con votazione finale (c.d. "voto bloccato"). Va rilevato che tali incisivi poteri possono essere esercitati dall'Esecutivo non solo nei confronti della Camera politica, ma anche del Senato.

Risultano rafforzati anche i poteri del Governo in merito alle decisioni di spesa deliberate dal Parlamento: l'articolo 103, quinto comma, prevede che ,in caso di opposizione del Governo, le Camere possono approvare disposizioni che comportino maggiori oneri solo a maggioranza assoluta dei propri componenti.

Vengono infine limitati i poteri delle Camere per quanto riguarda la modificazione del contenuto dei decreto legge: l'articolo 99 prevede l'inemendabilità dei decreti per mezzo della legge di conversione. A bilanciamento di tale innovazione, il medesimo articolo limita la possibilità di emanare i decreti ad una serie limitata di fattispecie (sicurezza nazionale, pubbliche calamità, norme finanziarie).

1.2.4. Carattere pluralistico della funzione di indirizzo politico

Per ambedue i versanti principali in cui si dispiega la funzione di indirizzo politico (quello legislativo e quello dell'azione di governo) il progetto della Commissione prevede di articolare la funzione di indirizzo politico secondo moduli significativamente più complessi di quelli attualmente accolti. Si tratta di un elemento che va a bilanciare i meccanismi che si sono illustrati al punto precedente, finalizzati ad assicurare una più rapida e diretta messa in opera degli indirizzi politici di maggioranza.

L'aumento di complessità è dovuto essenzialmente a tre fattori:

  1. la volontà di distinguere sia nella funzione di governo che in quella legislativa un indirizzo politico maggioritario da un indirizzo politico di garanzia. Questa distinzione si riflette tendenzialmente nella differenziazione dei compiti e dei ruoli, da un lato, del Presidente della Repubblica e del Governo, dall'altro della Camera dei deputati e del Senato della repubblica. Sul primo punto, si veda il paragrafo precedente di questa sezione, sul secondo si veda la sezione 1.3.

  2. l'immissione diretta del sistema delle autonomie nel circuito di determinazione dell'indirizzo politico nazionale. Questa innovazione incide sia sulla fase "ascendente" della formazione delle politiche attraverso la previsione (art. 116, co. 1) di una sede di concertazione di tali politiche tra governo ed autonomie con la costituzionalizzazione della conferenza Stato-comuni, province e regioni, sia nella fase "discendente" delle decisioni riguardanti gli interventi legislativi, attraverso la partecipazione dei rappresentanti di comuni, province e regioni alle sessioni speciali del senato convocate per l'esame dei progetti di legge rilevanti per il sistema delle autonomie (sulle competenze e le modalità di funzionamento del senato in sessione speciale, si veda la sezione 1.3).

  3. la valorizzazione degli istituti di democrazia diretta. L'articolo 97, oltre a confermare l'istituto del referendum abrogativo (il quorum per la iniziativa referendaria viene peraltro elevato da 500 a 800 mila sottoscrizioni) prevede di introdurre l'istituto del referendum approvativo sulle proposte di legge di iniziativa popolare sottoscritte da almeno 800 mila elettori quando entro due anni dalla presentazione le Camere non abbiano deliberato su di esse.

Un nuovo tipo di referendum è inoltre previsto dall'articolo 114: le leggi che consentono ad ulteriori limitazioni di sovranità dell'Italia in vista dell'unificazione europea possono essere sottoposte a referendum prima della loro promulgazione quando lo richiedano un terzo dei componenti di una Camera, 800 mila elettori o cinque assemblee regionali.

1.2.5. Controlli e garanzie

Le profonde modificazioni introdotte agli elementi che compongono la forma di governo hanno comportato una revisione del sistema delle garanzie e dei controlli, sia di quelli neutrali che di quelli politici:

Per un'analisi più dettagliata delle nuove competenze attribuite alla Corte costituzionale, si rinvia alla sezione 1.7.

1.3. Parlamento

1.3.1. La scelta sul modello di bicameralismo.

Le disposizioni sul Parlamento recate dal testo in esame modificano profondamente il sistema del bicameralismo paritario accolto dalla vigente Costituzione

Le norme approvate dalla Commissione affidano infatti alle due Camere compiti diversi e, in particolare, ridisegnano completamente il procedimento di approvazione delle leggi.

Sulla differenziazione del ruolo delle due Camere si sono affrontate essenzialmente due proposte.

La prima ha ipotizzato di fare valere la differenziazione essenzialmente in termini di diversa posizione delle due Camere nel rapporto fiduciario con il Governo. Questa proposta parte dall'assunzione che l'investitura maggioritaria del governo introdotta dal nuovo sistema richieda la sottrazione di una serie di politiche legislative (e di funzioni di controllo) alla disponibilità degli indirizzi politici di maggioranza. La sede per la definizione di queste politiche viene individuata in una delle due Camere che, pur mantenendo il carattere di diretta investitura popolare, viene tuttavia svincolata dal rapporto fiduciario con il Governo. Questo ramo del Parlamento verrebbe a definirsi in tal modo come "Camera della garanzie" in contrapposizione all'altra Camera configurata come "Camera politica".

La seconda proposta ha sostenuto invece la necessità di orientare la differenziazione prendendo a riferimento le innovazioni introdotte in tema di forma di Stato, anziché quelle sulla forma di governo. I sostenitori di questa opzione hanno fatto riferimento alla presenza, nella maggior parte degli ordinamenti ad ispirazione federale, di una Camera espressiva del sistema delle autonomie, distinta per composizione e funzioni dalla Camera sede della rappresentanza politica generale. Guardando a questi modelli, si è proposto di differenziare fortemente le modalità di formazione di questa Camera, rendendola organo espressivo in secondo grado degli enti di autonomia (sul modello del Bundesrat tedesco) o accentuando nella sua composizione il peso della componente territoriale rispetto a quella della popolazione (sul modello del Senato degli Stati Uniti).

La Commissione (recependo un orientamento maturato nel Comitato sul Parlamento e le fonti normative) ha preferito la prima opzione, scegliendo di configurare uno dei due rami del Parlamento come Camera delle garanzie. Questa Camera è stata successivamente individuata nel Senato della Repubblica.

Non si è tuttavia rinunciato del tutto alla seconda opzione: il Senato continua infatti ad essere eletto su "base regionale" e a ciascuna regione sono assegnati un certo numero fisso di senatori indipendentemente dalla relativa popolazione. È stata inoltre prevista la diretta integrazione del Senato, in occasione delle deliberazioni rilevanti per il sistema delle autonomie, di un eguale numero di rappresentanti delle regioni e degli enti locali.

1.3.2. La composizione delle due Camere.

La Commissione ha scelto di confermare per i componenti di entrambe le Camere la diretta elezione da parte del corpo elettorale (art. 77, comma primo) È stata pertanto respinta l'ipotesi di individuare in una delle due Camere la rappresentanza del sistema delle autonomie attraverso l'elezione dei relativi componenti in secondo grado da parte degli enti componenti tale sistema. La soluzione dell'elezione in secondo grado è stata tuttavia recuperata per l'elezione dei rappresentati delle autonomie che integrano il Senato in sessione speciale (vedi punto 5).

Il testo prevede una consistente diminuzione del numero dei componenti sia del Senato che della Camera. Il numero dei senatori è determinato direttamente dalla Costituzione in duecento unità (art. 79, terzo comma), mentre per la Camera il progetto (art. 78, primo comma) prevede un numero minimo (quattrocento) e massimo (cinquecento) di componenti: entro questi limiti la determinazione del numero dei deputati è rinviata alla legge.

Va inoltre ricordato che non è più previsto il potere del Presidente della Repubblica di nomina dei senatori a vita.

1.3.3. Verifica dei poteri.

La Commissione ha mantenuto (art. 84) l'attuale competenza di ciascuna Camera a giudicare dei titoli di ammissione dei componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità ed incompatibilità, prevista dalla Costituzione vigente all'art. 66. Viene però demandata ai rispettivi regolamenti la fissazione di un termine per la deliberazione in materia di elezioni contestate: avverso tale deliberazione l'interessato può proporre ricorso alla Corte costituzionale entro quindici giorni.

Analoga possibilità è prevista anche nel caso di inutile decorso del termine per deliberare.

1.3.4. Il sistema elettorale.

Nel testo approvato dalla Commissione non vi sono indicazioni sul sistema di elezione delle due Camere. L'art. 79 si limita a confermare per il Senato l'elezione dei relativi componenti "su base regionale" e a precisare che la ripartizione dei seggi tra le regioni è effettuata in proporzione alla popolazione, assicurando tuttavia che a ciascuna regione siano attribuiti almeno quattro senatori (tranne il Molise che ne ha due e la Valle d'Aosta che ne ha uno).

Pur in assenza di indicazioni testuali sul sistema elettorale, va tuttavia segnalato come a più riprese nel corso del dibattito in Commissione si sia sottolineato che la diversa funzione ("di garanzia") del Senato potrebbe comportare l'adozione, per l'elezione di questa Camera, di un sistema elettorale diverso dall'attuale, maggiormente caratterizzato in senso proporzionale (Passigli; Salvato; Morando).

Per quanto riguarda invece il sistema per l'elezione della Camera, nella seduta del 30 giugno 1997, sono state presentate due dichiarazioni di intenti in materia elettorale che però non sono state poste in votazione.

Il primo documento, a firma di Mattarella, Berlusconi, Nania, Dentamaro, Loiero, Cossutta, Pieroni, Boselli e Salvi indicava, tra i principi per una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati, quello del mantenimento del rapporto attuale tra il numero dei seggi assegnati con il metodo maggioritario e proporzionale e la previsione di un secondo turno elettorale con ballottaggio tra le due coalizioni che hanno riportato il più alto numero di seggi, per l’assegnazione di una quota di seggi, come premio di maggioranza, alla coalizione vincente.

Il secondo documento, a firma di D'Amico, Spini, Passigli e Occhetto, ha invece richiamato l'attenzione delle Camere sulla necessità di accompagnare la revisione della parte seconda della Costituzione con una riforma della legislazione elettorale che si fondi su una formula di doppio turno di collegio.

1.3.5. Le differenti funzioni della Camera politica e della Camera di garanzia.

La sola Camera dei deputati è titolare del rapporto fiduciario con il Governo. Solo presso la Camera possono infatti essere presentate le mozioni di sfiducia contro l'esecutivo (art. 74, comma terzo: la mozione di fiducia iniziale non è prevista, com'è noto, dal testo in esame).

La sola Camera dei deputati è conseguentemente interessata dalle conseguenze di una crisi irreversibile del rapporto fiduciario. La sola Camera può infatti essere sciolta anticipatamente dal Presidente della Repubblica. Ciò significa che la legislatura del Senato è comunque destinata a durare cinque anni: alta quindi la possibilità di termini di legislatura "sfalsati" tra le due Camere.

In quanto "Camera delle garanzie" il Senato si differenzia dalla Camera anche per questi profili:

1.3.6. I tre tipi di procedimento legislativo.

Nell'ambito del procedimento legislativo ordinario, il progetto distingue tre tipi di procedimento. La distinzione è una conseguenza della decisione di individuare nella sola Camera dei deputati la Camera "politica". Ciò ha permesso di conservare al Senato poteri paritari nel procedimento legislativo solo per un limitato ambito di materie (quelle sostanzialmente afferenti alle questioni istituzionali e ai diritti e alle libertà). Per tutte le altre materie, il procedimento legislativo si svolge e si conclude di norma alla Camera: è tuttavia data facoltà al Senato di "richiamare" i progetti approvati dalla Camera e di proporre ad essi modifiche, sulla quali tuttavia la decisione definitiva spetta alla Camera. Per un terzo ambito di materie è infine previsto un procedimento misto: si tratta delle questioni per le quali il procedimento legislativo richiede la partecipazione dei rappresentati delle autonomie. I progetti di legge ricadenti in tale ambito sono necessariamente (senza quindi che vi sia bisogno del "richiamo") trasmessi ad approvati dal Senato, che delibera nella composizione integrata dai rappresentanti delle autonomie (vedi punto 1.3.7). Qualora tuttavia il Senato "integrato" introduca modifiche, spetta alla Camera deliberare su di esse in via definitiva. Sulla base di questi principi, il procedimento legislativo si può distinguere in tre tipi:

Leggi bicamerali paritarie. I progetti di legge debbono essere approvati da entrambe le Camere quando riguardino le materie indicate dell'articolo 90. Sono approvati dalle due Camere anche i progetti di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionale e di delegazione legislativa quando riguardino le medesime materie, nonché tutte le altre leggi per le quali gli articoli della Costituzione rinviano all'approvazione da parte delle due Camere (cfr. l'elenco di queste leggi riportato nella relativa tabella contenuta nell'allegato 2). Le leggi rientranti in questa categoria debbono essere approvate in testo identico da parte di entrambe le Camere. Se la Camera che approva per seconda il progetto vi introduce delle modifiche, le disposizioni modificate sono assegnate a una speciale commissione formate da un eguale numero di componenti delle due Camere in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi di ciascuna Camera. Il testo adottato dalla commissione speciale è poi sottoposto all'approvazione di ciascuna Camera con la sola votazione finale.

Leggi bicamerali non paritarie. Si tratta delle leggi che intervengono nelle materie elencate nell'art. 89 e nell'art. 93. Queste leggi debbono essere approvate da entrambe le Camere ma in caso di introduzione di modifiche da parte del Senato la Camera delibera in via definitiva. Per l'esame di tutte queste leggi il Senato delibera in sessione speciale (vedi punto seguente). Va segnalato che tuttavia non tutte le leggi sulle quali è chiamato a deliberare il Senato integrato hanno natura di leggi bicamerali non paritarie: le leggi che intervengono su due ambiti (legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali di comuni e province: art. 89, comma secondo, lett. a); autonomia finanziaria di Comuni, Province e Regioni e conferimento di beni demaniali alle Province, alle Regioni ed allo Stato: art. 89, comma secondo, lett. d)) sono deliberate dal Senato in sessione speciale, ma hanno natura di leggi bicamerali paritarie.

Leggi monocamerali. Tutte le leggi che intervengono sulle materie di competenza dello Stato (elencate dall'art. 58) e per le quali la Costituzione non prevede i procedimenti speciali descritti ai punti precedenti sono deliberate di norma dalla sola Camera dei deputati. È tuttavia prevista la facoltà di chiederne l'esame anche da parte del Senato: la richiesta deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei componenti di questa Camera entro dieci giorni dalla trasmissione del progetto. Entro i successivi trenta giorni il Senato delibera e può proporre modifiche sulle quali decide in via definitiva la Camera dei deputati.

1.3.7. Il Senato integrato dai rappresentanti delle autonomie.

Per l'esame delle leggi che interessano il sistema delle autonomie il Senato delibera in sessione speciale, integrato da consiglieri comunali, provinciali e regionali eletti in ciascuna regione in numero pari a quello dei senatori eletti nella medesima regione. Le modalità per l'elezione di questi rappresentanti dovranno essere stabilite dalla legge sulla base dei seguenti principi:

  1. composizione paritetica del collegio (che pertanto, in sessione speciale, conterebbe 400 membri). I componenti "esterni" sono infatti eletti in ciascuna regione, in numero pari a quello dei relativi senatori;

  2. riserva di legge approvata dalle due Camere per l'indicazione dei criteri;

  3. garanzia dell'equilibrio nella rappresentanza degli enti interessati;

  4. in ciascuna Regione i rappresentanti da inviare al Senato saranno eletti da tre collegi espressi rispettivamente dai consiglieri comunali, provinciali e regionali della Regione. Le rappresentanze dovranno essere formate sulla base "dei voti espressi per l’elezione dei consigli": non quindi in proporzione agli effettivi componenti di tali organi (che a norma delle leggi vigenti sono determinati sulla base del premio di maggioranza), ma in proporzione ai voti espressi per le diverse formazioni politiche;

  5. estensione ai membri "esterni" dell'insindacabilità ex art. 94, primo comma.

1.3.8. I poteri del Governo in Parlamento.

L'articolo 95, quarto comma, del testo approvato dalla Commissione introduce la previsione di importanti prerogative del Governo in merito al procedimento legislativo. Tale disposizione, che non trova analoghi esempi all'interno della Costituzione vigente, è diretta a consentire all'esecutivo di indicare gli argomenti sui quali esso intende far pronunciare in via prioritaria le Camere. Pertanto i regolamenti parlamentari dovranno stabilire le modalità con cui il Governo può chiedere l'iscrizione di un disegno di legge all'ordine del giorno di ciascuna Camera e la votazione entro una data determinata. Decorso tale termine, il Governo può chiedere alle Camere di deliberare, articolo per articolo, sul testo proposto (o accettato) dal Governo.

Ulteriori poteri sono previsti dall'ultimo periodo del quinto comma dell'art. 103, che introduce un principio particolarmente significativo per quanto riguarda i rapporti tra Parlamento e Governo in materia finanziaria. Tale principio prevede infatti che il Governo possa opporsi alle proposte, di iniziativa parlamentare, dirette ad approvare disposizioni che comportino maggiori oneri per il bilancio. In tal caso, se il Governo si oppone, le Camere possono comunque approvare tali proposte, ma devono farlo con un quorum rafforzato, ossia a maggioranza assoluta dei componenti.

1.3.9. Lo statuto delle opposizioni.

Il testo dell'art. 83, comma quinto, introduce, per quanto riguarda i diritti delle opposizioni, un'innovazione con riferimento al solo regolamento della Camera dei deputati, fissando una serie di principi che dovranno essere recepiti dal regolamento di tale Assemblea.

A tutela ed a garanzia dei diritti delle minoranze, il regolamento della Camera dei deputati deve prevedere, infatti, norme idonee a garantire i diritti delle opposizioni in ogni fase dell'attività parlamentare e a disciplinare le modalità di designazione dei presidenti delle Commissioni "di controllo o garanzia", in modo da assicurare che essa avvenga ad opera delle stesse opposizioni.

Viene inoltre previsto che proposte o iniziative indicate dalle opposizioni siano iscritte all'ordine del giorno con "riserva di tempi e previsione del voto finale".

Sempre a garanzia delle minoranze parlamentari, l'art. 105, primo comma, attribuisce a ciascuna Camera la facoltà di disporre inchieste su materie di pubblico interesse quando ne faccia richiesta almeno un terzo dei componenti di ciascuna Camera (l'attuale art. 82 Cost. non prevede, invece, alcuna forma di iniziativa "di minoranza").

Infine, l'art. 136, quinto comma, delinea un istituto innovativo che consente ad un quinto dei componenti di una Camera di azionare direttamente la Corte per il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi solo per i vizi attinenti alla violazione dei diritti fondamentali.

1.3.10. Lo status del parlamentare.

Il primo comma dell'art. 86, in materia di insindacabilità dei componenti del Parlamento, sancisce il principio già contenuto nell'art. 68, primo comma, della Costituzione vigente ma con una modifica significativa: i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere dei voti dati e delle opinioni espresse nell'esercizio o a causa delle loro funzioni. Il primo comma dell'articolo in esame ha pertanto esteso l'ambito di applicazione dell'insindacabilità, prevedendo una più ampia tutela delle funzioni parlamentari.

Il testo del successivo secondo comma, in tema di inviolabilità personale, è esattamente corrispondente a quello dell'attuale art. 68.

Il terzo comma infine, innovando in parte rispetto al vigente art. 68, terzo comma, Cost., richiede l'autorizzazione della Camera di appartenenza per l'utilizzazione in giudizio di conversazioni, comunicazioni o corrispondenza delle quali siano parte componenti delle Camere e per la sottoposizione di componenti delle Camere a forme di intercettazione, registrazione o sequestro di corrispondenza.

1.4. Pubbliche amministrazioni, autorità di garanzia e organi ausiliari

1.4.1. Le pubbliche amministrazioni.

Le norme dedicate alla pubblica amministrazione si caratterizzano per l'estesa costituzionalizzazione dei principi generali e degli istituti elaborati dalla più recente disciplina legislativa, per la sottrazione alla legge della competenza a regolare alcuni importanti aspetti della materia, per l'ampio ricorso a principi privatistici sia in materia di azione amministrativa che nel rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.

Tali innovazioni appaiono motivate dal duplice fine di garantire il massimo dell'efficacia nel perseguimento dell'interesse pubblico da parte dell'azione amministrativa, e il massimo della tutela ai singoli cittadini in essa coinvolti.

In questa prospettiva, l'art. 106 fissa prima di tutto una serie di principi, cui si devono conformare l'attività delle pubbliche amministrazioni, svolta nell'interesse dei cittadini (comma 1), e i procedimenti amministrativi attraverso i quali essa si esplica (comma 4): da una parte imparzialità, ragionevolezza, trasparenza, separazione tra l'attività di amministrazione e quella di direzione politica; dall'altra previsione e congruità del termine del procedimento, esplicitezza e motivazione delle decisioni, diritto d'informazione e d'accesso, partecipazione dei cittadini, ecc. Inoltre, viene espressamente costituzionalizzato il principio di pari opportunità tra i sessi nell'accesso ai pubblici impieghi (art. 107, co. 1).

In secondo luogo, l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni (art. 106, co. 3) viene rimessa alle fonti secondarie (regolamenti, statuti, atti di organizzazione) individuate dalle rispettive leggi istitutive, abbandonando così il principio della riserva di legge prevista in materia dalla vigente Costituzione (art. 97).

Infine, viene previsto un sostanziale adeguamento della disciplina relativa alla pubblica amministrazione a quella vigente in campo privatistico per quanto riguarda i suoi rapporti con i propri dipendenti (art. 107, co. 4) e con i cittadini (art. 106, co. 2). Si prevede così in via generale, salvo i casi determinati dalla legge:

  1. che ai dipendenti pubblici si applichino le leggi generali in materia di rapporto di lavoro, rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva, tutela giurisdizionale;

  2. che le pubbliche amministrazioni agiscano secondo le norme di diritto privato e siano civilmente responsabili dei danni arrecati ai terzi.

Principi innovativi sono anche dettati in materia di responsabilità dei pubblici funzionari (art. 107, co. 2) e di modalità di accesso agli impieghi pubblici (art. 107, co. 3). Viene infatti stabilito che i funzionari sono responsabili dei risultati conseguiti dagli uffici cui sono preposti, in connessione con un'analisi dei costi e dei benefici dell'azione svolta. Dall'altra parte, viene superato l'esclusivo riferimento al concorso pubblico, e si apre il campo alla possibilità di reclutare il personale mediante altri tipi di prove selettive, più liberamente configurate in relazione alle esigenze da soddisfare, ma comunque nel rispetto dei principi di pubblicità, imparzialità, efficienza.

1.4.2. Autorità di garanzia e organi ausiliari.

Se nelle innovazioni appena esaminate prevale il fine di garantire il massimo dell'efficacia all'azione amministrativa, in quelle relative alle autorità di garanzia e agli organi ausiliari emerge con particolare evidenza quello di assicurare il massimo della tutela ai singoli cittadini in essa coinvolti.

Si spiega in questa chiave la decisione di costituzionalizzare soggetti ed organi di garanzia già noti al nostro ordinamento quali le Autorità di garanzia e di vigilanza (art. 109) e il difensore civico (art. 111). Le finalità garantiste delle prime risultano ben evidenziate dalla definizione dell'ambito della loro attività, individuato nella tutela dei diritti di libertà sanciti dalla Costituzione (co. 1), e di adeguate garanzie della loro indipendenza sia dal potere esecutivo che da quello legislativo, assicurata anche dalle modalità di nomina dei loro titolari (che saranno eletti dalla "Camera delle garanzie", il Senato, con l'elevato quorum della maggioranza dei tre quinti dei componenti) (co. 2).

Altrettanto importante la disposizione (art. 110) che conferisce rilievo costituzionale alla Banca d'Italia, sancendone l'autonomia e l'indipendenza in particolare per quanto riguarda le funzioni monetarie e di vigilanza sul sistema creditizio. Si noti peraltro che la disciplina infine approvata risulta meno dettagliata di quella inizialmente proposta; in particolare, per quanto riguarda la Banca d'Italia, è caduta la previsione di un fondamento legislativo delle funzioni ad essa riconosciute, fondamento che avrebbe infine potuto determinare una limitazione di fatto della sua autonomia, basata sulla fonte statutaria.

Si ricordi infine che il testo da ultimo approvato mantiene rilevanza costituzionale a CNEL (art. 112), Consiglio di Stato e Corte dei Conti, e la conferisce all'Avvocatura dello Stato (art. 113).

In particolare l’articolo 113 attribuisce funzioni ausiliarie al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti che si estrinsecano per il primo organo in attività di consulenza giuridico-amministrativa al Governo; per il secondo in compiti di controllo dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa. Entrambi gli organi perdono invece le funzioni giurisdizionali che, in coerenza con il principio della unità funzionale della giurisdizione (v. la sezione della scheda dedicata alla giustizia) verranno esercitate dagli organi di giustizia amministrativa.

Quanto al CNEL, invece, si noti che la Commissione ha deciso di riprodurre il testo della Costituzione vigente (art. 99), ad eccezione dell'ultimo comma relativo all'iniziativa legislativa. Si è cioè deciso di rivedere la posizione assunta a giugno, quando era stata accolta la proposta di eliminare la previsione costituzionale di tale organo, mediando con le richieste di quanti avrebbero voluto assegnare ad esso la funzione più generica e generale di sede della rappresentanza delle formazioni sociali.

1.5. Partecipazione dell'Italia all'Unione europea

La Commissione ha deciso di arricchire, già dalla prima fase dei suoi lavori, il contenuto della Costituzione vigente con una sezione specificamente dedicata ai rapporti tra l'Italia e l'Unione europea. In particolare, si è ritenuto che, anche in virtù dell'accelerazione del processo di integrazione europea, fosse indispensabile introdurre nel testo costituzionale una serie di principi in materia comunitaria, che funzionassero da "cerniera" tra la dimensione internazionale della Costituzione stessa (con particolare riguardo agli artt. 10 e 11 della prima parte della Costituzione) e il nuovo assetto istituzionale emerso dal progetto di revisione. Da tale opera di collegamento e dalla necessità di una valorizzazione "costituzionale" della partecipazione del Paese al processo di formazione dell'Unione europea, è derivato un confronto in seno alla Commissione che, dopo varie modifiche al testo originariamente presentato, ha prodotto tre articoli "di principio" (114-116), che costituiscono l'intero Titolo VI del progetto di Costituzione.

In primo luogo, il nuovo testo individua i principi sui quali si dovrà realizzare la partecipazione dell'Italia al processo di unificazione europea: essa dovrà avvenire in condizioni di parità con gli altri Stati e nel rispetto dei principi supremi dell'ordinamento e dei diritti inviolabili della persona umana. Per questi scopi, sono altresì previste, attraverso un procedimento legislativo "aggravato", autorizzazioni a limitazioni di sovranità. Viene infine ribadita la necessità di promuovere un ordinamento fondato sui principi di democrazia e sussidiarietà (per un'analisi dei suddetti principi, si rinvia alla scheda relativa all'art. 114).

Sono inoltre affermati i principi generali in materia di definizione degli indirizzi di politica europea e di organizzazione per la formazione degli atti comunitari. In particolare, si sancisce espressamente il diritto delle Camere a concorrere con il Governo nella definizione degli indirizzi di politica comunitaria (è altresì previsto un parere parlamentare sulle nomine agli organi delle istituzioni europee) e si stabilisce il principio per cui le Regioni partecipano direttamente alle decisioni preliminari alla formazione degli atti comunitari, provvedendo anche alla loro attuazione ed esecuzione (in mancanza, si prevede un intervento sostitutivo dello Stato).

La formulazione definitiva del Titolo VI ha visto pertanto prevalere, rispetto all'ipotesi di un articolato molto dettagliato (emersa nel corso della prima fase dei lavori), l'opzione per un testo "essenziale", che contiene esclusivamente i principi di base sulla partecipazione dell'Italia al processo di unificazione europea ed i relativi criteri di organizzazione interna.

 

1.6. La Giustizia

Le disposizioni in materia di giustizia sono previste dal Titolo VII (articoli da 117 a 133) del progetto di legge costituzionale all'esame dell'Assemblea, sostanzialmente corrispondente al Titolo IV della seconda parte della vigente Costituzione (articoli da 101 a 113).

La proposta approvata dalla Commissione nella materia in esame si compone di norme in gran parte intimamente connesse tra loro, basate su alcune scelte di fondo che sono state approfondite e, talvolta, ampiamente condivise nel dibattito svoltosi.

Di seguito si darà pertanto conto di tali scelte, rinviandosi all'illustrazione dei singoli articoli per l'approfondimento delle relative tematiche.

1.6.1. Unità funzionale della giurisdizione.

Sin dall'inizio dei propri lavori il Comitato per il sistema della garanzie, cui era affidato l'esame istruttorio delle problematiche in esame, ha ritenuto che la soluzione del problema dell'unità o pluralità della giurisdizione fosse preliminare rispetto alla complessiva impostazione delle norme in materia di giustizia, in quanto determinante l'assetto complessivo degli organi della giurisdizione.

In un primo momento il Comitato si era orientato verso la soluzione del giudice unico, ossia dell'unità sostanziale della giurisdizione, per poi accedere, invece, alla tesi secondo la quale l'unità funzionale della giurisdizione consentirebbe comunque il raggiungimento degli obiettivi della piena indipendenza del giudice (con riferimento in particolare a quello amministrativo), della semplificazione dell'ordinamento giudiziario e, al contempo, della piena utilizzazione delle risorse ed attitudini della giurisdizione amministrativa in relazione alla articolata richiesta di giustizia che emerge in società complesse come quelle contemporanee.

Da questa impostazione, che è stata confermata sia in giugno che in ottobre dalla Commissione, deriva quanto segue:

1.6.2 Giurisdizione del giudice amministrativo.

Dapprima il Comitato ha esaminato e poi la Commissione ha approvato disposizioni di grande rilevanza e portata innovativa in ordine ai criteri di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo ed ordinario nonché alle modalità della tutela nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare:

1.6.3. Responsabilità ed azione disciplinare.

Anche nella materia in esame la Commissione ha approvato disposizioni profondamente innovative, sia con riguardo agli organi che alle modalità di esercizio dell'azione. In particolare:

1.6.4. Diritto penale minimo.

Il complesso delle norme recate dall'articolo 129 reca - unitamente a quello di cui al successivo articolo 130, per cui vedi appresso - taluni degli interventi più innovativi approvati dalla Commissione in tema di giustizia. In particolare il citato articolo 129 costituzionalizza il paradigma assiologico del "diritto penale minimo", nei termini seguenti:

1.6.5. Principi processuali.

L'articolo 130 accennato introduce talune disposizioni di grande rilievo in tema di processo e di procedimento penale. In particolare:

1.6.6. Separazione delle funzioni dei giudici da quelle dei magistrati del pubblico ministero. Struttura del Consiglio superiore della magistratura ordinaria.

Le tematiche in esame presentano evidenti aspetti di connessione e sono pertanto state affrontate congiuntamente nel corso del dibattito. All'esito di un confronto serrato, condotto sulla scorta di posizioni talvolta assai diversificate, la Commissione ha approvato un articolato basato in sintesi sui seguenti principi:

1.7. La Corte costituzionale.

Il progetto introduce alcune importanti innovazioni alle norme della Costituzione che riguardano la composizione e le funzioni della Corte costituzionale.

Per quanto concerne la composizione della Corte, il numero dei giudici costituzionali viene portato da 15 a 20.

Quanto ai titolari del potere di nomina dei giudici, il progetto conferma la nomina di cinque giudici rispettivamente da parte del Presidente della Repubblica e delle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa; cinque giudici sono nominati dal Senato della Repubblica, che sostituisce in questa funzione il Parlamento in seduta comune secondo il criterio generale enunciato dall'art. 88; cinque giudici sono nominati infine dal collegio dei rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Regioni che integrano il Senato in sessione speciale (vedi il punto 1.3.7).

Per i giudici costituzionali viene stabilito un rigoroso regime di incompatibilità successive al termine del mandato.

Si prevede infine la facoltà per la Corte di organizzarsi in sezioni per l'esercizio delle proprie funzioni (art. 135, settimo comma).

Le funzioni della Corte sono ampliate in due direzioni, prevedendo nuove forme di accesso al giudizio della Corte o nuovi oggetti dei giudizi costituzionali.

L'art. 59, secondo comma, attribuisce ai Comuni e alle Province il potere di impugnare direttamente di fronte alla Consulta le leggi statali e regionali ritenute invasive della rispettive competenze. L'innovazione è una conseguenza del maggiore rilievo che Comuni e Province assumono nel sistema delle autonomie disegnato dal progetto (cfr. artt. 55 e 56) e si collega con un altro strumento di tutela costituzionale attribuito ai medesimi soggetti: la possibilità di sollevare conflitto di attribuzioni (cfr. lettera d) dell'art. 134). Per la definizione dei termini e dei casi di proposizione dei conflitti da parte di Comuni e Province il progetto fa rinvio ad una legge costituzionale.

L'altra importante forma di accesso al sindacato di legittimità sulle leggi è stabilita dall'articolo 137, secondo comma, in cui si dà facoltà ad un quinto dei componenti di una Camera di sollevare la questione di costituzionalità delle leggi per violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Anche in questo caso la definizione delle modalità e dei termini di proposizione della questione di costituzionalità dovrà essere definita con legge costituzionale.

Per quanto riguarda i nuovi ambiti sui quali è chiamata a giudicare la Corte, vanno in primo luogo ricordati i giudizi sui ricorsi dei singoli per la tutela, nei confronti dei pubblici poteri, dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Si introduce in tal modo uno strumento di "chiusura" del sistema delle garanzie analogo a quello operante in altri paesi europei (Germania, Spagna, Austria, ecc.), le cui modalità attuative dovranno essere definite con legge costituzionale.

Nuove sono anche le competenze della Corte in materia di ricorsi elettorali: la Corte sarà chiamata infatti a giudicare sui ricorsi avverso le deliberazioni delle Camere in materia di elezioni contestate (o nel caso in cui le Camere abbiano omesso di decidere entro i termini stabiliti dai loro regolamenti) sui ricorsi ad esse presentati e sui ricorsi presentati in materia di elezione del Presidente della Repubblica.

Va infine menzionato che la competenza del giudizio di legittimità costituzionale viene estesa anche ai regolamenti del Governo riguardanti l'organizzazione dell'amministrazione statale. Tale estensione è stata giustificata facendo riferimento alla riserva esclusiva di competenza normativa che l'art. 98, comma secondo, attribuisce ai regolamenti del Governo per la disciplina di tale materia.

Un'ultima innovazione riguarda il termine di efficacia dei giudizi di legittimità sulle leggi e sui regolamenti: il secondo comma dell'articolo 136 dà facoltà alla Corte di posticipare sino ad un anno l'efficacia della pronuncia con cui si dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma. Nel corso del dibattito, l'opportunità di una possibile modulazione nel tempo dell'efficacia delle sentenze della Corte è stata sostenuta principalmente in riferimento alle pronunce che comportano effetti finanziari: la posticipazione dell'efficacia di queste sentenze darebbe la possibilità al Parlamento e al Governo di provvedere alla relativa copertura finanziaria o alla revisione della disciplina sulla quale è intervenuta la decisione della Consulta.