Comitato parlamentare Schengen-Europol

IL RUOLO DEI PARLAMENTI NAZIONALI NELLA
COSTRUZIONE DELLO SPAZIO EUROPEO
DI LIBERTA’, SICUREZZA E GIUSTIZIA

    Un punto di vista italiano

    di Fabio EVANGELISTI,
    Presidente del Comitato parlamentare di controllo
    sull’attuazione delle Convenzioni Schengen ed EUROPOL
    Intervento alla "Conference on the Treaty of Amsterdam",
    organizzata dalla United Kingdom Association for European Law

    (London, 19 June 1998)

 1. Le sorprese dell’integrazione

Il processo di integrazione europea ha avuto spesso, in passato, e continua, in molti casi, ad avere un andamento imprevedibile.

Soltanto due anni fa, non erano in molti disposti, non dico a scommettere, ma anche solo a credere, che nel 1998 l’Unione economica e monetaria (Economic and Monetary Union - EMU) sarebbe nata con 11 membri e che il Club di Schengen si sarebbe dissolto nel grande corpo dell’Unione europea. Eppure è proprio quello che sta accadendo oggi, davanti ai nostri occhi.

Insomma l’Europa è un pachiderma, ma ogni tanto scarta e ci coglie di sorpresa. E anche se molti preferiscono non ammetterlo apertamente, i cambiamenti decisivi che sono in corso (la nascita di un’EMU vasta e l’incorporazione dell’acquis di Schengen) ci hanno colti un po’ di sorpresa. Sembrerebbe quasi una rivincita della logica funzionalista (quella secondo la quale l’Europa si fa per tappe graduali, attraverso il perseguimento di obiettivi settoriali e definiti) a scapito della logica costituente (secondo cui ogni realizzazione settoriale dovrebbe essere preceduta ed inserirsi in un Grande Progetto complessivo), a lungo prediletta da molti fautori dell’integrazione europea.

Intendiamoci, io continuo ad essere convinto della necessità di un grande progetto di riforma istituzionale, sopratutto in vista dell’allargamento ("enlargement"), che altrimenti rischia di trasformarsi in un processo infinito, logorante e pieno di rischi sia per la stabilità interna dei paesi candidati sia per i loro rapporti con noi, paesi già membri.

Però, intanto, a tutti i livelli e soprattutto al livello dei parlamenti nazionali, dobbiamo capire che - anche senza Unione politica - le cose vanno avanti per davvero. E che bisogna cogliere questi cambiamenti in tutta la loro importanza e irreversibilità, per non subirli e, nei limiti del possibile, per contribuire ad indirizzarli.

 

2. Le metamorfosi della sovranità

Indirizzare i cambiamenti politici, invece di subirli. Questa, si potrebbe dire, è l’essenza della sovranità. E la politica contemporanea si può forse considerare, nella sua essenza, uno sforzo costante per conservare sovranità, o meglio per costruire le condizioni per una nuova sovranità, non più incentrata sul livello nazionale di governo.

Il dibattito su chi debba dettare gli indirizzi fondamentali della politica economica europea nell’età dell’EURO è in pieno svolgimento. Lì si gioca gran parte del nostro futuro, individuale e collettivo, di cittadini europei. Ma il futuro non è solo lì.

Insieme al diritto di battere moneta, l’altro grande ambito di sovranità dal cui consolidamento sono nati gli Stati nazionali moderni è quello del controllo del territorio (delle frontiere, in particolare) e delle persone, attraverso la polizia. Ebbene, oggi, anche questa fetta decisiva di sovranità si appresta ad essere trasferita gradualmente, molto gradualmente (forse troppo, secondo una valutazione politica che però - mi rendo conto - è molto controversa), dal livello nazionale a quello sopra-nazionale o addirittura comunitario.

Questo trasferimento di sovranità ha conosciuto una prima tappa - tra la seconda metà degli anni Ottanta ed oggi - una tappa caratterizzata dalla nascita di una rete fitta e complessa di cooperazione intergovernativa, di cui il Sistema Schengen ha rappresentato l’impalcatura principale e, a partire da un certo momento almeno, il principale fattore unificante.

Il Trattato di Amsterdam segna una tappa nuova, in questo grande processo storico di diffusione e di trasformazione della sovranità in quel settore di attività politica che il trattato di Maastricht aveva etichettato come "Giustizia e affari interni" ("Home and Justice Affairs" - HJA) e che il nuovo trattato unifica sotto la dicitura - suggestiva ma non proprio chiarissima ("not self-evident") - di "Spazio di libertà, sicurezza e giustizia" ("Area of Freedom, Security and Justice" - AFSJ).

 

3. Parlamento europeo e parlamenti nazionali

Nel corso degli ultimi dieci-quindici anni, abbiamo osservato, in Europa, una tendenza oggettiva alla convergenza tra le diverse politiche e legislazioni nazionali in materia di immigrazione e di asilo. Nel contempo - attraverso l’operato di una moltitudine di gruppi e sottogruppi di lavoro, formali, informali e, talvolta, quasi segreti - sono cresciute la capacità e l’abitudine delle polizie europee a dialogare, a scambiarsi informazioni, a lavorare insieme.

Gli accordi di Schengen e l’attività del Comitato esecutivo e degli altri organi del Sistema hanno formalizzato e perfezionato questo stato di cose. Ma il movimento verso la integrazione sopra-nazionale in materia di "home affairs" inizia prima di Schengen e non si esaurisce in Schengen.

L’Europa delle politiche migratorie e della sicurezza interna si è sviluppata a poco a poco, al di fuori di qualsiasi efficace controllo democratico e, men che meno, giudiziario. Dell’attività dei vari gruppi sul modello TREVI, i parlamenti nazionali e quello europeo erano (e sono) pressoché all’oscuro. E i parlamenti - con alcune differenze (su cui tornerò tra breve) tra i diversi ordinamenti nazionali - incontrano notevoli difficoltà anche ad essere informati in tempo utile, e quindi ad influire in un qualsiasi modo, sull’attività del Comitato esecutivo Schengen. Si dice che si tratta di attività amministrativa, ma in realtà si tratta di un’amministrare molto particolare, che detta norme che un singolo Parlamento - fosse pure all’unanimità - non può cambiare.

L’Europa delle politiche migratorie e della sicurezza è nata al di fuori di un effettivo controllo democratico. Lo dico senza intenti polemici e riconoscendo che, in parte, la responsabilità è anche dei partiti e dei parlamentari, nazionali ed europei. Troppo spesso noi politici abbiamo peccato di superficialità e di pigrizia, ci siamo ritratti di fronte all’eccessivo tecnicismo e alla formulazione ostica dei testi fondamentali. E lo dico senza recriminazioni per il passato: forse era necessaria una fase sperimentale, per adattare le strutture di controllo ai formidabili mutamenti seguiti alla fine del bipolarismo.

Ma oggi l’Europa della sicurezza, dell’immigrazione e dell’asilo è diventata troppo complessa ed importante per il nostro futuro collettivo, perché possa rimanere opaca e ‘amministrativa’. Le grandi scelte in questo campo sono ormai decisive per il futuro del continente e devono essere adottate in maniera trasparente, attraverso un vero dibattito democratico. L’Europa della sicurezza deve diventare, a tutti gli effetti, politica, anche perché non diventi il monopolio della demagogia.

 

4. Il Comitato Schengen-EUROPOL

Voglio dire soltanto due parole su alcune specificità istituzionali, in questa materia, del paese da cui provengo. Non attribuisco a questa esperienza chissà quale rilevanza esemplare, ma certo presenta alcune originalità e il professor O’Keeffe mi ha pregato di soffermarmi brevemente su questo aspetto.

Da poco più di un anno è operativo, all’interno del Parlamento italiano, un Comitato incaricato di controllare l’attuazione degli accordi di Schengen. Da poche settimane, inoltre, il Comitato è stato investito anche del compito di vigilare sul funzionamento dell’Unità EUROPOL italiana.

Il Comitato, che ho l’onore di presiedere, è un organo bicamerale (è composto da dieci senatori e da dieci deputati) specializzato, che ha il potere di compiere sopralluoghi, di effettuare audizioni di rappresentanti del Governo e dell’Amministrazione, di invitare esperti e studiosi in qualità di relatori e di rivolgere mozioni, interrogazioni, interpellanze ed eventualmente censure al Governo italiano nelle materie indicate.

Ma l’aspetto più originale di questo organismo - quello che lo distingue da quasi tutti gli omologhi europei e dalle altre Commissioni bicamerali, di inchiesta e di controllo, del Parlamento italiano - è un altro. Il Comitato Schengen-EUROPOL ha la facoltà di esprimere un parere vincolante per il Governo sui "progetti di decisione, vincolanti per l’Italia, pendenti innanzi al Comitato esecutivo" (art.18, comma 4, legge 388/1993).

Finora, questo potere di vincolare la posizione del Governo nazionale in sede di Comitato esecutivo è stato usato con estrema parsimonia, in parte perché è stata necessaria una fase di apprendistato, da parte dei Commissari, in una materia indubbiamente complessa e delicata. In parte, perché il Comitato intende il suo ruolo (e non potrebbe essere altrimenti) più in termini di controllo che di indirizzo, e comunque in termini di indirizzo politico generale, e non di indirizzo dettagliato all’attività esecutiva. Infine, l’azione del Comitato è stata estremamente ‘controllata’ anche perché - è inutile negarlo - nella difficile fase della messa in applicazione della Convenzione di Schengen per l’Italia un intervento più capillare avrebbe rischiato di intralciare quello che era un fondamentale interesse nazionale ad acquisire finalmente una membership piena del club.

Oggi, ritengo importante che il Comitato esista, innanzitutto come sentinella ‘specializzata’ dei valori costituzionali italiani, in un settore particolarmente delicato del processo di integrazione europea. Ma non ci facciamo illusioni: un Comitato parlamentare nazionale, se isolato, può fare ben poco. Anche se dotati di poteri formali, i condizionamenti esterni (che derivano sia dal difetto di informazione, sia dalla contingenza politica) sono fortissimi. Solo di fronte a situazioni di particolare rilevanza è ipotizzabile un intervento diretto e vincolante. Per il resto svolgiamo un ruolo - che pure ritengo importantissimo - di raccolta, elaborazione e diffusione delle informazioni. Un ruolo di mediazione tra gli organi decisionali (il Comitato esecutivo e, domani, il Consiglio dei ministri), il Parlamento e la cittadinanza.

Cerchiamo, insomma, di essere una sonda al servizio del Parlamento (e dei cittadini), nel mare, profondo e non sempre limpido, degli "home affairs".

 

5. Verso un sistema di controllo democratico a più livelli?

Se la comunitarizzazione delle politiche in materia di immigrazione e di asilo e l’incorporazione dell’acquis Schengen nell’ambito dell’Unione europea avranno successo (come spero), un organo come il Comitato Schengen del Parlamento italiano diventerà un’anomalia, forse non più necessaria.

A quel punto, infatti, il compito di controllare le politiche comuni in materia di immigrazione, di cooperazione di polizia etc. spetterà congiuntamente al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali, secondo le modalità proprie rispettivamente del Primo e del Terzo pilastro. Saranno quindi le Commissioni per le politiche europee ("European affairs") dei due rami del Parlamento che dovranno controllare la fase ascendente del processo normativo comunitario in questi ambiti e partecipare alla fase discendente.

Vedo questa come un’evoluzione fisiologica, coerente con le linee generali del processo di integrazione europea e, quindi, da preparare attivamente e, quando sarà il momento, da salutare con soddisfazione.

C’è un rischio, però, da tenere presente. A mano a mano che le competenze delle istituzioni europee si allargano, il livello di preparazione tecnica e politica necessario per seguire e partecipare, con reale cognizione di causa, all’elaborazione delle politiche comuni cresce. Questo bisogno di specializzazione è particolarmente elevato in un settore tecnicamente complesso e politicamente delicato come quello della libertà di circolazione, della sicurezza interna, della giustizia.

E’ essenziale che, a mano a mano che procede l’europeizzazione di questo settore, si costruisca un sistema di controllo democratico a più livelli ("multi-level democratic control system"), che abbia le seguenti caratteristiche:

a) elevate competenze tecniche. Quindi, degli organismi (o dei sotto-organismi) specializzati, sul modello del Comitato Schengen o di altri organismi analoghi, dovranno sussistere sia a livello di Parlamento europeo, sia di parlamenti nazionali;

b) forte capacità di sintesi politica a livello europeo; altrimenti, il ‘controllo democratico’ non potrà mai trasformarsi in ‘indirizzo democratico’;

c) legame stretto con le società locali e nazionali; il sistema di controllo a più livelli ("multi-level control system") dovrà essere capace di registrare, in tempi rapidi e con la massima sensibilità, le istanze propositive e di protesta, le segnalazioni e le critiche che vengono dai cittadini. Perciò, il solo livello di rappresentanza centrale (il Parlamento europeo) non può bastare;

d) peso politico e incisività istituzionale; perché questa, ovviamente, è l’essenza della funzione di controllo e indirizzo democratico, comunque la si voglia intendere. Concretamente, questo si potrebbe realizzare almeno in parte, ad esempio, attraverso l’estensione del voto a maggioranza qualificata e della procedura di co-decisione a tutto il pilastro comunitario e attraverso una riforma radicale del ruolo del Parlamento europeo in seno al Terzo pilastro.

Ma qui entriamo nel campo dei progetti, delle speranze anche se, spero, non della pura fantasia. Grazie.

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