Commissione parlamentare per l'infanzia

 

MISSIONE A GINEVRA IL 3-4 LUGLIO 2000

RESOCONTO STENOGRAFICO

Incontro con Berti Ramcharan, alto commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Signor alto commissario, desidero presentarle la delegazione della Commissione bicamerale per l’infanzia che è venuta qui a Ginevra per parlare del problema dei minori. In questo momento rappresento il Comitato contro lo sfruttamento minorile e con me sono presenti i colleghi commissari Dedoni dei Democratici di sinistra, Valpiana di Rifondazione comunista, Burani Procaccini di Forza Italia, Scantamburlo dei Popolari ed il senatore Maggiore di Forza Italia. Facciamo parte della Commissione bicamerale per l’infanzia, composta di venti deputati e venti senatori, che rappresenta la sintesi dei due rami del Parlamento e tutto ciò che riguarda la tematica dei minori. Questa Commissione è stata istituita espressamente per la convenzione di New York sui diritti del fanciullo con la legge n. 451 del 23 dicembre 1997 e lavora dal gennaio 1999; nel nostro ambito di lavoro abbiamo avviato un’indagine conoscitiva sull’attuazione della convenzione di New York nel decimo anniversario e ci siamo suddivisi in vari gruppi di lavoro, uno dei quali riguarda lo sfruttamento del lavoro minorile, di cui sono la coordinatrice, un altro la scomparsa dei minori, presieduto dal senatore Maggiore, un altro su TV e minori, presieduto dal senatore De Luca che non è presente, quello sulla giustizia minorile presieduto dall’onorevole Scantamburlo, quello sui servizi sociali, presieduto dal senatore Monteleone e quello sull’affidamento e l’adozione presieduto dall’onorevole Serafini. La legge istitutiva di questa Commissione prevede compiti di indirizzo e di controllo sull’attuazione degli accordi internazionali; la Commissione inoltre chiede dati ed elementi sui risultati delle attività svolte sia dalle pubbliche amministrazioni che dagli organismi che si occupano di questioni attinenti al diritto ed allo sviluppo di soggetti in età evolutiva. Essa, con scadenza annuale, riferisce alle Camere i risultati dell’attività svolta, le osservazioni e le proposte. Con la medesima legge è stata inoltre istituita la giornata nazionale dell’infanzia, che abbiamo voluto fissare il 20 novembre, in modo che sia una data internazionale e non solo nazionale, nonché un osservatorio che ogni due anni predispone un piano nazionale di interventi per la tutela dei diritti dei minori. Per concludere vorrei dire che tale piano nazionale viene adottato dopo il parere della Commissione; questo è uno dei metodi più attuali che nelle legislazioni internazionali dobbiamo abituarci ad adottare. Se mi è concesso di aggiungere un parere personale, devo dire che l’impatto più importante nella società del 2000 è quello della verifica dell’applicazione di queste convenzioni; infatti quella di New York sui diritti del fanciullo è una delle più ratificate dai vari paesi del mondo, però rimane una forte discrasia fra la realtà e la virtualità. Questo è quindi un grande impegno per noi a partire dagli anni 2000, perché non possiamo accontentarci di vedere i diritti dei minori sanciti nelle convenzioni e ratificati dalle varie nazioni, ma non applicati nella loro realtà. Nel ringraziarla di averci accolto, aggiungo che siamo venuti in questa sede, che consideriamo internazionale per i diritti dell’uomo e del fanciullo, anche per essere illuminati su qualcosa di nuovo e di diverso da fare per l’applicazione di tutte queste convenzioni.

BERTI RAMCHARAN, Alto commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (in lingua straniera). Desidero ringraziare questa delegazione per essere venuta in questa che è stata chiamata la casa internazionale dei diritti umani. Consideriamo estremamente importante quando una delegazione parlamentare come la vostra viene qui a parlare con noi; riferirò senz’altro al nostro alto commissario, che sarà senz’altro lieta di sentire che la nostra casa è considerata come la sede internazionale dei diritti umani. E’ inoltre estremamente importante avere un organismo parlamentare che si occupi del follow up di uno strumento come questo in materia dei diritti dell’uomo. Riteniamo si tratti di un precedente estremamente importante e ci congratuliamo con l’Italia e con questo organismo del Parlamento italiano: si tratta di un modello che speriamo sarà copiato da altri paesi. Sono d’accordo, come l’alto commissario, che è estremamente importante controllare la messa in opera di questa convenzione sui diritti del minore e vorrei sottolineare due dimensioni dell’importanza strategica della convenzione sui diritti del fanciullo. In primo luogo sempre più i diritti umani vengono discussi a livello politico, ma è chiaro che nessuno mette in dubbio i diritti del fanciullo. Tale convenzione costituisce la base per un consenso a livello internazionale sui diritti dell’infanzia ed è quindi ancora più importante seguire da vicino la messa in opera di questa convenzione. Il secondo elemento che ha importanza strategica è che, se non si riuscirà ad affrontare tutti i problemi, i conflitti e le violazioni dei diritti bisognerà almeno mettere in atto in tutti i paesi gli elementi fondamentali di questa convenzione. E’ proprio per questi due motivi strategici che io ritengo che il modello di questa Commissione parlamentare sia di estrema importanza e dovrebbe essere copiato anche da altri paesi. Ribadisco il mio benvenuto e vi presento la mia collega Soussan Raadi, che è la vera esperta nel campo dei diritti dell’infanzia, la quale sarà senz’altro lieta di discutere con voi qualsiasi questione che sia di interesse.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Do la parola ai colleghi che desiderano porre alcune domande.

GIUSEPPE MAGGIORE, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Il nostro ospite ci ha detto che è molto importante che siano applicati almeno i principi fondamentali ed ha anche auspicato – di questo gliene sono molto grato – che l’esempio italiano possa essere imitato dagli altri paesi. La mia domanda è se avete un monitoraggio relativo all’applicazione nel mondo almeno dei principi fondamentali.

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Il nostro compito di comitato per i diritti dell’infanzia è quello di seguire la messa in opera della convenzione nei vari paesi attraverso un sistema di rendiconto regolare. Effettivamente quello dell’Italia è un buon esempio che dovrebbe essere seguito. Nel 1995 abbiamo ricevuto un resoconto da parte dell’Italia estremamente interessante perché conteneva un insieme di problematiche relative ai meccanismi di coordinamento, ai problemi di raccolta dei dati; è dunque importante vedere come l’Italia abbia preso la guida rispetto ad altri nel voler seguire l’esecuzione della convenzione. Nella primavera del 2001 vi sarà una nuova opportunità di ricevere un rendiconto e di vedere quanto è stato fatto in Italia e quanto sono state eseguite le varie misure. Lo stesso vale anche per gli altri paesi.

DINO SCANTAMBURLO, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Ci sono molti minori che commettono reati: si va dalla pena di morte, eseguita in qualche caso, al carcere vero e proprio, fino a qualche tentativo di applicare forme alternative alla pena carceraria nell’ambito di un progetto di rieducazione. Si può, secondo voi, arrivare a teorizzare, anche a livello giuridico, il diritto del minore di ottenere un processo vero di rieducazione che sia alternativo al carcere, considerato che il minore è in fase di formazione e quindi, rispetto ad un adulto, potrebbe più facilmente cambiare il proprio comportamento; vorrei inoltre sapere a che livello di studio si è arrivati su questo delicato tema.

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Effettivamente ci sono due aspetti, uno teorico-legislativo ed uno pratico. Dal punto di vista teorico-legislativo effettivamente la convenzione fissa un certo numero di principi che si occupano di come risolvere l’aspetto di giustizia nei confronti di minori: il fatto di comminare il carcere come ultima risorsa, di dare garanzie nel rispetto dei diritti umani e di trovare possibilità alternative come metodi di correzione, educazione e riabilitazione ella persona. Fra l’altro la convenzione parla anche della messa in opera di altri tipi di misure che potrebbero essere studiati e che sono meno vincolanti, come gli orientamenti di Pechino, ed altri tipi di orientamento che potrebbero essere utilizzati dal comitato sui diritti umani. Comunque il comitato cerca sempre di sensibilizzare i paesi nei confronti di questi problemi. Dal punto di vista pratico la convenzione adotta un’impostazione più globale, in un certo senso olistica, generale: in primo luogo cerca di modificare la legislazione per renderla più favorevole all’aspetto educativo rispetto agli aspetti più tradizionali e poi si occupa anche di prevenzione, andando a cercare le cause all’origine del comportamento di questi minori in modo da poter prevenire l’eventualità che il giovane si trovi nella situazione di doversi presentare davanti alla giustizia perché ha commesso un reato. Si cerca altresì di studiare, in partenariato con altri organismi come l’UNICEF e il Centro di Vienna per la prevenzione dei crimini ed altre organizzazioni non governative, modelli alternativi a quelli più internazionali.

GIUSEPPE MAGGIORE, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Vorrei fare una chiosa alla domanda del collega: credo che il collega avesse chiesto se esista un diritto del minore nel senso di una legislazione obbligatoria. Nella prospettiva del comitato è prevista questa possibilità? Infatti al momento non esiste l’obbligatorietà di concedere al minore l’azione di recupero. La domanda è dunque se in prospettiva si pensa di rendere obbligatorio il diritto del minore ad ottenere un’azione di recupero.

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Il testo della convenzione lo prevede come obbligo, ma naturalmente occorrono misure di attuazione.

MARIA BURANI PROCACCINI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Il comitato intende sensibilizzare le comunità sul problema del lavoro minorile inteso soprattutto come schiavitù e sfruttamento. Ora esiste un protocollo contro la prostituzione infantile, ma vi siete occupati anche dell’argomento dello sfruttamento via Internet ed avete previsto un sistema sanzionatorio?

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Per quanto riguarda Internet stiamo cercando di mettere in atto misure per contrastare la diffusione della pornografia, ma è evidente che si pone un problema di identificazione di chi agisce su Internet per poter intervenire sulle persone colpevoli. Vi sono misure che includono l’assistenza giudiziaria, il fatto di dichiarare la pornografia come atto criminale e di chiedere agli Stati che questi fenomeni siano dichiarati illegali, in modo da poter applicare misure per contrastarli. Vi è stato inoltre un incontro presso l’UNESCO dove sono state discusse alcune misure.

MARIA BURANI PROCACCINI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Ha portato a qualcosa di concreto?

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). C’è una relatrice della commissione sui diritti umani che era incaricata di preparare una relazione sulla pornografia e sul problema di Internet. Questa special rapporteur è una persona che ha ricevuto mandato di trattare problemi specifici come la vendita, la tratta dei bambini e via dicendo, sui quali poi dovrà riferire alla Commissione.

ANTONINA DEDONI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. La convenzione sui diritti del fanciullo afferma il diritto all’educazione: vorrei sapere quanto questo principio, scritto sulla carta, trovi reale applicazione e quali siano i paesi nei quali incontra maggiori difficoltà.

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). La convenzione prevede il diritto alla formazione almeno fino al completamento delle elementari ed eventualmente il diritto al prosieguo degli studi fino alla scuola secondaria superiore. Questo per quanto riguarda la teoria, mentre in pratica in molti paesi ciò non viene rispettato o perché ci sono difficoltà economiche o perché mancano le risorse e le infrastrutture oppure per un problema di qualità dell’istruzione; vi possono anche essere fattori sociali che portano ad una frequenza diversa fra ragazzi e ragazze. Vi sono dunque molti problemi che rendono difficile l’attuazione del diritto all’istruzione, anche se sono stati compiuti molti sforzi da parte del comitato per i diritti del bambino e dal comitato sui diritti economici e culturali, che hanno sempre affermato un impegno nei confronti del diritto all’istruzione. Molte dichiarazioni sono state fatte, ma non sempre è seguita la pratica.

BERTI RAMCHARAN, Alto commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (in lingua straniera). Vorrei aggiungere che la commissione sui diritti umani ha un relatore speciale sul diritto all’istruzione che sta studiando varie questioni specifiche relative a tale diritto. Ne menzionerò tre: in primo luogo in che modo i tribunali rendono effettivo il diritto all’istruzione, in secondo luogo in che modo le politiche della Banca mondiale hanno un effetto sulla messa in opera del diritto all'istruzione ed in terzo luogo il relatore speciale focalizza il suo lavoro su problemi speciali come il diritto delle ragazze adolescenti che rimangono incinte a poter continuare i loro studi. Questo lavoro continua e forse potrete ricevere qualche informazione a proposito delle ultime relazioni.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Vorrei intervenire su alcuni punti sui quali sono intervenuti anche i colleghi e che forse riconducono ad un’unica risposta. Parto dalla provocazione di Internet per ricordare che il protocollo aggiuntivo redatto in data 20 aprile 2000 non parla assolutamente di Internet. Gli organismi internazionali che voi rappresentate e quelli nazionali che noi rappresentiamo non si chiedono come mai la criminalità organizzata sia più avanti di noi, purtroppo, provocando danni enormi nei confronti dei minori e della società? Perché c’è questo gap tra le istituzioni che dovrebbero prevenire, prevedere e dare delle garanzie e le organizzazioni criminali, che invece sono più aggiornate ed avanzate nell’uso di Internet?

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Questi protocolli sono il risultati di compromessi fra gli Stati. Forse gli Stati dovrebbero essere incoraggiati a fare di più per adottare misure più pratiche; per esempio, dovrebbero essere intraprese azioni da parte di organizzazioni internazionali per cercare di affrontare l’aspetto più pratico di queste cose.

BERTI RAMCHARAN, Alto commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (in lingua straniera). Aggiungo che il problema è più generale in particolare per quanto riguarda il settore dei diritti umani. Come ha detto la mia collega, uno dei compiti delle Nazioni Unite è di attirare l’attenzione sui problemi; poi c’è il processo negoziale, che spesso porta a risultati forse inferiori a quelli che avremmo voluto. Forse è proprio qui che occorre l’intervento di quella che definirei la comunità dei diritti umani più vasta. Anche se la convenzione di per sé non ci dà tutto quello di cui avremmo bisogno, è importante che le organizzazioni e i comitati come il vostro continuino a fare pressione sui governi affinché adottino le misure necessarie. Siete voi, gruppi come il vostro e noi come comitato che possiamo, mantenendo la pressione sui governi, modificare i negoziati futuri.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". C’è un altro tema che mi ha sconvolto, non per il tema in sé stesso, ma per come i governi europei si sono stupiti del caso di Dover. Mi ha sconcertato proprio lo sconcerto dei governi: forse occorrevano quei cinquanta morti perché ammettessero la tratta degli esseri umani.
La tratta dei minori è sancita dall’articolo 35 della convenzione di New York e la tratta delle donne è stata sancita dalla conferenza di Pechino di cinque anni fa: cosa si può fare perché questo stupore vada oltre le dichiarazioni, oltre le carte? Credo che i cittadini vogliano essere garantiti in questi palazzi perché, se facciamo le mediazioni abbassando il livello per raggiungere un consenso più ampio, credo che non perseguiamo il vero obiettivo della salvaguardia dei diritti umani. Ritornando al tema dell’infanzia, considerate opportuna l’istituzione di un ombudsman per l’infanzia a livello nazionale, europeo ed internazionale? Al Consiglio d’Europa ne abbiamo appena votata l’istituzione nei 43 paesi membri, mentre in Italia è iniziato l’iter legislativo da qualche settimana; alcuni paesi come la Francia l’hanno adottato di recente. Pensate che sia necessaria questa figura di controllo al di sopra delle parti, non partitica, espressamente istituzionale?

SOUSSAN RAADI AZARAKHCHI, Responsabile per i diritti umani (in lingua straniera). Per quanto riguarda la prima questione, effettivamente si tratta di una cosa che preoccupa enormemente l’alto commissario dal punto di vista dei diritti in generale, e non soltanto di quelli delle donne e dei bambini. A Vienna sono in corso discussioni per studiare un nuovo strumento relativo a questa tratta di esseri umani tenendo conto di tutti gli aspetti dei diritti. La tendenza è a trattare la questione dal punto di vista dei diritti umani e non solo per l’aspetto del crimine. L’alto commissario è pienamente consapevole dell’importanza che i diritti hanno a questo proposito. Per quanto riguarda l’ombudsman, ce ne sono già in vari paesi e con mandati diversi. E’ vero che, se si tratta effettivamente di una persona indipendente, può essere una figura estremamente utile e l’alto commissario insiste sulla creazione di queste figure, senza tuttavia dare indicazioni precise; infatti per certi Stati può rappresentare una difficoltà e quindi si limita a dare un mandato generico, mentre per altri le cose sono diverse. E’ comunque una figura importante perché può rappresentare la voce dei bambini i quali, attraverso questa persona, possono esprimere le loro necessità e l’urgenza della loro situazione.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Poiché il tempo stringe, arriverò velocemente alle conclusioni. Nel ringraziare i nostri ospiti della loro ospitalità, desidero sottolineare ancora una volta il ruolo e l’importanza della nostra Commissione bicamerale per l’infanzia, quindi la nostra attenzione ed il nostro controllo nei riguardi delle istituzioni non solo nazionali ma anche sovranazionali. Siamo molto interessati al vostro lavoro e vorremmo conoscere più dettagliatamente gli appuntamenti futuri internazionali sul tema dell’infanzia, a livello sia europeo sia internazionale per informarne l’intera Commissione. Vorrei anche anticipare a nome dei colleghi, anche se la cosa sarà valutata dalla presidenza, la vostra presenza al prossimo incontro del 20 novembre 2000, nella ricorrenza della convenzione di New York che celebriamo ogni anno nel nostro paese, nell’ambito di una congiunzione fra organismi nazionali e sovranazionali, nell’auspicio che la giornata nazionale per l’infanzia possa diventare anche una giornata internazionale con altri paesi. Nel congedarci desidero lasciarvi un ricordo della Camera dei deputati consegnandovi questo libro, con l’augurio di avervi prossimamente ospiti del Parlamento italiano.

BERTI RAMCHARAN, Alto commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (in lingua straniera). Desidero esprimere anche a nome della mia collega il mio apprezzamento per la vostra presenza qui, che è per noi fonte di ispirazione. Ho altresì apprezzato il fatto che dedichiate tanta attenzione alle convenzioni sui diritti del fanciullo ed ho un consiglio pratico da darvi: tenetevi in contatto con la mia collega perché la specialista è lei; è lei che può darvi consigli in materia, in quanto si occupa dell’applicazione delle convenzioni in materia di lavoro. Come segno del mio apprezzamento, le consegno il libro che mi avete regalato.

Incontro con François Trémeaud, direttore esecutivo dell’ILO.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Rappresentiamo la Commissione bicamerale per l’infanzia ed in modo particolare è qui presente il Comitato contro lo sfruttamento del lavoro minorile, allargato ad altri rappresentanti. Vorrei innanzitutto presentare i miei colleghi Burani Procaccini di Forza Italia, Valpiana di Rifondazione comunista, Dedoni dei Democratici di sinistra, Scantamburlo dei Popolari ed il senatore Maggiore di Forza Italia. La Commissione bicamerale si è suddivisa in Comitati di lavoro: il gruppo contro lo sfruttamento del lavoro minorile, quello sull’immigrazione e la scomparsa dei minori, presieduto dal senatore Maggiore, quello sul rapporto TV e minori, presieduto dal senatore De Luca, che non è presente, quello sulla giustizia minorile, presieduto dall’onorevole Scantamburlo, quello sui servizi sociali, presieduto dal senatore Monteleone e quello sull’affidamento e l’adozione, presieduto dall’onorevole Serafini. Ricordo che la nostra Commissione è stata istituita con la legge n. 451 del 1997 ed ha lo specifico ruolo, dopo la ratifica della convenzione di New York sui diritti del fanciullo, di controllo e verifica di come la convenzione stessa venga applicata nel nostro paese. Credo che oggi sia quanto mai importante istituire organismi di controllo perché, al di là delle convenzioni e delle ratifiche, c’è anche bisogno dell’applicazione reale nel paese. Concludo ricordando che la Commissione ha approvato alcune risoluzioni in materia di bambini-soldato, di infibulazione, di baby gang, mentre è in discussione quella concernente la TV ed i minori. Mi fermo qui e lascio la parola al nostro ospite.

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Vorrei in primo luogo ringraziarvi per essere venuti, anche a nome del direttore generale, e dirvi che sono molto lieto che dei parlamentari come voi si interessino al lavoro della nostra organizzazione, innanzitutto perché le convenzioni da noi adottate sono poi presentate ai Parlamenti per la ratifica e poi perché si tratta di una delegazione parlamentare italiana ed io dirigo il centro BIT di Torino. Sono a disposizione per qualsiasi cosa vogliate conoscere, anche se immagino che l’incontro di questa sera sarà soprattutto a proposito del funzionamento della nostra organizzazione, mentre domani esaminerete più in dettaglio tutto ciò ha a che vedere con il programma relativo ai minori. Passando ad una presentazione generale dell’ufficio del lavoro, la nostra organizzazione è stata creata con il trattato di Versailles nel 1919 con la sua parte 13, che è l’unica ancora in vigore. Essa ha tre funzioni: in primo luogo riunire e diffondere le informazioni sulle questioni sociali che possano interessare gli Stati membri, in secondo luogo elaborare norme internazionali in materia di lavoro ed in terzo luogo assicurare la cooperazione tecnica agli Stati membri in ordine a qualsiasi tema che abbia a che fare con la missione dell’organizzazione. Per quanto riguarda il tema della diffusione delle informazioni, siamo come un centro di ricerca sulle questioni sociali, pubblichiamo studi, analisi e proposte sui temi che hanno a che vedere con la politica sociale; prepariamo relazioni in materia di lavoro, di tutela e di protezione sociale. Per quanto riguarda la seconda funzione, la conferenza internazionale del lavoro riunisce 176 membri, tra i quali vi sono non soltanto i rappresentanti dei governi ma anche dei datori di lavoro e dei lavoratori; ad essa partecipano 4 delegati per ogni stato membro, cioè il ministro del lavoro con un suo vice, più un portavoce per i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori. Il consiglio di amministrazione è composto da 56 membri, suddivisi in 3 rappresentanti per ciascuno dei 10 Stati tra cui l’Italia; esso ha il compito di presentare alla conferenza temi di discussione per l’elaborazione di testi che poi diventeranno convenzioni in materia di lavoro. Il Bureau ha già raccolto nella fase preparatoria informazioni da tutti gli Stati membri sulle questioni che dovranno essere discusse e deve preparare un primo progetto di convenzione che poi sarà discusso in commissioni speciali, le quali poi stendono un progetto da presentare alla conferenza. Dopo di che gli Stati membri ne discutono, ciascuno per conto proprio, e l’anno successivo il risultato di tutto questo viene presentato alla conferenza per arrivare all’adozione di una convenzione. Una volta che quest’ultima è stata adottata viene inviata a ciascuno degli Stati membri, i quali, secondo la costituzione dell’organizzazione, hanno l’obbligo di presentare la convenzione ai Parlamenti affinché venga ratificata. Se il Parlamento decide di ratificare la convenzione questa diventa legge dello Stato; l’ufficio internazionale del lavoro ha un sistema estremamente sofisticato, basato sul diritto internazionale, che gli permette di andare a controllare la messa in opera di questa normativa. Vi è poi un comitato di esperti indipendente e di alto livello, composto da personalità provenienti da ogni settore, che studia le relazioni presentate da ciascuno stato membro per valutare fino a che punto sia stata messa in opera la convenzione; se vi è un problema, esso viene rappresentato ad una commissione per l’applicazione delle norme, la quale discute e convoca il governo in questione, il quale deve fornire una spiegazione dinanzi agli altri membri dell’organizzazione. Attualmente sono state approvate 183 convenzioni, che hanno portato ad oltre 7 mila ratifiche, le quali vengono regolarmente controllate da questo organismo di controllo. Se uno Stato membro non rispetta i suoi obblighi, formulati dal comitato di esperti o dalla conferenza, esistono delle procedure che prevedono in particolare la nomina di una commissione d’inchiesta incaricata di valutare la situazione. A questa commissione i governi non possono sottrarsi. La commissione ha due possibilità: o riesce a recarsi in loco facendo poi il suo resoconto al consiglio di amministrazione oppure, se lo Stato glielo impedisce, il lavoro si svolge a Ginevra sulla base dei dati a disposizione della commissione d’inchiesta. Per menzionare un caso particolare in cui la commissione d’inchiesta ha ottenuto risultati positivi, citerò quello della Polonia, la quale aveva rifiutato degli impegni internazionali che aveva assunto relativamente alla convenzione sulla libertà sindacale e di contrattazione collettiva, in quanto non permetteva la libera creazione di sindacati ed aveva rifiutato di riconoscere Solidarnosch. In seguito a questo il ministro del lavoro polacco, che era un comunista, è dovuto venire a Ginevra per affrontare la commissione d’inchiesta e non sapeva se il tribunale di Varsavia avrebbe riconosciuto quello che era stato presentato al tribunale di Danzica come riconoscimento del sindacato Solidarnosch. Poi quest’ultimo è stato riconosciuto come sindacato e senz’altro l’influenza della nostra organizzazione, aggiunta al peso delle forze locali, è stato un elemento positivo dell’evoluzione. Fra gli elementi costituenti del sindacato Solidarnosch, riconosciuto dal tribunale di Varsavia, vi sono il riconoscimento da parte del tribunale di Danzica, lo statuto di Solidarnosch e quanto è stato fatto dal BIT. L’altro esempio, che è ancora in corso, è quello del Myanmar, che è stato oggetto di studi e di critiche a proposito del lavoro forzato. E’ stata nominata una commissione d’inchiesta, ma il Myanmar ha rifiutato di accogliere le raccomandazioni e le richieste. In giugno è stato condannato dalla conferenza, la quale ha fissato il mese di novembre quale scadenza ultima per dimostrare l’evoluzione della propria politica in questa materia; qualora le sue richieste non venissero accolte, l’organizzazione chiederà agli Stati membri di adottare misure vincolanti contro lo Stato di Myanmar. Da quanto mi è dato di sapere, anche se lo Stato di Myanmar è rimasto fermo sulle proprie posizioni, sta esaminando quali progressi potrebbero essere fatti in questa materia per evitare le pressioni internazionali. Per fare un altro esempio, vi è un’azione specifica che ha a che vedere con l’adattamento della nostra organizzazione alla mondializzazione generale. Per spiegarmi meglio, le convenzioni vengono trattate individualmente fra la nostra organizzazione e lo Stato membro, ma in realtà non vi è un obbligo da parte del BIT di far fronte ad un problema particolare. La mondializzazione è un problema nuovo che ha posto un quesito specifico; si può fare il paragone con il formaggio groviera perché, quando c’è un vuoto, tutti ci si precipitano dentro. Di conseguenza si è cercato di vedere in che modo trattare le norme internazionali in materia di lavoro per vedere se vi siano norme che l’organizzazione potrebbe chiedere a tutta la comunità internazionale di rispettare. Un gruppo di Stati, soprattutto quelli più sviluppati come gli Stati Uniti e quelli membri dell’Unione Europea, ha cercato di fare pressioni in modo che nella costituzione dell’OMC a partire dal GATT precedente si includesse la necessità di rispettare le norme fondamentali in materia di lavoro. A tale richiesta gli Stati in via di sviluppo hanno reagito affermando che non si poteva chiedere loro di privarsi dell’unico vantaggio che avevano rispetto ai paesi ricchi, cioè le condizioni salariali, che erano l’unica carta vincente per far fronte alla concorrenza degli Stati sviluppati; se si fossero imposte loro condizioni di lavoro che avessero reso impossibile le esportazioni, si sarebbe ostacolato anche il loro sviluppo. Pertanto essi si sono sempre rifiutati di legare norme internazionali in materia di lavoro e commercio internazionale, e questo sia all’OMC che al BIT.  La questione di cui abbiamo parlato in precedenza non è stata inclusa negli accordi di Marrakech che hanno portato alla questione dell’OMC. Il vertice sociale di Copenaghen che riunì 140 capi di Stato, affermò che, senza voler creare un legame con il commercio, vi erano dei principi fondamentali minimi che comunque dovevano essere rispettati da tutta la comunità internazionale. Essi non avevano un legame con il livello di sviluppo economico, ma si trattava di questioni che avevano a che fare con la libertà e con i principi di etica. Queste condizioni minime erano formalizzate in 7 convenzioni del BIT e contengono due obblighi e tre divieti. Per quanto riguarda i primi, vi è soprattutto il rispetto della libertà sindacale di contrattazione collettiva, cioè la possibilità di avere un interlocutore libero ed indipendente per poter negoziare, in modo da avere una comparazione fra lo sviluppo ed i progressi sociali. Per quanto riguarda i divieti, c’è il lavoro forzato, il lavoro nelle prigioni, il lavoro in condizioni di schiavitù ed il lavoro minorile, che fra l’altro ha portato ad un’ottava convenzione del BIT che è stata approvata dalla conferenza l’anno scorso, la n. 182, relativa alle forme peggiori di lavoro minorile, nonché la proibizione di qualsiasi discriminazione per sesso, religione, appartenenza etnica e via dicendo. Di fronte alla mondializzazione tutta la comunità internazionale si è detta che, dopo tutto, i testi dell’organizzazione internazionale del lavoro hanno il merito di esistere e rappresentano qualcosa di cui tutti hanno bisogno; di conseguenza tutta la comunità internazionale si è detta che occorreva rispettare questi testi. Tutto questo fa sì che, in occasione dell’adozione della dichiarazione da parte della conferenza internazionale del lavoro, in un certo vi sia stato un riconoscimento anche da parte degli Stati che non avevano ratificato queste convenzioni, un’accettazione di entrare a far parte di un meccanismo che faceva sì che, pur non avendo ratificato le convenzioni, si dovessero fornire delle spiegazioni del perché ci si trovi in una certa situazione, su cosa eventualmente fanno per arrivare ad una ratifica ed eventualmente quale aiuto possono ricevere dall’organizzazione per arrivare ad una ratifica. I paesi che hanno accettato hanno in realtà accettato di rispondere a proposito di tutto quello che fanno ed eventualmente possono chiedere l’aiuto della nostra organizzazione. Ciò interessa anche i paesi sviluppati che forniscono il loro aiuto attraverso il finanziamento di progetti; fra di essi vi sono gli Stati Uniti, l’Italia, i paesi dell’OCSE e via dicendo. Vi è poi l’aspetto della cooperazione tecnica, concreta, che ci permette di finanziare in una piccola parte, attraverso il nostro bilancio normale per il 90 per cento attraverso doni nonché attraverso il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, queste attività di cooperazione tecnica. Proprio la settimana scorsa il ministro Dini ha firmato, qui a Ginevra, uno di questi progetti di cooperazione tecnica con il direttore del BIT. Infine devo dire che l’Italia è senz’altro uno dei membri più attivi dell’organizzazione dal punto di vista della delegazione, per l’appoggio alla cooperazione tecnica, l’applicazione delle norme e la sua attiva presenza ai lavori dell’organizzazione. In Italia vi è un ufficio del BIT a Roma, come avviene in altri capitali europee, ma soprattutto vi è la sede del centro di formazione del BIT a Torino, che ha un bilancio di 36 milioni di dollari, in gran parte finanziati dallo Stato italiano. In questo centro circa 8 mila persone provenienti da 170 paesi hanno potuto beneficiare della formazione, che contribuisce ad una migliore conoscenza dello Stato italiano in tutto il mondo. L’ottanta per cento di quello che fa il BIT nell’ambito della formazione si svolge nel centro di Torino. Chiedo scusa se sono stato troppo lungo, ma volevo offrire un quadro generale delle nostre attività senza entrare nell’ambito del lavoro minorile, di cui discuterete domani. Ho preparato dei dossier che contengono informazioni sul lavoro dei minori, sul lavoro del BIT in generale, sul centro di Torino e sulle convenzioni minime di cui ho parlato.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Desidero ringraziarla dell’ampia panoramica che ci ha fatto e le rivolgo una domanda di carattere generale. Affrontando il tema della globalizzazione e della mondializzazione ha affrontato il discorso del mondo del lavoro: quando ha accennato a quattro delegati per ciascun paese non ho ravvisato una rappresentanza parlamentare. Si può giustamente affermare che i Governi possono informare i rappresentanti del Parlamento, però molte volte il ruolo di questi ultimi può avere un’incidenza particolare, specialmente sul tema del lavoro minorile. La mia domanda è questa: in una società così globalizzata, in un processo di lavoro così delocalizzato anche nel terzo mondo, non pensa che sia necessario cambiare i rappresentanti che non abbiano soltanto un ruolo consultivo ma anche di partecipazione al procedimento decisionale? Per esempio, nella raccomandazione n. 190, articolo 15, punto a), si parla di informazione e sensibilizzazione dei parlamentari e delle autorità giudiziarie; al punto b) si pensa al coinvolgimento nella formazione di organizzazioni dei datori di lavoro e delle associazioni dei cittadini. Nella società di oggi non sono più sufficienti queste rappresentanze e credo che la conferenza di Seattle ci abbia dato l’idea dell’evolversi di questo problema; vi è dunque bisogno di un terzo pilastro, rappresentato dalla società dei cittadini, che deve entrare non solo come consultazione ma anche come programmazione delle regole di una globalizzazione sempre più ampia. Il discorso del lavoro minorile si è indubbiamente aggravato dopo la globalizzazione, perché il capitale si sposta laddove la manodopera è a più basso costo: in tutto questo, è possibile inserire un marchio sul lavoro minorile? Forse è una domanda che porremmo domani, ma in questa panoramica qual è il ruolo delle associazioni e della società civile?

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Vi sono due aspetti nella sua domanda: da un lato le relazioni con i Parlamenti e dall’altro il ruolo della società civile e delle organizzazioni non governative diverse dai sindacati e dalle organizzazioni imprenditoriali. Per quanto riguarda i rapporti con i Parlamenti è chiaro che abbiamo bisogno di un contatto e siamo lieti in particolare di quello di oggi. Occorre cercare di moltiplicare questi contatti, eventualmente attraverso l’Unione interparlamentare che ha sede a Ginevra. Inoltre nella fase di preparazione dei testi non c’è alcun problema di contatti con i parlamentari, oppure che una delegazione di parlamentari possa partecipare in qualità di osservatori al momento delle deliberazioni della conferenza. Per esempio il nostro direttore generale si è recato poco tempo fa in visita a Roma presso la Commissione esteri del Senato, con la quale ha avuto uno scambio molto interessante e dettagliato. Per quanto concerne la società civile e le organizzazioni non governative, domani avrete un incontro con i rappresentanti dell’IPEC, che è un programma che utilizza le ONG, soprattutto quelle a livello nazionale. Si tratta di un programma estremamente sensibile dal punto di vista politico e quindi è meglio trattato a livello nazionale rispetto a qualcuno che viene dall’esterno. Le ONG sono svariate e possono avere un riscontro con situazioni locali precise, ma non sempre riescono a tradurre i loro principi in una politica più generale. E’ dunque importante che vi sia una relazione fra le ONG e noi. Ci sono sempre più comparti con le ONG anche da parte delle imprese, le quali considerano tali organizzazioni come promotrici dei diritti, per esempio per quanto riguarda le norme minime in materia di lavoro. In questo senso, se le imprese accettano queste dichiarazioni di principi avranno la tendenza ad utilizzare meno quei paesi dove teoricamente avrebbero un maggior vantaggio e saranno più disposte a stare al gioco. Il problema è che le ONG sono sempre più numerose e cercano di ottenere sempre più potere sulla scena internazionale; noi abbiamo le ONG anche nella nostra organizzazione, cioè i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni degli imprenditori, che sono molto importanti perché strutturano il mercato del lavoro. Esse ritengono che dovrebbero essere privilegiate e di conseguenza noi ci sforziamo di renderle sempre più indipendenti e di rafforzarle in quanto organizzazioni. Vi è poi la questione della rappresentatività, poiché i sindacati sono eletti ed hanno uno statuto, mentre una ONG non sappiamo molto bene chi rappresenti, chi vi sia dietro, chi la finanzi; quindi vogliamo lavorare con le ONG che conosciamo e che rappresentano il mondo delle organizzazioni tradizionali nel nostro campo.

MARIA BURANI PROCACCINI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Nei tre punti che avete sottolineato vi è la diffusione dell’informazione e della formazione, mentre nel terzo avete richiamato la necessità di intervenire sui soggetti svantaggiati. Ormai esiste un grosso gap tra la vostra organizzazione pratica ed efficiente – siamo molto lieti, dopo aver avuto un’impressione molto fumosa dell’ONU, di apprezzare la vostra concretezza – ed i Parlamenti che devono fare le leggi nazionali. Aggiungo che si crea anche antagonismo all’interno dei Parlamenti proprio con i sindacati: non sarebbe opportuno prevedere una sorta di raccordo fra l’organizzazione centrale ed i Parlamenti nazionali?

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Ci sono due aspetti. In primo luogo esiste lo statuto della nostra organizzazione, che è tripartito e poi vi è la vocazione a sviluppare il legame con i Parlamenti attraverso consultazioni e riunioni di informazione come questa. Occorre moltiplicare le occasioni e trovare momenti in cui, quando appaiono nuovi progetti, nella preparazione di una legislazione si possa studiare che cosa esiste nella normativa internazionale, chiedendo eventualmente alla nostra organizzazione se esiste qualcosa. Vi è poi il secondo aspetto per il quale qui si svolge un negoziato in cui hanno un ruolo importante le delegazioni nazionali: al momento della ratifica, per esempio, è sempre possibile per i parlamentari chiedere ad un funzionario della nostra organizzazione di venire a spiegare i testi ed indicare gli elementi che possono porre dei problemi. Non possiamo pensare di cambiare la costituzione della nostra organizzazione per includervi un quarto partner, perché ciò richiederebbe un lavoro enorme e dovrebbe essere negoziato con tutti gli Stati membri. Aggiungo che la nostra costituzione, che permette ad organizzazioni non governative come i sindacati di lavoratori ed imprenditori di partecipare alle discussioni, era qualcosa di veramente inaudito per il 1919. Dunque, se vogliamo ricreare un nuovo BIT, non è detto che tutti gli Stati che già si trovano molto vincolati da questa struttura tripartita sarebbero d’accordo a raggiungere un altro vincolo. La nostra organizzazione è depositaria di tutta la legislazione esistente al mondo in materia di lavoro e quando uno Stato deve elaborare un progetto di legge può sempre chiedere a noi di verificare se esiste in un altro Stato qualcosa di interessante in materia. Per esempio, in materia di codici sul lavoro, gli Stati possono chiedere al BIT di verificare se il progetto sia conforme ed eventualmente avanzare commenti e proposte. Recentemente abbiamo avuto il caso del ministero del Marocco, che ci ha chiesto di esaminare il codice in discussione; lo stesso è avvenuto per la Palestina e per i paesi dell’Europa dell’est.

DINO SCANTAMBURLO, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Lei ha affermato all’inizio che l’OIL affronta i temi del lavoro anche nel contesto delle politiche di protezione sociale del lavoratore. L’Italia, ma anche altri paesi europei, ha ed avrà un crescente bisogno di manodopera da trovare fuori dei propri confini; contemporaneamente grandi masse di giovani lavoratori si trasferiscono dal proprio paese verso l’Europa, attratte da prospettive di lavoro e di vita diverse. Noi abbiamo situazioni molto variegate, con presenza di lavoro nero, di salario ridotto, di sfruttamento e molte volte in questo settore abbiamo il grande problema dell’integrazione piena a livello sociale e di rapporti di vita con le popolazioni europee con il rifugio di alcuni di questi immigrati nella criminalità e con rapporti sociali spesso tesi e difficili. L’OIL come affronta questa grande questione, che coinvolge tanti paesi anche attraverso il partenariato e la cooperazione fra Governi, per arrivare a condizioni di lavoro e di vita dignitose, nonché a rapporti di convivenza sereni fra le popolazioni? Inoltre, che tipo di politiche l’OIL instaura per l’avviamento al lavoro dei giovani e per la loro formazione professionale?

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Per quanto riguarda l’immigrazione, in realtà abbiamo due modi di procedere: in primo luogo ci sono i testi internazionali che riguardano la tutela degli immigrati dal punto di vista delle condizioni in cui vivono e dei diritti che hanno; poi vi è una serie di progetti di aiuto ai paesi in via di sviluppo per favorire la creazione di piccole e medie imprese in questi paesi e quindi favorire lo sviluppo dell’occupazione, diminuendo la pressione migratoria da questi paesi verso altri. L’Italia ha fornito un aiuto al BIT per promuovere la creazione di lavoro nei paesi del Maghreb per progetti di creazioni di piccole imprese che potessero favorire il ritorno in patria di soggetti precedentemente emigrati altrove. Vi sono poi problemi di natura più politica e di assimilazione al tessuto sociale del paese, che tuttavia rappresentano questioni interne in cui non abbiamo modo di interferire se non dal punto di vista del divieto di discriminazione delle persone. Per quanto riguarda la formazione dei giovani, esiste una serie di disposizioni che contengono molti principi fondamentali: se la cosa interessa, sarebbe possibile stabilire contatti con le persone che si occupano di questi aspetti e che potrebbero parlare più diffusamente di quello che viene fatto a questo livello anche nei paesi in via di sviluppo. A proposito dell’occupazione dei giovani, fra due anni la conferenza affronterà appunto il problema della formazione e dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

TIZIANA VALPIANA, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Vorrei ringraziare il nostro interlocutore per la chiarezza e la completezza: credo che la chiarezza sia un suo dono personale, ma la concretezza gli deriva dal fatto che questo organismo, a differenza di altri, ha la possibilità di comminare in qualche modo delle sanzioni e quindi di costringere all’applicazione delle convenzioni. Accanto a questa sorta di potere di repressione, sono stati ricordati gli aiuti ed i progetti che l’organizzazione può fornire ai paesi che non riescono a sostenere le convenzioni: mi piacerebbe che lei potesse darci qualche esempio di sanzione, oltre all’esempio che ci ha fatto del Myanmar, nonché di sostegno e di aiuto per l’entrata in vigore delle convenzioni. Per quanto riguarda la disoccupazione, vorrei sapere se ve ne occupate concretamente, non solo e non tanto nei paesi poveri, ma anche in quelli sviluppati come l’Italia, dove si stanno pensando politiche di contrasto alla disoccupazione attraverso misure come il salario sociale o il salario d’ingresso. Vorrei sapere che cosa pensate di tali misure. Poiché ritengo che il lavoro sia un diritto, ma che la vita sia un diritto che viene prima del lavoro, vorrei infine parlare dell’aumento degli incidenti mortali sul lavoro nei paesi industrializzati, dovuti, almeno per quanto riguarda il nord-est dell’Italia, all’aumento della flessibilità ed alla diminuzione delle tutele nel campo del lavoro: vorrei sapere se vi occupate anche di sicurezza sul lavoro.

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Per quanto riguarda le sanzioni, abbiamo la possibilità di imporre sanzioni internazionali da parte del BIT, però non abbiamo certamente un esercito. I paesi non sono molto contenti se vengono presentati casi di violazione sulla scena internazionale, da cui deriva un certo imbarazzo perché ciò fornisce una cattiva immagine. Per esempio, alla conferenza internazionale se un ambasciatore a Ginevra o il capo di una delegazione entra in contatto con i suoi ministri perché altrimenti la stampa parla di un caso di violazione nel suo paese, la situazione è molto difficile e spesso si sblocca proprio durante la convenzione sia pubblicamente sia dietro le quinte, attraverso negoziati più o meno confidenziali. E’ questo che dà influenza al nostro sistema. Per quanto riguarda il nostro sistema di controllo sull’applicazione delle convenzioni, fornisco una cifra grossolana di circa 10 mila modifiche di legislazione nei vari paesi a seguito di segnalazione da parte dei nostri esperti di situazioni non conformi. In molti casi gli Stati sono stati costretti a modificare la loro legislazione perché vi erano situazioni gravi di violazione. Nel caso di paesi in cui prima vi erano delle dittature come in America latina, in Spagna o in Grecia ci è stato detto che le personalità consideravano la conferenza come un conforto, come qualcosa di molto importante, perché permetteva loro di rimanere vivi; essi sapevano che esisteva un’istituzione internazionale nella quale si poteva parlare di questi abusi in modo che le dittature non avrebbero potuto fare quello che volevano perché altrimenti si sarebbe venuto a sapere. All’epoca in cui ero membro di gabinetto del direttore generale ricevevamo spesso telefonate durante il fine settimana con richieste di aiuto, perché magari un leader sindacalista stava per essere giustiziato e bisognava reagire immediatamente. Per quanto riguarda l’assistenza, i paesi affermano che il fatto di aver ratificato la convenzione è importante, ma che per poter obbligare i datori di lavoro ad applicare queste convenzioni occorrono dei controlli e per fare questo occorrono degli ispettori del lavoro. In realtà noi abbiamo un ispettore per 200 imprenditori ed è quindi necessario che gli Stati ci aiutino ad aumentare l’ingaggio di questi ispettori: il centro di Torino è il luogo più importante per la formazione di questi ispettori nell’ambito del lavoro. Trattiamo il problema della disoccupazione soltanto dal punto di vista della tutela dei lavoratori disoccupati, cioè per tutto quello che è il sistema previdenziale, ma anche attraverso la cooperazione per la creazione di piccole e medie imprese che permettano di arrivare alla creazione di posti di lavoro. Vi è poi il principio adottato dalla nostra organizzazione, sul quale il nostro direttore generale ha particolarmente insistito, cioè quello di creare occupazione decorosa, di buona qualità, perché questo migliora il livello di sviluppo. Il problema delle forme di lavoro è estremamente grave nella nostra società perché al giorno d’oggi, se non si è concorrenziali, si rischia di diventare disoccupati e di conseguenza ne patisce tutta la vita della persona, sia quella professionale sia quella personale ed il lavoro diventa un incubo. Diventa impossibile pianificare la propria vita, diventa impossibile fare previsioni sul proprio reddito durante la vita di lavoro ma anche durante la pensione: pertanto gli Stati devono agire per garantire condizioni di lavoro e di sicurezza del posto di lavoro affinché le persone abbiano una vita prevedibile.

GIUSEPPE MAGGIORE, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Mi aggancio a quanto ha esposto la collega Valpiana. Desidero dare atto che l’OIL è forse uno dei pochi organismi internazionali che abbia previsto dei meccanismi di controllo sull’applicazione degli indirizzi. Proprio per questo le chiedo se è ottimale o se è ancora parziale l’applicazione da parte degli Stati membri degli indirizzi assunti dall’organizzazione, viaggiando insieme alle nuove esigenze che si prospettano nel mondo del lavoro. Lavoro inteso nella sua ampia gamma, non solo come diritto al lavoro ma come diritto ad un lavoro civile, accettabile ed adeguatamente remunerativo. Pongo questa domanda perché penso che, se vi è un’uniforme applicazione da parte degli Stati membri, vi può essere uno stimolo ulteriore per quei paesi che non sempre sono allineati con norme che spesso contrastano con le situazioni locali.

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Per quanto riguarda l’applicazione ci sono elementi positivi nel sistema della nostra organizzazione, e cioè che non sono solo i Governi a dover parlare, in quanto tutto quanto essi ci dicono viene inviato ai datori di lavoro ed ai lavoratori in quanto parti di questo sistema tripartito. Pertanto i Governi non possono dire quello che vogliono o presentare solo quello che fa comodo loro. L’aspetto negativo è che ci sono situazioni nelle quali il livello di sviluppo del paese non permette di assumersi gli impegni derivanti dalle convenzioni. In questo senso si verrebbe quasi a scoraggiare la ratifica perché il livello di sviluppo non è sufficiente oppure, piuttosto che scoraggiarla, dare assistenza tecnica per poter realizzare programmi che consentano di mettere in opera le convenzioni. Occorre ricordare, però, che esistono vari livelli di ratifica e che quindi lo Stato può ratificare le convenzioni in parte, a seconda del livello di sviluppo.

ANTONINA DEDONI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Vorrei soddisfare una curiosità e cioè se l’OIL affronti il problema dell’occupazione femminile nelle sue convenzioni, cioè se in queste ultime vi siano dispositivi per favorirla o per combattere le discriminazioni che ancora si registrano nell’accesso ma anche nello sviluppo delle carriere od anche per la tutela delle madri lavoratrici.

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Senz’altro il BIT è attivo in questo campo perché questo è uno dei temi che stanno alla base, per esempio, della convenzione n. 111, a cui fanno capo i programmi di assistenza tecnica per molti paesi in via di sviluppo, in modo da consentire alle donne di avere accesso all’occupazione e di uscire dalla situazione particolarmente svantaggiata in cui si trovano in molte società. Per esempio a Torino, nei vari programmi di formazione, il 38 per cento dei partecipanti sono donne e quindi c’è una serie di attività di formazione che riguardano in modo particolare le donne. Ricordo infine che la conferenza internazionale sul lavoro ha approvato nell’ultima sessione la nuova convenzione sulla protezione della maternità nel lavoro.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Ringrazio il nostro ospite per averci accolto e per essere stato così ampio nelle sue spiegazioni. Se mi è consentita un’ultima battuta, questa organizzazione fra qualche decennio compirà un secolo di vita. Noi siamo entrati in un nuovo millennio ed io vorrei lasciarle questo pensiero: credo che al vostro tavolo ci sia un partner invisibile, che rappresenta il lavoro nero, i disoccupati, il lavoro minorile ed il lavoro forzato. Credo che, prima o poi, la voce di questo partner debba essere ascoltata e diventare veramente organizzativa nel vostro lavoro.

FRANÇOIS TREMEAUD, Direttore esecutivo dell’ILO (in lingua straniera). Forse un giorno esisterà un sindacato dei disoccupati!

Incontro con Frans Roselaers, direttore del programma IPEC.

 

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Prego il direttore del programma IPEC di riferire al Comitato ciò che ritiene opportuno.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Poiché avevate espresso il desiderio di parlare della tematica del lavoro dei minori, è proprio questo l’obiettivo del programma IPEC, la cui sigla vuol dire programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. Questo programma è appoggiato da oltre 20 donatori, tra i quali in posizione preminente vi è l’Italia e contribuisce a finanziare dei progetti in loco e ad alimentare attività di sensibilizzazione generale in tutto il mondo. Per fare un esempio del contributo dell’Italia, dirò che il vostro paese appoggia le campagne per la promozione della ratifica della convenzione, in particolare la n. 182, che si riferisce alle peggiori forme di lavoro minorile, che l’Italia ha non solo approvato ma già ratificato nel giugno di quest’anno. A questo proposito vorrei ringraziarvi come parlamentari per l’appoggio che avete dato a questa ratifica. Normalmente non lavoriamo con i Parlamenti, perché generalmente trattiamo direttamente con i ministeri e le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, nonché con i rappresentanti dei paesi all’estero. I parlamentari sono la categoria di persone più importante e vitale quando vogliamo utilizzarle per la promozione delle convenzioni dell’OIL ed è proprio per arrivare ad una rapida ratifica di queste ultime che abbiamo bisogno del sostegno dei parlamentari in tutti i paesi del mondo. Insieme all’Unione interparlamentare cerchiamo di lavorare in comune per favorire non solo la ratifica di queste convenzioni attraverso conferenze e riunioni regionali, ma anche di integrare la tematica del lavoro minorile al fine di sensibilizzare le popolazioni anche sotto il profilo della messa in opera del contenuto delle convenzioni stesse. La campagna avviata immediatamente dopo l’adozione della convenzione, nel giugno del 1999, ha già portato dei frutti; a tutt’oggi 30 paesi hanno già ratificato questa convenzione e questo già di per sé è senza precedenti nella nostra storia: speriamo che, da qui alla fine del 2001, si possa arrivare alla metà dei paesi membri dell’OIL, 87-88, cosa che sarebbe senza precedenti nella storia delle Nazioni Unite. Non lo diciamo per vanità, ma perché possiamo dimostrare che questa nostra vecchia istituzione, che era considerata solida ma piuttosto lenta, può dare un impulso più dinamico e questo potrebbe contribuire a far ratificare altre convenzioni fondamentali che sono già state adottate. Come secondo effetto potremo in questo modo dimostrare all’opinione pubblica mondiale che sappiamo reagire a queste loro preoccupazioni per quanto riguarda il lavoro minorile nel mondo. Queste ratifiche così numerose sono importanti perché hanno un effetto in un certo senso di pressione morale sui paesi affinché agiscano per mettere in opera i principi della convenzione; in questo modo i paesi non possono più affermare di non avere i mezzi o di non essere pronti, perché questa pressione morale viene esercitata sull’opinione pubblica, e questo è necessario perché noi possiamo dare attuazione ai nostri programmi. Tuttavia non è sufficiente esercitare pressioni morali; fin dalla creazione del programma IPEC ci siamo resi conto che era necessario avere attività operative per poter dimostrare l’importanza di queste realizzazioni; è proprio questa la filosofia dell’IPEC già dall’anno scorso, nel senso di non limitarsi soltanto a predicare il bene ma anche a praticarlo, per dimostrare quanto sia valido il nostro approccio, la nostra impostazione di lavoro. Il nostro programma è operativo già dal 1992: cominciò con un paese donatore, la Germania, e altri sei paesi che partecipavano, tra cui l’India, il Pakistan e il Bangladesh, per arrivare a 20 paesi donatori e 70 che partecipano al programma, suddivisi fra tutte le nazioni del mondo. Ovviamente i programmi sono molto diversi da paese a paese: possono essere semplici in alcuni paesi e più complessi in altri, programmi di preparazione e programmi in fase più sviluppata. Per fare un esempio del modo di procedere, cominciamo con un’attività di raccolta di dati e di ricerche statistiche, che per esempio possono essere legate ad un censimento di popolazione, oppure ad inchieste di tipo speciale, dopo di che procediamo a negoziati e trattative relativamente ad un programma con varie parti (Governi, organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, ONG), con attività di sensibilizzazione o azioni più dirette. In secondo luogo procediamo ad attività di formazione che permettano ai partner locali di avviare da soli delle attività, senza dover sempre dipendere da esperti provenienti dall’esterno. La parte più importante e più forte sono i progetti integrati in un programma globale per paese, che affrontano per settori il problema del lavoro minorile. Per esempio, nel Bangladesh in due anni e mezzo siamo riusciti ad eliminare il lavoro minorile dal settore tessile e questo rappresenta circa 10 mila minori. Altro esempio forse più noto è l’eliminazione del lavoro minorile nella produzione dei palloni da calcio, dove siamo riusciti in un anno e mezzo a ridurre quasi a zero l’impiego dei minori, che prima erano circa 7 mila. La formula migliore, che può fare la differenza, è che togliamo i minori dal lavoro solo nel caso in cui esistano altri due fattori: in primo luogo che si sia riusciti a creare la capacità di dare una formazione scolastica, in modo che i bambini, una volta tolti dal lavoro, abbiano la possibilità di ricevere un’istruzione; in secondo luogo che le famiglie abbiano un reddito maggiore rispetto al passato o un’occupazione più stabile, perché altrimenti togliamo i bambini dalla fabbrica per poi ritrovarli in strada. Per poter riuscire nel nostro intento dobbiamo portare un attacco frontale con l’aiuto dei partner, cioè gli imprenditori, le ONG, i Governi ma anche l’Ispettorato del lavoro, nonché attraverso nostre ispezioni alle quali procediamo in modo imprevisto per controllare che non vi siano più minori al lavoro. Occorre stabilire legami con la politica in materia di istruzione, lo sviluppo del settore privato, la politica in materia di occupazione e tutto quello che può costituire lo sviluppo generale di un paese in via di sviluppo. Questo richiede un partenariato molto vasto con altre organizzazioni delle Nazioni Unite come l’UNICEF e la Banca mondiale. Ovviamente quello di cui vi parlo è un programma che si può definire pilota perché si occupa di un settore, ma un settore non rappresenta tutto il paese. Per quanto riguarda il futuro vogliamo cogliere varie sfide in contemporanea: da un lato certe categorie di lavoro minorile, in particolare le peggiori forme, sono estremamente difficili da misurare e ovviamente difficili da risolvere. Voi stessi avete posto un quesito relativamente alle informazioni e ai dati, cioè se esiste una banca dati: per il lavoro nell’industria o relativamente ai minori che si trovano per le strade, certi dati sono possibili attraverso inchieste, ma per le peggiori forme di lavoro dei bambini - come la prostituzione, la tratta dei minori, l’uso dei minori nella pornografia ed anche il lavoro domestico, talune forme di schiavitù e la creazione di bambini-soldato - è impossibile avere dati statistici perché si tratta di tipi di lavoro effettuati di nascosto. Essendo illegali non sono dichiarati e pertanto occorrono altri metodi di indagine; abbiamo sviluppato certe metodologie, in particolare insieme all’UNICEF, tra le quali vi è la rapid accessment methodology, cioè una metodologia di valutazione rapida, di tipo qualitativo che ci permette di valutare le caratteristiche ed eventualmente il volume di lavoro minorile in certe situazioni. Abbiamo anche una certa esperienza con modelli di intervento in queste categorie di lavoro grazie all’appoggio di certi paesi, fra cui in particolare l’Italia. Per esempio, grazie ad un finanziamento italiano, siamo riusciti ad agire contro il lavoro dei bambini schiavi in Nepal ed ora questo metodo potrà essere sviluppato su scala più vasta. Inoltre, grazie ad un finanziamento britannico, abbiamo potuto agire nel bacino del Mekong (Thailandia, Laos e Vietnam) per mettere in opera un progetto a proposito della tratta dei bambini e questo metodo ci sarà utile anche per altri paesi. L’Olanda finanzia un progetto nel Bangladesh a proposito del lavoro sommerso da parte dei minori, i quali più che altro vivono nelle strade delle grandi città; di conseguenza si tratta di un tipo di attività estremamente difficile da analizzare e da affrontare, dato il grande numero di minori coinvolti. Infine, grazie ad un finanziamento statunitense, speriamo di poter affrontare il problema del lavoro domestico in particolare in certi paesi dell’America Latina ed il problema dei bambini-soldato nell’Africa centrale o in paesi come il Congo, la Sierra Leone e così via. Effettivamente per noi è una sfida quella di riuscire a trovare i metodi giusti e la possibilità di analizzare e risolvere questi problemi. Per parlare di un’altra sfida, vi è il programma che stiamo cercando di concretizzare con il quale cerchiamo di fare in modo che taluni paesi applichino una metodologia globale: prendiamo paesi di dimensioni medie per applicare una metodologia che ci permetta di eradicare le peggiori forme di lavoro. Ci sono tre paesi candidati che lavorano con noi in questo programma, cioè il Salvador, il Nepal e la Tanzania. Tale programma si può paragonare ad una bomba a scoppio ritardato e tende a lavorare in un certo periodo di tempo in tutti i settori; non ha importanza se ci richiede sei o dieci anni di tempo, poiché quello che conta è l’obiettivo, da raggiungere con l’aiuto delle autorità del paese, che interessiamo con azioni di sensibilizzazione. Chiedo scusa se sono stato troppo lungo e, prima di lasciarvi la parola per le vostre domande, vi presento le mie collaboratrici, la signora Noguchi, che lavora sulle norme presenti nel programma IPEC e la signora Maria Gabriella Lay, che si occupa di campagne di sensibilizzazione e che coordina varie attività, non solo concerti o avvenimenti vari, come è avvenuto di recente, ma anche altri strumenti come libri fotografici e canzoni.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Vorrei brevemente presentarle il Comitato che rappresenta la Commissione bicamerale per l’infanzia. La Commissione bicamerale è composta di 20 deputati e 20 senatori e rappresenta uno strumento molto rapido di confronto e di sintesi tra le due Camere; al suo interno sono stati istituiti cinque Comitati di lavoro, quello sul lavoro minorile, quello sull’immigrazione e la scomparsa dei minori, quello sul rapporto TV e minori, quello sui servizi sociali, quello sull’affidamento e quello sulla giustizia minorile. Sono qui presenti l’onorevole Burani Procaccini di Forza Italia, l’onorevole Scantamburlo del PPI, l’onorevole Valpiana di Rifondazione comunista, il senatore Maggiore di Forza Italia e l’onorevole Dedoni dei Democratici di sinistra. Questa Commissione bicamerale è stata istituita con la legge n. 451 de 1997 ed ha un ruolo di controllo di quanto viene fatto nel mondo minorile. Oserei dire che, fino a quando non verrà creato l’ombudsman, ha un ruolo di difensore civico dei minori nel nostro paese, un ruolo istituzionale che non si deve confondere con quello dell’ombudsman dei paesi europei. Credo che lei abbia sentito da monsieur Trémeaud le nostre considerazioni sul ruolo dei parlamentari perché oggi ha dato indirettamente una risposta ai nostri quesiti, e questo mi fa piacere: credo che abbiamo inaugurato una nuova stagione di dialogo fra i Parlamenti e le istituzioni internazionali e ritengo sia importante proseguire su questa strada. Il cammino svolto dalla Commissione bicamerale ci ha consentito accedere a questo ruolo: attraverso le varie audizioni svolte abbiamo ottenuto la conoscenza del problema e possiamo dire di essere arrivati a ratificare la convenzione n. 182 con cognizione di causa, cosa che non sempre avviene con le convenzioni internazionali. Vorrei sottolineare un altro punto, e cioè che il dialogo con l’Unione interparlamentare non avviene all’interno del Parlamento: pertanto lei ha ricevuto degli illustri ospiti i quali hanno mantenuto l’argomento in un ambito ristretto, mentre per noi questa è una stagione nuova che dobbiamo inaugurare in modo diverso. Ho piacere di dirle queste cose perché noi lavoriamo seriamente e vorremmo che l’informazione fosse anche fonte di formazione per tutti, di molti e non di pochi. Sono convinta che dobbiamo trovare metodi diversi di lavoro. Monsieur Roselaers ha detto che la convenzione è stata ratificata da 30 paesi, cosa che costituisce una realtà senza precedenti. Tuttavia, per arrivare a risultati soddisfacenti in tempi rapidi, perché i temi che trattiamo sono abbastanza gravi e la realtà supera quello che le convenzioni dicono, credo che vi sia bisogno di un coinvolgimento ampio, che si estenda non solo agli ambiti parlamentari ma a tutto il mondo del non profit, o che comunque lavora vicino a questi problemi e che ha bisogno di trasmettere le proprie istanze ai parlamentari, all’Unione interparlamentare e ai Governi, altrimenti il dialogo non si amplia ed i problemi si risolvono con molte più difficoltà. Per parlare di accattonaggio non c’è bisogno di andarlo a vedere in Nepal, perché lo possiamo vedere nelle città italiane; per parlare di traffico di minori non c’è bisogno di andare in Thailandia, poiché esso avviene attraverso le coste dell’Adriatico nella nostra Europa; per parlare di lavoro nero e di lavoro domestico credo che basterebbe andare dentro a qualche ambasciata. Mi permetto di dire questo perché lavoro nel Consiglio d’Europa e raccolgo molte testimonianze. La realtà è molto vicina e non occorre andare in centro America, in Asia o in Africa per assistere al traffico di minori.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). La ringrazio per le osservazioni estremamente pertinenti che ha fatto e procedo ad una confessione, in un certo senso. Sono d’accordo con lei che, per poter andare oltre le ratifiche nei paesi in via di sviluppo, occorrono metodi diversi; sono altresì d’accordo che bisogna ampliare la discussione a tutta la società civile, soprattutto su questi problemi così gravi, tenendo conto che quella realtà è presente anche in Europa. Devo inoltre confessare che le nostre capacità di aiutare tutti i paesi del mondo a proposito di questi problemi ed a tutti i livelli della società ovviamente non sono sufficienti, né a livello di IPEC né di BIT. Un grave problema è rappresentato dalla mancanza di informazioni a proposito del fenomeno del lavoro minorile soprattutto nei paesi sviluppati, un po’ perché le statistiche sono difficili, un po’ perché abbiamo mezzi di inchiesta limitati e poi anche perché i paesi donatori in realtà non favoriscono questo tipo di inchieste. Proprio questa settimana ho chiesto di avviare una ricerca di informazioni, che siano giornali, documentazione sindacale o padronale o statistiche ufficiali, per cercare di avere un quadro globale nei paesi più industrializzati in quanto devo preparare una presentazione in novembre ad una conferenza che riunirà tutti i paesi dell’OCSE tra cui l’Italia. Devo dire che, quando visito le capitali europee, non mi limito a parlare di ratifica di queste convenzioni ed a volte rivolgo domande, ovviamente cortesemente, anche se non sempre è facile stabilire un dialogo con certe capitali, perché le mie domande non sempre vengono prese bene. Sono d’accordo sul fatto che certe forme di lavoro minorile non si trovano soltanto in certi paesi ma anche in Europa: prostituzione, tratta di minori, pornografia, l’uso dei minori per traffici di droga ed altre forme di questo tipo. Vi sono poi altre forme che si possono definire eccessive, come le prestazioni nel campo artistico e l’impiego di minori o addirittura di bambini piccolissimi in certe produzioni artistiche: questi minori spesso vengono utilizzati in condizioni di lavoro eccessivo ed abbiamo ricevuto segnalazioni di centrali sindacali europee che riuniscono gli artisti che si riferivano all’impiego di bebè in produzioni televisive. Altro esempio è l’uso dei giovani nello sport: è difficile poter affermare cose precise, perché a volte le carriere sportive cominciano all’età di dieci anni e spesso si ha a che fare con l’ambizione di genitori che dominano su tutto oppure con club sportivi che approfittano delle situazioni. Quando vengono "importati" i bambini dall’Africa per poter scegliere i migliori, ci si chiede poi cosa succeda degli altri: non abbiamo informazioni precise, bensì solo quello che riportano i giornali, che per noi non è sufficiente.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Prima di lasciare la parola ai miei colleghi, vorrei dirle che sul tema dei baby-calciatori e delle baby-modelle ho presentato delle interpellanze ed esistono proposte di risoluzione della nostra Commissione: questo tipo di impegno è tipico dei parlamentari e non dei Governi. La documentazione parlamentare dimostra che il nostro impegno ha già anticipato queste problematiche.

MARIA BURANI PROCACCINI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. La ringrazio per il suo intervento molto chiaro, che però lascia aperti una serie di problemi. Come parlamentari siamo fuori da questo contatto fra voi, i sindacati ed i Governi, mentre il nostro problema è proprio quello dell’accesso diretto ed immediato all’informazione. Per esempio, sulle nostre strade ci sono le baby-prostitute, ma ai nostri semafori ci sono i bambini che lavorano, sfruttati, per pulire i vetri o vendere i fazzolettini; sappiamo che nelle cucine dei nostri ristoranti ci sono bambini che lavano i piatti e fanno gli sguatteri; sappiamo che negli scantinati dei nostri palazzi ci sono bambini che lavorano 18 ore su 24. I Governi assumono iniziative eclatanti affrontando, per esempio, l’argomento Nepal, ma noi parlamentari come facciamo ad aiutare il nepalese che lavora dentro i confini nazionali se non abbiamo con voi un rapporto diretto che ci sostenga nell’intervento? Anch’io ho presentato interrogazioni sulla bambina dell’est di 12 anni che faceva la mannequin, anch’io ho presentato interrogazioni sui bambini italiani di 12 anni presenti nei club sportivi del centro e del nord Italia, sradicati dalle famiglie ed inseriti in questi "vivai": conosco casi gravi di sradicamenti psicologici, per i quali occorrerebbe una legge sovranazionale, eventualmente suggerita attraverso i vostri programmi. Mi chiedo dunque come possiamo ottenere dei dati al fine di poter intervenire in maniera incisiva.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Ho già detto che quanto abbiamo a disposizione in termini di documenti ed elementi statistici sul lavoro minorile nei paesi sviluppati è chiaramente insufficiente. Cerchiamo di raccogliere informazioni per le nostre ricerche, ma non abbiamo abbastanza personale. Riteniamo che sarebbe auspicabile un impegno da parte di altri istituti di ricerca anche di paesi come l’Italia. Un esempio, che tuttavia rappresenta ancora un’eccezione, è l’accordo stipulato con il Governo italiano nel contesto dei programmi che normalmente sono destinati ad altri paesi; in questo caso si tratterà di ricercare i dati in Italia e questo ci darà una base di partenza di dati di qualità. Esiste un altro progetto in corso con il Portogallo che non è stato ancora completato. Tutto quanto produciamo sotto forma di dati ed informazioni è di dominio pubblico e non ci sono dati confidenziali o segreti. Fra qualche settimana speriamo di poter mettere tutto il materiale che abbiamo su Internet, in modo che i ricercatori o chi lavora in questo campo possano analizzare i nostri dati.

TIZIANA VALPIANA, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Vorrei rivolgere una domanda alla signora Lay in qualità di capo del progetto di campagna di sensibilizzazione. Ho avuto la fortuna di partecipare all’organizzazione della Global March e quindi ad alcune assemblee con i lavoratori italiani che hanno partecipato attivamente, anche attraverso donazioni di fondi per la campagna in Bangladesh. Ho visto poi l’egregio lavoro che avete svolto in Bangladesh compilando le schede individuali dei bambini e accompagnando ciascun bambino verso una vita diversa da quella che aveva precedentemente. Capisco che la vostra organizzazione non può distrarre fondi dal suo lavoro principale di informazione, però vorrei notare che i lavoratori italiani che hanno fatto delle donazioni non hanno più saputo cosa sia successo, mentre una campagna di informazione avrebbe potuto, oltre a sensibilizzare, spingere a fare altre donazioni e a coinvolgere maggiormente i Governi e le popolazioni. Vorrei dunque sapere quale altra organizzazione facente parte delle Nazioni Unite potrebbe svolgere quest’attività di informazione sul vostro lavoro. L’altra domanda è relativa all’utilizzazione dei bambini negli spettacoli. Faccio parte del Comitato che all’interno della Commissione infanzia si è occupato dei mass media e minori: abbiamo svolto un programma di audizioni che è durato un anno e stiamo ora arrivando ad una risoluzione che impegni il Governo su alcuni di questi temi. Oltre a valutare lo spettacolo in termini di lavoro minorile, che dunque ha assoluta necessità di alcune tutele, ci siamo posti la problematica dei bambini utilizzati nella pubblicità, quindi sfruttati sia come veicoli di trasmissione di prodotti sia come bambini utenti utilizzati per veicolare il consumo di questi prodotti. Vorrei sapere se su questo aspetto avete esperienze internazionali e se vi siano state proposte o soluzioni concrete.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Per quanto riguarda l’utilizzo di minori nella pubblicità e nei programmi artistici, ho già detto che l’insieme di quanto è stato pubblicato, fornito anche dai movimenti sindacali, non è certamente sufficiente. Ho confessato che non abbiamo dati sufficienti, soprattutto per quanto riguarda i paesi sviluppati. Sono d’accordo dunque sull’importanza di svolgere ricerche anche in questo settore. Siamo lieti della partecipazione dei donatori e dei partner sociali e siamo stati sorpresi del contributo delle associazioni di imprenditori e lavoratori al finanziamento dei progetti che mettiamo in opera. Abbiamo avuto l’esempio della Norvegia e della Svezia, ma non c’è confronto con l’insieme di queste organizzazioni che sono riuscite a trovare fondi ed un enorme appoggio ai nostri programmi per esempio per quanto riguarda il Bangladesh. E’ estremamente prezioso quando ciò si aggiunge, come nel caso dell’Italia, ai contributi che un paese offre in quanto tale e che sono già molto consistenti. Quanto a sapere se non possiamo trovare soluzioni e che cosa fanno le altre organizzazioni, ovviamente abbiamo contatti costanti con le altre organizzazioni che lavorano in questo settore: il legame è naturale con l’UNICEF perché molte nostre convenzioni si rifanno al lavoro di quest’ultimo e poi c’è la convenzione relativa ai diritti dell’infanzia. Per quanto riguarda la nuova convenzione sulle peggiori forme di lavoro minorile, si tratta di un’altra categoria di attività, che non ha a che vedere solo con il lavoro, come nel caso della tratta dei minori. Occorre quindi avvantaggiarsi dell’esperienza e trovare modelli più efficaci in altre istanze. Abbiamo lavorato in molte regioni del mondo, in Africa occidentale ed orientale, a Bangkok come in Brasile, cercando di rafforzare la concertazione e la divisione dei compiti: ciò è importante perché è interesse dei paesi donatori verificare che non vi siano sprechi di energie.

MARIA GABRIELLA LAY, Project manager IPEC. Per quanto riguarda la Marcia Globale l’impegno dell’IPEC è notorio. Abbiamo lavorato sistematicamente con loro ed abbiamo integrato il materiale prodotto. Per esempio la canzone che vi verrà distribuita nell’edizione italiana, nata in Francia, è stata divulgata nel kit distribuito a tutti gli insegnanti anche con lo spartito musicale per farlo diventare un programma educativo. Questo è solo un esempio, oltre al materiale che è stato tradotto sistematicamente in italiano e poi divulgato. Passando alla domanda centrale relativa al ritorno dell’informazione, è stato fatto moltissimo al riguardo. Il nostro ufficio di Roma è attivissimo in questo senso ed il dialogo con le organizzazioni sindacali è costante; ho presenziato personalmente ad una serie di conferenze. Si parlava prima del progetto finanziato dall’Italia della campagna globale per la consapevolezza del lavoro minorile: questo progetto ha previsto ed in parte realizzato incontri sistematici con i rappresentanti dei lavoratori perché abbiano un ruolo attivo all’interno di questa campagna. Probabilmente ciò non è manifesto, però posso dimostrare con una serie di iniziative che è sistematico. Per esempio, la traduzione della convenzione è stata fatta immediatamente; lo scorso anno, dopo solo una settimana, era già disponibile la traduzione in italiano della convenzione n. 182. La mostra "La luce oltre il tunnel" ha visitato l’Italia anche grazie all’attività della FOCSIV, che è un insieme di organizzazioni non governative, da Reggio Calabria a Milano, da Firenze a Trieste, da Roma fino alla Sardegna. Siamo dunque in piena attività e possiamo dire di star lavorando davvero a quattro mani.

GIOVANNI DI COLA, Senior programming officer dell’ILO. Mi occupo delle relazioni con una serie di donatori ed in particolare con l’Italia, la Spagna e la Svizzera sotto il profilo della cooperazione tecnica. Per quanto riguarda la domanda sul Bangladesh e sui paesi nei quali c’è stata l’iniziativa dei social partners, vorrei segnalare che non solo hanno partecipato al fund raising a favore dell’UNICEF, ma che il Governo ha preso un impegno che rispetta quello assunto dai partner sociali ed è stato ufficializzato nell’ultima commissione mista che si è svolta a Roma il 26 maggio scorso. In essa il Governo si è impegnato ad intervenire nella stessa quantità, 1 milione e mezzo di dollari, anche in Bangladesh, Pakistan e Nepal. Tra l’altro è in atto l’elaborazione di un programma molto importante in una regione dell’India, il cui documento di progetto è stato commentato dai partner sociali con i quali organizziamo regolarmente delle riunioni a Ginevra in occasione dei consigli d’amministrazione o della conferenza. La scorsa settimana i partner sociali erano qui per Ginevra 2000 ed abbiamo dunque avuto modo di incontrarci nuovamente per parlare di questi problemi. Si sta dunque stabilendo una dinamica, che era già in corso nell’ambito della tripartizione tradizionale, anche per il monitoraggio dei programmi di cooperazione tecnica. Ciò migliora i programmi dal punto di vista qualitativo perché i partner sociali e gli imprenditori, visitando questi paesi volontariamente, cercano di stabilire relazioni fra l’ambito economico, quello sociale ed il progetto in sé e naturalmente vedono la differenza fra il progetto specifico e le possibilità a livello macro e microeconomico di modificare le relazioni, le situazioni di forza e la partecipazione essenziale. In tutto ciò il ritorno è molto importante ed il signor Roselaers in varie occasioni ha sistematicamente segnalato che l’esempio dei partner sociali italiani è per il momento piuttosto unico nell’ambito della partecipazione all’IPEC.

DINO SCANTAMBURLO, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Vorrei approfondire le questioni operative. Credo che il rapporto con i datori di lavoro, nel momento in cui si elaborano e si attuano i progetti per l’eliminazione del lavoro minorile, sia il punto cruciale: come viene affrontato questo tipo di questioni e quali strumenti alternativi vengono offerti per ottenere la collaborazione di costoro a raggiungere l’obiettivo? Seconda domanda: so che l’azione delle ONG è molto importante dal punto di vista della collaborazione con l’IPEC; la dottoressa Lay accennava alla FOCSIV per la situazione di informazione e sensibilizzazione poiché spesso queste organizzazioni sono le più vicine sia ai minori coinvolti sia alle loro famiglie. Di che tipo di organizzazioni si tratta e che genere di azione esse riescono a svolgere anche per il seguito, cioè per sostenere i progetti da voi elaborati? Terza domanda: come vengono attuati i progetti di eliminazione del lavoro minorile? Nel momento in cui il minore viene sottratto a questo lavoro improprio, viene riaffidato alla famiglia, viene sostenuto da qualche organizzazione, qual è, insomma, il percorso successivo che gli viene offerto perché si tratti di una rottura definitiva con l’esperienza di vita precedente?

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Si tratta di molte domande che non hanno una risposta molto semplice. E’ chiaro che non possiamo sapere tutto e che il problema del lavoro minorile è lungi dall’essere semplice o dall’avere una soluzione globale. In questi ultimi otto anni abbiamo accumulato molta esperienza, ma quello che facciamo è sempre imperfetto, anche se cerchiamo continuamente di migliorare il modello di intervento. Sappiamo però che certe impostazioni e certi metodi sembrano funzionare meglio di altri; ciò è riconosciuto non solo dai partner locali ma anche da altri più scettici, dai mass media e dalle ONG che si occupano di questo settore. Mi sono reso conto di questo solo la settimana scorsa, durante quest’assemblea speciale delle Nazioni Unite che si è occupata del follow up del vertice sociale; a margine di quest’assemblea generale ci sono stati numerosi incontri e seminari sul lavoro minorile ed ho potuto rendermi conto che, nonostante le differenze nei modelli e nel modo di vedere le cose, vi è una sempre maggiore armonizzazione nel modo di affrontare il problema. Ci sono centinaia di attori, non solo l’UNICEF, la Banca mondiale o Save the children, coinvolti in quest’attività contro il lavoro minorile; esiste tuttavia una minoranza, che va diminuendo, che è tuttora a favore del lavoro dei bambini. In particolare in America Latina esistono degli organismi che tendono a promuovere il diritto dei bambini al lavoro, ma ovviamente partono da un’interpretazione diversa della convenzione sui diritti dell’infanzia e della convenzione dell’OIL sul lavoro minorile. Questo ovviamente ci complica la vita perché abbiamo bisogno di tutti i partner, però devo dire che la convenzione n. 182 sulle peggiori forme di lavoro in realtà ci facilita le cose perché non vi è dissenso su di essa. Tutti concordano con noi nel dire che nessun genitore potrebbe accettare che i suoi bambini lavorino in certe condizioni, che si tratti di un paese povero o con tradizioni diverse. Vi è una notevole influenza da parte delle organizzazioni dei datori di lavoro, che cercano di essere sempre più coinvolte anche nella formulazione dei progetti e non solo nella messa in opera; ciò vale, per esempio, per il Pakistan e il Bangladesh che hanno contribuito al finanziamento dei progetti, all’istruzione, alla formazione ed al controllo, perché ci si è resi conto di quanto sia importante la certificazione del fatto che questi paesi contribuiscano alla soluzione del problema. Per passare all’altra domanda relativa a come ci assicuriamo che il nostro lavoro porti all’eliminazione definitiva del lavoro minorile, devo dire che il nostro approccio abbina varie azioni; in primo luogo vi è quella di prevenzione affinché i bambini più piccoli di una famiglia non siano spinti verso il lavoro, poi vi è quella volta a sottrarre i bambini che già lavorano per metterli in un sistema di transizione prima della formazione perché essi non hanno l’abitudine di andare a scuola. Inoltre è necessaria la creazione di un sistema sanitario, di assistenza sociale, di consulenza alle famiglie per aiutarle a trovare un modo per migliorare i loro introiti, attraverso microcrediti, cooperative o forme di difesa dei loro interessi attraverso organizzazioni di tipo sindacale. Occorre infine trovare i mezzi che garantiscano un lavoro stabile agli adulti, con un salario adeguato che consenta di risolvere definitivamente e durevolmente il problema.

MARIA GABRIELLA LAY, Project manager IPEC. Per quanto riguarda i rapporti con i datori di lavoro è stato chiesto di quali strumenti disponga l’organizzazione per ottenere una collaborazione fattiva. Non va dimenticato che l’OIL è un’organizzazione tripartita e che l’iter per la definizione della convenzione dura due anni ed è una fase che si evolve parallelamente con l’apporto sia dell’OIL sia dei datori di lavoro. La definizione della convenzione è un elaborato delle tre parti costituenti e questo è importante. Va aggiunto che nella raccomandazione che accompagna la convenzione l’articolo 15 prevede il coinvolgimento e l’informazione delle organizzazioni di lavoro, per cui c’è una componente molto forte nella fase elaborativa ed attuativa.

GIUSEPPE MAGGIORE, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Ricordo che all’inizio della sua esposizione, che ho molto apprezzato per la sua ampiezza, lei ha accennato che insieme alla convenzione ci sono le attività operative ed ha citato alcuni esempi tra i quali quello dell’ultimo programma relativo alla metodologia globale che viene applicato in alcuni piccoli paesi quali il Salvador, il Nepal e la Tanzania. Le chiedo dunque quali sono le modalità d’intervento nei confronti dei paesi industrializzati, dove le situazioni sono molto diverse e dove sono diverse le possibili soluzioni operative.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). La ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto e, rispondendo alla sua domanda, devo dire che abbiamo scelto paesi di dimensioni più ridotte forse per evitare una "indigestione" immediata, perché non volevamo prendere un boccone troppo grosso come primo tentativo. E’ chiaro che, per quanto riguarda gli altri paesi, dove le situazioni sono molto diverse, i problemi verranno affrontati in un secondo tempo, anche perché forse occorreranno mezzi di azione più audaci. Dovremmo cercare di mettere in opera i programmi nei più grossi paesi in via di sviluppo come l’India, dove i problemi sono svariati. Quanto ai paesi più sviluppati, oserei dire che l’incidenza del problema non è tanto forte in proporzione rispetto ai grandi paesi in via di sviluppo; questo tuttavia, non significa che non si debba fare niente. Nei grandi paesi industrializzati come l’Italia la forza dell’apparato dello Stato si esplica attraverso la legislazione, l’azione dell’esecutivo o attraverso ispezioni specifiche, strumenti dotati di una forza e di un’efficacia che non ha confronto con quella in via di sviluppo. In molti casi c’è un vasto dialogo tra chi rende pubblici questi problemi e le autorità, siano essi Parlamenti o Governi. Di conseguenza questi sono soggetti ad enormi pressioni sociali e quindi molto spesso nei paesi industrializzati ritengo che le azioni saranno intraprese dai paesi stessi e non attraverso quella che può essere una piccola burocrazia come la nostra. Per esempio, in Italia il Ministero del lavoro ha mezzi di gran lunga superiori a quelli che possiamo avere noi come organizzazione, senza parlare dell’IPEC da sola. Penso dunque che queste azioni si faranno attraverso questi paesi, il che non esclude la cooperazione con noi per le possibili soluzioni.

YOSHIE NOGUCHI, Responsabile programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. Se mi è permesso di esporre il mio punto di vista di giurista, abbiamo già sentito quanto sia elevata la percentuale di ratifiche della convenzione n. 182 e questo di per sé è incoraggiante. Occorre dire che tra i paesi che hanno proceduto alla ratifica non ci sono soltanto quelli in via di sviluppo, ma anche altri grandi paesi industrializzati come il Regno Unito e l’Italia. La speranza è che questa convenzione ci permetta anche di trovare strumenti di messa in opera, attraverso la cooperazione con tutti i Parlamenti, le ONG e le organizzazioni dei lavoratori. Speriamo che questo nuovo strumento diventi un qualcosa di più vicino alle persone e che sia visto come un qualcosa che non può di per sé dare una risposta a tutto. La convenzione contiene soltanto alcuni elementi essenziali, poi c’è la raccomandazione, che contiene maggiori suggerimenti, pur non essendo giuridicamente vincolante. Se poi uno Stato trova qualche idea soddisfacente in queste raccomandazioni, ciò può diventare un esempio per gli altri; questo è per noi importante perché ci permetterebbe di mostrare agli altri gli esempi di successo di alcuni. E’ chiaro che le organizzazioni come l’OIL e l’IPEC non possono da sole fornire una soluzione a tutto, ma devono poter lavorare in cooperazione con gli altri.

ANTONINA DEDONI, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia. Ritengo giusta e condivisibile l’attenzione rivolta prioritariamente ai paesi in via di sviluppo, non solo perché il fenomeno ha proporzioni molto più significative, ma perché siamo di fronte ad una violazione grave dei diritti elementari delle persone e dei bambini. Ringrazio dunque l’IPEC per il lavoro che sta facendo. E’ stata definita come una vecchia istituzione, che tuttavia sta svolgendo un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione a questo problema. Torno su un aspetto sottolineato anche dai miei colleghi, e cioè che se è intollerabile lo sfruttamento dei minori nei paesi in via di sviluppo, lo è ancora di più nei paesi sviluppati. Molto si sta facendo anche da parte dell’Italia. Vorrei che questi aspetti fossero ricordati anche in sede di trattative per l’elaborazione delle convenzioni perché oltre alla prostituzione, all’accattonaggio, al reclutamento di minori per diverse attività, non bisogna dimenticare che anche nel nostro paese esistono un nord ed un sud. Spesso si verificano casi di ragazzi minorenni che lavorano in fabbriche e che in qualche occasione sono stati coinvolti in incidenti mortali. Sappiamo che è nostro compito affrontare questi problemi con gli strumenti parlamentari, ma vorremmo che questi aspetti fossero ricordati anche in altre sedi; assicuriamo comunque il nostro impegno di parlamentari per la circolarità delle informazioni. Vorrei infine sapere su quante risorse può contare complessivamente l’IPEC.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Per quanto riguarda le violazioni delle disposizioni della convenzione relativamente al lavoro dei minori nei paesi in via di sviluppo, esistono dei meccanismi di controllo da parte dell’OIL in tutti i paesi. Di conseguenza si stabilisce una forma di dialogo. Quanto alle forme più pericolose di lavoro, che possono provocare gravi infortuni, questo è molto preoccupante e dobbiamo approfondire il nostro lavoro: lo stiamo facendo in Asia e forse non lo facciamo abbastanza in Europa. Per quanto riguarda le nostre risorse, esiste una modesta sovvenzione proveniente dal bilancio dell’OIL che viene finanziato attraverso i contributi degli Stati membri, e poi vi sono le risorse provenienti dai 23 paesi donatori, che contribuiscono in proporzione diversa attraverso contributi annui: passiamo dai 20 mila dollari fino ai 30 milioni di dollari di un paese che probabilmente l’anno prossimo arriverà a 45 milioni di dollari. Tutti i nostri progetti dall’inizio del programma hanno portato ad una spesa di poco più di 100 milioni di dollari e molti donatori hanno già annunciato che vorrebbero aumentare i contributi al nostro programma.

Elisa POZZA TASCA, Coordinatore del Gruppo di lavoro: "Lavoro minorile e sfruttamento minori". Vorrei ringraziare i nostri interlocutori a nome dell’intera Commissione, che in questo momento mi onoro di rappresentare. Ci auguriamo di poter avere altre occasioni di incontro, se non a Ginevra, a Roma con i rappresentanti italiani; questa è dunque solo un’apertura del dialogo che intendiamo mantenere. Intendiamo dare informazioni sul percorso che abbiamo svolto, sulla vostra attività e su quanto tutti insieme possiamo fare per migliorare la situazione.

FRANS ROSELAERS, Direttore del programma IPEC (in lingua straniera). Ringrazio tutti voi per la vostra disponibilità e per la vostra intenzione di farvi nostri avvocati nei confronti della stampa e del pubblico.

Ritorno alla home page della Commissione Infanzia