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Doc. XXIII n. 47


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6. I traffici illeciti.

I lavori svolti consentono di affermare la persistenza ed anzi l'aggravarsi di fenomeni che già la precedente Commissione monocamerale aveva posto all'attenzione del Parlamento. In primo luogo, emerge il fenomeno dello spostamento di ingenti quantitativi di rifiuti anche pericolosi dal nord al sud del Paese, spesso in violazione del divieto di esportazione transregionale.
Sono infatti numerose le evidenze di traffici e smaltimenti illegali di rifiuti che vedono coinvolte regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l'Emilia Romagna, il Lazio, l'Abruzzo, oltre a quelle in cui tradizionalmente è più presente la criminalità organizzata (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia). A questo proposito, la Commissione ritiene di dover da subito sottolineare come tali episodi criminali siano


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significativi non solo - e non tanto - dal punto di vista della gestione illecita dei rifiuti, ma soprattutto per ciò che rappresentano in termini di infiltrazioni mafiose nelle aree «non tradizionali».
Le rotte del traffico illegale, del resto, non si muovono più solo lungo l'asse nord-sud in direzione del Mezzogiorno, ma esiste - ed è trafficata - anche la direttrice nord-nord: anche nel settentrione i rifiuti vengono smaltiti in discariche non autorizzate, costituite da cave, da specchi d'acqua, da grandi buche scavate in fondi anche agricoli sulle quali, una volta ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture; lo smaltimento illecito viene praticato anche in capannoni industriali dismessi o presso aziende di bitumazione, dove vengono miscelati ad altri prodotti ottenendone materiale per rilevati stradali. I rischi assai modesti connessi a tale pratica illegale, e le «garanzie di omertà» assicurate dai trasportatori e dagli smaltitori, hanno reso l'affare appetibile anche per imprese di medie e grandi dimensioni, che affidano spesso i loro rifiuti a soggetti legati alla criminalità organizzata, i quali garantiscono costi di smaltimento inferiori a quelli praticati dal mercato legale.
La Commissione aveva già evidenziato che tali traffici, in parte gestiti dalla criminalità (organizzata e comune), sia per motivi interni alla stessa organizzazione (lotte tra fazioni), sia per la progressiva incapienza dei siti utilizzati, sia per l'intervento incisivo delle forze dell'ordine che hanno proceduto al sequestro di numerose discariche collettrici di rifiuti (in particolare in Campania e nel Lazio), si erano spostati negli ultimi anni dalla dorsale tirrenica a quella adriatica, coinvolgendo tutta la fascia abruzzese e, in particolare, tutte le zone limitrofe al percorso autostradale della A14; il che ha comportato che sono rimaste interessate al fenomeno zone tradizionalmente esenti da presenze criminali, organizzate e non, che operano in settori di varie imprenditorie. Ora trova conferma il sospetto e l'allarme già lanciati dalla Commissione relativamente all'estensione a tutto il territorio nazionale del fenomeno degli smaltimenti illeciti.
I canali attraverso i quali si realizzano questi traffici illeciti sono essenzialmente tre: conferimento dei rifiuti industriali nel sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, in modo ovviamente occulto; trasformazione, puramente nominale e cartacea, dei rifiuti in materie prime secondarie, utilizzate da operatori compiacenti in modo improprio o illegale sia nei cicli produttivi che, ad esempio, nella realizzazione di sottofondi stradali o altro; declassificazione, ovviamente illecita, dei rifiuti tossico-nocivi, che presentano costi di smaltimento più alti, in rifiuti speciali.
Un settore particolarmente esposto al rischio di tali comportamenti illeciti è quello relativo all'attività svolta dai numerosi centri di stoccaggio, i quali offrono facilmente il fianco ad attività di miscelazione tout court e modifica (mediante alterazioni e falsificazioni dei documenti di accompagnamento) della tipologia dei rifiuti tossico-nocivi, che vengono in tal modo avviati a forme di smaltimento poco corrette, nei siti più disparati, con grave danno per l'ambiente e la salute dei cittadini. È opportuno evidenziare i rilevanti risvolti di natura fiscale connessi all'accertamento di carichi di rifiuti tossico-nocivi, ritirati e poi, di fatto, non smaltiti. Infatti, dal riscontro delle operazioni fittizie di smaltimento emergono costi non sostenuti, ancorché


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portati in deduzione dall'impresa produttrice dei rifiuti, nonché l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, aventi il duplice scopo di documentare il regolare conferimento dei rifiuti ad imprese autorizzate e di realizzare una cospicua evasione delle imposte sui redditi e sui valori aggiunti.
Le vicende di cui la Commissione è venuta a conoscenza dimostrano, altresì, l'esistenza di società commerciali attive nel mettere in contatto l'industriale produttore dei rifiuti con il trasportatore o lo smaltitore, in tal modo determinando un ulteriore aumento dei costi di smaltimento (i costi dell'attività di intermediazione) ed al contempo rendendo più complessa l'individuazione dei referenti e dei responsabili dei traffici illeciti, poiché la documentazione relativa ai rifiuti trasmigra da una società all'altra. Significativi della diffusione del fenomeno sono i dati offerti dall'Arpa per la sola regione Emilia Romagna, secondo i quali gli impianti autorizzati sono prevalentemente depositi temporanei per conto terzi di rifiuti speciali e sono circa duemila le autorizzazioni riferite a singole tipologie di rifiuti; non vi è pertanto corrispondenza tra il numero di impianti autorizzati e le tipologie di rifiuti autorizzate.

6.1 La rotta adriatica.

Uno spaccato del traffico transregionale di rifiuti è offerto dal procedimento in carico alla procura di Rimini, nel quale si evidenzia un collegamento di tipo organizzativo tra più soggetti operanti in vaste aree del territorio nazionale. Il traffico, infatti, finalizzato principalmente allo smaltimento di rifiuti solidi urbani, interessa anche rifiuti speciali e/o tossico-nocivi, provenienti dalle aree del nord-est. Il centro - consistente in realtà soltanto in una piccolissima piattaforma - convogliava enormi quantità di rifiuti, i quali, con un semplice cambio di bolla di accompagnamento, figuravano assorbiti dalla regione Emilia Romagna; si trattava di rifiuti provenienti anche da altre località come, ad esempio, dal comune di Rapallo. Sul centro di stoccaggio sono state convogliate grosse quantità di rifiuti urbani; non venivano tenuti presso il centro i materiali pericolosi più facilmente riconoscibili, ma venivano miscelati direttamente nei mezzi di trasporto non appena questi arrivavano al centro. Grazie ad un ulteriore giro di bolle, i rifiuti finivano poi in gran parte in discariche abusive della Puglia e dell'Emilia Romagna, ma anche dell'Abruzzo e della Calabria.
Nel traffico illegale di rifiuti sono coinvolti anche alcuni amministratori locali, oltre che diversi titolari di attività di trasporto o di raccolta e smaltimento di rifiuti urbani, nonché società d'intermediazione (è contestato il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e reati connessi, tra i quali truffe, falsificazioni di certificati e di autorizzazioni, violazioni fiscali).
L'indagine ha consentito di far chiarezza sulle modalità di realizzazione delle operazioni illecite: Marco Savini, titolare di un centro di stoccaggio di rifiuti urbani ed assimilabili a Borgonovo, aveva incaricato la ditta Muratori Trasporti ad effettuare trasporti di rsu dal comune di Piacenza e territori limitrofi, e dal consorzio smaltimento


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rifiuti fra i comuni di Salsomaggiore Terme e Fidenza, alle discariche di Ancarano, Pomarico, Collecorvino, Corigliano Calabro. Tali rifiuti, in realtà, sono risultati smaltiti prevalentemente presso la discarica di Ginestreto, attraverso l'utilizzazione di false bolle ecologiche emesse dal Cia spa di Coriano, grazie alla compiacenza di un suo funzionario, che percepiva dall'illecita emissione lauti compensi (secondo quanto appurato dai magistrati circa 500.000 lire per ogni bolla).
La ditta Muratori Trasporti, infatti, era titolare di un appalto con il Cia Spa per il trasporto di rsu dal forno di incenerimento del comune di Coriano alla discarica di Ginestreto, per cui non le era difficile far figurare gran parte dei rifiuti di altre località fra quelli provenienti da Coriano mediante, appunto, una falsa bolla ecologica proveniente dal Cia spa (false bolle ecologiche false sono state emesse anche dalle società Amga di Cesena e dall'Amiu di Forlì).
È evidente la truffa realizzata ai danni dei comuni di provenienza dei rifiuti, che pagavano la ditta per il trasporto e lo smaltimento regolare degli stessi, nonché ai danni del Cia spa, secondo un sistema - quello descritto - che si è ripetuto per alcuni anni (1994-1996), poiché non venivano effettuati controlli più penetranti della mera verifica formale dei documenti di accompagnamento dei rifiuti, in apparenza del tutto regolari. Per ingenti quantitativi di rifiuti provenienti dall'inceneritore di Salsomaggiore Terme, di cui sempre il Savini curava lo smaltimento, forte è il sospetto che essi siano stati addirittura smaltiti in discariche non autorizzate o comunque in luoghi non idonei a riceverli, dal momento che non è stato possibile accertarne la destinazione finale.
Un altro filone della stessa indagine condotta dalla procura di Rimini ha consentito di scoprire un traffico illecito di fanghi tossico-nocivi prodotti dalle Acciaierie venete spa che, nel 1995, erano affidati per il trattamento e lo smaltimento alla ditta Asbestos Tecnical Service 2, ma in realtà inviati direttamente, senza subire alcun processo di inertizzazione e trattamento, in una cava dismessa del Veneto (comune di Soave) o addirittura utilizzati dalla ditta Edilstrade per la pavimentazione delle strade, con gravissimo pregiudizio per l'ambiente e la salute pubblica. Le due ditte, infatti, si facevano garanti dell'attività di trasporto, trattamento e riutilizzo finale di tali rifiuti mediante false attestazioni agli enti competenti, così lucrando ingenti somme dalle Acciaierie venete spa.
È interessante notare che l'accertamento dei fatti è stato condotto avvalendosi di tecniche d'indagine (come le intercettazioni telefoniche) rese possibili dalla contestazione di reati economico-fiscali.
In Puglia, presso la località Montecalvello-Giardinetto del comune di Troia (FG), è stata individuata un'area di circa settanta ettari, di proprietà della società Iao srl, dove sono state rinvenute diverse tonnellate di rifiuti provenienti da diverse regioni. Il complesso aziendale comprende alcuni locali adibiti ad uffici, capannoni e piazzali destinati a deposito di rifiuti, nonché un impianto di frantumazione di rifiuti provenienti dalla demolizione edile; la società, infatti, dal 1997 svolge attività di recupero di rifiuti del tipo fanghi, ceneri di combustione ed altri residui di lavorazioni industriali, ma dal 25 marzo 1999 ciò avveniva senza autorizzazione. Infatti, in tale data la ditta ha mutato la sua denominazione (da Industria agricola olearia


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srl in Industria ambientale organizzata srl) mantenendo invariata la sigla di identificazione (Iao srl). Tuttavia la nuova denominazione non è stata comunicata alla provincia, tant'è che la società risulta ancora iscritta nel registro ex articolo33 del «decreto Ronchi» con la vecchia denominazione sociale. Il capitale sociale della Iao srl è ripartito tra cinque società, tutte del gruppo Fantini, cioè la Marte spa, la Celam spa, la Immobiliare Sveva srl, la Ilas Alveolater srl, la RDB Fantini srl.
Nel corso dei sopralluoghi effettuati è però emerso che la società non esplica, in realtà, alcun ciclo produttivo, ma si limita a svolgere un'attività di stoccaggio dei rifiuti depositati nei capannoni o nei piazzali a cielo aperto. Tra le attività di trattamento veniva effettuata la miscelazione di materie prime di base (argilla) con i rifiuti sopra indicati, quindi in violazione della normativa vigente.
È importante sottolineare questo aspetto, dal momento che il Fantini opera principalmente nel settore della produzione dei laterizi, e nello sviluppo delle indagini si è accertato che anche altre società del suo gruppo, aventi come oggetto sociale tale produzione, effettuano in realtà attività di miscelazione di argilla con rifiuti.
Sempre nel corso dei sopralluoghi, si è accertata la realizzazione dei piazzali mediante la gettata di calcestruzzo miscelato a rifiuti trattati dall'impresa; su tali piazzali vengono - come detto - successivamente stoccate notevoli quantità di rifiuti provenienti da varie parti d'Italia. Ebbene, per le attività svolte la società non poteva avvalersi delle procedure semplificate disciplinate dal decreto legislativo 22/97, ma avrebbe dovuto munirsi delle autorizzazioni prescritte dal citato decreto legislativo.
Dall'esame di alcuni formulari di identificazione rifiuti, è stato altresì rilevato che la Iao ha ceduto rifiuti costituiti da ceneri alla società Gattelli spa (con sede in provincia di Ravenna), in tal modo svolgendo un'attività di intermediazione di rifiuti non autorizzata.
Il dato inquietante emerso dalle indagini riguarda, però, in generale le società che nella regione svolgono l'attività di produzione di laterizi: ad esempio, la Celam spa, altra società del gruppo Fantini che opera in agro di Lucera nella miscelazione di materie prime di base con rifiuti, risulta aver riutilizzato nel ciclo produttivo rifiuti classificati pericolosi, quali le ceneri leggere di olio, non compresi fra quelli per cui era autorizzata, ed è stato perciò sequestrato il complesso aziendale destinato a tale attività illegale. Così pure è avvenuto per un'altra società del gruppo Fantini, la Saba srl, che produce laterizi ed altri materiali (con annessa una cava d'argilla), perché è stata riscontrata un'attività di miscelazione di argilla con rifiuti recepiti dalla stessa società.

6.2 La discarica di Tollo.

In Abruzzo, i traffici di rifiuti pericolosi hanno avuto per «epicentro» Tollo, dove tutti i veicoli che scaricavano i rifiuti erano dotati di bolle apparentemente regolari. Ma l'intervento dei carabinieri del Noe, impegnati in un'indagine a più ampio raggio, ha messo in luce il traffico indirizzato in Abruzzo perché i rifiuti, che non si potevano più scaricare in Campania in seguito a vivaci e sanguinosi contrasti fra


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«famiglie» camorriste (chi aveva il terreno e chi pretendeva il «pizzo» apparteneva a famiglie diverse e dalla guerra di camorra è derivato anche qualche omicidio), dovevano necessariamente trovare uno sbocco.
I rifiuti erano in gran parte residui di industrie siderurgiche del nord (industrie anche fra le più rilevanti dal punto di vista qualitativo e quantitativo); una volta usciti dalle fabbriche, si procedeva ad un collaudato sistema di triangolazione. I trasporti si fermavano una notte a Marghera ed il mattino successivo, con lo stesso camion (senza che neanche fossero stati tolti i laccetti del telone), partivano con una bolla diversa portante la dicitura «residui riutilizzabili».
Lo scarico dei rifiuti avveniva ad opera di un unico soggetto, titolare della discarica di Tollo e di terreni limitrofi (tutti sottoposti a sequestro da parte dell'autorità giudiziaria). Lo stesso soggetto, poi, aveva cominciato a scaricare quasi sul greto del fiume Pescara, a Chieti Scalo; infine si è ritrasferito in provincia di Pescara, a Cepagatti, in contrada Aurora.
La vicenda appare, altresì, emblematica di quanto si è detto sopra circa l'esistenza di società commerciali aventi il compito precipuo di mettere in contatto l'industriale produttore dei rifiuti con il trasportatore o lo smaltitore, la cui attività di intermediazione produce un aumento dei costi oltre che una maggiore difficoltà d'individuazione dei responsabili dei traffici illeciti, perché la documentazione trasmigra velocemente da una società all'altra.

6.3 La provincia di Roma: da mittente a «vittima».

Le nuove rotte dei traffici illeciti di rifiuti toccano - come la Commissione ha potuto osservare direttamente - anche i territori limitrofi a Roma, area interessata da tali fenomeni in occasione dell'emergenza determinatasi negli anni 1992-1993, quando venne interdetto l'uso della discarica di Malagrotta a tutti i comuni diversi da quelli di Roma, Ciampino e Fiumicino. In assenza sia di un piano regionale dei rifiuti che dell'individuazione di discariche idonee a ricevere i rifiuti solidi urbani di numerose località, gli altri comuni non compresi nel bacino di utenza delle discariche di Guidonia e Bracciano si trovarono a dover risolvere il problema di come smaltire i rifiuti. In questa situazione alcuni amministratori locali furono costretti a rivolgersi ad imprese operanti nel settore che, in qualche modo, assicuravano la possibilità di smaltimento, senza l'accertamento delle dovute garanzie e delle formalità di legge. Il solo problema che veniva risolto era l'individuazione di una qualsiasi destinazione ai rifiuti dei suddetti comuni.
La Commissione ha avuto modo di rilevare, ancora una volta, il ruolo nevralgico assolto da queste cosiddette società commerciali, venute a contatto, nell'occasione, con intermediari in grado di trovare destinazioni al sud nelle note discariche della Campania, della Puglia e della Calabria controllate dalla criminalità organizzata. Il rapporto tra questi imprenditori e soggetti legati ad organizzazioni criminali - gli stessi che hanno formato oggetto di indagine da parte della procura di Napoli - aveva l'obiettivo di individuare forme di smaltimento


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illecite, che si articolavano o nel conferimento in discariche non autorizzate a ricevere rifiuti di provenienza extraregionale, ovvero nell'abbandono dei rifiuti in cave dismesse, alvei di fiumi e così via. Questo fenomeno, per quanto riguarda i comuni del Lazio, sembra comunque essersi esaurito nel momento in cui le ordinanze regionali hanno consentito ai diversi comuni di portare i propri rifiuti nelle discariche di Guidonia, Bracciano ed altre.
Più recentemente, i traffici hanno avuto il Lazio non più come stazione di partenza ma come punto di approdo di rifiuti prodotti nell'Italia settentrionale ed in particolare in Lombardia. Alcune imprese hanno falsamente garantito lo smaltimento ad enti locali produttori dei rifiuti, assicurando che gli stessi sarebbero stati trasferiti in impianti di recupero e trattamento (nella specie, nel Lazio) in realtà nati solo per trarre vantaggio da tale operazione, non avendo mezzi e manodopera per praticare alcuna attività di recupero e trattamento. Anche in questo caso, attraverso il meccanismo del «giro bolla», i rifiuti, usciti dall'impianto «fantasma» con la qualifica di rifiuti prodotti dal Lazio, sarebbero dovuti ripartire per terminare in una discarica della regione, aggirando il contingentamento delle discariche e consentendo l'arrivo nel Lazio di rifiuti prodotti dal settentrione (Lombardia), che altrimenti non sarebbero potuti giungere: la Commissione ha preso diretta visione del fenomeno a Pomezia, Monterotondo e Latina, ma soprattutto nell'area pontina sono stati rinvenuti altri capannoni colmi di tali rifiuti: in sostanza, grazie all'opera di intermediari, organizzati in modo da stabilire contatti con produttore ed appaltatore da un lato, ricercando dall'altro impianti intermedi di presunto recupero, utilizzati soltanto per aggirare divieti di smaltimento o per uno smaltimento diverso da quello indicato.
Sempre nel Lazio, la provincia di Frosinone è divenuta nel corso degli anni uno dei centri nodali degli smaltimenti illeciti di rifiuti, come testimonia il fatto che indagini avviate in quest'area si sono intrecciate con quelle condotte dalla Guardia di finanza di Pavia, relative al rinvenimento di 81 mila tonnellate di rifiuti, di natura prevalentemente pericolosa, provenienti dal settentrione e dall'estero, che venivano stoccati abusivamente tra Lazio e Lombardia. Nelle campagne nei pressi di Pontecorvo sono stati rinvenuti big-bags contenenti schiumature d'alluminio provenienti da aziende della provincia di Brescia e lì smaltiti abusivamente (vedi relazione sul Lazio). Ancora, a Pontecorvo, i rifiuti tossico-nocivi (solventi), contenuti in fusti interrati in discarica, sono risultati provenire anche da un vicino stabilimento Fiat.

6.4 I trattamenti «fantasma» in Lombardia.

Venendo ora alla Lombardia, numerosi sono gli episodi di traffici illeciti di rifiuti, per i quali la Commissione ha richiesto informazioni al sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, dottoressa Paola Pirotta, che fa parte del pool di magistrati addetti alla trattazione degli affari penali nel settore dell'ambiente (20).


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Il fenomeno dei traffici illegali è così diffuso su quel territorio da essere praticato addirittura ai caselli autostradali, dove gli autisti dei camion effettuano vere e proprie trasformazioni cartolari del rifiuto con riferimento sia al codice, sia alla quantità. Molti procedimenti, poi, risultano a carico di soggetti già condannati o comunque imputati per violazioni del «decreto Ronchi».
Interessante si profila, in particolare, un'indagine che ha preso avvio da alcuni accertamenti nei confronti di un'attività di recupero di rifiuti da parte di un capannone in uso ad una società. Sono implicati nella vicenda numerosi soggetti, alcuni già noti nel settore rifiuti. Dall'esame della documentazione in sequestro, è risultato che i rifiuti non sono mai stati sottoposti ad alcuna attività di recupero e/o riutilizzo. Nel solo distretto di Milano sono stati sequestrati quattro capannoni-discariche, ma altri analoghi siti di conferimento di rifiuti sono stati sequestrati dall'autorità giudiziaria di Bergamo e Vigevano.
Anche in questo caso è evidente la dicotomia tra la gravità e la dolosità delle condotte illecite, e la natura contravvenzionale delle sanzioni, con numerose conseguenze, fra le quali (oltre all'evidente esiguità delle pene) la breve prescrizione (triennale) prevista per questo tipo di reati, l'inutilizzabilità di strumenti d'indagine quali le intercettazioni, l'inapplicabilità di misure cautelari personali e la non configurabilità del delitto di associazione per delinquere.

(20) V. audizione del 27 giugno 2000.

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