Commissione parlamentare per le questioni regionali

Parere espresso, nella seduta del 20 maggio 1997, sul disegno di legge S 1780 recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1995-1996"

"La Commissione parlamentare per le questioni regionali, chiamata a pronunciarsi, per quanto di competenza, sulla legge comunitaria 1995-1996, ritiene di dover sollevare, come già fatto in altre occasioni, per esempio in sede di parere sulla legge comunitaria 1993, una questione di metodo che ha rilevanti implicazioni di carattere sostanziale.

Il disegno di legge in oggetto prevede uno schema semplificato di delega, che per la materia regionale si limita a richiamare disposizioni a carattere procedurale, come sono l’articolo 9 della legge 86/1989 ovvero l’articolo 6 del DPR 616/1977. Uno schema del genere, che dovrebbe ripartire i compiti tra Stato e Regioni per l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea, si presta oggettivamente, quando il tutto non si risolve in una specie di ragionamento circolare, a lasciare scoperte zone di ampia discrezionalità che preludono a fenomeni altrettanto scontati di confusione o sovrapposizione di indirizzi; a tutto detrimento degli effetti di reale decentramento che è lecito attendersi, soprattutto su scala regionale, dalla convinta accettazione, e ricezione nel diritto interno della normativa comunitaria.

La Commissione parlamentare raccomanda dunque per il futuro di dare una diversa e più precisa impostazione alla legge comunitaria, che valga ad indicare puntualmente - se si deve ritenere in ogni caso necessaria la interposizione di una legge dello Stato - quali principi e criteri direttivi siano suscettibili di costituire, per le materie di competenza delle Regioni, la cornice di leggi statali.

Vero è che la Corte Costituzionale ha ritenuto nella sentenza 192/87 - ma non è certo un dogma né tanto meno una fonte di grado superiore alla legge ordinaria - che non è indispensabile, sebbene utile ai fini della chiarezza, che le norme di principio siano "espressamente" indicate (come vuole invece il predetto articolo 6 D.P.R. 616, cui il disegno di legge comunitaria rinvia contraddittoriamente), ove tale indicazione sia desumibile dall’oggettiva collocazione delle norme, vertenti, in ipotesi, su materie di sicura competenza regionale. Ma a parte il fatto che la "varietà lessicale" degli elenchi di materie finora trasferite alle Regioni ha messo in luce difetti di coordinamento non tutti risolvibili in sede interpretativa; a parte questo, ove ci si collochi nella prospettiva di un ulteriore trasferimento di competenze alle Regioni, allora è giocoforza mantenere, per la chiarezza della disciplina d’insieme, un collegamento esplicito tra tendenze evolutive dell’ordinamento, quelle che si riconnettono alla competenza dello Stato centrale e quelle regionali; il che peraltro costituisce la premessa indispensabile per esprimere, con cognizione di causa come si conviene ad una Commissione parlamentare, un giudizio politico sul reale impatto autonomistico della legge Comunitaria.

La Commissione parlamentare ritiene pertanto doveroso che la legge comunitaria espliciti quali principi e criteri direttivi sono destinati a far parte, per il tramite dei decreti delegati, dell’ordinamento statale e quali appartengono invece all’ordinamento regionale. Tanto più che la non chiarezza su questo punto si presta ad allargare la materia astrattamente riassorbibile nelle competenze centrali, e si incontra pericolosamente con una tendenza che porta lo Stato centrale a recuperare ininterrottamente, sul piano dei principi e criteri direttivi, proprio quelle competenze che contemporaneamente sono trasferite alle Regioni.

Duole ad una Commissione parlamentare dover apertamente riconoscere - ma la paternità del giudizio spetta ad autorevolissimo studioso della materia (Cfr. Paladin, 1993) - che "l’andamento dei lavori parlamentari è schizofrenico, perché da una parte si vuole esaltare l’autonomia regionale e dall’altra parte - nella prassi quotidiana - si continuano a varare leggi particolari ispirate a concezioni e indirizzi di centralizzazione o ricentralizzazione".

Altra questione assai rilevante riguarda il processo di costruzione della stessa legge comunitaria. Il punto non può essere risolto formalisticamente, come dispone la lettera h) dell’articolo 2 del ddl in oggetto, attraverso un semplice rinvio all’articolo 9 della legge 86/1989, che peraltro riguarda soltanto le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano. Né è da ritenere sufficiente quanto disposto dall’articolo 10 sempre della legge 86/1989, che prevede la convocazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri "almeno ogni sei mesi di una sessione speciale della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale o provinciale". A parte la scarsa incisività delle funzioni riconosciute alla Conferenza permanente, devesi osservare che l’attuazione della legge comunitaria appartiene ad un grado di produzione del diritto inferiore a quello della sua approvazione; ed è a questo procedimento di approvazione che vanno associate le Regioni. Si propone pertanto - in pieno accordo, su questo punto, con il parere già espresso dalla Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato sempre sul ddl 1780 - che "l’associazione delle Regioni e delle Province autonome sia formalizzata nel procedimento di approvazione della Legge comunitaria, fissando un termine per le Regioni, per formulare proposte ed osservazioni sul ddl comunitaria.

Nelle materie di competenza esclusiva o concorrente delle regioni dovrebbero essere sottoposte ad esse, oltre che alle Camere, gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive, modificando l’articolo 4, comma 4, della legge 86/1989".

Nella stessa ottica si colloca la proposta - anche su questo punto appare condivisibile il parere della Giunta affari delle Comunità europee del Senato - di riconoscere alla Legge comunitaria "uno status speciale procedimentale nell’ambito delle fonti normative, status che dovrebbe avere se vuole regolare il rapporto tra diritto interno e comunitario".

Un ulteriore argomento a sostegno della proposta è costituito dal fatto che la normativa comunitaria ha avuto sviluppi e riconoscimenti che la portano a superare la forza della legge dello Stato (in quanto sfugge alla possibilità di abrogazione da parte di quest’ultima), laddove invece la legislazione regionale ha avuto in Italia sviluppi qualitativamente inferiori a quanto era lecito attendersi dall’astratta configurazione del disegno costituzionale.

Si è a lungo discusso a questo proposito intorno alla possibilità di stabile rapporti diretti tra legislazione comunitaria e legislazione regionale. La asimmetria ed i limiti del disegno costituzionale, lasciano tuttavia lo spazio, anche a costituzione invariata - ed anche a voler riconoscere alla legge dello Stato il ruolo di filtro necessario fra Comunità

europee e Regioni - per un’interpretazione che , riaffermando il ruolo primario dello Stato di fronte agli organismi Comunitari, valga a potenziare per contrappeso la funzione

delle regioni nella loro capacità di accompagnare il formarsi dal basso, in un ruolo ascendente, della volontà statale.

Con queste osservazioni, per quanto di competenza della Commissione, NULLA OSTA all’ulteriore corso del disegno di legge in oggetto".

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